Primo Levi “Storie naturali”

Quando si pensa a Primo Levi si ricorda spesso solo l’autore di “Se questo è un uomo” o di “La tregua” dimenticando il Levi autore delle varie raccolte di racconti definiti fantascientifici: “Storie naturali” “Vizio di forma” “Lilit” , e fa quasi sorridere che lo stesso Levi si fosse posto nei panni del lettore che lo avrebbe per sempre associato a quelle due prime opere, stimate di alta levatura narrativa, tanto da presentare la prima stesura delle Storie naturali (1966) con uno pseudonimo: Damiano Malabaila. E sempre per colmo del suo scrupolo fu sempre lui a presentare nella bandella editoriale il proprio lavoro, quasi avvertendo che vi si potevano trovare satira e poesia, epica e realtà quotidiana, un’impostazione scientifica e nello stesso tempo il gusto per l’assurdo. E aggiungeva, fingendo di aver scritto una lettera all’editore:

Ho scritto una ventina di racconti e non so se ne scriverò altri. Li ho scritti per lo più di getto, cercando di dare forma narrativa ad una intuizione puntiforme, cercando di raccontare in altri termini (se sono simbolici lo sono inconsapevolmente) una intuizione oggi non rara: la percezione di una smagliatura nel mondo in cui viviamo, di una falla piccola o grossa, di un “vizio di forma” che vanifica uno od un altro aspetto della nostra civiltà o del nostro universo morale. Certo, nell’atto in cui li scrivo provo un vago senso di colpevolezza, come di chi commette consapevolmente una piccola trasgressione. Quale trasgressione? Vediamo. Forse è questa: chi ha coscienza di un “vizio”, di qualcosa che non va, dovrebbe approfondirne l’esame e lo studio, dedicarcisi, magari con sofferenza e con errori, e non liberarsene scrivendo un racconto. O forse ancora: io sono entrato (inopinatamente) nel mondo dello scrivere con due libri sui campi di concentramento; non sta a me giudicarne il valore, ma erano senza dubbio libri seri, dedicati a un pubblico serio.

Eppure fu proprio questa combinazione tra rigore della scienza e letteratura che aveva colpito e ammirato Italo Calvino, già ammirato dall’opera di Galileo Galilei e alle prese egli stesso con la medesima volontà combinatoria come poi nelle Cosmicomiche. “Nello stesso periodo in cui Calvino scriveva le Cosmicomiche, Levi pubblicava le Storie naturali. Dopo averle lette Calvino ne restava colpito a tal punto che gli scrive dicendogli che il meccanismo fantastico che scatta da un dato di partenza scientifico-genetico ha esercitato su di lui una suggestione intellettuale e poetica. Anche Levi compie infatti un’operazione non diversa da quella di Calvino nell’incorporare la scienza nella letteratura. Levi definiva infatti la chimica un patrimonio di metafore capace di offrirgli, in quanto chimico, addirittura un vantaggio nei confronti dei colleghi scrittori. È evidente l’antropomorfizzazione delle macchine e la combinazione del procedimento scientifico con quello letterario: in Cladonia rapida, le automobili si ammalano, anzi la loro vernice si ammala, attaccata da parassiti; Levi procede con rigore scientifico a dimostrare il sesso delle automobili e la memoria di cui questi esseri sembrano essere dotati. Il linguaggio per raccontare che utilizza è quello del mito mentre il procedere e l’indagare è scientifico.[…] Nel saggio “Ex chimico” ribadisce ancore il medesimo concetto scrivendo che il suo mestiere di chimico gli ha conferito un abito mentale di concretezza e concisione perché la chimica é l’arte di separare, pesare e distinguere: sono tre esercizi utili a chi si accinge a descrivere fatti e a dare corpo alla propria fantasia” ( da Ellin Selae n.96 “Superare la perdita della forma del mondo” di Salvina Pizzuoli)

Dalla quarta di copertina alle tre raccolte con il titolo di “I racconti”

[…] Chimico dagli interessi enciclopedici, con un particolare amore per la natura, gli animali, i linguaggi, il piacere della sperimentazione della ricerca, Levi si avventura e esplorare le infinite possibilità combinatorie che la natura consente, ma non dimentica di cogliere le anomalie, le sfasature, i “vizi di forma” in cui si annida il germe di catastrofi piccole e grandi. Sempre arguta e precisa la sua vena di narratore non è tuttavia apocalittica: al contrario, è mossa da una divertita curiosità per l’uomo e per le cose dove il fermo giudizio morale si accompagna al sorriso ( Ernesto Ferrero)