Aleksandr Puškin “Eugenio Onieghin nei versi italiani di Giovanni Giudici” Scalpendi Editore

“Eugenio Onieghin” è un romanzo scritto in versi da Puskin tra il 1822 e il 1831. Con l’autore in vita non ebbe un’accoglienza benevola dalla critica contemporanea, e solo dopo la morte dell’autore venne considerato il modello del grande romanzo realistico russo dell’Ottocento. Questa edizione propone il romanzo nella traduzione di un grande poeta come Giovanni Giudici per continuare a seguire il solco tracciato dai primi due volumi della collana “Per l’Alto Mare Aperto” diretta da Edoardo Esposito (da Unilibro)

Aleksandr PuškinEugenio Onieghin nei versi italiani di Giovanni Giudici

Puškin nacque a Mosca nel 1799, l’anno in cui, a Milano, moriva Giuseppe Parini; e se Parini aveva dato all’Italia il ritratto di un vanesio e dissoluto rampollo nobiliare, bollandolo con illuministico sarcasmo, Puškin avrebbe dipinto un “Giovin Signore” della società russa nel nuovo spirito che il romanticismo diffondeva in Europa e che, senza rinunciare all’ironia, puntava piuttosto però, e vivamente, sulle passioni del cuore. Così Eugenio, il suo personaggio, non è più una marionetta da ammaestrare e da mettere alla berlina, ma è un giovane che nella vita e nei godimenti della vita si muove destramente e che, se non manca di sventatezza e di qualche cinismo, non manca nemmeno di impulsi generosi e della capacità di capire i suoi stessi sbagli. Non sempre a tempo, purtroppo, e glielo insegna Tatjana, dolcissima figura che gli fa da contrappunto incarnando, contro l’allettamento di vane fantasie, i sentimenti dell’amore sincero.

La storia non è in prosa ma – si vorrebbe dire – in musica; fu l’autore stesso a parlare di «romanzo in versi» e a inventare una strofa capace di reggerne giocosamente la continuità. Quanto a Giovanni Giudici, che per anni si è dedicato a trasformarla «in versi italiani», ha scritto Gianfranco Contini che è stato «il solo traduttore che abbia comunicato qualche cosa del fremito straordinario di quell’opera apparentemente leggera e futile, ma di una futilità sublime, che è l’Oneghin. Uno, mi pare, dei capolavori dello spirito umano».

Aleksandr Puškin (1799-1837), di nobilissima famiglia, è considerato uno dei padri della letteratura russa e di una lingua rinnovata dall’innesto della parlata comune. Dapprima partecipe della vita mondana di San Pietroburgo, e più volte costretto all’esilio per la libertà di alcuni suoi scritti, fu autore acclamato sia di liriche e di poemi (Ruslan e Ljudmila, 1820; Il cavaliere di bronzo, 1833) sia di prose come La dama di picche (1834) e La figlia del capitano (1836). Scrisse per il teatro il Boris Godunov (1831, poi musicato da Musorgskij); la stesura completa del poema Evgenij Onegin fu pubblicata nel 1833. Morì in duello pochi anni dopo, nel 1837.

Giovanni Giudici (1924-2011), nato a Le Grazie (SP), è vissuto a Roma, Ivrea, Torino, Milano, esercitando la professione di giornalista e di copywriter. Dopo le prime plaquettes e dopo il volume La vita in versi (1965) si è affermato come uno dei più vivi poeti del secondo Novecento con i volumi di Autobiologia (1969), O beatrice (1972), Il male dei creditori (1977), Il ristorante dei morti (1981), Lume dei tuoi misteri (1984), Salutz (1986), Fortezza (1990), Quanto spera di campare Giovanni (1993), Empie stelle (1996), Eresia della sera (1999).

“L’occhio dell’assassino. Un viaggio nella mente criminale nei racconti di 20 maestri” a cura di Luca Crovi

Un’antologia quella raccolta da Luca Crovi, conoscitore del genere e come autore e come saggista, che presenta venti testi di scrittori di ieri e contemporanei, tra questi un testo inedito di Massimo Carlotto, con brani che nessuno ascriverebbe al genere: Flaubert, Maupassant e, per restare in Italia, Pirandello, Svevo o lo stesso Verga ma anche un brano in apertura tratto da Sigmund Freud intitolato “I criminali per senso di colpa”. Crovi costruisce la sua raccolta proponendo autori che “raccontano” attraverso gli occhi di un omicida entrando nelle menti di un assassino. Interessante l’introduzione del curatore e l’esergo tratto da Agatha Cristie Ognuno di noi è un potenziale assassino. In ognuno si accende talvolta il desiderio di uccidere, sebbene non la volontà di uccidere.

“[…]Nei racconti selezionati da Luca Crovi i maestri del genere si misurano con lo sguardo dei cattivi, ne vestono i panni, ne fanno i loro veri protagonisti: incontriamo così il Capitan Assassino di Dickens, i Ladri di cadaveri di Stevenson, il Detenuto n. 82 di Conan Doyle, La casalinga ingrigita di Maurizio de Giovanni che si confronta con il commissario Ricciardi, “La primula rossa di Corleone” di Camilleri… Un viaggio infernale che parte dagli autori che hanno inventato e reso grande il genere e arriva fino a oggi, consegnando al lettore piccoli capolavori inaspettati: da Hoffmann a Sciascia passando per Flaubert, Poe, Svevo e Hitchcock, per chiudere con un racconto inedito di Massimo Carlotto dedicato agli ultimi istanti di vita di Charlie Starkweather, il James Dean dei serial killer, a cui Springsteen ha dedicato la canzone Nebraska” (da Rizzoli Libri).

e anche

Brevi note biografiche

Luca Crovi è redattore alla Sergio Bonelli Editore, dove cura le serie del commissario Ricciardi e di Deadwood Dick. Collabora con diversi quotidiani e periodici, ed è autore della monografia Tutti i colori del giallo (2002) trasformata nell’omonima trasmissione radiofonica di Radiodue. Per Rizzoli ha pubblicato L’ombra del campione (2018).

Due recensioni in breve:

Elliot Ackerman e James Stavridis 2034: A Novel of the Next World War

e

Alessandro Curioni Il giorno del bianconiglio

Due romanzi che guardano al futuro con prospettive distopiche, ma non lontane da scenari possibili, uno in lingua inglese, l’altro in italiano.

Il primo è “2034: A Novel of the Next World War” , Penguin, in lingua inglese che negli Stati Uniti ha già riscosso molto successo. Gli autori sono due ex ufficiali: il primo è Elliot Ackerman che, oltre ad essere un veterano dei Marines pluridecorato è giornalista e scrittore, autore di best seller, ha lavorato un anno nell’amministrazione Obama; il secondo, James Stavridis, è stato un ammiraglio e comandante supremo della Nato oltre ad essere nel 2016 tra i possibili candidati alla vice presidenza se Hillary Clinton fosse stata eletta, nonché segretario di Stato di Donald Trump nello stesso anno, autore inoltre di saggi e memorie.

Si presentano quindi come autorevoli conoscitori, avendo avuto le mani in pasta in esperienze nei palazzi della politica e della guerra. Sì perché, come recita il titolo, raccontano una guerra mondiale in un prossimo 2034 con armi molto sofisticate: il vecchio presidente dopo un unico mandato viene sostituito da una donna alla più alta carica. La candidata vincente oltre ad essere nuova per il genere cui appartiene si è presentata anche come indipendente. In uno scenario di crisi climatica che ha avuto le sue conseguenze sulla gestione del potere, gli Stati Uniti si scontrano con i nemici di sempre ma soprattutto con la Cina che reclama il possesso, da anni conteso, del Mar della Cina Meridionale.

Il secondo, in italiano, è scritto da uno specialista in cybersecurity, Alessandro Curioni. al suo esordio con Chiarelettere, In questo romanzo, Il giorno del bianconiglio, il protagonista, Leonardo Artico, è un consulente esterno di un colosso dell’energia; a quest’ultimo un gruppo di criminali decide di estorcere un ingente riscatto, mettendolo in crisi. Stretto collaboratore di Artico è Roberto Gelmi, un hacker che ha programmato un malware, ovvero un programma in grado di proteggere i clienti ma nello stesso tempo molto pericoloso soprannominato “bianconiglio”: la doppia faccia dei dispositivi elettronici.

 Il giorno del Bian­coniglio, ambientato a Milano, si ispira ad attacchi realmente verificatisi,  svela i segreti della rete e mostra quanto siamo vulnerabili.

Il romanzo si propone come il primo di una serie destinata, per quanto illustra, a modificare la nostra visione sulla tecnologia.

Su Libri Panorama la recensione

Un libro per l’estate? Un riuscito mix di generi narrativi

Carlos Ruiz Zafón “L’ombra del vento”

Un romanzo corposo non solo per mole, ma denso di personaggi e di storie che si intersecano e si svelano lentamente fino all’agnizione finale, come in ogni buon giallo, e non solo, ma un testo narrativo in cui vari “generi” si mescolano e si integrano: una miriade di protagonisti mai comparse, anche se occupano poco spazio nella storia complessiva, pennellati in modo vivido ed efficace, tipi umani esecrabili o incredibili, misteriosi, vili o superbi nel loro sentirsi superiori, colti o ignoranti, eroi della vita nel suo scorrere quotidiano, vittime e carnefici. E anche tante possibili chiavi di lettura: romanzo di formazione, quella del giovane Daniel, voce narrante; storia di amori impossibili di donne angariate da rigide convenzioni sociali, o mogli o puttane; della guerra civile e della dittatura franchista, violenta e castrante letta sullo sfondo di una Barcellona prevalentemente grigia e misteriosa, avvolta com’è dalle nebbie e bagnata da piogge pesanti, cupa come la nera atmosfera che la pervade nelle magioni abbandonate, nei vicoli e nei tuguri; del mistero che si cela dietro un libro e la vita di uno scrittore:

“Ogni libro, ogni volume possiede un’anima, l’anima di chi lo ha scritto e l’anima di coloro che lo hanno letto, di chi ha vissuto e di chi ha sognato grazie a esso. Ogni volta che un libro cambia proprietario, ogni volta che un nuovo sguardo ne sfiora le pagine, il suo spirito acquista forza […] quando una biblioteca scompare, quando una libreria chiude i battenti, quando un libro si perde nell’oblio, noi, custodi di questo luogo, facciamo in modo che arrivi qui. E qui i libri che più nessuno ricorda, i libri perduti nel tempo, vivono per sempre, in attesa del giorno in cui potranno tornare nelle mani di un nuovo lettore […] chi viene qui per la prima volta deve scegliere un libro e adottarlo, impegnandosi a conservarlo per sempre, a mantenerlo vivo”

La trama prende le mosse da questo incipit con Daniel e il padre protagonisti del capitolo di apertura dal titolo “Il Cimitero dei Libri Dimenticati” che, come un fil rouge che attraversa il romanzo e coinvolge i due protagonisti principali, si conclude ancora lì vent’anni dopo… per aprirsi a nuovi ulteriori scenari.

Un libro da leggere anche solo per il piacere di leggere un romanzo che sa costruire immaginari, avvolgere nel mistero, da ingoiare in un baleno o da gustare brano per brano, pagina per pagina nei dialoghi, nelle battute dissacranti e poi in tutto l’insieme delle varie sfaccettature che lo costruiscono che, qualora lo si rileggesse, potrebbe svelarne ancora altre.

La recensione su mangialibri

E anche

dello stesso autore su tuttatoscanalibri:

La città di vapore

Omaggio a Carlos Ruiz Zafón

Daniela Alibrandi “Delitti postdatati”, vincitore del Premio Poliziesco Gold 2020, Ianieri Edizioni, recensione di Salvina Pizzuoli

Ed ecco ancora il commissario Rosco e la sua squadra in azione in queste nuove pagine di Daniela Alibrandi che si leggono bene, scorrono fluide con la sua scrittura piana che rende spedito l’andare avanti facilitando la bramosia del lettore che vuol capire e sapere perché, come in ogni buon giallo che solo giallo non è ma godibile in tutti i suoi risvolti, segreti e misteri si svelano lentamente: personaggi e protagonisti escono dalle pagine animati da una descrizione che li tratteggia vivificandoli, come gli ambienti in cui si muovono di una Roma datata, quella dei quartieri alti e delle sue spettacolari bellezze ed opere d’arte.

E c’è Mariuccia così schiva ma il cui passato ingombrante pesa e continua a pesare nel suo presente; e la signora Luisa così affettuosa e gentile che nasconde un terribile segreto; e l’avvocato così tronfio ma con tanti scheletri nell’armadio; ed Eugenio il manager ombra e Raimondo… ma non solo nuovi protagonisti.

E poi c’è il commissario Rosco alle prese con la sua nuova vita affettiva, spaventato dalle possibili tragedie che potrebbero sconvolgerla tanto che la squadra è così attenta e legata al capo da coadiuvarlo volontariamente pur di vederlo sereno ma, da ottimo segugio qual è, riuscirà ancora ad aver ragione su un caso intricato. E c’è anche la storia infatti, quella con la S maiuscola, quella che recentemente ha mostrato aspetti spietati dell’animo umano, che riaffiora e tinge di nero cose, persone e tutto ciò con cui è venuta a contatto. E c’è una voce fuori campo che si connota per una grafia diversa al termine di alcuni capitoli, non nuova tra le strategie narrative dell’autrice, ma che ha un suo spazio efficace e sa tingersi di un profondo giallo.

Un quadro variegato e ben dosato, tra pause e sospensioni che accendono la curiosità di chi legge così compenetrato nella vicenda da viverla quasi come davanti ai propri occhi.

E poi c’è il finale, in cui l’Alibrandi non delude mai, che conforta il lettore e svela l’autore di quei trafiletti in corsivo, la voce fuori campo che ha accompagnato silenziosa e segreta la sua lettura.

Su tuttatoscanalibri della stessa autrice:

Daniela Alibrandi, “Quelle strane ragazze”

Daniela Alibrandi, “Nessun segno sulla neve”

Daniela Alibrandi “Una morte sola non basta”

Daniela Alibrandi “Un’ombra sul fiume Merrimack”

Daniela Alibrandi “Il bimbo di Rachele”

Daniela Alibrandi “I misteri del vaso etrusco”

Daniela Alibrandi “Delitti fuori orario”

Daniela Alibrandi in Racconti racconti racconti: corti, con brivido, fantastici

Roberto Alajmo “Io non ci volevo venire”, presentazione

Una bella ragazza scomparsa, un investigatore improvvisato, una schiera di donne che lo affianca nella sua indagine e non per ultima la Sicilia, sono i protagonisti di un giallo sui generis il cui autore è Roberto Alajmo non nuovo a ritrarre la sua terra in aspetti caratteristici ancora non del tutto smaltiti dentro un sugo di contraddizioni che condiscono mentalità e costumanze.

Così Giovanni di Dio, detto Giovà, sarà l’investigatore che non ha la stoffa per esserlo ma è stato incaricato da Zzu, eminenza grigia e uomo di punta del rione Partanna di Palermo a cui non si può dire di no, perché stavolta stranamente Zzu ignora i fatti e pertanto è costretto a rivolgersi a Giovà che fa la guardia giurata.

Quale sarà il ruolo allora delle donne coinvolte?

Saranno Antonietta, la madre, Mariella, la sorella, Mariola, la zia, Mariangela, la parrucchiera a svolgere il compito di far luce sulla vicenda e indirizzare lo sguardo di Giovà impegnato in una indagine parallela a quella dei carabinieri.

“La prosa, dialettale solo per le spezie dei dialoghi, è divertente e ironica, in grado di restituire l’allusività e il senso multiforme delle conversazioni in Sicilia. L’autore ne rappresenta tutti i codici di comunicazione, compresa la prossemica di chi parla. È una specie di danza: avvicinarsi, allontanarsi, farsi sotto, restare in disparte.
Roberto Alajmo ha scritto un mystery comico e grottesco, al centro del quale emergono due tematiche molto siciliane: il millenario contrasto che qui regna tra verità e giustizia, e la piaga del vecchio che sempre si aggrappa al nuovo per imprigionarlo e modellarlo. Quasi un tributo a quella che Sciascia chiamava «verità letteraria»”(dal Catalogo Sellerio Editore)

e anche

Brevi note biografiche

Roberto Alajmo (1959) vive a Palermo. Tra i suoi libri: Notizia del disastro (2001), Cuore di madre (2003), È stato il figlio (2005), da cui è stato tratto nel 2012 l’omonimo film diretto da Daniele Ciprì, Palermo è una cipolla (2005), L’arte di annacarsi (2010). Con questa casa editrice ha pubblicato Carne mia (2016), L’estate del ’78 (2018), Repertorio dei pazzi della città di Palermo (2018) e Io non ci volevo venire (2021)

Dello stesso autore su tuttatoscanalibri

L’arte di annacarsi

Giancarlo De Cataldo “Il suo freddo pianto. Un caso per Manrico Spinori” presentazione

Manrico Leopoldo Costante Severo Fruttuoso Spinori della Rocca dei conti Albis e santa Gioconda, in breve “il contino”, Pm romano, torna nelle pagine di De Cataldo. Si apre con una seduta fiume in cui il difensore, l’avvocato Raffuciello, intrattiene con la sua arringa presidente e giudici, tra l’attesa snervante che la requisitoria si concluda e le telefonate preoccupanti di Camillo, il fedele maggiordomo della madre non sempre tenuta a bada nel suo essere ludopatica e dilapidatrice di un consistente patrimonio.

Ma subito dopo poche pagine il lettore intuisce la svolta: una lettera riservata che contiene in fieri la riapertura di un vecchio caso, l’assassinio di Veronica, escort transessuale.

“A Manrico era rimasta una ferita nella coscienza. Quel suicidio lo aveva segnato. Non aveva mai più dimenticato che davanti a lui non c’erano soltanto sospetti, indagati, testimoni reticenti, potenziali delinquenti, in qualche caso veri assassini. C’erano innanzi tutto esseri umani. E ora spuntava er Farina”.(dal Catalogo Einaudi)

Dello stesso autore su tuttatoscanalibri;

Un cuore sleale

Io sono il castigo

Quasi per caso

Tre passi per un delitto

“Cose. Spiegate bene”, la rivista cartacea del “Post” con la collaborazione di Iperborea

Cose, sottotitolo Spiegate bene è la nuova rivista cartacea del giornale online Il Post e realizzata in collaborazione con Iperborea.

Il primo titolo è dedicato ai libri: A proposito di libri.

Il Progetto prevede un numero dedicato ad un argomento da sviscerare senza lasciare nulla per scontato.

Questo primo numero, si legge nella pagina in cui si indicano le caratteristiche del Progetto, “è destinato a tutti i lettori e appassionati di libri che ne amano i contenuti e vogliono sapere di più come sono diventati quell’oggetto di carta e come funzionano i percorsi che lo hanno portato nelle loro mani: le case editrici, le librerie, le scelte degli autori, e persino i font che usano”.

A questo link, dalla pagina Cultura Il Post, per saperne di più: “Il Post ha fatto una rivista, e un libro. Ma in una volta sola, “due in uno”: esce il 3 giugno nelle librerie, si chiama Cose, e non è niente male”

A questo link trovate la presentazione e il Sommario del primo numero “A proposito di libri”

Qui il Progetto

Antonio Manzini “Vecchie conoscenze” presentazione

Rocco Schiavone ancora protagonista nel decimo romanzo che Manzini gli dedica e non sarà l’ultimo: l’autore infatti sottolinea che sta già lavorando all’undicesimo perché scrive, “ come dicono quelli bravi” è arrivata un’illuminazione, un’idea da non tralasciare e non perdere. Ma Schiavone è un personaggio particolare, sa farsi amare sulla carta e nelle fiction che ne seguono le vicende tra presente e passato, quello che riaffiora e coinvolge il vicequestore e i suoi amici di sempre, pronto e pronti ad intervenire a qualsiasi richiamo. Un personaggio ruvido, ma se stesso comunque anche nelle situazioni e nelle decisioni più scabrose. In questo decimo affronta un caso nuovo e uno che rispunta dal passato e riguarda Sebastiano, l’amico fraterno. L’altro, quello nuovo, è relativo all’omicidio di un’insegnate di storia dell’arte in pensione, ma conosciuta per alcune importanti scoperte su Leonardo da Vinci. Un cranio fracassato, un gioiello sparito, una relazione finita, un figlio poco presente. E l’indagine del vicequestore e della squadra si sposterà a scandagliare il mondo universitario e ancora una volta non mancherà di coinvolgere incatenando il lettore fino all’ultima pagina.

Dal Catalogo Sellerio


[…]L’inchiesta portata avanti da Rocco Schiavone, con il suo stile inconfondibile di lavoro e di vita, ha due snodi. Il primo riguarda la condotta del figlio della vittima; il secondo è una scoperta che questa aveva fatto scavando nelle opere scientifiche del genio del Rinascimento. «Una svolta nel mondo degli studi leonardeschi».
Improvvisamente, […]rispunta Sebastiano, l’amico di infanzia, e di imprese al limite della legalità, che era scomparso da un bel po’ di tempo […]E non è l’unico, sconvolgente ritorno proveniente dal passato, per trasformare in spettri le vecchie care conoscenze. Un Rocco Schiavone forse più solo, ma a momenti autocritico, che si sorprende quasi quasi a pentirsi della propria scorza di durezza: forse perché aleggia dappertutto un’invitante allusione alla forza emancipatrice dell’amore. Amore di qualunque tipo.

Dello stesso autore su tuttatoscanalibri:

Gli ultimi giorni di quiete

“Rien ne va plus”

“L’Antonia. Poesie, lettere e fotografie di Antonia Pozzi scelte e raccontate da Paolo Cognetti” presentazione

Antonia Pozzi è stata una poetessa, una fotografa e un’alpinista. La sua raccolta di poesie venne pubblicata postuma con il titolo Parole, era il 1939, Antonia si era tolta la vita con una dose di barbiturici l’anno precedente, aveva ventisei anni, ma nonostante la fresca età ha lasciato una ricca produzione di liriche, molte presenti in poesiedautore, e di foto, un’altra delle sue passioni insieme a quella per la montagna: la presenta e la racconta Paolo Cognetti che ha in comune con lei la scrittura e l’amore per la montagna, in questo bel volume che, come dice la presentazione “scorre sotto i nostri occhi come un docufilm” dove i versi si alternano alle immagini fotografiche e al racconto del curatore.

Nella sua breve vita la giovane Antonia ebbe un amore osteggiato, cui si ispirarono molte delle poesie, per il suo insegnante di latino Antonio Maria Cervi ma la montagna e i soggiorni a Pasturo, piccolo paese della Valsassina, presenti nella sua poesia, diventano luoghi d’ispirazione e rifugi per ritrovarsi. È nel 1929 che nasce in lei la nuova passione per la fotografia che l’accompagnerà per tutto il breve percorso della sua esistenza. La natura compare come tema delle sue composizioni, quella dei paesaggi montani e anche la morte è un tema presente ed è sentita come raggiungimento di pace.

Da Ponte alle Grazie Editore

[…]La montagna è sempre statala sua maestra e il suo rifugio. Si chiama Antonia Pozzi ed è morta suicida nel 1938, ma qui rivive per noi attraverso foto, diari, lettere e poesie, frammenti di un’esistenza che palpita ancora grazie al racconto di Cognetti che, mescolando le proprie parole alle sue, ce la restituisce in un ritratto nitido e delicato: un omaggio a un’artista che, senza saperlo e senza volerlo, ha scritto un capitolo della storia del secolo scorso.

Paolo Cognetti ha esordito a ventisei anni con la prima raccolta di racconti, con “Le otto montagne”(2016) ha vinto il Premio Strega; il suo ultimo libro è “Senza mai arrivare in cima” del 2018.