Gaetano Passarelli “Breve storia del segno della croce” Graphe.it Edizioni

Prefazione monsignor Giorgio Demetrio Gallaro

Pagine 44, prezzo 8 euro

Graphe.it

Il simbolo della cristianità, il primo gesto che i fedeli apprendono da bambini; un segno dirompente che ricongiunge il divino e l’umano nel ricordo di una sofferenza che è al tempo stesso liberazione dal dolore terreno: l’atto di segnarsi nel momento del rito appare oggi un’abitudine acquisita sulla quale non ci si pongono domande.

Come svela questo saggio, tuttavia, la croce si è fatta portatrice nei secoli di significati complessi, che vale la pena osservare in una prospettiva diacronica, storica e filosofica. A partire dalla discussione – agli albori del Cristianesimo stesso – fra l’opportunità di rappresentare il Figlio di Dio e l’oggetto che lo condusse a morte, il fervore spirituale e la religiosità popolare hanno costruito un intreccio ben più articolato e controverso di quanto si immaginerebbe, per condurre progressivamente al valore unificante del segno della croce come testimonianza di appartenenza a un credo che, al suo centro, non deve dimenticare di avere proprio Colui che su quella croce fu appeso.

GAETANO PASSARELLI già docente di Storia bizantina all’Università di Chieti e di Roma Tre, di Spiritualità Orientale all’Istituto Superiore di Studi Medievali e Francescani della Pontificia Università Antonianum e di Liturgia bizantina al Pontificio Istituto Orientale, è direttore responsabile della rivista Studi sull’Oriente Cristiano. Consultore storico della Congregazione delle Cause dei Santi, conta numerose pubblicazioni scientifiche su iconografia, liturgia e storia bizantina tradotte in diverse lingue. È autore di biografie di personaggi italiani e brasiliani.

Piergiovanni Bernardon “Piccole cose”, Graphe.it

In libreria il 26 marzo

Graphe.it Edizioni

Prefazione Luisa Sparavier, illustrazioni Desideria Guicciardini

Pagine 50, prezzo 10 euro

All’interno della confusione mia

e del mondo che mi circonda

fortunatamente trovo

spazi silenziosi di contemplazione

ed è in questi spazi, in questi momenti

che nascono gli haiku

La forma poetica giapponese dell’haiku è ormai nota anche ai lettori italiani e talvolta, come in questo caso, felicemente praticata: adattata alla lingua e alla cultura occidentale, genera frutti ibridi dal gusto sempre nuovo. Il suo schema metrico preciso non costituisce una gabbia ma, come ogni struttura compositiva nell’arte o nella musica, diventa una cornice sottile all’interno della quale liberare un personale esercizio di creatività e pazienza. Nell’interpretazione che ne dà l’autore, il metodo dell’haiku conserva il carattere contemplativo delle sue origini. I brevi componimenti raccolti in questo libro restituiscono un’attitudine millenaria, eppure certo non obsoleta, verso l’osservare e registrare le Piccole cose: quasi un’espressività inversa, una direzione passiva, nella quale è l’animo del poeta a rimanere immobile e ricevere il mondo che intorno si muove.

PIERGIOVANNI BERNARDON nasce nove anni dopo la fine della seconda guerra mondiale a Udine, dove vive e dove ha lavorato come insegnante. Da adolescente ha iniziato a versificare e ha continuato. Naturalmente discontinuo e diviso, il suo simbolo sono due pesci che nuotano in senso opposto: tenta di dare continuità alle sue passioni e di far nuotare sulla stessa scia i due pesci, ovviamente rossi. Talvolta durante l’autunno e l’inverno dalla finestra cerca di cogliere un passero, una cornacchia, un merlo in cerca di cibo. A volte durante la primavera e l’estate ascolta e osserva il frenetico andirivieni dei balestrucci al nido sotto il tetto della sua camera.

Iacopo Gardelli “L’Alsìr. Romanzo balneare”, Fernandel Editore

In libreria dal 24 marzo

Pagine 220, prezzo 15 euro

Fernandel Editore

«In spiaggia è impossibile perdersi: ci si perde in pineta, si scompare nel mare, ma in spiaggia si vede sempre tutto, la spiaggia è un posto dove ci si vede».

L’Alsìr è uno stabilimento balneare della riviera romagnola. È qui che, a partire dagli anni Novanta, due famiglie di diversa estrazione sociale si ritrovano vicine d’ombrellone: da una parte i Montanari, romagnoli di origine proletaria, dall’altra i Malagola, benestanti milanesi. Un’estate dopo l’altra, in un arco temporale lungo vent’anni, il romanzo segue il mutare degli equilibri fra le due famiglie e i contemporanei cambiamenti politici e sociali del nostro paese. In una lingua inedita e meticcia, L’Alsìr racconta una riviera romagnola lontana dal vitalismo stereotipato in cui spesso è descritta e un’Italia ormai avviata al fallimento politico ed economico, sempre più disorientata e accartocciata su se stessa. Uno spaesamento simile a quello dei giovani protagonisti, Guido, Elena e Alessandro, alle prese col passaggio fra adolescenza e età adulta. Sono la metafora di un’intera generazione, quelli nati nei primi anni Novanta, in bilico fra due secoli, e perciò destinati a crescere in una terra di nessuno.

L’incipit del romanzo:

«Jorio prese le ultime comande e s’incamminò sgalembro verso il bancone del bar. Era ubriaco dalla stanchezza. Fin dalla tarda mattinata i clienti avevano continuato a sciamare all’Alsìr, e lui non si era ancora fermato un momento. I bolognesi parlavano di code chilometriche ai caselli. Arrivavano grondi di sudore, si piazzavano sotto le docce e crollavano sui primi lettini liberi; dopo qualche minuto di noia ecco che risalivano, e insistevano a chiedere caffè, granite, panini, gelati, cocomeri, birre. Guardò giù, verso l’esercito in spiaggia. Tutti gli ombrelloni erano presi e il sole di luglio sciabolava sulla stesa dei lettini, schierati giù a riva. Sbuffò qualcosa di incomprensibile alla Vanda, sua moglie, che si era aggulpata una pezza attorno alla fronte per fermare il sudore e non sgocciare sulle tazzine dei clienti; quindi da sotto la cassa tirò fuori un foglio bianco e ci scrisse con mano tremante “Tutto esaurito”. Da quando aveva aperto il bagno non si ricordava d’averlo mai fatto».

Iacopo Gardelli è nato nel 1990 a Ravenna, dove vive e lavora. Dopo una laurea in filosofia si è dedicato alla scrittura, al teatro, al giornalismo e all’insegnamento. Collabora con quotidiani locali e riviste. Ha scritto articoli, spettacoli e monologhi teatrali. Questo è il suo primo romanzo.

Carlo Rovelli “Buchi bianchi. Dentro l’orizzonte”, presentazione di Salvina Pizzuoli

“Non lo so se l’idea che i buchi neri finiscano la loro lunga vita trasformandosi in buchi bianchi sia giusta. È il fenomeno che ho studiato in questi ultimi anni. Coinvolge la natura quantistica del tempo e dello spazio, la coesistenza di prospettive diverse, e la ragione della differenza fra passato e futuro. Esplorare questa idea è un’avventura ancora in corso. Ve la racconto come in un bollettino dal fronte. Cosa sono esattamente i buchi neri, che pullulano nell’universo. Cosa sono i buchi bianchi, i loro elusivi fratelli minori. E le domande che mi inseguono da sempre: come facciamo a capire quello che non abbiamo mai visto? Perché vogliamo sempre andare a vedere un po’ più in là…?” Carlo Rovelli (dal Catalogo Adelphi Editore)

Chi come me è digiuno di conoscenze nel settore si accosta con titubanza a un testo di fisica, con curiosità, con l’idea comunque di non trarne grande profitto. Non è stato così. Non solo l’autore è chiarissimo, usa termini accessibili, analogie e raffigurazioni, ma ora so cosa è un buco nero e come è fatto, perché è possibile l’esistenza di un buco bianco, e mi sono accostata ad un concetto incredibile, lo spazio tempo quantistico, passando per la gravità…  E non solo.

Questo breve scritto, ma denso di dati e riflessioni, ha recato anche una scoperta, attesa, devo dire, intuitivamente c’ero approdata, dell’unità del sapere e della metodologia dell’imparare e del conoscere, per nulla lontana da quella che dovremmo utilizzare per aprire quelle che io chiamo le finestre della mente. Non per diventare scienziati, ma per vivere meglio e al meglio dentro la realtà delle cose. Ma procediamo.

Di seguito alcuni  stralci illuminanti a tale proposito:

“Abbiamo capito che la terra è rotonda (due millenni fa); abbiamo capito che si muove (mezzo millennio fa). A prima vista sono idee assurde. La terra appare piatta e immobile. Per digerire simili idee, la difficoltà non è stata l’idea nuova: è stata liberarsi da una vecchia credenza che sembrava ovvia; metterla in dubbio sembrava inconcepibile. Siamo sempre convinti che le nostre intuizioni naturali siano giuste: è questo che ci impedisce di imparare.

La difficoltà quindi non è imparare, è disimparare”

“[…] vedere con la mente”

“L’Occidente ha saputo usare efficacemente la creatività del pensiero analogico, per costruire concetti nuovi a ogni generazione, fino a lasciare in eredità all’odierna civiltà globale la magnificenza del pensiero scientifico. Ma è l’Oriente che ha riconosciuto prima e con più chiarezza che il pensiero cresce per analogie, non per sillogismi. La logica dell’argomentazione basata sulle analogie è analizzata già dalla scuola moista, e implicita in uno dei più grandi libri dell’umanità, quel testo straordinario che è lo Zhuangzi. Il pensiero scientifico fa buon uso della rigidità logica e matematica, ma questa è solo una delle due gambe che l’hanno portato al successo: l’altra è la creatività liberata dall’evoluzione continua della sua struttura concettuale, e questa si nutre di analogie e ricombinazioni”.

“È la capacità di cambiare l’organizzazione dei nostri pensieri che ci permette salti in avanti”.

Non nascondo le difficoltà a seguire la seconda parte, ma ciò non toglie che possa rileggerlo tutte le volte che vorrò: il bello di ogni libro, quello che ti dà subito e quello che scopri ad una seconda, terza rilettura. L’autore ha inoltre un merito: correlare letteratura e scienza, che come commistione non è un procedere da poco, e la notevole dote di avvicinare anche chi non ne sa nulla o poco e soprattutto di riuscirci

“quando scrivo ho in mente due lettori. uno non sa nulla di fisica: cerco di comunicargli il fascino di questa ricerca. l’altro sa tutto: cerco di offrire prospettive nuove”.

Brevi note biografiche

Rovelli Carlo – Fisico e saggista italiano (n. Verona 1956). Dopo essersi laureato in fisica presso l’Università di Bologna, ha svolto il dottorato  all’Università di Padova. Ha lavorato anche nelle Università di Roma e di Pittsburgh, e attualmente è ordinario di fisica teorica all’Università di Aix-Marseille. I suoi studi vertono soprattutto sulla gravità quantistica, R. ha introdotto la Teoria della gravitazione quantistica a loop. Si è anche occupato di storia e filosofia della scienza con il libro Che cos’è la scienza. La rivoluzione di Anassimandro (2011). Tra le sue altre opere: Che cos’è il tempo? Che cos’è lo spazio? (2010), La realtà non è come ci appare. La struttura elementare delle cose (2014), Sette brevi lezioni di Fisica (2014), L’ordine del tempo (2017), la raccolta di articoli Ci sono luoghi al mondo dove più che le regole è importante la gentilezza (2018), Helgoland (2020), Relatività generale (2021) e Buchi bianchi (2023). R. collabora con la Repubblica e il supplemento culturale de Il Sole 24 ore. ( da Enciclopedia Treccani)

Romana Petri “Rubare la notte”, presentazione

In copertina un dipinto di Rita Albertini

Romana Petri costruisce e decostruisce, sgretola le regole della biografia, evoca e racconta amori, amicizie e sgomenti come dettagli di un appetito d’avventura mai sazio, si muove fra le date e dentro la Storia alla sola ricerca del principe che ha sconfitto la notte ed è entrato volando nell’infinito. (da Mondadori Editore)

L’autrice racconta da varie prospettive, insieme alle donne, agli amori, ai luoghi e ai tempi della storia, la vita di Antoine de Saint-Exupéry  e la sua grande passione per il volo e per la scrittura cosa che faceva durante i suoi viaggi tra terra e cielo, disperso durante una  missione di guerra aerea sulla Francia il 31 luglio 1944. Il volo, una passione che troverà ampio spazio nei suoi scritti tra i quali, il primo romanzo Vol de nuit (1931), in cui l’azione si attua nel corso di una notte, ma anche Pilote de guerre (1942) testimonianza sulla sfortunata campagna di Francia del 1940, romanzi che non ebbero risonanza ma lo resero famoso fino al più letto in assoluto nel mondo Le Petit Prince,(New York 1943) scritto un anno prima di morire.

Ma chi era l’autore di quel romanzo immortale che tutti più o meno abbiamo letto o che comunque conosciamo per fama?

Questa la domanda a cui risponde il romanzo di Romana Petri che colma i vuoti delle ricerche biografiche del personaggio con l’immaginazione raccontandoci un uomo e la sua grande passione nonché l’amore per la madre Marie Boyer de Fonscolombe, vedova giovanissima del visconte Jean de Saint-Exupéry dal quale ebbe cinque figli e alla quale era particolarmente legato come si evince nella sua ossessiva e fitta corrispondenza con lei.

Il romanzo si apre proprio con una lettera alla madre da Cap Juby, in Marocco, del 27 febbraio 1928, dove dirige una stazione aeropostale, in pieno deserto; altre missive sono presenti più volte nel corso della narrazione:

“vi chiedo scusa per il ritardo, so di avervi abituata ad altri ritmi. Ma qui sono stato io a dovermi abituare. Forse non è il termine giusto, ma non me ne viene un altro. Potrei dire stupore – abituarmi, adattarmi allo stupore –, ma non rende l’idea. Non importa, voi mi conoscete come nessuno”.

firmata Tonio, nome con cui era familiarmente chiamato.

Romana Petri vive a Roma. Tra le sue opere, Ovunque io sia (2008), Ti spiego (2010), Le serenate del Ciclone (2015, premio Super Mondello e Mondello Giovani), Il mio cane del Klondike (2017), Pranzi di famiglia (2019, premio The Bridge), Figlio del lupo (2020, premio Comisso e premio Speciale Anna Maria Ortese-Rapallo), Cuore di furia (2020), La rappresentazione (2021) e Mostruosa maternità (2022). Traduttrice e critico, collabora con “Io Donna”, “La Stampa”, “il Venerdì di Repubblica” e il “Corriere della Sera”. I suoi romanzi sono tradotti in Inghilterra, Stati Uniti, Francia, Spagna, Serbia, Olanda, Germania e Portogallo (dove ha lungamente vissuto).

Gino Carlomagno “Misteriosa morte nella Tuscia”, NeP Edizioni

Un nuovo intrigante caso da risolvere per Giorgio Gregòri, l’ispettore nato dalla fervida penna di Gino Carlomagno. In arrivo il cofanetto in edizione limitata.

“L’ispettore lasciò trascorrere alcuni secondi prima di rispondere,con lo sguardo passò in rassegna il volto di ognuno dei presenti,abituato come era a intuire dalle espressioni dei volti durante gliinterrogatori quando in questi ci fosse menzogna”.

Un ritorno tanto atteso, quello dell’ispettore Gregòri, protagonista di una fortunata serie di romanzi gialli edita da NeP edizioni, particolarmente apprezzata da lettori e critica.
Il prossimo maggio la casa editrice pubblicherà un cofanetto che li raccoglie tutti, in edizione limitata.
In Misteriosa morte nella Tuscia, quello che a prima vista sembra essere un suicidio, altro non è che un maldestro tentativo di depistaggio.
L’ispettore Gregòri, che in altri episodi ha abituato i lettori al suo inconfondibile fiuto poliziesco, riesce a smascherare la messa in scena dietro cui si nasconde un delitto.
Il crimine finirà per catapultare l’ispettore e la sua squadra in un mondo del tutto nuovo, fatto di rimandi storici e reperti archeologici, portando ad esplorare località del viterbese dall’antico fascino etrusco.
Forte della sua ricca produzione letteraria e della sua familiarità con il romanzo poliziesco, la scrittura di Gino Carlomagno tratteggia con abilità personaggi e situazioni, oltre a rendere con arguzia sfumature e paesaggi.
Come sempre intuito, costanza e perspicacia finiranno per portare ai risultati tanto sperati.

Di origine lucana, Gino Carlomagno si trasferisce in giovane età a Biella. La passione per la scrittura lo accompagna sin dall’infanzia e le sue opere, rimaste a lungo nel cassetto, vedono la luce solo a seguito di un felice incontro con NeP edizioni. Nella scrittura predilige il romanzo poliziesco, complice un breve trascorso nella Polizia di Stato. Oltre a “Misteriosa morte nella Tuscia”, con NeP edizioni ha pubblicato: “Caro Amico”; “Dal Girino Al Mouse”; “Dieci Racconti Fantastici” (2016); “Tre milioni di passi sotto il cielo. Camminare per vedere”; “La pagliuzza nell’occhio”; “Il Killer invisibile” (2017); “La pietra che non affonda”; “Il Dito Mancante”; “Nel Sonno Urlavo… Gargatun” (2018); “Il Decimo Indizio”; “1 – DICXON, non tradisce” (2019); “Queen Mary Donna Coraggiosa”; “Hotel Repubblica 55-Camera con Balcone”; “Il Segreto dell’Acqua” (2020); “All’Ombra dei Pini”; “Consuelo” (2021) e “Tarli Ossessivi” (2022).

Anonimo “La storia di Apollonio re di Tiro”

Traduzione e note a cura di Alessandro Ferrini, con testo originale allegato

EDIDA Edizioni

La Storia di Apollonio re di Tiro fu composta presumibilmente fra la fine del II secolo e l’inizio del III secolo d.C. ed è il terzo romanzo latino giunto fino a noi dopo i ben più celebri Satyricon di Petronio e Metamorfosi di Apuleio, sicuramente un genere più popolare, una narrazione in prosa come qualcuno lo ha definito, rispetto ai primi due (dalla Premessa)

Perché tradurre e proporre la lettura di una fiaba antica?

Come tutte le fiabe, ascoltate o lette nei tempi diversi in cui giungono fino a noi, anche questa, la cui confezione si perde in un “c’era una volta”, acquista un nuovo significato, si attualizza forse proprio perché in fondo, “dentro” l’uomo non è poi così dissimile dai suoi primordi. Il messaggio che arriva dalla lettura è positivo e ancora universale: la vita, il mestiere di vivere, pone ai suoi protagonisti molte peripezie per “mare” e per “terra”, addolora, fa soffrire ma, se l’animo resta generoso e profondamente legato a valori immortali, l’amicizia la collaborazione l’altruismo l’amore per tutti gli esseri, quella vita saprà ripagarti con la stessa moneta.

Il mare è qui elemento duplice e simbolico, è distanza, allontanamento ma anche palestra di nuove esperienze ardue ma anche di conoscenze sperimentate; gli indovinelli sono le scelte a cui ciascuno è chiamato, spesso difficili e oscure; un viaggio verso l’agnizione finale, il bel compimento, meritato, nel dolore e nella sofferenza, nelle vicissitudini perigliose come il mare e oscure come gli indovinelli sibillini su cui si misura la conoscenza, l’intelligenza, la cultura in genere e l’animo di ciascuno. Un racconto semplice, così come la lingua utilizzata, un latino vicino, comprensibile per il messaggio e per la morale che contiene e che può arrivare a tutti; un raccontato standard che ricorda lo svolgimento che permea le fiabe, ma il cui messaggio, proprio per questo, arriva diritto a chi lo legge e a chi lo ascolta e “molce il cuore”. Attuale quindi per i lettori dell’era nostra, quella della tecnologia, dei viaggi interstellari, del mondo degli dei provenienti da altri mondi, categorie superiori ma che probabilmente non possono sottrarsi anch’essi al proprio “destino”.

Dei diversi, lontani dagli uomini, quasi spettatori, non come gli dei greci, trasposizione immortale dell’essere umano e della sua umanità, difetti compresi. Sì, una fiaba bella che ha ancora molto da dire o che comunque ci regala una grande speranza, quella che ciascun uomo attende, quel premio di cui narrano le scritture o le religioni, quella che è figlia e madre di tante scelte di vita su questo Pianeta che gira e si muove in una delle tante Galassie dell’Universo. ( dalla Premessa)

La Quarta di copertina

Cose spiegate bene

La Terra è rotonda

PAGINE: 272

A CURA DI: Nicola Sofri

CON TESTI DI: Stefano Boeri, Marta Ciccolari Micaldi, Elena Dell’Agnese, Francesca Mannocchi

ILLUSTRAZIONI: Jacopo Rosati

«La Terra sopravviverà», diciamo spesso nelle preoccupazioni sul riscaldamento globale: sono gli esseri viventi e le loro vite come le conosciamo a essere in pericolo. Ma il rapporto tra noi umani e la Terra che abitiamo cambia continuamente anche in quello che ne conosciamo: nelle nostre scuole si insegna meno geografia, Google Maps ha cambiato il nostro rapporto con lo spazio e i movimenti, la geopolitica è diventata di nuovo un tema di discussione, per tragiche ragioni. Ci sono un sacco di cose da conoscere e capire sul pianeta e su quello che ne abbiamo fatto: importanti, affascinanti, utili, spesso tutte e tre le cose assieme. Cosa sta cambiando nelle rotte navali? Quanto dura una stagione? Come si costruiscono le metropolitane? Dov’è il confine fra Terra e Spazio? Qual è la capitale della Bolivia? Che ore sono, davvero? La geografia è presente nella vita quotidiana di tutti e «saper stare al mondo» significa innanzitutto conoscere gli spazi vicini e distanti e come influiscono sulle nostre vite, da quando ci svegliamo la mattina a quando raggiungiamo un luogo lontano, magari «agli antipodi». Già, e cosa c’è agli antipodi?


Il quarto numero di “Cose spiegate bene” : su Iperborea il Sommario

Gli altri su tuttatoscanalibri:

“Cose spiegate bene” la rivista cartacea del “Post” con la collaborazione di Iperborea

“E giustizia per tutti”

Fabio Stassi “Notturno francese”, presentazione

Notturno francese è in realtà un notturno pieno di luce. È una storia di errori, di appuntamenti che non si sa di avere, di labirinti e di orfani che cercano un porto. Un romanzo dove domina la malinconia del continuo lasciarsi dietro le spalle cose e persone, nel tempo e nello spazio. Ma anche la sconsideratezza di mettersi in viaggio per ritrovarle. O per farsi trovare.( dal Catalogo Sellerio)

Non saprei dirti se, […] Non saprei dirti nemmeno

L’incipit è all’insegna della casualità o di quelli che chiamiamo “segni del destino” e che spesso non sappiamo riconoscere all’impronta. L’ultimo romanzo di Stassi è un viaggio, un viaggio a ritroso, un viaggio nei ricordi, non voluto e non fissato, ma capitato con quella casualità che lascia sconcertati.

“Non so se fu all’uscita da quella scala che mi svagai […] Due convogli identici, rossi e grigi, con la classica punta affusolata, aspettavano il fischio dei rispettivi capitreno da entrambi i lati del marciapiede. […]”

È così che il nostro protagonista, Vince Corso, biblioterapeuta e detective di enigmi letterari, si trova senza volere sul treno sbagliato, per Milano e non per Napoli, la sua vera destinazione.

E ancora su quel treno sbagliato, nel posto numerato proprio come il suo un altro viaggiatore che sottolinea ancora la casualità, fortuita ma fortunata di quell’errore: “forse lei non lo sa ancora, ma potrebbe essere arrivato il momento di fare questo viaggio”.

Sì, rimandato, ma mai dimenticato, alla ricerca di quel padre mai conosciuto e rivelato da sua madre in punto di morte.

Sì, perché Vince è nato a Nizza e la madre lo ha concepito quando lavorava negli alberghi della Costa Azzurra crescendolo da sola e trasferendosi anni dopo a Genova dove Vince aveva fatto il liceo: nello splendido Hotel Le Negresco a Nizza, era stato concepito dopo l’unica notte d’amore con uno sconosciuto, hotel a cui puntualmente aveva inviato una cartolina al giorno senza il nome del destinatario.

Comincia così il viaggio del protagonista: Genova, la prima tappa e da lì fino a Marsiglia dove aveva trascorso la prima infanzia. Ancora un’indagine per Vince Corso, quella più importante, quella per scoprire chi è suo padre.

Un romanzo fatto di romanzi, un libro fatto di libri a cominciare da quello che doveva essere il suo compagno di viaggio: Notturno indiano di Tabucchi, ma anche di luoghi evocativi e significanti che entrano nella storia per farne parte.

Dello stesso autore su tuttatoscanalibri:

“Uccido chi voglio”

“Ogni coincidenza ha un’anima”

Autori Vari “Una settimana in giallo”

Philippe Claudel “Dopo la guerra”, presentazione di Salvina Pizzuoli

Traduzione di Francesco Bruno per Ponte alle Grazie Editore

Cinque racconti che, come scrive lo stesso autore nelle pagine dedicate “Al lettore”, sono stati scritti tra il 2016 e il 2020, di questi cinque tre sono inediti: Ein Mann, Irma Grese e Die Kleine. Il titolo originale in francese è Fantaisie allemande che, come chiarisce ancora l’autore,  è da intendere “nella sua accezione musicale e poetica che designa, come tutti sanno, un’opera in cui la soggettività dell’autore prevale e che si svincola dal rispetto di regole rigorose di composizione o di armonia”.

Sempre nella sezione dedicata chiarisce ancora il contenuto dei suoi racconti che hanno la Germania come ambientazione

“Se la Germania del XX secolo fa da cornice a questo libro è perché, da una parte, non esiste un altro posto in cui i temi che tratto abbiano trovato in grado più alto la loro tragica incarnazione. D’altra parte è perché, essendo fin dall’infanzia un vicino di quel Paese, ho sviluppato un rapporto di attrazione e di paura con i suoi paesaggi, la sua cultura, la sua lingua e la sua Storia, come non ne ho con nessun altro Paese al mondo. La Germania è sempre stata per me uno specchio in cui mi vedo, non quale sono, ma come sarei potuto essere. In tal senso, mi ha insegnato molto su me stesso”.

In una recente intervista a Brunella Schisa (Il Venerdì, La Repubblica, 10 febbraio 2023) chiarisce ancora meglio rispondendo alla domanda dell’intervistatrice: La Germania è qui usata come metafora del male assoluto di tutte le guerre? “La Germania nazista è ovviamente il paese che si avvicina di più all’abisso del male assoluto. Ma non dimentichiamo l’Urss di Stalin, la Cina di Mao, i Khmer rossi in Cambogia. La barbarie non ha nazione. È universale e si sposta geograficamente secondo i tempi. Devi esserne consapevole per cercare di combatterla”.

Le guerre che si combattono ancora nel mondo, quelle che non conosciamo e quelle che ci sono vicine e ci paiono uniche anche se insensate, ci dicono che la barbarie, come dichiara Claudel, è sempre tra noi anche se la guerra ha cambiato tipo di armi e dislocazione geografica perché, come afferma nella stessa intervista, “L’uomo non smette di essere il nemico di se stesso su questa terra”.

Nel primo racconto è il freddo gelido che accompagna i passi di un soldato in fuga, ma vittima di un un nuovo martirio: la fame e il gelo. E qui per la prima volta il lettore incontra il nome del personaggio Viktor, un nome che fa da fil rouge all’interno dei racconti.

Ma chi è Viktor?

“Tutti mettono in gioco degli spazi d’incertezza, di cui il personaggio di Viktor diventa il simbolo: se alcuni elementi nel corso del racconto ci inducono a pensare che si tratti dello stesso uomo, altri ci dicono il contrario. Che ne è, in tal caso, della sua verità? E, al di là di lui, di ogni verità? Ciò mi è parso metaforico delle nostre vite, che a noi pare di conoscere ma che padroneggiamo malissimo e che possono, secondo l’angolazione della luce con cui le illuminiamo, prendere molteplici riflessi”

Così in quella che potremmo considerare una postfazione dell’autore medesimo, Claudel chiarisce e spiega il suo romanzo e il messaggio in esso insito, romanzo perché il tema accomuna tutti i racconti.

Philippe Claudel è nato nel 1962 in Lorena. Scrittore noto in tutto il mondo e membro dell’Académie Goncourt, ha raggiunto il successo internazionale con il romanzo Le anime grigie (Ponte alle Grazie, 2004), tradotto in trenta Paesi e vincitore del premio Renaudot. Tra i suoi titoli usciti in Italia ricordiamo anche La nipote del signor Linh (2005), Il Rapporto (2008), Profumi (2013) e L’arcipelago del cane (2019), tutti pubblicati da Ponte alle Grazie. Nel 2008 ha esordito come regista con il film Ti amerò sempre, seguito nel 2011 da Non ci posso credere, con Neri Marcorè e Stefano Accorsi.( da Ponte alle Grazie Autore)