
Dopo dieci anni da “Olive Kitteridge”, valso il Pulizer all’autrice, il personaggio di Olive ritorna in questo nuovo romanzo costruito a racconti in cui è quasi sempre presente anche se a volte di sfuggita, ma nelle pagine in cui compare le riempie e le completa con il suo spirito schietto, la sua capacità d’intuire i bisogni degli altri senza essere mai sdolcinata ma diretta, con la sua voglia di vita sebbene con rammarichi e consapevolezze così umani e vicini da permettere al lettore di parteciparli tutti, comprendendo anche i moti più sbagliati.
E dieci anni dopo eccola in “Olive, ancora lei” a raccontarsi dopo la vedovanza e il nuovo amore dove i personaggi che ruotano attorno a lei, cittadini di Crosby nel Maine, ricompaiono invecchiati e ciascuno con la propria vicenda di vita vissuta in quella cittadina costiera con i suoi paesaggi di luce, dove la “vecchia ciabatta”, come affettuosamente viene chiamata e ritenuta la scorbutica insegnante di matematica e moglie del buon farmacista, ha trascorso tutta la propria vita e dove conosce tutti e tutti la conoscono.
E il lettore racconto dopo racconto l’accompagna attraverso la sua decadenza fisica di donna ormai più che ottantenne e la solitudine, nuovamente vedova, senza mai abbandonare quel suo piglio nei confronti di se stessa e del mondo che la circonda, senza mezzi termini, un po’ spietata ma onesta fino in fondo nello scrutare e nello scrutarsi.
Elizabeth Strout ha saputo rinnovare al lettore in questo secondo romanzo il piacere di un nuovo incontro con un personaggio spigoloso che sa farsi amare in questo scorcio di vita rimanente con le sue nuove fragilità e un vissuto alle spalle e tanti sguardi all’indietro, un po’ come gli altri, tutti invecchiati, tutti con i propri scheletri nell’armadio perché non c’è una sola persona su questa terra che non si porti appresso un paio di brutti ricordi per tutta la vita