Le pagine di tuttatoscanalibri più lette nel mese di settembre 2023

Kanako Nishi “La salita verso casa”

Francesco Savio “Felice chi è diverso”

E.Lee Masters “Antologia di Spoon River

Luca Doninelli “Nero fiorentino”

Carmelo Sardo “Dove non batte il sole”

Primo Levi “Se questo è un uomo”

Alberto Riva “Ultima estate a Roccamare”

Alice Winn “In Memoriam”

Giovanni Nucci “Gli dei alle sei”

Alessia Gazzola “Una piccola formalità”

Ken Follett “Le armi della luce”, presentazione

La libertà si conquista con fatica e si perde con facilità. Trasformare questa verità in narrativa è stato il lavoro della mia vita (da Ken Follett in tuttolibri 23 settembre 2023)

Traduzione di Annamaria Raffo

Titolo originale The Armour of Light, l’armatura di luce, quinto capitolo che chiude la saga di Kingsbridge e si ambienta  tra il 1792 e il 1824, agli albori della Rivoluzione industriale sullo sfondo delle guerre napoleoniche.

“Questa è solo una delle storie che ho trovato nei movimenti per la libertà. Ho scritto della lotta per la libertà di religione nella Colonna di fuoco, per il voto alle donne nella Caduta dei giganti, per i diritti civili nei Giorni dell’eternità. Il mio ultimo libro, Le armi della luce, che verrà pubblicato a settembre, parla della lotta dei lavoratori degli opifici tessili per il diritto a riunirsi in sindacati.”

Così l’autore nella presentazione del suo ultimo lavoro ma aggiunge una serie di riflessioni interessanti: si chiede quale sia il ruolo della narrativa che racconta il passato che qualifica come “innanzitutto educativo” in quanto avvicina la storia al lettore avendo meno vincoli dello storico in quanto legato ai fatti e al quale sono quindi precluse le congetture sulle quali al contrario costruisce il narratore: “la narrativa non può sostituirsi alla storia degli accademici ma, paradossalmente, può renderla più reale. E più divertente” e aggiunge “I miei libri sostengono la causa della libertà romanzando le vite delle persone che la perseguono”

Che in effetti i romanzi di Follett siano stati chiarificatori di molti passaggi storici difficili indicati è indubbio: lo stesso autore fa riferimento a quanto accaduto con I pilastri della Terra, sottolineando che se “I libri di storia si vendono a migliaia, i romanzi storici a milioni. Ventisette milioni di persone hanno acquistato il mio romanzo I pilastri della terra e hanno appreso come furono costruite le grandi cattedrali medievali e perché”.

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I pilastri della Terra

Fu sera e fu mattina

Emanuele Trevi “La casa del mago”, presentazione di Salvina Pizzuoli

Ponte alle Grazie Edizioni

Un romanzo in cui si racconta del rapporto genitori figli e più in particolare di padre e figlio; in questo di Trevi il padre, noto psicoanalista, viene presentato come un enigma, inconoscibile e sconosciuto ma accettato come tale: in una recente intervista infatti l’autore sottolinea come egli accolga “che ci sia una parte inconoscibile di lui” non solo perché spesso chiuso in quello che viene definito il “retrobottega” ovvero quel suo rifugiarsi interiore che segna un’evasione dal mondo esterno e dagli altri:

“aveva l’abitudine di andarsene nel bel mezzo di qualsiasi cosa e chi si è visto si è visto (“rimane l’involucro ma lui chissà dov’è”): difficile prevedere per quanto sarebbe stato via. […]Lui sembrava viverci in pianta abbastanza stabile nell’arrière boutique. Nel senso che poteva essere adorabile, ma la sua condizione naturale o meglio l’istinto primario, era quello del rintanato, del disertore dal consorzio umano”.

E altrove precisa

“Ma io lo amavo, e per me amare significa accettare l’enigma di una persona in quanto tale, non sono venuto al mondo per sciogliere nodi o scovare tesori”.

E poi c’è il rapporto con la casa, quella che era stata l’abitazione studio del padre, invendibile alla sua morte:

“Vendere casa di mio padre, la casa che aveva lasciato in eredità a me e a mia sorella, con tanto di breve lettera da aprirsi in caso di morte, così si leggeva sulla busta lasciata in bella vista su una mensola della libreria (come se la morte, tutto considerato, fosse un «caso» che poteva benissimo non verificarsi), vendere casa di mio padre si rivelò più difficile di quello che avevamo previsto” al punto che decide di andare ad abitarci e farne la propria casa.

E il racconto si apre alle scoperte ai ritrovamenti, il museo del padre, a quegli oggetti che potrebbero svelare l’uomo. E il raccontato si estende ai nuovi rapporti che vi si aprono: la visitatrice, una presenza notturna che si aggira tra le stanze lasciando segni del suo passaggio, la  Degenerata come aveva ribattezzato Rocio, “una donnetta peruviana, alta meno di un metro e sessanta,[…] incontrata per caso che lavorava a ore, facendo le pulizie nelle case dei dintorni”, la Gatta Morta amica e cugina della Degenerata, ma anche oggetti come i sassi che il padre lucidava con perizia fino a sviscerarne il colore e la sostanza, e il volume di Jung completamente pieno ai margini di annotazioni, e la scrivania e la sedia su cui sedeva il padre durante le analisi,  quasi simulacri; eppure “prevaleva la sensazione di non essere mai veramente solo: come se in quella casa il presente convivesse con il passato, o magari con il futuro, generando delle continue sovrapposizioni”

Un mondo nella casa del mago, e non poteva essere altrimenti e una conclusione, che nel testo non è tale ma chiarifica:

“Rimane da dire che quando sfoglio la copia ingiallita e squinternata del venerabile Libro dei mutamenti (lo tengo sempre dove l’ho trovato, sul ripiano della scrivania, accanto al telefono), cerco lo stesso esagramma, il sessantunesimo della serie: Ciung Fu, La veracità intrinseca.[…] Più di ogni foto e di ogni ricordo mio o di chi l’ha conosciuto, questa combinazione di linee mi appare il più fedele ritratto di quell’uomo meraviglioso e misterioso che è stato mio padre”.

Una precisazione sull’immagine di copertina, nell’intervista di Francesca Pellas su la Lettura del 9 settembre 2023, Trevi la rivela: un argento di Giosetta Fioroni le cui creazioni sono molto apprezzate e che il padre, dotato di un particolare genio per l’arte oltre ad essere un disegnatore, aveva intuito sin da quando l’artista lo dipingeva.

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I cani del nulla. Una storia vera

Due vite

Guillermo Busutil “Papiroflessia. Di libri e letture”, Graphe.it

Postille di Antonio Castronuovo e Massimo Gatta

Brevissime meditazioni tutte dedicate alla lettura e all’amore per la parola scritta.

«In piena luce,

all’aria aperta, non temere:

apri un libro»

Graphe.it

La “papiroflessia” è l’arte di piegare la carta per ottenerne forme tridimensionali. Non c’è titolo più adatto di quello scelto da Guillermo Busutil per descrivere il contenuto, altrimenti difficile da etichettare, di questo volumetto. Fra le pagine abitano brevissime meditazioni tutte dedicate alla lettura e all’amore per la parola scritta; non veri e propri aforismi, non versi poetici, forse le due cose insieme. O forse, invece, più che di frasi si tratta in qualche modo di oggetti, che hanno una funzione in sé ma che flessi, ripiegati su loro stessi più e più volte, restituiscono all’occhio di chi legge una realtà concreta, sfaccettata, le cui tre (o più?) dimensioni stimolano l’intelletto a cercare nuove prospettive.

Amici lettori – o, forse, meglio “amici”, senza “lettori” – se avete deciso per qualche arcano motivo, per scelta o per vocazione, vendetta o altro, di non leggere più libri, di non leggere affatto o di non possedere alcun libro, allora tenetevi ben lontani da questa biblioraccolta di Guillermo Busutil. Perché? Beh, perché questo non è un libro, così come la pipa di Magritte non è una pipa. Ma come? direte. Come è possibile che questo libro di Busutil, fatto di carta, caratteri, copertina, aforismi (li ho contati, sono 737), inchiostro e prezzo di copertina non sia un libro? Come dovrebbe essere allora un libro? Avete ragione. Infatti questo libro di Guillermo Busutil è un libro e nello stesso tempo non lo è. Le cose si complicano perché, alla fine e forse da sempre, la lettura è difficile, così come la bellezza di cui parlava il poeta americano Ezra Pound. (dalla postfazione di Massimo Gatta)

Impossibile scorrere queste pagine con la consueta strategia di lettura, quando ci ritagliamo un tempo di pace interiore, apriamo un libro con l’intento di leggere almeno dieci facciate e ci accovacciamo in poltrona; oppure ci incamminiamo con passo distratto, quello gravato – per intenderci – dal rischio d’inciampo in sporgente radice. Impossibile agire così, e per una semplice ragione: l’opera è formata da circa ottocento libri, quante sono le tarsie che compongono questo mosaico di prose brevi, anzi brevissime. Ogni tessera attira lo sguardo, ogni frammento si staglia sulla pagina a disdegno dei circostanti. Ognuno degli ottocento libri esercita il peso specifico di più pagine: reclama quiete, pretende una pigra sosta di raccoglimento. (dalla postfazione di Antonio Castronuovo)

Opinionista e critico letterario per La Opinión de Málaga, GUILLERMO BUSUTIL scrive anche per La Vanguardia in qualità di critico d’arte, per il quotidiano El País e per Crónica Global. Presente in varie antologie, è autore di numerosi libri, come anche di cataloghi di mostre. Nel 2021 ha ricevuto il Premio nazionale di giornalismo culturale da parte del Ministero della cultura spagnolo.

Cristina Annino “L’udito cronico”, Graphe.it

Ne L’udito cronico, il canto della compianta autrice toscana si contraddistingue per la sua forza impersonale, eversiva, tinta di un sarcasmo pungente, mai banale.

Paura della solitudine

……… Così
stiamo. Ma a volte
il cane ha gesti indifferenti,
passa con la sua
morte, e non siede.

Questa agile ma sorprendente raccolta di Cristina Annino comparve nella collettanea Nuovi poeti italiani 3 a cura di Walter Siti nel 1984. Mai apparsa di seguito in un volume a sé stante, viene qui riproposta nella sua versione originale. Anche in quest’opera, intitolata L’udito cronico, il canto della compianta autrice toscana si contraddistingue per la sua forza impersonale, eversiva, tinta di un sarcasmo pungente, mai banale. Nella lunga e originale traiettoria compiuta, Annino è difatti sempre rimasta fedele al proprio “fare poesia”, in senso per davvero materico, e in questa silloge ancora una volta la sua scrittura si fonda su una commistione di interessi sia visivi (fu anche originale pittrice) che lirico-musicali, divenendo così un preciso cesello meta-realistico, un patchwork del linguaggio in continua tensione. Si può dunque parlare di poesia pseudo-dadaista, come anche di poesia civile, di un civile però votato al suono, dove il tono affabulatorio e la messa in scena di un irriverente teatrino ritmico-verbale danno vita a una poesia di elementi che giocano in maniera quasi distopica sul tavolo dell’esistenza, in cui l’io (spesso declinato provocatoriamente al maschile) è un automa perennemente in bilico tra evoluzione e disfacimento. Un canto elettrico che sorprende per la sua luminosità prosodica coinvolgendo direttamente il lettore nell’attenzione del mondo tramite l’enunciazione dell’avvenimento, che non è mai qui mera meta-cronaca, bensì concatenazione di possibili realtà, configurazione astrale e terrestre di significato e mistero.

Cristina Annino (pseudonimo di Cristina Fratini, 1941-2022), è stata scrittrice e poetessa. Dopo gli studi in Lettere Moderne a Firenze dove si laureò con una tesi sulle prose di César Vallejo ha frequentato, sempre a Firenze, il Caffè Paszkowski dove entrò in contatto con il Gruppo ’70, fondato nel 1963 da Eugenio Miccini e Lamberto Pignotti. Esordì nel 1969, pubblicando, con le edizioni Téchne, Non me lo dire, non posso crederci. Nel 1989 si trasferì a Roma e iniziò a dipingere, tenendo mostre collettive e personali in Italia e all’estero. Tra le altre sue raccolte poetiche si segnalano Ritratto di un amico paziente (Gabrieli, 1977), Il cane dei miracoli (Bastogi, 1980), Madrid (Corpo 10, 1987 – ex aequo Premio Pozzale Luigi Russo; poi Stampa 2009, 2017), Casa d’aquila (Levante, 2008), Magnificat (Puntoacapo, 2010 –  premio Lorenzo Montano), Chanson turca (LietoColle, 2012), Anatomie in fuga (Donzelli, 2016), Le perle di Loch Ness (Arcipelago Itaca, 2019) e il postumo Avatar (Avagliano, 2022). È stata anche autrice di due romanzi: Boiter (Forum/Quinta generazione, 1979) e Connivenza amorosa (Greco&Greco, 2017).

A questo link approfondimenti sull’autrice su Graphe.it

Fiorenzo De Vita “Oltre la strada. Filosofia di viaggio”, Mursia

Mursia Editore

«Così si va, annusando un profumo d’aria nuova, come seguendo un presagio, un istinto. Si va sentendosi perduti nel mondo e allo stesso tempo, segretamente, salvi. Così comincia un viaggio trasformativo, accorgendosi di essere già in viaggio.»

In un’epoca caratterizzata da una crisi profonda di certezze e riferimenti, la ricerca del proprio posto nel mondo da parte dell’uomo contemporaneo diventa sempre di più ricerca di senso; una ricerca soggettiva che impone un percorso di trasformazione e cambio radicale di prospettive, un nuovo modo di «sentirsi» nel mondo. Il tema del viaggio è quello che descrive meglio questa condizione esistenziale, affrontata in Oltre la strada (il nuovo Tracce pag. 238, euro 18,00 Mursia) a partire da un viaggio a piedi realmente compiuto dall’autore.

Oltre la strada non è un saggio filosofico «classico» ma una testimonianza e, insieme, l’invito a una «pratica filosofica». Non intende affermare verità assolute ma incoraggiare a intraprendere un viaggio che, più che il mero spostamento da un luogo a un altro, è un vero e proprio percorso trasformativo: un andare oltre i luoghi conosciuti, oltre la strada già tracciata o immaginata. Esorta a riscoprire la propria vita come un cammino.

«Le considerazioni racchiuse in questo scritto nascono da un viaggio a piedi che ho fatto davvero, le cui tracce raccolsi in un diario che scrivevo quotidianamente alla fine di ogni giorno di cammino. Quel che leggerete in questo libro, dunque, è un distillato di quelle pagine che in fondo erano null’altro che l’impronta fisica, carnale, incarnata del mio essere in movimento, in vita, in cammino; ne segue il tragitto, le esperienze, gli incontri, i mutamenti. Le tappe attraverso cui procedo nell’esposizione – essere polvere, diventare corpo, diventare mondo, diventare casa, essere nessuno – ricalcano esattamente il percorso di quel che ho vissuto attraverso il viaggio, perciò l’intenzione di queste pagine non è quella di un mero esercizio retorico o stilistico, ma di consegnare a chi le leggerà una testimonianza. […] Fu un viaggio che iniziò con una condizione di crisi interiore, e da tale ventre nasce questo scritto. Perciò mi auguro che sappia invitarvi alla coscienza vera, quella che si fa – e non che si legge – tra le pieghe di un’esistenza vissuta. In tal senso, mi auguro che questo sia un racconto autenticamente filosofico. Troppo, ancora, io credo, siamo vittime di un’idea di sapere legato all’accumulazione quantitativa di nozioni che si risolve in ultima analisi a una sterile celebrazione del già dato, già noto, già digerito; un’idea di sapere che si risolve tutto nella mente e in cui, purtroppo, la stessa idea di filosofia ha smarrito il senso. […] La filosofia è una cosa che si fa, non che si dice. Fare filosofia è diventare consapevoli dell’esistenza, e questo è qualcosa che non può che cominciare da se stessi, dalla propria esistenza, che certamente non è fatta solo di mente (la quale ne è, anzi, una parte piuttosto marginale). La filosofia è la saggezza di vita che si radica nella nostra vita e che, per questo, ci aiuta a meglio viverla.»(Dalla premessa dell’autore)

Fiorenzo De Vita, nato a Monza nel 1977, si trasferisce a 13 anni nel Cilento, terra di origine. Laureatosi in Filosofia, viaggia e risiede in diversi luoghi del Nord Italia dove incontra il mondo educativo, le pratiche filosofiche e le cure orientali. Attualmente risiede in provincia di Como, dove si occupa di crescita personale, educazione e scrittura.

Patrik Svensson “L’uomo con lo scandaglio. Storie di mare, abissi, meraviglie”, presentazione

Traduzione di Monica Corbetta

[…]Patrik Svensson ha raccolto in questo libro multiforme – romanzo d’avventura, memoir, indagine scientifica – storie di personaggi celebri e individui dimenticati che si sono consacrati al mito del mare, dai naviganti polinesiani che attraversarono in canoa l’Oceano Pacifico a Piccard e Walsh, che per primi osservarono il paesaggio alieno della fossa delle Marianne.[…] (da Iperborea)

Un saggio racconto, uno zibaldone dove si possono trovare vicende e personaggi, animali marini, esplorazioni, curiosità, il tutto con soggetto il mare e la curiosità dell’uomo di scoprire i suoi segreti penetrando i suoi abissi. Seconda opera dello scrittore il cui titolo riporta quello di un capitolo.

Un testo che si apre con l’amore e la passione dell’autore per questo elemento così presente e così sconosciuto. Un viaggio epico nella storia delle esplorazioni e dei fondali e degli abitanti di quest’ambiente vasto e soprattutto navigato alla ricerca avventurosa  di conoscenze:  la storia delle prime esplorazioni spagnole e portoghesi, soprattutto dedicando un capitolo al viaggio di Magellano, storie  ricche di particolari e di curiosità storiche spesso sconosciute, ma anche capitoli dedicati agli squali, alle balene e ai capodogli dove non mancano riferimenti a Moby Dick il romanzo di Melville che ha affascinato generazioni di giovani lettori e cineasti, ma anche descrizioni di dispositivi nati dalla necessità di percorrere questa vastità e poterla governare con la creazione della  bussola, l’astrolabio, il sestante e delle carte nautiche per incominciare a segnarne i confini.

Patrik Svensson è uno scrittore e giornalista svedese. Si occupa di arte e cultura per il quotidiano Sydsvenskan. Ha esordito nel 2019 con il bestseller internazionale Nel segno dell’anguilla (Guanda); L’uomo con lo scandaglio è il suo secondo libro. Vive con la famiglia a Malmö.( da Iperborea Autore)

Alice Winn “In Memoriam”, presentazione

Traduzione di Federica Merati, Roberta Scarabelli

Una storia che racconta ombre e luci dell’inizio del Novecento, attraverso gli occhi di due giovani uomini che trovano l’uno nell’altro la forza di superare l’insensatezza del conflitto e consolazione nell’immortale lezione dei classici, appresa tra i banchi di scuola.(da Garzanti Libri)

Editato pochi mesi fa e ora pubblicato in Italia da Garzanti per la traduzione di Federica Merati e Roberta Scarabelli è il romanzo di esordio di Alice Winn appassionata studiosa dei poeti inglesi tra i quali Tennyson. Sullo sfondo del primo conflitto mondiale, con tutte le sue efferatezze e insensatezze, un amore giovanile da tenere nascosto. L’idea del romanzo era scaturita dalla casuale scoperta e dalla lettura da parte dell’autrice delle pagine scritte dagli studenti sul giornale scolastico durante gli anni del conflitto dedicate agli ex alunni caduti o feriti, i cui estratti, fittizi come il nome del giornale della scuola, The Preshutian, rispetto a quello reale del Marlborough College nel Wiltshire dove l’autrice ha studiato, ma ispirati da quelli effettivi,  compaiono nel corso del romanzo, necrologi che riportavano i nomi degli uccisi: fratelli, ex-compagni, studenti, insegnanti, personale della Scuola. Molti furono  infatti i giovanissimi ad arruolarsi sebbene non maggiorenni. Così accade al diciottenne  Henry Gaunt, seguito da molti altri, che accetta volentieri di fuggire dalla guerra personale che lo travaglia: un’infatuazione incontenibile per l’amico Sidney Ellwood

Dalla sinossi da Garzanti Libri

Quando ha ascoltato per la prima volta i versi di In Memoriam di Tennyson, Gaunt era all’ultimo anno di scuola. Ricorda perfettamente la voce baritonale del suo migliore amico Sidney mentre li recitava nel cortile del collegio, in un pomeriggio plumbeo. È stata una bella giornata, quella, pensa, sdraiato su una brandina cigolante, con la testa bendata e la mascella rigida. Rigida come la bocca spalancata del soldato che ha calpestato fuggendo per trovare riparo in trincea Non riesce a toglierselo dalla testa e le uniche cose che lo tengono ancorato alla realtà sono Tennyson e le lettere che Sidney gli ha inviato dall’Inghilterra, dandogli notizie sui compagni, sulle lezioni, sugli studi.[…]

Alice Winn vive a Brooklyn, dove scrive sceneggiature. È cresciuta a Parigi e ha studiato in diversi college britannici laureandosi in Letteratura inglese all’Università di Oxford. In Memoriam è il suo romanzo d’esordio.(da Garzanti Autori)

I Libri Corali

a cura della Redazione

In una recente visita al Museo Archeologico e d’Arte della Maremma di Grosseto ci siamo imbattuti in una serie di teche con codici miniati, si tratta di antifonari, otto per la precisione e due graduali, affascinanti nelle loro grandi pagine istoriate soprattutto relativamente alla miniaturizzazione dei  capilettera: abbiamo quindi deciso di dedicare loro una pagina ad hoc. In effetti sono opere miniate di alto valore grafico artistico oltre al grande formato  che li caratterizza.

Ma cosa sono?

I principali tipi di corale erano: antifonario, graduale, salterio, processionale

Dal  latino medievale antiphonarium a sua volta dal greco antiphona, con il significato di voce contro voce, era il corale che conteneva tutti i canti dell’ufficio divino secondo il calendario liturgico.

Servivano nelle cattedrali e nei monasteri per l’officiatura del coro. Erano scritti prevalentemente con caratteri gotici, su grandi fogli di pergamena, e contenevano le parti  cantate e la relativa notazione musicale ed erano di grandi dimensioni perché collocati al centro del coro, su alti leggii, potevano essere letti dai monaci riuniti in gruppo.  Il salterio era relativo ai canti biblici, il processionale, come indica il termine, ai canti da processione.

Gli antifonari erano raccolte di testi da cantare nei vari offici liturgici ordinati in base al calendario ecclesiastico, ovvero Avvento, Natale, Epifania etc, mentre i graduali erano antifonari ma specifici della messa. Quelli esposti a Grosseto e qui riportati nelle immagini che li documentano sono datati fine XIII secolo con notazione quadrata su tetragramma, tipica del canto gregoriano.. Sul tetragramma, composto da quattro righe musicali, erano  rappresentati graficamente in forma quadrata i suoni e il loro comporsi, detta notazione.

A livello estetico e di composizione artistica i libri corali, la cui  diffusione avvenne dopo il 1300, anche se ne esistono esemplari precedenti, con il massimo della produzione appartiene nei secoli XV e XVI, si eseguivano quasi esclusivamente nei monasteri arricchendosi nel tempo  di decorazioni pittoriche  ad opera di scuole miniaturiste occupando  quindi un posto importante nella storia della miniatura. Tanto erano conosciuti e ricercati i maestri di quest’arte che Dante Alighieri ne cita ben due nella seconda cantica:  Oderisi da Gubbio e Franco Bolognesi, il primo sistemato nel girone dei superbi che hanno attribuito in vita troppa importanza alla fama terrena

“Oh!”, diss’io lui, “non se’ tu Oderisi,

 l’onor d’Agobbio e l’onor di quell’arte

ch’alluminar chiamata è in Parisi?”

 “Frate”, diss’elli, “più ridon le carte

che pennelleggia Franco Bolognese;

l’onore è tutto or suo, e mio in parte

Purgatorio canto XI

dove si legge che il secondo, ancora in vita,  è diventato più “grande” nell’arte di allumar, termine con cui  Teofilo, orafo benedettino attivo intorno al 1100 nella Germania nordoccidentale autore di un trattato tecnico  in tre libri dedicati a pittura, vetrata e oreficeria, con il termine  luminare, illuminare, indicava la stesura di colori più chiari del colore di fondo, da cui illuminatores, gli artisti che la praticano. Altri fanno derivare invece il termine   da alumen, l’allume di rocca usato nella preparazione di alcuni pigmenti: l’opera del miniaturista iniziava dopo quella del calligrafo; dopo che era stato tracciato l’abbozzo o il disegno delle figura, procedeva alla coloritura all’acquerello con pennelli di varie dimensioni.

Un’arte raffinata nel tempo e di cui sono testimonianza opere la cui manifattura si protrasse anche dopo l’invenzione della stampa, furono infatti prodotti fino al XVIII secolo.

Carmelo Sardo “Dove non batte il sole”, recensione di Adriana Sardo

Bibliotheka Edizioni

Adriana Sardo è solo omonima dell’autore

Ennesimo capolavoro letterario dell’illustre giornalista Carmelo Sardo

Per Platone il sole rappresenta “l’idea del bene”; per tutti noi è simbolo di luce, speranza e giustizia.

In assenza di luce solare, tutto diviene tetro ed esanime, come nell’angusta cella di Stefano.

Questo romanzo, scritto magistralmente, contribuisce, in modo incisivo, al dibattito sull’“ergastolo ostativo”, perpetuo, punitivo ed espiativo, non rieducativo e non rispettoso della dignità umana dei detenuti.

Espone, chiaramente ed egregiamente, il senso di disperazione di chi vive in carcere, anche ingiustamente, di chi vorrebbe redimersi ma che vede negata qualsiasi sua possibilità di riscatto. 

Le atroci sofferenze e vicissitudini di Stefano, la profonda umanità dell’appuntato Cocilovo, l’atteggiamento paternalistico di Don Tano, la determinazione e l’amorevolezza di Costanza, travolgono empaticamente il lettore, lasciando un messaggio indelebile, nel suo cuore e nel suo animo, cioè il dovere di garantire ad ogni, spesso “invisibile”, ergastolano il  “diritto alla speranza” e ad una “finestra” sul mondo.

Adriana Sardo 

La sinossi da Bibliotheka Edizioni

Carmelo Sardo, uno degli autori più acuti del fenomeno mafioso, torna con un romanzo di forte impatto emotivo in cui emergono le storture di una giustizia con le sue lacune e le sue incongruenze.

Rammusa, una cittadina della Sicilia barocca dove la mafia non spara e non ammazza più da anni, vengono assassinati marito e moglie nella loro gioielleria. Si pensa a una rapina finita male, ma il magistrato che indaga sospetta del figlio della coppia, Stefano Macrì, studente universitario di 27 anni.
Per il giovane comincia un atroce calvario. Confidava nello Stato per avere giustizia per i suoi genitori, invece è costretto a liberarsi di un’accusa infamante. Per farlo, Stefano è tentato di cedere a logiche e dinamiche che ha sempre eticamente respinto. Sa che anche nella Sicilia dei giorni nostri, ci sono uomini potenti che contano ancora, che non fanno più la guerra allo Stato ma vogliono che niente e nessuno possa insidiare la tranquillità raggiunta. Don Tano Culella è uno di questi. Al boss quello che è accaduto non è piaciuto e anche lui vuole capire chi abbia osato fare una cosa simile nel suo paese. Quando viene a sapere che il principale sospettato è Stefano, capisce che qualcosa non quadra. Conosce quel ragazzo da quando era un bambino, abitano nello stesso palazzo. Fatalmente, i destini di don Tano e di Stefano si incroceranno, perché hanno lo stesso obiettivo: la ricerca della verità.

Un romanzo civile e di impegno sociale che affronta ed elabora temi di scottante attualità del sistema penale italiano che contempla il fine pena mai: una pena di morte in vita. 

e un filmato con la presentazione dell’autore

Brevi note biografiche

Giornalista, vice capo redattore cronache TG5, corrispondente de “L’ora” di Palermo e del “Giornale di Sicilia”. Ha lavorato a Teleacras Agrigento come cronista a direttore responsabile del telegiornale. Ha pubblicato il primo romanzo nel 2010 con Mondadori intitolato “Vento di tramontana”,