Ken Follett “Il cerchio dei giorni”, presentazione di Salvina Pizzuoli

Mondadori

The Circle of Days, titolo originale de Il cerchio dei giorni, è l’ultimo romanzo di Ken Follett che con le sue opere di narrativa di ambientazione storica ha portato il lettore in epoche lontane, a partire dall’eccezionale e decisamente impareggiabile I pilastri della terra, con pagine vivide e con personaggi perfettamente tracciati e vicende che hanno saputo costruire per gli appassionati lettori un mondo medievale fuori dai  cliché, fornendo contemporaneamente una pagina di storia ben documentata, attendibile nonché indelebile.
Con questo nuovo romanzo, ambizioso e ponderoso, ha voluto trasportarci in epoche non solo remote ma addirittura in qualche modo dentro uno degli enigmi più significativi ancora esistenti: Stonehenge e la società che lo ha edificato

Se I pilastri della Terra poggiava su fonti storiche e personaggi realistici, Il cerchio dei giorni si muove nel terreno della possibilità e del mito: i protagonisti sono figure archetipiche, più simboli che individui. Diversi nello stile e nell’ambientazione, i due romanzi condividono però la stessa idea di fondo: l’uomo che costruisce, la sua fatica, fede e genialità, forze eterne del bisogno umano di creare, capire e lasciare traccia.

Al lettore trarre le proprie considerazioni, mi soffermerò pertanto sui dati essenziali senza rivelare troppo.

Una società quella narrata ambientata circa 4500 anni fa, una società tribale.
Tre le tibù umane che vi compaiono: i pastori, gli agricoltori, gli abitanti dei boschi. Gruppo a parte sono le sacerdotesse, donne che stanno con le donne, proprietarie di antiche conoscenze e sanno tramandarsele.
A differenza di quanto tradizionalmente trasmesso saranno i pastori che con le loro precise caratteristiche e impostazioni mentali daranno vita a creazioni e a percorsi decisamente nuovi. Se gli appartenenti sono inclini a non risolvere le controversie in modo violento, se sanno accogliere le differenti scelte dei propri membri anche in ambito sessuale, il loro contrario sono gli agricoltori. E non solo.
I tipi umani che ci caratterizzano ancora oggi, sono tutti rappresentati: violenti e concilianti, rozzi e cortesi, di bella presenza e decisamente no, arroganti e geniali, generosi e accaparratori, …
Lotte e scontri caratterizzerenno i lunghi e occasionali periodi di convivenza tra i diversi gruppi umani, e vi si distingueranno due personaggi in modo particolare divenendo i protagonisti di un progetto temerario: Seft, un cavatore di pietra, particolarmente  talentuoso e creatore di “macchine” e Joia, la sacerdotessa che spera e agogna di sostituire i cerchi di legno con pietre gigantesche, quelle del Monumento che è nato a gloria del sole e permette alle sacerdotesse di contare, conoscere i numeri,  tramandare il “tempo”, onorando con canti e danze il sorgere del sole e i suoi movimenti.
Una lotta tra progresso per tutti e il suo contrario, determinata a impedire la realizzazione per quanto ambiziosa del progetto, caratterizzeranno l’ultimo scorcio della narrazione.
L’autore ha condotto ricerche approfondite, si è stabilito in antiche miniere e si è confrontato con archeologi per immaginare quel mondo lontano, senza dimenticare che la materia  è in gran parte avvolta dal mistero e dai limiti delle fonti, come  l’autore ammette chiaramente, spiegando che “si sa così poco che ho dovuto immaginare molto di più”.
Un immaginario gradevole, ben articolato, che sa catturare nonostante la mole che lo caratterizza

Dello stesso autore su tuttatoscanalibri

I pilastri della terra

Fu sera e fu mattina

Le armi della luce

Hans Tuzzi “La letteratura come una delle arti equestri”, presentazione di Salvina Pizzuoli

Dal 4 aprile in libreria, Italo Svevo Edizioni

La copertina e la sinossi nel Risvolto

Leggere Tuzzi ha su di me un merito raro: che sia saggio, romanzo, racconto, biografia, sa aprire quelle che io chiamo le finestre della mente che non sono le stesse per ciascun lettore, ognuno ha le proprie, socchiuse o da aprire per la prima volta…
Come lettrice di lunga data, ho iniziato a leggere grazie alla mia zietta a cinque anni e da allora è un vizio che non mi sono mai tolto, posso affermare che poche letture, davvero poche mi hanno lasciato dentro un’atmosfera, non so bene come definirla, è un’emozione non facile da chiudere dentro le parole, nella quale mi sento avvolta come in una nuvola di benessere mentale, appagata nel ricordare o rileggere, stuzzicata e vivificata da riflessioni traslate nate inseguendo immagini e ripensando ad alcune frasi, brani o semplici accostamenti di parole: beh, questo è l’effetto Tuzzi!
E, relativamente a questa serie di brevi saggi, che avevo già seguito nella loro veste originale e ora trovo tutti splendidamente raccolti insieme, non etichettabili in modo stringente ma sulla scrittura, sulla lettura, sulla letteratura e, alla fin fine, sulla visione della vita, alcune spigolature …:

Il cavallo è animale nobile nevrile e vigoroso e ogni cavaliere, anche il più esperto, fatica a contenerne l’energia. Che tu sia campione d’alta scuola o bùttero, fantino amazzone o maestro di redini lunghe, la forza del cavallo, come ogni vera forza, per essere controllata ed esaltata al suo meglio richiede grande eleganza e compostezza (da La letteratura come una delle arti equestri, il saggio che dà il titolo alla raccolta e la conclude)

La bellezza si ottiene per sottrazione? Sovente, sì. Ma non è una regola, perché non esistono regole in letteratura. Ogni semplificazione normativa sull’arte della scrittura è menzogna. Infatti esistono grandi scrittori lussureggianti. La bellezza si ottiene per sottrazione, ma anche in una profusione conseguita con studiato artificio. […] In un caso e nell’altro, nella semplicità come nella ridondanza, la bellezza sta nel pensiero che la regge e dà forma al testo. Idea nuova, forma nuova. La sottrazione vale per la lunghezza del testo, o per struttura e armonia della frase, della pagina, nell’insieme dell’opera; tende all’apparente semplicità di cui Picasso rivela la complessa ricerca quando dice: “bambino, già disegnavo come Raffaello, ma ho impiegato una vita per imparare a dipingere come un bambino. La semplicità non è mai immediata, si raggiunge per gradi.

Più che spiegare a un ipotetico aspirante scrittore come si scrive un libro, lo condurrei per mano nella selva ombrosa della scrittura, mostrandogli che non c’è strada maestra ma intrecci di sentieri, e nessuno di essi conduce alla meta sicura del romanzo. […] La lettura dei classici offre di per sé un mosaico istruttivo, e all’ipotetico aspirante scrittore poco direi su “come fare”, soffermandomi su “cosa non fare”. […]
Perché la letteratura è anche un’esigenza del cuore, una forma del pensare il mondo, una natura del vivere che è in noi o non è, e se lo è ci permea per tutta l’esistenza, si pubblichi anhe un solo libro.

Iniziare a raccontare una storia mettendola sulla pagina, comporta non soltanto il piacere del rac conto, bensì anche quello di dare vita a una voce, di stimolare la curiosità, di provocare la pigrizia del lettore, che del resto proprio questo si aspetta: essere tratto dal comodo calduccio del letto o del la poltrona per essere immerso, senza rischi reali, nel gorgo della vita. Il lettore però non sa quello che desidera, diventa necessario irretirlo, bisogna sedurlo.

Miglior lettore è colui che rilegge perché le grandi opere si offrono a molteplici punti di vista, si prestano a sempre nuove scoperte, suggeriscono inedite interpretazioni. Vale, per esse, quel che Schlegel diceva di Amleto: “Un’opera enigmatica che somiglia a quelle equazioni irrazionali nelle quali rimane sempre una frazione di grandezza sconosciuta che non ammette soluzione alcuna”. È l’ambiguità d’ogni opera viva, così viva che, proprio come Amleto, di secolo in secolo viene letta con occhi nuovi sino a diventare, per ogni generazione, qualcosa di diverso dall’originale, e tuttavia sempre fedele alla natura profonda dell’originale.

dalla Quarta di copertina

*****

La Piccola Biblioteca di Letteratura Inutile nasce nel 2016 ed è la prima collana a far parte della la nuova società ITALO SVEVO, creata a Trieste nel 2018. Si avvale dell’impianto grafico di Maurizio Ceccato e fin da subito riprende l’idea delle pagine intonse. Propone aristocraticamente lampoon, libelli, scartafacci, pandette, glossari, digesti e tutto quanto non è classificabile nei generi tradizionali di narrativa e saggistica. Dopo il primo lustro di attività nel 2021 diviene semplicemente Biblioteca di Letteratura Inutile. (da Italo Svevo Edizioni)

*****

Dello stesso autore su tuttatoscanalibri:

Tutto Tuzzi: i gialli, i saggi, i romanzi, le interviste

Marco Malvaldi e Samantha Bruzzone “La regina dei sentieri”, presentazione di Salvina Pizzuoli

[…]L’indagine si concentra quindi sul conflitto tra marketing e tradizione; e questo permette alla coppia Malvaldi-Bruzzone di divertirsi e divertire il lettore con digressioni e ragguagli di teoria e pratica dell’enologia. E sarà proprio il vino, il vino propriamente usato, degustato in adeguata compagnia, a mostrare la strada verso la soluzione”. Anche questo secondo romanzo della serie con Corinna e Serena è un giallo di impianto logico, con l’andamento della commedia e l’ambientazione nella immaginifica provincia toscana. A questo gli autori aggiungono i loro tratti distintivi: la via dell’ironia e il rimando puntuale alle scienze, alla chimica e alla fisica che rendono più meravigliose sia le vite quotidiane sia l’esperienza del delitto. (dal Catalogo  Serllerio)

Un secondo giallo a quattro mani ad opera dei compagni di scrittura e nella vita: Malvaldi e Bruzzone.

Un testo in cui la chimica, non dimentichiamo che entrambi sono periti in materia, ha un ruolo chiave e richiamano ad un altro chimico famoso che ha saputo fare della sua mentalità, affinata dallo studio di questa disciplina e dal modo di guardare le cose scaturito proprio da questa scienza, grandi pagine di letteratura. Mi riferisco a Primo Levi. Chi ne conosce solo l’opera maggiore (Se questo è un uomo) ha di lui una visione parziale. Approfitto dell’occasione per richiamare all’attenzione dei lettori altre opere di Levi su tuttatoscanalibri che ha saputo fare della chimica letteratura.

Ma torniamo ai Malvaldi recentemente intervistati da Raffaella Silipo ( La Stampa 6 agosto 2024); Marco Malvaldi così risponde alla domanda “La chimica è la vera protagonista dei vostri gialli. Come è nato il vostro amore per questa materia? Quanto è letteraria la chimica?”

“[…]Che la chimica sia letteraria, non c’è dubbio: basta pensare a Il sistema periodico di Primo Levi, con la sua meravigliosa analogia tra comportamenti di specie atomiche e comportamenti umani”

E torniamo al romanzo.

È ambientato nella Maremma toscana e protagoniste sono, come nel precedente, Chi si ferma è perduto, un metro e novanta di sovrintendente di polizia giudiziaria, Corinna Stelea, e Serena Martini, chimica e sommelier: un vecchio Ape è  riemerso da un laghetto prosciugato alla Tegolaia,  tenuta vinicola nei pressi di Bolgheri, e proprietà di una multinazionale olandese. A guidare l’Ape era stato lo scomparso marchese Crisante Olivieri Frangipane, proprietario di un’azienda vinicola più piccola ma con produzione di altissima qualità. E da qui alla risoluzione sarà proprio il vino la chiave guida per la conclusione  dell’enigma.

Una curiosità che la Bruzzone svela durante l’intervista relativa al titolo del romanzo: “Diventare la regina dei sentieri era un mio desiderio di bambina. In generale mi hanno sempre affascinato le mappe e le strade numerose e complicate: da piccola, quando andavo a trovare i nonni a Genova adoravo andare in giro per la città con mio nonno Eugenio. Più erano stravaganti i percorsi e i mezzi che sceglievamo più ero contenta. La passione mi è rimasta e Marco e nostro figlio sono trascinati in esplorazioni estenuanti in tutte le città e montagne che visitiamo. Adesso ci sono appunto i navigatori satellitari ma la vera sfida è non perdere mai l’orientamento”

Un’immagine, quella che si apre con il titolo, che fa guardare con un’angolatura precisa il contenuto

Marco Malvaldi (Pisa, 1974), di professione chimico, ha pubblicato con questa casa editrice la serie dei vecchietti del BarLume (La briscola in cinque, 2007; Il gioco delle tre carte, 2008; Il re dei giochi, 2010; La carta più alta, 2012; Il telefono senza fili, 2014; La battaglia navale, 2016, Sei casi al BarLume, 2016; A bocce ferme, 2018; Bolle di sapone,2021), salutati da un grande successo di lettori. Ha pubblicato anche Odore di chiuso (2011 e 2021, Premio Castiglioncello e Isola d’Elba-Raffaello Brignetti 2011), e Il borghese Pellegrino (2020), gialli a sfondo storico, con il personaggio di Pellegrino Artusi, e Milioni di milioni (2012), Argento vivo (2013), Buchi nella sabbia (2015), Negli occhi di chi guarda (2017), con Glay Ghammouri Vento in scatola (2019) e con la moglie Samantha Bruzzone Chi si ferma è perduto (2022) e La regina dei sentieri (2024).

Samantha Bruzzone (Genova 1974) chimica di formazione e appassionata di gialli, ha pubblicato con Marco Malvaldi, compagno nella vita, due libri per ragazzi, Leonardo e la marea (Laterza 2012) e Chiusi fuori (Mondadori 2022) e, con Sellerio, Chi si ferma è perduto (2022) e La regina dei sentieri (2024).

Carlotta Fruttero “Alice ancora non lo sa”, presentazione di Salvina Pizzuoli

Carlotta Fruttero in questo suo primo romanzo torna a Roccamare, inevitabilmente aggiungo: luogo simbolo di un periodo felice della letteratura e della cultura di casa nostra che qui ebbe contatti con artisti e scrittori e pittori e registi e musicisti, sia italiani che stranieri, come racconta egregiamente Alberto Riva nel suo splendido romanzo-saggio L’ultima estate a Roccamare, un testo che ho avuto il piacere di leggere e che ho apprezzto molto, non solo per nostalgia, ma perché sicuramente il miglior libro che ho letto ultimamente. E Maria Carla, la Carlotta figlia di Fruttero, che proprio qui insieme a Lucentini aveva scritto uno dei gialli più significativi, così fuori genere, così piacevole e interessante: Enigma in luogo di mare, non poteva sfuggire al fascino essendoci cresciuta e vivendoci ancora stabilmente: i periodi magici ci formano e ci lasciano quell’atmosfera dentro, pertanto Roccamare è luogo ma anche personaggio.

Il titolo inoltre scelto dall’autrice richiama un tema preciso: Alice ancora non lo sa, ricorda Alice non lo sa, il titolo della bella canzone di de Gregori, datata 1973, in cui il mondo di Alice è realtà e anche fantasia.

Ma vediamo più da vicino il romanzo di Carla Fruttero che vive stabilmente in questa villa a Roccomare. Il raccontato si sviluppa attraverso due voci narranti, entrambe in prima persona. Così che Caterina Soffici (La Stampa 16 luglio 2024) scrive: “Questo romanzo mischia in maniera molto contemporanea fiction e non fiction […] una parla in corsivo ed è la voce più reale, quella più vicina alla vera Carlotta […] poi c’è la voce di Alice […]dove finisce la realtà e inizia la finzione è sempre una questione delicata” […]

Ma veniamo alla trama.

Alice sta per perdere la casa di famiglia per una serie di scelte che hanno contraddistinto gli ultimi dieci anni della sua vita quando si è lasciata andare ai sentimenti e si è innamorata di Lui, un senza nome nel romanzo. Lei cederà alle sue lusinghe, ha quaranta anni e lui la fa sentire ancora desiderata. Ma è alto il prezzo da pagare: è un ingannatore che dopo pochi anni si manifesterà portandola a perdere ciò a cui tiene di più

E la voce non in corsivo racconta

“Questa non è una casa qualsiasi, un patrimonio immobiliare da sfruttare in caso di bisogno, ma un capitale umano di inestimabile valore che racchiude l’intera esistenza dei miei genitori, il loro lavoro, i loro sacrifici, le loro speranze, i loro successi, i loro sogni.
Ogni angolo, ogni oggetto, è un ricordo prezioso. La tazzina da caffè preferita da mio padre, la siepe di pitosfori dietro cui mi nascondevo per sfuggire alle sgridate della mamma, lo sgabello della cucina su cui mi inchiodava per farmi ripetere le tabelline, e poi ancora le corse intorno a casa inseguita da papà trasformato in un terrificante “mostro”, le uova di Pasqua nascoste tra i cespugli, il prato disseminato da gavettoni e palloncini colorati durante le feste dei miei figli e dei loro innumerevoli amici”.

È pronta quindi a lottare

“Poteva agire diversamente? È stata tutta colpa sua? Eppure amore c’è stato, non è accaduto tutto invano se ora Alice ha il coraggio di ripercorrere il cammino che l’ha portata fino a qui; un cammino segnato da ricordi dolorosi ma che le consentirà di diventare più consapevole e forte. Una scrittura nitida e sincera, un romanzo avvincente che racconta come una donna possa emergere da qualsiasi dirupo se ha buone ragioni per farlo”.(da Libri Mondadori)

“Il racconto diventa vorticoso, la voce in corsivo sparisce […] e Carlotta Fruttero fa un’operazione di scavo e redenzione di cui Alice non sarebbe stata capace” (da Caterina Soffici “Un amore sbagliato in casa Fruttero, la storia vera di un’Alice inventata” da La Stampa, cit.)

Matteo Bussola “La neve in fondo al mare”, presentazione di Salvina Pizzuoli

– Scoprire la profondità della tristezza di un figlio, a neanche sedici anni, è come trovare qualcosa in un posto in cui non te lo saresti mai aspettato. In cui proprio non dovrebbe esserci.
– Che vuoi dire?
– Tipo, non so. Come trovare la neve in fondo al mare.
(dal Catalogo Einaudi)

In questo  suo ultimo romanzo Bussola indaga uno dei nodi del nostro tempo: genitori e adolescenza. Se quello di genitore è sempre stato un mestiere difficile, oggi lo è ancora di più, troppe le “voci” che partecipano alla formazione dei nostri giovani e spesso in contraddizione tra loro. Si potrebbe pensare che più voci possano contribuire e alleggerirne la crescita guardandola da tanti punti di vista, ma non è così. Bussola centra il problema facendo della voce narrante quella di un padre all’interno di una struttura ospedaliera che si pone domande di fronte ad una situazione sconvolgente e inattesa

Per raccontare questa storia dovrei partire dall’inizio. Se solo sapessi quale scegliere fra i tanti.
Magari, prima di soffermarmi sugli eventi che ci hanno portato fino a qui, potrei provare a dire due parole su di me. Una specie di breve ritratto. Anche per ricordarmi chi sono, in questo posto in cui è facile sentirsi ridotto a una singola funzione.[…]
Mi chiamo Caetano Bernardi e ho quarantanove anni. Sono un ingegnere, un marito, il papà di un adolescente e di due bambine.[…]
Il mio lavoro è capire come fare affinché le cose stiano in piedi.
Entrare nel gioco di spinte e controspinte, calcolare le sollecitazioni sopportabili da una struttura, il suo carico massimo sostenibile. […]Il carico massimo sostenibile cambia a seconda del materiale che consideri. A parità di spessore, un solaio in laterocemento porta quattrocento chilogrammi al metro quadro, uno in calcestruzzo armato seicento e passa, un solaio in legno ne tiene la metà, ma in compenso è piú elastico.
Funziona cosí anche con le persone, la vita è una gara di resistenza alle deformazioni e agli urti.
Non tutti vi reagiscono allo stesso modo. Ma il vero problema è che, quando si tratta di persone, non esistono regole matematiche universalmente valide. Ognuno di noi è un impasto unico che c’entra solo in minima parte con la biologia, e ha a che fare principalmente con la propria storia, con il periodo in cui si vive, con la maniera in cui si riesce ad adattarsi oppure a ribellarsi allo sguardo degli altri. L’umano è un materiale che muta le caratteristiche meccaniche nel tempo, attraverso crepe o fenditure spesso difficili da scorgere, a volte addirittura sotterranee. Per vederle servono occhi attenti, desiderio di conoscere, capacità di mettersi in discussione e nessuna soluzione pronto uso.
Ecco perché Tommy e io siamo qui.

E più avanti precisa

La perdita di peso, da tre anni all’incirca, è la punizione ossessiva che nostro figlio si infligge.
Gli psichiatri, in reparto, mi hanno detto che è l’unica maniera che gli fa sembrare di mantenere il controllo sul suo corpo, dunque sulla sua vita. Ecco perché è una patologia sempre piú diffusa, anche fra gli adolescenti maschi.
– Farsi del male è un modo per avere un controllo? – ho chiesto la prima volta che siamo stati in questo posto.
– Farci del male è la prima forma di controllo che abbiamo tutti, – mi ha risposto il dottore.

In una recente recensione (La Stampa 7 giugno 2024) Francesco Zani scrive ambientando il raccontato ed enucleando il tema

La nave in fondo al mare è un libro che non ha luogo – la scenografia è minimale, fatta tutta di camere d’ospedale vissute con le luci bianche accecanti e di rumori di macchinette del caffè automatiche annacquate di malinconia – ma sopravvive dentro a uno spazio senza confini, quello tra il padre Caetano e il figlio Tommaso ricoverato perché soffre di anoressia nervosa”.

E a conclusione una notazione interessante

“Nella struttura orizzontale della narrazione se ne nasconde anche una verticale, brevi capitoli d’infanzia scritti con la nota del tu, una seconda persona delicata e sognante, un appello, una lettera, un lungo diario che ci ricorda Io resto qui di Marco Balzano per l’atmosfera e il senso nostalgico di perdita. Una perdita in questo caso non materiale ma simbolica con Bussola che lotta e si sbraccia contro lo scorrere del tempo nel punto di vista di un padre che si guarda indietro e si accorge che ormai Tommy è diventato grande e soffre di qualcosa di imparabile anche con tutto l’amore del mondo. Sarebbe stato bello ce ne fossero stati ancora di più di questi squarci nel passato, dai colori pastello e l’anima vintage, come mettere dentro un videoregistratore qualche vecchio vhs delle vacanze estive degli anni Novanta”.

Dello stesso autore su tuttatoscanalibri

Il rosmarino non capisce l’inverno

Mezzamela. La bellezza di amarsi alla pari

Un buon posto in cui fermarsi

Cristina Cassar Scalia “Il castagno dei cento cavalli”, presentazione di Salvina Pizzuoli

«La Boscaiola» era un tipo schivo, però non dava fastidio nessuno: una di quelle persone che non sembrano avere amici e nemmeno nemici. Eppure qualcuno l’ha uccisa. Poi ha infierito sul suo cadavere come se avesse un intento preciso. Un nuovo caso per Vanina Guarrasi (dal Catalogo Einaudi)

“In cima alla salita, recintato da una cancellata dipinta di verde, il Castagno dei cento cavalli si stagliava maestoso con i suoi tre tronchi e il cappello fitto di rami che in quel periodo erano particolarmente verdi. Il piú grande dei tre fusti, quasi un secolo prima, era stato in parte intaccato da un incendio doloso”.

Un cartello ne illustrava la storia

“Dai riconoscimenti di cui l’albero era stato insignito, alla leggenda da cui era derivato il nome: la storia della regina Giovanna che, arrivata dalla Spagna per visitare l’Etna con una vasta corte al seguito, aveva cercato riparo per sé e per i suoi accompagnatori sotto le fronde dell’albero che era riuscito a contenerli tutti”.

Il Castagno dei cento cavalli, riconosciuto dall’Unesco nel 2008  era un  «monumento messaggero di pace nel mondo», ma sotto le sue ampie fronde l’assassino aveva voluto seminare morte infierendo oltremodo sul cadavere. Un nuovo caso per Vanina, un caso complicato perché della vittima non si conosce il nome e quando le indagini risaliranno fortunosamente alla sua identità in effetti quest’ultima si rivelerà non effettiva. Un romanzo ancora una volta corale: tutta la squadra al completo collaborerà in modo indefesso alla soluzione: non manca nessuno all’appello nemmeno l’ormai ottantatreenne Patané, commissario in pensione, con i suoi vecchi metodi d’indagine sarà ancora una volta efficace e sempre in sintonia con le intuizioni di Vanina.

Non mancano i richiami e il continuo delle storie personali dei personaggi tutti, riallacciate agli avvenimenti pregressi che per chi ha letto tutti i romanzi sono conosciuti, ma servono al nuovo lettore per capire e condividere i nuovi sviluppi che ne fanno persone e non solo personaggi con problemi, difetti, umane debolezze. Non manca la cucina, i piatti, i dolci e le dolcezze cui Vanina non sa assolutamente rinunciare.

Una bella rimpatriata, sempre gradita e gradevole che dispiace concludere in attesa dei nuovi sviluppi che si dovranno attendere dei quali alcuni già chiari e i cui segni premonitori si ritrovano tra le righe di questo ultimo e avvincente giallo, che solo giallo non è, ambientato a Catania e a Palermo: amici ritrovati in una terra piena di sole e di mare, di bellezze, di tradizioni, di linguaggi, di efferati delitti, di antichi e nuovi problemi, ma anche di solide amicizie, amori, storie familiari, scelte, bizzarrie.

Della stessa autrice su tuttatoscanalibri

Sabbia nera

La logica della Lampara

Il talento del cappellano

L’uomo del porto

La salita dei saponari

La carrozza della santa

Il Re del gelato

La banda dei carusi

Scalia, De Cataldo, De Giovanni, Tre passi per un delitto

Le stanze dello scirocco

La seconda estate

Giancarlo De Cataldo “Il bacio del calabrone”, presentazione di Salvina Pizzuoli

Una morte sospetta proietta un’ombra sinistra su una prima all’Opera.

Giancarlo De Cataldo compone con maestria una trama affascinante, dal sapore classico e dal ritmo serrato. Un mistero che porta il Pm Manrico Spinori a conoscere, molto da vicino, l’ambiente dell’alta moda internazionale.(dal Catalogo Einaudi)

Un nuovo caso per il pm Manrico Spinori, il contino, protagonista dalle caratteristiche particolari che oltre alla sequela di nomi propri che precedono il suo nobile cognome, sequela che mi ha sempre ricordato Il Cavaliere inestistente di Calvino, è alto, naturalmente elegante, nobile e bello, ed è anche un melomane convinto che la soluzione di molti delitti possa trovarsi tra le note di un’Opera lirica o che comunque su quella strada, appena intuita l’opera chiave, sarà possibile rintracciarla

“Era convinto che non esistesse situazione umana, incluso il delitto, che non fosse stata affrontata da un melodramma. Dinanzi al delitto, dunque, si trattava di individuare l’opera di riferimento. Era ungioco, e non lo era: in alcuni casi scottanti il meccanismo opera[1]crimine aveva funzionato. Perché nell’opera si annidano i moti profondi dell’animo, e i delitti, tutti i delitti, da quello dipendono, in ultima analisi: da un’alterazione dei moti dell’anima”.

 In questo nuovo caso la vittima è il titolare di una nota maison la cui morte è avvenuta  nel laboratorio dei costumi del Teatro Costanzi di Roma per la prima della Traviata, come dall’incipit

“ La serata era cominciata male per Manrico Spinori. Su invito del sovrintendente Luci, aveva assistito alla prima di una nuova edizione della Traviata di Giuseppe Verdi. La regia scolastica di un lituano che andava incomprensibilmente per la maggiore e l’intollerabile sovrabbondanza di pizzi, trine e crinoline lo avevano messo di cattivo umore. Nemmeno il cast, di buon livello, era riuscito a compensare la pretenziosità dell’insieme. Eppure, i battimani non erano mancati. Mentre cercava con fatica di guadagnare l’uscita del Teatro Costanzi, Manrico si domandava se non stesse diventando uno di quei melomani inaciditi ai quali non va mai bene niente. Era a due passi dalla sospirata libertà di una fresca sera di aprile quando Luci, distaccandosi da un gruppetto di entusiasti dall’inequivocabile aspetto di gentiluomini nordeuropei, lo prese sottobraccio.
– Manrico! Ti unisci a noi per la cena, naturalmente.
Non ebbe cuore di sottrarsi. Durante il tragitto verso la meta, fu costretto a mentire spudoratamente: sí, lo spettacolo gli era piaciuto, la messa in scena era entusiasmante, le voci impareggiabili…
L’espressione perplessa del sovrintendente, però, la diceva lunga sul suo talento di attore. E cosí, scortato da una hostess in tailleur nero e dal sorriso raggelato, si ritrovò a un tavolo rotondo da dodici, nell’immenso salone del Laboratorio del Teatro dell’opera. Da qualche anno, in occasione di eventi particolari, il Laboratorio veniva usato per la cena di gala, riservata a una ristretta selezione di invitati”.

Una morte cui Manrico occasionalmente sarà spettatore. Ma non sarà l’unica: riguarderà l’avvocato addetto alle trattative di vendita della maison e un ex modello. Affiancato dalla sua squadra investigativa e dalla insostituibile ispettrice Deborah Cianchetti, il nostro giungerà al fine ad avere ragione dei casi grazie anche alla lirica che nella finzione contiene e nasconde la verità.

Dello stesso autore su tuttatoscanalibri

Io sono il castigo

Un cuore sleale

Il suo freddo pianto

Colpo di ritorno

Maurizio de Giovanni “Soledad. Un dicembre del commissario Ricciardi”, presentazione di Salvina Pizzuoli

[…] Anche Erminia Cascetta era diversa, a modo suo.  Aveva troppa voglia di vivere, perciò l’hanno uccisa. In questo tempo che accelera verso l’abisso, spetta al  commissario Ricciardi e al brigadiere Maione scoprire chi è stato. La chiave di tutto, però, è sempre la solitudine. Che, a volte nemmeno lo sappiamo, ci siede accanto.

1939. L’Italia si prepara a vivere l’ultimo Natale di pace, ma un omicidio squassa il ventre della città (dal Catalogo Einaudi)

Ancora Ricciardi e Maione in una Napoli fredda e sferzata dalla pioggia in una stagione che attanaglia i cuori dei suoi abitanti come la situazione stessa che il paese andava vivendo e del pericolo che andava a profilarsi sempre più netto. E tanta solitudine: del dottor Modo, dello stesso vicequestore Garzo, della contessa Bianca, dei suoceri rimasti soli dopo la morte di Enrica, di Bambinella e di Luigi, lo stesso  commissario Ricciardi…

Sì, forse poteva intitolarsi Solitudine, ma c’è un mondo nel romanzo, lontano da Napoli e dall’Italia, dove anche lì la solitudine e la nostalgia hanno fatto breccia: si balla e si canta, ma non basta, racconta la realtà di una donna italiana, Laura, già incontrata in Caminito, ed è Soledad il titolo della nuova canzone, resa famosa da una pellicola con protagonista Carlos Gardel, morto in un incidente aereo nel 1935, che Laura vuole imparare ad interpretare grazie a Diego conosciuto “in una sera di uno strano, gelido luglio, Laura era entrata in un bar e aveva bevuto. Molto. La solitudine la schiacciava sotto il peso di mille rimpianti. Si era messa a cantare sulla musica con cui un’orchestrina stava facendo ballare gli avventori[…]La voce di lei si era rivelata una risorsa straordinaria: Laura era una cantante duttile capace di esibirsi in qualsiasi repertorio; e l’arte di Diego, la sua conoscenza del tango erano per la donna il luogo giusto in cui trovare rifugio”

Piacevole, a chi conosce la serie che Di Giovanni ha costruito con il commissario protagonista, ritrovare le tante figure che la popolano, tratteggiate perfettamente, anche in questi nuovi sviluppi e avvenimenti per i personaggi principali e secondari, solo perché compaiono poco ma sono sempre di spessore. E poi il nuovo caso, con un’agnizione finale davvero imprevista. E la solitudine dei molti, quasi diffusa nell’atmosfera della Napoli del ’39, respirata e palpabile.

Un nuovo romanzo di cui non voglio svelare nulla ma che catturerà come sempre il lettore che avrà vissuto e avuto l’occasione di muoversi insieme ai personaggi tra le strade e i vicoli di una Napoli così vera nelle sue contraddizioni, nella sua miseria, nei suoi colori, nelle sue canzoni, nei suoi panorami struggenti e abbaglianti.

Dello stesso autore su tuttatoscanalibri

“Il metodo del coccodrillo”

“Gli occhi di Sara”

“Un volo per Sara”

“Caminito. Un aprile del commissario Ricciardi”

Cassar Scalia, De Cataldo, De Giovanni “Tre passi per un delitto”

Sorelle. Una storia di Sara

Erri De Luca ” A schiovere. Vocabolario napoletano di effetti personali”, presentazione di Salvina Pizzuoli

Feltrinelli

Una serie di vocaboli e di espressioni in napoletano, per l’autore una serie di “effetti personali” raccontati come tali e illustrati da Andrea Serio.

E, come spiega nella Prefazione, è linguaggio appreso da voci vicine e affettive, legato a ricordi, a letture, ad avvenimenti, fatto di raffigurazioni, espressioni personalizzate  “Le parole qui raccolte sono effetti personali, calli che hanno resistito sotto il guanto dell’italiano” e continua precisando “Il napoletano è un utensile impugnato a mano nuda. Non sta sulla punta della lingua ma nel palmo. Lo maneggio con me stesso, lo canto, mi dico versi e proverbi, lo adopero da sprone e da scoraggiamento, per una collera, per un complimento”.

Centouno vocaboli “estratti dal mio giacimento napoletano”, scrive in chiusura e relativamente all’espressione “a schiovere” che dà il titolo a tutta la raccolta “È la maniera con cui mi vengono le storie, sbucate alla rinfusa da un guizzo di ricordo. Anche le circostanze della mia stessa vita stanno sotto la sigla a schiovere, dove niente è accaduto per progetto, invece sotto impulso di avvenimenti vari. Concludo questi centouno vocaboli estratti dal mio giacimento napoletano. Ringrazio chi mi chiede di proseguire, ma rispondo che da ospite devo lasciare la tavola finché ancora gradito. Qui termina il mio vocabolario a schiovere”

Anche per me che amo i dialetti è stata una scoperta; a parte alcune espressioni che riconosco e che so interpretare, la maggior parte mi sono davvero sconosciute e celano sotto la superficie significati nascosti: oltre agli effetti personali dell’autore, c’è tutta la storia e la filosofia di vita di una terra di grande cultura che li esprime attraverso la lingua che le è propria e dove affonda le proprie radici.

E spigolando e stralciando, per far capire di quel che vi si tratta, ma senza esagerare, perché levando troppo  dal contesto se ne perde l’efficacia

A Napoli era difficile cadere in mezzo alla folla che gremiva le strade. Ci si poteva sempre appoggiare a qualcuno, e in caso di sconocchiamento, cioè di cedimento degli arti inferiori, si veniva subito sorretti. Ora in città c’è meno densità abitativa. Se uno cade si deve alzare da solo. Si uno car’, s’adda aiza’ isso sulo

Nei momenti di tensione e affanno mi esce, puntuale e pronto, il napoletano. Mi protegge.È il mio arricietto (Ndr ovvero rifugio, in tempo di guerra è una parola d’ordine.Si scappava al suono lugubre della sirena di allarme per trovare un arricietto nei rifugi antiaerei)

Un proverbio locale, di genere consolatorio, afferma: “Pure nu càucio arèto è nu pass’ annanz’”. Pure una pedata nel sedere è un passo in avanti. Chi ne ha presi molti non è tanto convinto di essere avanzato gran che, ma i detti popolari hanno spesso ragione.

Zallo fa radice per “’o ’nzallanuto”, il rimbambito. Per mia nonna era sentenza grave e peggiore insulto. Perché non si poteva essere ’nzallanuti a Napoli. Ne andava della vita stessa, oltre che della reputazione. A volte coincidono: per evitare il rischio di passare per tale, si accetta di correre un serio pericolo.

Ho incontrato la parola nella canzone “’O Guarracino”, composta nel 1700. Si racconta di un pesce che si agghinda per cercarsi una fidanzata: “Tutto pósema e steratiello, ieva facenno lo sbafantiello”. Tutto in posa e tirato/stirato a nuovo, andava facendo lo sbafantiello, che è un insieme di azzimato, vanesio, esibizionista. Il diminutivo in -iello ridimensiona la pretesa esponendo al ridicolo.

Dello stesso autore su tuttatoscanalibri

Le regole dello Schangai

Spizzichi e bocconi

Fruttero e Lucentini “Enigma in luogo di mare”, presentazione di Salvina Pizzuoli

Un giallo del 1991, datato, prezioso perché come tutte le cose preziose è esemplare e unico. Per oggi forse troppo lento, ma con tanti aspetti positivi che controbilanciano: orchestrato e studiato  anche nei particolari, impeccabile e creativo nell’uso della lingua.

Una carrellata, spesso ironica e sferzante, di tipi umani, tutti protagonisti, raffigurati all’ “interno” di un luogo particolare, quella pineta nel testo denominata della Gualdana, nei pressi di Castiglione della Pescaia, con i suoi 18300 pini piantati nel lontano Settecento per volontà delle studioso Ximenes a protezione del litorale dal vento e dalla salsedine: a Roccamare , alla vigilia di Natale.

Pennellati nella loro quotidianità di vizi e di virtù. Si apre con una situazione che potrebbe diventare essa stessa “gialla” ma che al contrario si risolve per dilatarsi nel tempo e nei luoghi all’interno e nei dintorni, lentamente, ma in modo gustoso, dove il periodare e la lingua, precisa, di piacevole scorrevolezza, immaginifica ed evocativa sa catturare l’attenzione del lettore che ad un certo punto si muove come uno di loro, tra amici e conoscenti, simpatici e antipatici.

Una riscoperta, grazie al volume di Alberto Riva “Ultima estate a Roccamare” un saggio che mi ha trasportato nel tempo alla ricerca di quelle lontane letture e convinto a ripresentarle e tra queste anche Palomar di Calvino di prossima pubblicazione

La copertina della prima edizione