Cristina Cassar Scalia “Mandorla amara”, nei commenti di Mar

Bentornata, Vanina!

Cristina Cassar Scalia dopo quella che forse è stata una pausa dalle vicende della sua protagonista, il  vicequestore Vanina Guarrasi, con il romanzo “Delitto di benvenuto. Un’indagine di Scipione Macchiavelli”, torna nuovamente a narrare le vicende professionali e non di Vanina con “Mandorla amara” e lo fa, come negli altri romanzi che l’hanno vista protagonista, con un intreccio narrativo accattivante e dinamico, una costruzione linguistica fluida che regala quel piacere unico e particolare che dà la lettura di un testo scritto bene e una capacità di mescolare le caratteristiche strettamente professionali di Vanina con i suoi aspetti più profondamente emotivi. 

Insieme a lei il lettore ritrova alcuni dei protagonisti che ha imparato a conoscere nei loro tratti distintivi come, per citarne solo alcuni, il commissario in pensione Patanè, l’avvocata Maria Giulia De Rosa, il medico legale Adriano Calí, il magistrato Paolo Malfitano e l’insostituibile padrona di casa, Bettina. Il tutto senza mai tralasciare quel viscerale amore per la cucina siciliana, dispensatrice di  benessere fisico ed emotivo che l’autrice riesce a trasmettere al lettore.
Il romanzo ha una conclusione “aperta” che fa presagire che l’autrice ci regalerà presto, speriamo, un altro pezzo di vita professionale e umana di Vanina. 

Della stessa autrice su tuttatoscanalibri:

Cristina Cassar Scalia “Delitto di benvenuto”, nei commenti di Mar

Delitto di benvenuto

Sabbia nera

La logica della Lampara

Il talento del cappellano

L’uomo del porto

La salita dei saponari

La carrozza della santa

Il Re del gelato

La banda dei carusi

Il castagno dei cento cavalli

Scalia, De Cataldo, De Giovanni, Tre passi per un delitto

Le stanze dello scirocco

Julian Barnes “Diciassette diverse possibilità di fallire”, presentazione

Traduzioni di Susanna Basso e Daniela Fargione

Con la consueta vis comica mescolata a un sottile senso del tragico, Julian Barnes lavora materiali vari e molteplici, avvalendosi di una raffinata sapienza letteraria. Diciassette diversi modi di incantare il lettore (dal Catalogo  Einaudi).

La raccolta si compone di diciassette racconti dall’autore stesso  selezionati attingendo a quanto in un quindicennio ha prodotto in quella particolare forma narrativa che è il racconto: Cross Channel (1996; Oltremanica in italiano), The Lemon Table (2004) e Pulse (2011) le ultime due inedite in Italia. Tra le varie tematiche la storia familiare è quella che torna a più riprese come quella della coppia infelice raccontata in La storia di Mats Israelson che nell’Introduzione viene indicato dall’autore come il suo racconto più riuscito.

Nelle diciassette storie contenute nel volume, scorci su scenari disparati: la buffa reazione di un melomane ai rumori prodotti dagli altri spettatori; un nobile inglese sogna di esportare il gioco del cricket in Francia e con esso un po’ della cultura e dell’estetica britannica; le meditazioni di grandi del passato, come Tolstoj e un Turgenev anziano e innamorato; la guerra e la presidenza Obama, il Tour de France e la manipolazione operata nell’ex Ddr.
Su La Lettura del 12 ottobre il racconto  pubblicato sul dolore per la perdita di un coniuge, con la premessa che titola: “le 17 storie di un elegante maestro della scrittura”

Nell’Introduzione l’autore presenta il contenuto delle tre raccolte da cui sono tratti i racconti presenti nel volume e alcune considerazioni

Cross Channel si concentra sulla relazione tra Francia e Gran Bretagna nel corso dei secoli: soldati, costruttori di linee ferroviarie, artisti in esilio, campioni del Tour de France, e cosí via. The Lemon Table, sul passare degli anni, sull’età e, in conclusione, su quella che Philip Larkin chiamava «la sola fine e il solo fine della vecchiaia».[…] La mia ultima raccolta, Pulse, procede su una doppia tematica. La prima metà potrebbe intitolarsi Voci: raccoglie alcuni personaggi che si incontrano Da Phil & Joanna e si compone quasi esclusivamente di dialoghi. La seconda metà presenta diverse storie dedicate ai cinque sensi e alla loro perdita: un pianista cieco, un pittore sordo, un caso di anosmia, eccetera. Le tematiche di tutti e tre i libri erano pressoché programmate in anticipo, sebbene questo non abbia scongiurato momenti di allarme (e se non fossi riuscito a trovare l’idea per un racconto sul tatto?) E qui emerge un’altra differenza tra racconto e narrativa di ampio respiro. Ogni romanzo contiene al suo interno un paio di modi di fallire, talvolta identificabili sin dal principio, una raccolta di dodici racconti, invece, contiene altrettante diverse possibilità di fallire. Dodici ansiosi incipit in marcia verso dodici apprensivi epiloghi. Dunque non dovrebbe sorprendere che mi ci sia voluto sempre piú tempo per mettere insieme una raccolta di storie che non un romanzo. E forse sorprende anche meno il fatto che non sia piú stato in grado di completare un solo racconto negli ultimi tredici anni”

Julian Barnes è nato a Leicester. Vincitore del Somerset Maugham Award, il Prix Médicis, lo Shakespeare Prize, l’Ordre des Arts et des Lettres, il David Cohen Prize for Literature e il Premio Malaparte, con Il senso di una fine ha vinto il Man Booker Prize 2011. Fra le sue opere, tutte in corso di pubblicazione per Einaudi, sono a catalogo: Una storia del mondo in 10 capitoli e 1/2OltremanicaAmore, ecc.England, England, Amore, dieci anni dopo, Arthur e George, Il senso di una fine, Evermore, Livelli di vita, Il pappagallo di FlaubertMetrolandIl rumore del tempoIl porcospinoPrima di meL’unica storiaGuardando il soleCon un occhio apertoIl pedante in cucinaL’uomo con la vestaglia rossaNiente pauraElizabeth Finch e Diciassette diverse possibilità di fallire.(da Autori Einaudi)

Elizabeth Strout “Raccontami tutto”, presentazione

Traduzione di Susanna Basso

Un carosello di storie che, pagina dopo pagina, si affastellano una sull’altra, alimentate dal desiderio di dar conto delle tante «vite ignorate» che scorrono apparentemente senza lasciare traccia, e di sondare cosí il mistero che tutti quanti siamo.(da Einaudi Libri)

Crosby nel Maine, Bob  Burges, sessantacinquenne, che da quasi quindici anni lì vive: in gioventù avvocato a New York , tra i cui clienti annoverava William, l’ex marito di Lucy, la scrittrice, che insieme a lei aveva affittato a Crosby una casetta sul mare durante la pandemia di Covid-19 e che ora è diventata la loro dimora permanente; così nel precedente romanzo “Lucy davanti al mare” l’autrice racconta.  
Un ritrovarsi.
È proprio grazie a Bob e alle loro passeggiate quotidiane e alle nuove frequentazioni cui Bob l’ ha introdotta, che Lucy è riuscita a trascorrere meglio gli anni bui della pandemia, e a incontrare la novantenne Olive Kitteridge, proprio lei : chi ha letto Elizabeth Strout, rincontra due protagoniste chiave della sua narrazione.
Da questo incontro nasceranno le tante storie dal passato e mai rivelate, storie di un’umana esistenza, di quelle vite ignorate, vite fragili, storie all’apparenza banali che Olive e Lucy si raccontano e ci raccontano per farci entrare in quell’universo che sono gli altri, quelli con i quali spesso dividiamo le nostre giornate ma che non conosciamo davvero, quel microcosmo sconosciuto che sono e che siamo tutti noi.  
Emergono così storie dei protagonisti non rivelate dentro le prime storie. E fra tante anche una in giallo: il cadavere di una donna, Gloria Beach, è rinvenuto nelle cave dei dintorni; il figlio è il principale indiziato, sarà Bob a incaricarsi della sua difesa, decisione legata proprio al suo vissuto.

Della stessa autrice su tuttatoscanalibri

Olive Kitteridge

Olive, ancora lei

Oh William

Lucy davanti al mare

Salinger nella nuova traduzione di Matteo Colombo

Gli scritti di Salinger, i Nove racconti, Franny e Zooey, Alzate l’architrave, carpentieri e Seymour sono stati ripubblicati in una nuova edizione e affidati alla traduzione di Matteo Colombo, così come in precedenza Il giovane Holden; una rigenerazione legata proprio alla necessità di una nuova traduzione: trasportare una lingua in un’altra non è mai un “tradurre” indolore, può variare, anzi varia proprio a seconda dei tempi, intendendo quelli storici e propri della lingua in cui deve essere resa.
La traduzione del testo de Il giovane Holden ad esempio, dovuta nel 1961 ad Adriana Motti, risentiva sicuramente delle risorse linguistiche disponibili allora per la traduzione di un testo gergale; oggi le risorse sono cambiate e “nell’italiano e nella conoscenza degli autori americani” come ha recentemente dichiarato Matteo Colombo.
A ribadire le difficoltà della traduzione di allora la posizione di Alessandro Piperno (La Lettura 29 giugno 2025) che si racconta come giovane lettore alle prese con il romanzo di Salinger nella versione della Motti “Oggi so che parte del fastidio che mi provocò la lettura de Il giovane Holden derivava dalla traduzione di Adriana Motti. Intendiamoci, non ho nulla contro quella preziosa traduzione storica. So che per molti versi è una specie di capolavoro, un classico per famiglie, ma so anche che si tratta di una trappola mortale. E non tanto, o non solo, per qualche licenza di troppo, ma per via del birignao che, oltre ad aver privato la voce di Holden della sua spontaneità, ha favorito la proliferazione di una schiera di emulatori e di epigoni che, lasciatemelo dire, di spontaneo hanno ben poco”, intendendo con il termine birignao, legato al mondo della recitazione teatrale, artificioso e innaturale.

Incuriosisce, almeno in me ha determinato questo effetto e riflettendo in effetti leggere un testo in una resa linguistica rispetto ad un’altra, ne cambia sicuramente non solo la forma ma essenzialmente la fruibilità e l’impatto.

Garantisce Piperno quando afferma che un’impresa così delicata è stata affidata nelle mani di un traduttore eccellente e navigato come Matteo Colombo. “Il progetto, iniziato una decina d’anni fa – aggiunge – trova oggi il suo compimento nelle traduzioni (eseguite dalla medesima mano salda, felice e calibrata) dei Nove racconti, Franny e Zooey, Alzate l’architrave, carpentieri e Seymour”

SP.

Einaudi

Elisabetta Moro e Marino Niola “Gatti neri e specchi rotti. Perché siamo superstiziosi”, presentazione

Gatti neri, specchi rotti, giorni sfortunati, numeri fortunati, amuleti infallibili, talismani indispensabili, riti scaramantici. Sono pochi esempi di quello sterminato catalogo di superstizioni cui sin dalla notte dei tempi ricorriamo contro i rischi del vivere e le incognite dell’esistenza. Perché, nonostante i progressi della conoscenza, dell’alfabetizzazione, della tecnologia, l’immaginario scaramantico non conosce declino, anzi continua a moltiplicare i propri segni. Perché evidentemente non sono un residuo prelogico del pensiero ma un bisogno di spiegazione supplementare, l’illusione di controllare l’incontrollabile.(dal Catalogo Einaudi)

Si legge nell’Introduzione

“Quelle che chiamiamo comunemente superstizioni sono in realtà sistemi di credenze, simboli e comportamenti che vengono da molto lontano. Spesso neanche ne conosciamo l’origine. Le usiamo e basta, come facciamo con il linguaggio. Ignoriamo l’etimologia di ogni parola che usiamo, eppure continuiamo a parlare. In realtà piú che un residuo prelogico del pensiero, come vorrebbe un facile evoluzionismo sociologico, si tratta di una pulsione istintiva a scongiurare possibili situazioni avverse. Come se la mente mettesse le mani avanti per avere l’impressione di poter esercitare un controllo sull’esistenza. In realtà le superstizioni servono a dar senso agli aspetti piú oscuri e sfuggenti del mondo, della natura, della società. E soprattutto ci aiutano a riconoscere e controllare le nostre ansie, paure, insicurezze dando loro un volto, una forma e persino un numero”.

Stefano Bartezzaghi sulla pagina di Repubblica (venerdì 4 luglio 2025) scrive che secondo gli autori superstiziosi lo siamo un po’ tutti; l’intenzione dell’opera è quella di offrire una panoramica sulla scaramanzia quotidiana ritenuta “sostanzialmente innocua”, di evidenziare il legame tra oggetti e credenze in un parallelo linguistico (ad esempio in quelle legate allo specchio “in etimo comune con lo spettro”), e di inserire “nelle sue connessioni storiche, letterarie e appunto antropologiche” l’insieme degli oggetti, colori, nomi e quant’altro, abbinato alle principali superstizioni.

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Mangiare come Dio comanda

Baciarsi

I segreti della dieta mediterranea

Sirene. Il mistero del canto a cura di Elisabetta Moro

Giancarlo De Cataldo “Un cadavere in cucina”, presentazione

Una ricetta «sbagliata» scatena il pandemonio in un prestigioso ristorante romano. Solo che dalla farsa si cade presto nella tragedia, e nell’aria si spande odore di delitto. Quello dell’“haute cuisine” è però un mondo frequentato dai potenti. Per le indagini serve uno come il Pm melomane Manrico Spinori, che alla competenza unisce, in giusta dose, l’atavica disposizione a non lasciarsi intimidire.(Dal Catalogo Einaudi)

e di sicuro, aggiungiamo, a saper trattare con quei potenti… come ben sapeva il procuratore Melchiorre che altre volte aveva affidato  al contino casi sensibili, indagini particolarmente delicate, quando c’erano di mezzo politici, ricconi, persone che comunque avevano accesso ai media e potevano sfruttare conoscenze, relazioni, potere. Manrico era l’uomo dei grovigli di ‘alta classe’ , per la sua determinazione, competenza da buon inquirente e soprattutto quell’abilità diplomatica che secondo il procuratore non poteva mancare insieme a nervi d’acciaio, capacità di interpretare i contesti sociali, e indifferenza per le polemiche.

E proprio per queste sue virtù investigative che il pubblico ministero Manrico Spinori, che si stava godendo l’oblio del luglio pontino, viene richiamato in servizio per risolvere con la giusta diplomazia un caso spinoso accaduto nel prestigioso ristorante capitolino, il Controcorrente.
Se in un primo momento i clienti sono stati vittima di un’allucinogena intossicazione, uno di loro, un colonnello dell’esercito, dopo quarantott’ore muore. Dagli accertamenti risulterà che i piatti incriminati contenevano tutti psilocibina, una sostanza presente in alcuni funghi allucinogeni, una sostanza non letale e pertanto l’ufficiale doveva essere morto per altre cause o per un altro ingrediente.
Del caso presto si interessano anche i Servizi segreti, e la situazione si complica ancora di più quando i morti diventano due.
Riuscirà il Pm nonché contino melomane con quella sfilza di nomi (Manrico Leopoldo Costante Severo Fruttuoso Spinori della Rocca dei conti di Albis e Santa Gioconda detto appunto “il contino”) che lo attestano appartenenere a nobili casati risolvere “diplomaticamente” la questione coadiuvato dalla sua squadra esclusivamente al fermminile?

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Il bacio del calabrone

Io sono il castigo

Un cuore sleale

Il suo freddo pianto

Colpo di ritorno

Cristina Cassar Scalia “Delitto di benvenuto”, nei commenti di Mar

Einaudi

Con l’ultimo romanzo “Delitto di benvenuto ” Cristina Cassar Scalia  abbandona ( o lascia temporaneamente?) la mitica Vanina per proporre al lettore un protagonista molto diverso: il commissario Scipione Macchiavelli. 

L’ambientazione è sempre siciliana, ma dalla convulsa Catania, la Scalia ci porta nella molto più lenta e provinciale Noto. E questa “lentezza” caratterizza un po’ tutta la narrazione; mancano, rispetto ai romanzi precedenti, quelle dinamiche frizzanti che coinvolgevano il lettore; manca o fa sentire la sua assenza la briosa vitalità di Vanina, compreso quel suo sano e accattivante amore per il cibo “buono”.
L’incedere del nuovo romanzo e del suo protagonista è un po’ lento e sonnacchioso, con un maggiore guizzo e dinamismo nelle battute finali.
Insomma un personaggio quello di Scipione tutto da costruire e da costruirsi. La scrittura sempre eccellente della scrittrice fa sì che il lettore prosegua nella lettura, anche forse nella speranza di ritrovare un po’ delle dinamiche narrative precedenti e quella intrigante vitalità, personale e professionale, a cui era stato abituato dalla protagonista Vanina.

“Delitto di benvenuto” : la presentazione di Salvina Pizzuoli

Cristina Cassar Scalia “Delitto di benvenuto”, presentazione di Salvina Pizzuoli

Einaudi

Noto, Natale 1964, un nuovo commissario, Scipione Macchiavelli romano, e un nuovo protagonista, dal nome impegnativo, come quello dei suoi fratelli che paiono tutti “usciti da un libro di storia dell’Impero Romano”,  per una tradizione di famiglia cui il padre, Cesare, manco a dirlo, tiene molto.
 Arriva a Noto a Natale, dal commissariato “Via Veneto” di Roma che ha diretto negli ultimi quattro anni: un trasferimento di cui sa le motivazioni, una comunicazione scritta a cui è costretto a rassegnarsi.
Effetto di una condotta che gli ha fruttato un soprannome, il Paparazzo, legato a quella Via Veneto, a pochi passi dal suo commissariato, di cui è “assiduo frequentatore” attratto dalla dolce vita romana “celebrata dal cinema e dai rotocalchi”.

Questi gli ingredienti relativi al protagonista e personaggio principale del nuovo romanzo della Scalia. L’ambientazione e la scelta datata non sono certo casuali: siamo nella “Provincia babba” che significa “ingenua, priva di malizia” senza organizzazioni mafiose. “Un’ingiuria che in questo caso diventa un complimento”; ma in questa provincia sonnolenta, come recita il titolo “Delitto di benvenuto”, il nuovo commissario, subito dopo il lungo viaggio da Roma, si trova a dover dirimere una strana matassa di fatti, spesso complicati o chiariti dalle voci e dai pettegolezzi,  le cui notizie “nel giro di due ore” riescono a  circolare per il paese, che sa tutto di tutti, del presente e del passato, e sui quali costruisce ipotesi e conseguenze. Un paese accogliente dove prima la scomparsa del direttore della banca Trinacria e poi la scoperta del suo cadavere stanno turbando le festività natalizie.
Ma non è solo, nell’inchiesta Macchiavelli potrà contare sulla presenza e l’apporto di due funzionari locali, il maresciallo Calogero Catalano e il brigadiere Francesco Mantuso nonché sull’intuito di un’affascinante farmacista, e sul compagno di studi, ora giudice giovane e stimato a Siracusa, Giuseppe Santamaria “amico leale dal primo giorno del primo anno alla facoltà di Giurisprudenza, che avevano frequentato all’università La Sapienza. Insieme a Primo Valentini, anche lui collega di studi, era uno dei piú cari amici del commissario”.
Un bel quadro della vita di provincia siciliana negli anni ’60, con i suoi valori atavici ancora imperturbati e Noto con i suoi palazzi, la sua nobiltà fatta di principesse e notabili, provincia chiacchierona e bellissima, regina del barocco con le sue chiese e le sue architetture.
Un nuovo protagonista che sa di esordio in una nuova serie? Dalla lettura così parrebbe…
Un nuovo personaggio, da conoscere più a fondo e a cui affezionarsi, come con Vanina che tanto spazio ha occupato nei gialli della Scalia e nel cuore dei lettori.

Cristina Cassar Scalia “Delitto di benvenuto”, nei commenti di Mar

della stessa autrice su tuttatoscanalibri

Sabbia nera

La logica della Lampara

Il talento del cappellano

L’uomo del porto

La salita dei saponari

La carrozza della santa

Il Re del gelato

La banda dei carusi

Il castagno dei cento cavalli

Scalia, De Cataldo, De Giovanni, Tre passi per un delitto

Le stanze dello scirocco

Anna Mallamo “Col buio me la vedo io”, presentazione

[…]«Amen, amen, – le ho detto. – Tanto lo sappiamo dove va: dassupra», avevo concluso mentre lui spariva in mezzo alla gente e allo scirocco.
L’avevo detto in dialetto per schifo e prepotenza. Ci era vietato parlare in dialetto, i nostri genitori non volevano, che per loro era la lingua dei poveri e dei paesani e noi eravamo nuovi e cittadini, però a noi piaceva, era la lingua dei grandi, gliela spiavamo sulla bocca, ce la pigliavamo di nascosto e la usavamo come i grandi: per colpirci, o per nascondere le cose, come fanno loro.” (da Col buio me la vedo io)

“Ed è anche un libro sulla giustizia e sul Sud lontanissimo da tutti i clichés: quando usa il dialetto (sempre con parsimonia) non è mai per un effetto di colore ma per cercare a tentoni l’unico senso possibile. Perché il dialetto si può usare «per schermare o per chiarire, è la lingua dei grandi, funziona in tutti e due i modi».”(dal Catalogo Einaudi)

La protagonista, Lucia, ha sedici anni, vive a Reggio Calabria. Sono gli anni ottanta, i primi anni Ottanta, e la città,  appena uscita dalla guerra di ‘ndrangheta, è travagliata da scontri tra il Fronte della Gioventù e il collettivo studentesco ed è percorsa da una violenza diffusa.
Anche Lucia ne resta vittima: la nonna omonima è morta da pochi mesi e la zia amatissima è morta assassinata. È per questo, per capire il perché che rapisce il figlio del boss dell’Aspromonte, Rosario, di cui la sua migliore amica, Beatrice, si è innamorata e vuole tenerlo lontano anche da lei. Nonostante il rapimento la sua vita di studentessa liceale si svolge normalmente.
Un romanzo che sa di Sud dove è ambientato e visto da “dentro”, attraverso le sue figure femminili, forti, combattive che come Lucia lottano  e si scontrano e sperano nella verità. Un romanzo di formazione, dove la voce narrante è di un’adolescente che parla  in prima persona usando a volte il “dialetto”, dove luci ed ombre, bene e male, buio e luce sono come il titolo da leggere in chiave: la natura doppia delle cose, delle realtà che ci circondano, tra  il “mondo di sotto”, il buio e la reclusione, e il “mondo di sopra”, quello della luce e della libertà.

Anna Mallamo, strettese, ovvero calabrese di Reggio emigrata a Messina e in continuo andirivieni sullo Stretto, è giornalista, dirige le pagine di Cultura e spettacoli della «Gazzetta del Sud» e gestisce un blog sull’«Huffington Post». Per «l’Unità» ha tenuto una rubrica settimanale che raccontava le gesta semiserie, ma profondamente politiche, di un condominio di anziane donne calabresi. È autrice di Lezioni di tango (Città del Sole 2010), sul mondo del tango e i suoi protagonisti, e suoi racconti sono apparsi in diverse antologie e riviste. Per Einaudi ha pubblicato Col buio me la vedo io (2025).(da Einaudi Autori)

Maurizio de Giovanni “Volver. Ritorno per il commissario Ricciardi”, presentazione

È il luglio del 1940, l’Italia è in guerra. Ricciardi – preoccupato per la figlia Marta e per i suoceri, in grave pericolo a causa delle origini ebraiche – ha ormai trasferito la famiglia a Fortino, il paese dove è nato. Lí, nei luoghi dell’infanzia, sperava di avere un po’ di quiete. Invece,[…] , tra le montagne del Cilento il commissario è messo faccia a faccia con un passato che avrebbe voluto scordare. Per lui, e non solo per lui, è arrivato il momento di regolare i conti con la propria storia.( da Einaudi Libri)

Volver, un altro nome di tango, come Soledad  e Caminito che lo hanno preceduto.
Non casuale la scelta di un titolo che è il nome di un ballo e di  un testo che ne accompagna la musica
Nell’immaginario collettivo il tango è un ballo particolare, un cammino, di un danzatore con la sua compagna, una coppia che per trovare sintonia deve in primis essere in sintonia con se stesto e con il partner, ma è anche abbraccio, sostegno, non sentirsi soli, ma accompagnati per resistere alle intemperie della vita, è nostalgia, è incontro.
Volver conclude il ciclo con il commissario Ricciardi, così racconta lo stesso De Giovanni in un bellissimo articolo (Ricciardi, ecco perché ti dico addio comparso sul  Corriere della Sera il 23 Nov 2024) non solo una “spiegazioe”, un perché, ma ricco di riflessioni d’autore di cui mi piace riportare solo alcuni pezzi che mi hanno colpito per le rivelazioni che contengono relative al rapporto che si crea  tra  scrittore e personaggio.

“Alle porte dell’uscita di questo romanzo, Volver, mi ritrovo a interrogarmi su Ricciardi e su me stesso: e scopro di avere più risposte che domande, sfogliando le istantanee, che il cuore più che la mente mi restituisce, di questi vent’anni in cui tutti e due siamo profondamente cambiati, ognuno nel suo tempo e ognuno nel suo mondo, legati da questo filo stretto e fortissimo che ci unisce ma che ci mantiene lontani. Io Ricciardi, sapete, lo guardo vivere da una finestra, come un vicino di casa di cui si sanno molte cose ma che non si è mai formalmente presentato. E adesso che questa finestra sta per chiudersi, almeno su quella fetta della sua esistenza che ho finora raccontato, posso chiedermi che cosa siamo stati l’uno per l’altro. E che strada tortuosa e accidentata abbiamo percorso, per arrivare fin qui”.

E ancora

“Storia dopo storia siamo rimasti insieme, e ogni tanto l’ho incontrato nei posti meno prevedibili, pronto a raccontarmi un altro pezzo di storia. Come si fa tra amici, che non si vedono da un po’ e poi si aggiornano su quello che è successo, ed è come se non si fossero mai allontanati di un millimetro.Tra noi però c’è sempre stato un accordo: avrei smesso di raccontare di lui nell’imminenza della guerra. Per la verità, venendo meno al patto, avevo provato a fermarmi prima, quando per lui era il 1934 e per me il 2021, con la morte della moglie e la nascita della sua bambina; credevo che fosse uno snodo insuperabile, e che l’immediato futuro gli avrebbe riservato solo dolore. Se vuoi bene a qualcuno non ti va di osservarne la sofferenza, e per poterne raccontare dovevo vedere”.

Ambientato nel luglio del 1940, in un’Italia segnata dalla guerra, il romanzo intreccia, come sa fare perfettamente De Giovanni,  le inquietudini del personaggio Ricciardi con il dramma collettivo. Se Ricciardi torna nelle sue tenute di Fortino, nel Cilento, a Napoli sono rimasti i due compagni di sempre, il medico legale in pensione Bruno Modo e il brigadiere Raffaele Maione, prossimo anch’egli al pensionamento. Tanti e riconosciuti i molti protagonisti:  il primo candidato ad eseguire l’attentato che si progetta ai danni di  un funzionario tedesco di passaggio in città, mentre sulle note del tango di Carlos Gardel, “Volver”, torna cercando forse un’ultima speranza la donna da Buenos Aires; la piccola  Marta, che ha ereditato gli stessi “doni” e tormenti del padre, gli sarà di aiuto per scoprire la verità su un’antica storia. Marta, che “sente” la voce della vecchia Filumena sorda e muta, la cui rivelazione servirà per riannodare i fili di un remoto fattaccio; e tra i protaginisti certamente Napoli, non solo sfondo a tante vite.

Non si può non essere coinvolti, Ricciardi è un personaggio nella cui vita siamo entrati e lo abbiamo serguito per molto tempo, è un protagonista travagliato ma che sa comunque procedere dentro la propria vita non con rassegnazione, ma con costante coraggio: di certo non facile da amare, ma so che mi mancherà non trascorregli ancora accanto .

dello stasso autore su tuttatoscanalibri

Il metodo del coccodrillo

Gli occhi di Sara

Tre passi per un delitto (con Scalia e De Cataldo)

Un volo per Sara

Caminito. Un aprile del commissario Ricciardi

Sorelle. Una storia di Sara

Soledad. Un dicembre del commissario Ricciardi

Pioggia. Per i Bastardi di Pizzofalcone