Maurizio de Giovanni “Sorelle. Una storia di Sara”, presentazione

[…] Sara dovrà scavare dentro tutto ciò che sa di lei. Tornare alle indagini di ieri, collegarle a quelle di oggi. Ma dovrà soprattutto schiudere lo scrigno dei ricordi, anche i più minuti, all’apparenza insignificanti, che ognuno di noi cela a propria insaputa in fondo al cuore. Lì in mezzo, Mora potrebbe indovinare la pista giusta, a cui arriverebbe – in uno slancio dell’anima – soltanto una sorella.(da Rizzoli Libri)

Sesto romanzo della serie dedicata a Sara Morozzi, detta Mora: tra presente e passato, le pagine si muovono negli anni Ottanta e Novanta quando le due protagoniste, Sara e Teresa, lavoravano assieme, collaboratrici ma certamente anche amiche, diverse anche nei colori e nel comportamento: Bionda,  bella e impulsiva Teresa; Mora, la posata e razionale Sara.

“Diverse come il giorno e la notte, lei e Bionda sono amiche, colleghe, rivali. Più ancora: sorelle” si legge nella sinossi.

Il nuovo caso le vede protagoniste nuovamente, la prima, capo dell’Unità segreta dei Servizi, sicuramente rapita, e la seconda, ex agente in pensione, alla sua ricerca. È lei che ha capito infatti dalla mancata risposta ad un messaggio che l’amica è in pericolo e per soccorrerla dovrà indagare su quanto il suo e il loro passato le potrà rivelare. In questa difficile indagine sarà coadiuvata da una squadra anche di ex come Andrea Catapano, l’anziano e non vedente, ma che sa vedere chiaramente i pericoli,  l’ex agente con cui le due hanno condiviso le esperienze più significative, ma anche l’acume della fotoreporter Viola, nuora di Sara, e dell’ispettore Pardo con l’inseparabile cane Boris. Una corsa contro il tempo alla ricerca di quelle prove che Bionda potrebbe ancora detenere e che potrebbero incastrare chi l’ha rapita e tiene prigioniera in attesa di eliminarla, ma che possono diventare merce di scambio per salvarla.

Dello stesso autore su tuttatoscanalibri

“Il metodo del coccodrillo”

“Gli occhi di Sara”

“Un volo per Sara”

“Caminito. Un aprile del commissario Ricciardi”

Cassar Scalia, De Cataldo, De Giovanni “Tre passi per un delitto”

Stefania Spanò “Nannina”, presentazione

“Per le femmine tutte le cose sono più difficili. Devi imparare a difenderti. Tu devi sempre tenere il coraggio di parlare, Stephanie». E se lo dice lei deve essere così. Del resto sua nonna è Nannina de Gennaro, detta Nannina la Cuntastroppole, la cantastorie”.(da Libri Garzanti)

Nannina è la cuntastroppole nella realtà come nel romanzo che ha due protagoniste, la nonna e la nipote Stephanie, la voce narrante. In un mondo che si perde perché, come scrive la stessa autrice, “quel mestiere che non esiste più e che, così com’era, proprio non può più esistere, perché quel senso di comunità, in cui l’io e il noi si confondono, è sparito assieme alla generazione di mia nonna. È nella fatica di questo passaggio del testimone che nasce il mio romanzo”[…] (da Il Libraio, di Stefania Spanò)

È ambientato a Secondigliano il romanzo d’esordio della Spanò quando Stephanie ha dieci anni e non può andare a giocare fuori all’aperto perché è una femmina, così legge sul balcone e studia perché da quanto le ha detto la nonna che vive due piani più in basso le parole sono la sua unica difesa contro il mondo. Le storie e le parole anche in un mondo cambiato saranno sempre efficaci: a Stephanie continuare la tradizione, riprendere la voce di Nannina, e portare le “stroppole” tra nuovi ascoltatori, e cercare quel riscatto di ragazza attraverso le storie e le parole, come aveva fatto Nannina in tempi lontani, conquistandosi un posto in prima fila, lei una semplice cuntastroppole.

Brevi note biografiche

Stefania Spanò è cantastorie, interprete Lis e insegnante di sostegno nella scuola secondaria di primo grado. Conduce da anni laboratori di teatro, scrittura creativa, comunicazione empatica e poesia visiva nelle periferie turbolente dell’hinterland napoletano, nel resto d’Italia e all’estero. Come cantastorie porta in giro i cunti della tradizione di famiglia e quelli scritti da lei. Sogna di fare il giro del mondo con i suoi scugnizzi e tornare a Secondigliano con antidoti e pozioni esotiche di disobbedienza civile. Questo è il suo primo romanzo.(da Garzanti Autori)

La Quarta di Copertina

Aldo Bondi “Compagni di umanità – Dietrich Bonhoeffer e Antonio Gramsci” recensione di Luisa Gianassi

Edizioni Helicon

Terminata la lettura del libro “Dietrich Bonhoffer e Antonio Gramsci Compagni di umanità” di Aldo Bondi, posso rispondere alla domanda: perché leggere questo saggio di 500 pagine?

Perché Bondi ci propone l’esempio di due uomini che in tempi bui e difficili si sono nutriti di umanità e non hanno perso la fiducia nell’uomo. Hanno sopportato le dure condizioni carcerarie e la loro mente, che il regime nazista e quello fascista volevano distruggere, non ha smesso di funzionare grazie alla forza d’animo sostenuta dalla cultura, dall’etica e dalla fede. Fede che Bonhoffer aveva in Dio e Gramsci nel progresso dell’umanità. Alla fine della lettura si avverte una forza e un coraggio che riempie di speranza, una speranza che è importante trasmettere alle nuove generazioni.

Nel libro A. Bondi mette a confronto gli scritti carcerari di Dietrich Bonhoffer e Antonio Gramsci e attraverso l’analisi di alcune parole chiave crea fra loro un dialogo virtuale, trovandone i punti di incontro. Entrambi, anche se fisicamente provati dall’esperienza carceraria, mantengono lucide le loro menti, vivono pienamente la loro esistenza anche da reclusi, sviluppando le proprie idee in maniera inedita. Sono entrambi intellettuali, uomini di azione e di fede, anche se diverse sono le loro condizioni carcerarie e diverse le situazioni nelle quali operano. Bonhoffer è un teologo luterano tedesco, Gramsci è il segretario del partito comunista italiano, ma si incontrano nell’idea della sacralità della politica, per la quale sono stati disposti a sacrificare l’esistenza. Bisogna ricordare che Gramsci, per la sua condizione di prigionia non conoscerà mai il suo secondo figlio e vedrà pochissimo il primo. Per entrambi la politica investe il settore etico ed è strettamente legata alla situazione storica. Li accumuna la convinzione che il pensiero deve trasformarsi in azione politica. Il politico non può pensare di stare in mezzo agli uomini senza interessarsi di quello che accade loro. Gramsci scrive alla moglie Giulia: “per fare politica bisogna amare l’uomo”.

Questi due uomini pensano che l’azione politica debba avere grande attenzione per le generazioni future. Bonhoffer afferma che è necessario porsi “la domanda ultima” e cioè non pensare a cavarsela eroicamente nella contingenza presente, ma riflettere sulle conseguenze che l’azione avrà sulla vita della generazioni future e conclude che solo da questa “ domanda storicamente responsabile possono nascere soluzioni feconde, anche se provvisoriamente molto mortificanti. Allo stesso modo Gramsci con l’espressione “spirito statale” indica la responsabilità di essere solidali con la generazione precedente e quella futura e precisamente: ”con gli uomini che oggi sono vecchissimi e che rappresentano il passato che ancora vive fra noi e con i bambini, le generazioni nascenti e crescenti di cui siamo responsabili”. Per entrambi, nella politica, la cultura ha un ruolo fondamentale. Per Gramsci significa autodisciplina intellettuale (padroneggiare le proprie competenze) e autonomia morale (capacità di scegliere per trasformare la società). Anche per Bonhoffer la cultura è fondamentare per sviluppare libertà interiore ed essere veri uomini. Per entrambi la formazione culturale deve dare una salda interiorità, e capacità critica, che significa anche mettere in discussione la propria opinione. Non avere il rispetto ortodosso per i padri fondatori. Marx e Lutero non sono idoli e non vanno letti prendendoli alla lettera. Bisogna cogliere il nucleo dinamico del pensiero e dell’azione per applicarla nel contesto storico nel quale si vive. Entrambi compiono una evoluzione del loro pensiero. In Gramsci questa evoluzione risente dell’esperienza della costruzione della società sovietica, dovendo fare il bilancio dello stalinismo, anche se in modo velato per non dare adito al regime fascista, che lo controllava, di essere utilizzato in senso anticomunista. Bonhoffer approderà al “cristianesimo inconsapevole”, arrivando a dire che la Chiesa, anche quella Confessante della quale faceva parte e che si era opposta al nazismo, doveva tacere e fare solo opere di giustizia.

Nel libro Bondi, oltre a sottolineare la forza di questi due uomini, che pur storicamente vinti fanno emergere i pensieri più alti del novecento, evidenzia la solitudine politica che questi due uomini si trovano a vivere. Proprio per la loro capacità critica e libertà interiore si trovano ad essere emarginati l’uno dalla chiesa e l’altro dal partito, ma si trovano ad essere compagni di umanità, perché come scrive Aldo Bondi nell’introduzione “non credo si tratti di casualità se proprio nei momenti più bui della storia sono fioriti esempi straordinari di umanità, testimoni luminosi come Bonhoffer e Gramsci, capaci di immergersi fino in fondo nell’humanum e mantenere inalterata fa fede nelle possibilità di riscatto e trasformazione degli uomini”

Aldo Bondi (Firenze, 1946) ha insegnato a lungo nella scuola secondaria, in particolare, negli ultimi 23 anni, Storia e Filosofia nei Licei occupandosi, tra l’altro, di sperimentazione didattica. Ha curato alcune pubblicazioni dell’IRRSAE Toscana e ha scritto diversi capitoli della Storia del pensiero umano di E. Balducci (3 voll. Firenze, 1986). Ha curato il volume a più voci, Esperienza religiosa e passione civile in Luciano Martini, Firenze, 2013, e collaborato al libro (G. Sani a cura di) Padre Balducci. Fede e religione nella società della tecnica, Arcidosso, 2018, nonché a due cataloghi (Gianni e Pierino. La scuola di Lettera a una professoressa e Costituzione e Resistenza. Un percorso sul Sentiero di Barbiana) prodotti dalla Fondazione Don Lorenzo Milani rispettivamente nel 2019 e nel 2021. Altri suoi scritti, su argomenti storici e filosofici, sono stati pubblicati su riviste, volumi miscellanei e atti di convegno. È autore di due libri: Tra Gramsci e Teilhard. Politica e fede in Alberto Scandone (1942–1972), Roma, 2012 e Quando il futuro governava il presente, Trapani, 2016.( da Edizioni Helicon, Autori)

Gianni Bonini “Paesaggi mediterranei. Dove la geografia provoca la storia”, Edizioni Samizdat, presentazione

Prefazione di Stefania Craxi

To be men not destroyers, l’invito finale dei Cantos chiude icasticamente il XX secolo. Noi non possiamo non farlo nostro e, se è vero che la geografia provoca la storia, tornare ad immergerci nel Mediterraneo, il crocevia liquido che ha sedimentato la nostra civiltà e tornare a studiare i classici proprio quando la cibernetica sembra renderli obsoleti insieme alle nostre aspirazioni alla giustizia sociale (dalla Quarta di copertina)

Paesaggi mediterranei, così come si legge nella Nota dell’autore in apertura al volume, raccoglie nella Prima Parte gli scritti principali pubblicati negli ultimi tre anni, apparsi su riviste come articoli, interviste e saggi brevi di geopolitica scritti tra il 2019 e il 2021; nella Seconda dialoghi con Lorenzo Somigli e altri scritti comparsi tra il 2020 e il 2021

Scrive Gianni Bonini, manager energetico e appassionato cultore di geopolitica, esponendo le proprie motivazioni a riunire gli scritti che compongono il volume:

Il libro prende avvio dall’assunto fatto proprio da Cyprian Broodbank al capitolo secondo della sua insuperabile summa sul Mediterraneo – Il Mediterraneo, Piccola Biblioteca Einaudi, 2015.

“Esistono posti”, ha scritto il poeta Iosif  Brodskij, “la cui osservazione sulla mappa si unisce momentaneamente con la Provvidenza. Posti dove la storia è ineluttabile […] posti dove la geografia provoca la storia.” Il Mediterraneo, prosegue l’archeologo britannico, è pieno di simili luoghi e, pur volendo evitare le semplificazioni deterministiche e riconoscere che la cultura rielabora gli spazi fisici, è evidente che nel corso del tempo questi hanno tendenzialmente incoraggiato o scoraggiato determinate tipologie di attività e decisioni nei popoli vicini.

Così la Storia e la Geopolitica che si intrecciano nei saggi e nelle interviste diventano racconti e narrazioni che vanno oltre la contingenza degli eventi e scavano nelle esistenze dei popoli che si incontrano sullo sfondo, principalmente della prepotente centralità assunta dall’area MENA – Middle East and North Africa – a partire per lo meno dall’Ottocento, dall’apertura del Canale di Suez, ma Napoleone in Egitto non ci andò per capriccio, e poi dalla dissoluzione dell’Impero Ottomano e dalla sostituzione del carbone con la nafta nella Royal Navy.

Mediterranean First non è soltanto l’imperativo strategico di Churchill nel secondo conflitto mondiale, riassume bene ancora oggi l’importanza del vecchio mare nostrum nel quadro di una globalizzazione che si va rattrappendo, il suo essere un formidabile crocevia di scambi commerciali, vitali per la nostra penisola e per buona parte dell’Europa, non solo quella latina, fuoco di un quadrante euro-asiatico che lo storico Franco Cardini ha definito per primo icasticamente “Mediterraneo allargato”, in piena convulsione in Ucraina e sotto crescenti stress da regime change come prolungamento o deriva, se preferite, delle Primavere Arabe.

Il libro si presenta quindi come un’occasione di riflessione civile di respiro che ricerca le radici di un’identità comune e di un meticciato culturale, come il Cardinale Angelo Scola ha chiamato il melting pot di etnie e di culture alla base della koinè mediterranea, che vuole superare il pessimismo attuale dato dall’instabilità endemica nelle sue vicende che non ha mai tuttavia interrotto quel dialogo e quella contaminazione che sono il sale della sua storia. 

Dello stesso autore su tuttatoscanalibri

“Il Mediterraneo nuovo”


Nicola Guarino “Tutto qui”, Graphe.it

Una raccolta di racconti dedicata alla complessità delle vite umane in un Sud senza tempo. I protagonisti sono uomini e donne insoddisfatti, statici, che vivono vite modeste, sono poco decisi sulle loro scelte o provano rimorso per quelle già compiute e rimpianto per quelle rimandate

Una raccolta dinamica, appassionante, divertente in alcuni passaggi e malinconica in altri, che oscilla tra l’assurdo di Dino Buzzati e il realismo di Anna Maria Ortese.

Graphe.it

Pag. 256, 15,90 euro

Gli otto racconti che compongono questa raccolta restituiscono un profilo di eleganza alla narrativa contemporanea. Devono questo privilegio a una scrittura pulitaimpeccabile nella scelta delle parole e capace di dipingere scenari e sensazioni in pochi essenziali tratti.

Al centro della vicenda, spesso un individuo soltanto: i suoi gesti quotidiani, il suo stare e fare che prendono uguale e giusto tempo nella narrazione, all’interno della quale si dipanano le sfumature personali, i fatti, i non detti e i significati che le cose assumono per ciascuno, viste dall’interno, e per gli altri che vi partecipano da fuori. E gli spazi: un Sud senza tempo che ci sembra di conoscere da sempre, racchiuso nel dettaglio di una ringhiera di ferro o nei gessi dei soffitti che appaiono «come dune di sale» agli occhi del protagonista. Come se tutta la vita fosse fare due passi nel quartiere, un calcio al pallone, affacciarsi al terrazzino a veder scorrere la propria storia, compresa la sua fine.

È una giornata bianca, talmente luccicante di sole e così spessa di caldo che vorrei essere nudo. È solo un desiderio, lo fossi brucerei come queste foglie che cadono e io non so perché, sarebbe bello che fosse autunno e invece la strada è vuota, pigra, molle e soprattutto abbagliata da un sole che non si vede. Mi guardo intorno, ma tra i palazzi anni Cinquanta della mia cittadina non riesco a trovarlo, eppure c’è e si muove. So che fa un caldo pazzesco, ma non sudo, non sudo mai. Mi slaccio il bottone della camicia sotto al collo, ma non per necessità: per un attimo mi ha preso la vergogna di sembrare bizzarro, così abbottonato con questi umidi trentasei gradi, percepiti quaranta, in quest’ora sbagliata così prossima al mezzodì. Abbottonato lo sono, anche se ora ho liberato il collo. Lo sono, così introverso, schivo.

NICOLA GUARINO, nasce ad Avellino, ultimo di una famiglia numerosa, nel 1958. La famiglia si trasferisce ben presto a Napoli e qui compie gli studi classici e, in seguito, si laurea in Giurisprudenza alla Federico II. Negli anni del liceo collabora con l’Unità Paese Sera e poi, per mantenersi durante gli studi universitari, lavora all’ippodromo di Agnano. Diventato avvocato, ha fatto parte del Consiglio nazionale di Legambiente. Appassionato di cinema ha curato diverse rassegne e festival sia a Napoli che a Parigi, città in cui vive dal 2004 e in cui insegna lingua italiana all’Università della Sorbona e a Créteil Paris 12. È tra i fondatori della testata online Altritaliani.net.

Francesco Bianchi “Il coraggio dei vinti”, presentazione

Armando Curcio Editore

Se mi chiede perché ho scritto il libro rispondo che la memoria è
importante e ricordare ancora di più. Mi vorrei riallacciare al
pensiero di Liliana Segre, per il giorno della memoria di questo anno,
in cui ha detto  che fra qualche anno non saranno più presenti, nei
libri di storia, le poche righe che attualmente ci sono riguardo la
Shoah. Sacrosanta verità.
Le poche righe riguardo i deportati italiani infatti, prigionieri
politici e internati militari italiani, non ci sono già più eppure si
tratta di migliaia di prigionieri che solo per la decisione di non
piegarsi al regime nazi-fascista hanno pagato, spesso con la vita,
questa scelta. Giusto quindi ricordare anche questo importante
capitolo della resistenza del nostro paese.

Francesco Bianchi

La sinossi

In un podere fiorentino nel periodo della seconda guerra mondiale una famiglia di mezzadri fatica a portare avanti i ritmi delle colture; due dei tre figli dei contadini, Oliviero e Giovanni, prestano infatti il servizio militare.
Anche Elio, il figlio più piccolo, riceve la chiamata alle armi dalla Repubblica Sociale ma decide di non arruolarsi.
Tra fughe, diserzioni e carcere, due fratelli si ritroveranno in un campo di prigionia in Germania mentre il terzo, Giovanni, continua a lavorare forzosamente per i tedeschi. Proprio Giovanni, durante uno dei suoi servizi, si accorge che due deportati sono i suoi fratelli. L’arrivo degli Alleati rappresenta una svolta importante ma il rientro a casa dei superstiti risulta più duro del previsto. Un romanzo che oltre a trattare un periodo storico particolarmente cruento ricorda anche gli argomenti degli eccidi più spietati ed alcuni importanti episodi della resistenza italiana.

Alcuni stralci

Dopo aver ricevuto un passaggio sul camion di un contadino che da Napoli rientrava a Roma, i tre giovani iniziano così la salita di Monte Mario, partenza della Via Francigena a quanto ricorda Terzo. Non si tratta di una vera scalata di montagna, ma la salita è comunque piuttosto ripida e tortuosa e i tre hanno subito il fiato corto.

«Arrivati in vetta troveremo il sentiero» dice Terzo con il fiatone che aumenta passo dopo passo. Si aggiusta continuamente il berretto,
infastidito dal sudore che gli cola dalle tempie e dal forte vento, nonostante la giornata soleggiata.

«Lo spero» commenta Oliviero con un filo di voce, sudato fradicio anche lui.

«Speriamo piuttosto di non fare brutti incontri» conclude Libero.

(dal RIENTRO per LA VIA FRANCIGENA di OLIVIERO: uno dei protagonisti che sarà poi deportato nel campo di prigionia tedesco insieme a suo fratello ELIO)

«Firenze è stata una città esempio, come Napoli. La resistenza ne ha ripulito gran parte dai tedeschi prima dell’arrivo delle forze Alleate; farlo non è stato indolore, però. Ci sono state molte vittime, hanno dovuto seppellire i morti perfino nei giardini e negli orti perché i cimiteri erano pieni.»

«I tedeschi hanno minato e fatto saltare cinque dei sei ponti, dividendo Oltrarno dal resto della città; solo il Ponte Vecchio è rimasto intatto, dicono per volere di Hitler che ha preferito salvaguardare la civiltà. Credo invece che se l’avessero fatto saltare con le case costruite sopra, i detriti avrebbero comunque consentito il passaggio.»

Il giovane si ferma per fare un lungo respiro, poi continua: «Molta gente è scappata nella parte sud dell’Arno e si è nascosta a Palazzo
Pitti. Non c’è stata acqua e luce per giorni. I tedeschi hanno applicato un rigidissimo coprifuoco: se trovavano fuori qualcuno, lo
uccidevano all’istante.»

(dalla RESISTENZA di FIRENZE (racconto di un nuovo deportato nel campo di prigionia di Lauter agli altri deportati tra cui ELIO ed OLIVIERO).

FRANCESCO BIANCHI, classe 1976, fiorentino di nascita e pratese di adozione, ha una formazione tecnico-amministrativa e lavora per un’azienda del settore informazioni. Amante della lettura e della scrittura, ha avuto collaborazioni con testate giornalistiche su temi prettamente economico settoriali. Con il suo libro d’esordio è entrato nella decina finalista della III Edizione – Premio Clara Sereni – sezione inediti con il titolo provvisorio “LA GUERRA E IL PODERE”. Il titolo è stato successivamente modificato per scelte editoriali nell’attuale “IL CORAGGIO DEI VINTI”.

La Quarta di copertina

Carlo Rovelli “Buchi bianchi. Dentro l’orizzonte”, presentazione di Salvina Pizzuoli

“Non lo so se l’idea che i buchi neri finiscano la loro lunga vita trasformandosi in buchi bianchi sia giusta. È il fenomeno che ho studiato in questi ultimi anni. Coinvolge la natura quantistica del tempo e dello spazio, la coesistenza di prospettive diverse, e la ragione della differenza fra passato e futuro. Esplorare questa idea è un’avventura ancora in corso. Ve la racconto come in un bollettino dal fronte. Cosa sono esattamente i buchi neri, che pullulano nell’universo. Cosa sono i buchi bianchi, i loro elusivi fratelli minori. E le domande che mi inseguono da sempre: come facciamo a capire quello che non abbiamo mai visto? Perché vogliamo sempre andare a vedere un po’ più in là…?” Carlo Rovelli (dal Catalogo Adelphi Editore)

Chi come me è digiuno di conoscenze nel settore si accosta con titubanza a un testo di fisica, con curiosità, con l’idea comunque di non trarne grande profitto. Non è stato così. Non solo l’autore è chiarissimo, usa termini accessibili, analogie e raffigurazioni, ma ora so cosa è un buco nero e come è fatto, perché è possibile l’esistenza di un buco bianco, e mi sono accostata ad un concetto incredibile, lo spazio tempo quantistico, passando per la gravità…  E non solo.

Questo breve scritto, ma denso di dati e riflessioni, ha recato anche una scoperta, attesa, devo dire, intuitivamente c’ero approdata, dell’unità del sapere e della metodologia dell’imparare e del conoscere, per nulla lontana da quella che dovremmo utilizzare per aprire quelle che io chiamo le finestre della mente. Non per diventare scienziati, ma per vivere meglio e al meglio dentro la realtà delle cose. Ma procediamo.

Di seguito alcuni  stralci illuminanti a tale proposito:

“Abbiamo capito che la terra è rotonda (due millenni fa); abbiamo capito che si muove (mezzo millennio fa). A prima vista sono idee assurde. La terra appare piatta e immobile. Per digerire simili idee, la difficoltà non è stata l’idea nuova: è stata liberarsi da una vecchia credenza che sembrava ovvia; metterla in dubbio sembrava inconcepibile. Siamo sempre convinti che le nostre intuizioni naturali siano giuste: è questo che ci impedisce di imparare.

La difficoltà quindi non è imparare, è disimparare”

“[…] vedere con la mente”

“L’Occidente ha saputo usare efficacemente la creatività del pensiero analogico, per costruire concetti nuovi a ogni generazione, fino a lasciare in eredità all’odierna civiltà globale la magnificenza del pensiero scientifico. Ma è l’Oriente che ha riconosciuto prima e con più chiarezza che il pensiero cresce per analogie, non per sillogismi. La logica dell’argomentazione basata sulle analogie è analizzata già dalla scuola moista, e implicita in uno dei più grandi libri dell’umanità, quel testo straordinario che è lo Zhuangzi. Il pensiero scientifico fa buon uso della rigidità logica e matematica, ma questa è solo una delle due gambe che l’hanno portato al successo: l’altra è la creatività liberata dall’evoluzione continua della sua struttura concettuale, e questa si nutre di analogie e ricombinazioni”.

“È la capacità di cambiare l’organizzazione dei nostri pensieri che ci permette salti in avanti”.

Non nascondo le difficoltà a seguire la seconda parte, ma ciò non toglie che possa rileggerlo tutte le volte che vorrò: il bello di ogni libro, quello che ti dà subito e quello che scopri ad una seconda, terza rilettura. L’autore ha inoltre un merito: correlare letteratura e scienza, che come commistione non è un procedere da poco, e la notevole dote di avvicinare anche chi non ne sa nulla o poco e soprattutto di riuscirci

“quando scrivo ho in mente due lettori. uno non sa nulla di fisica: cerco di comunicargli il fascino di questa ricerca. l’altro sa tutto: cerco di offrire prospettive nuove”.

Brevi note biografiche

Rovelli Carlo – Fisico e saggista italiano (n. Verona 1956). Dopo essersi laureato in fisica presso l’Università di Bologna, ha svolto il dottorato  all’Università di Padova. Ha lavorato anche nelle Università di Roma e di Pittsburgh, e attualmente è ordinario di fisica teorica all’Università di Aix-Marseille. I suoi studi vertono soprattutto sulla gravità quantistica, R. ha introdotto la Teoria della gravitazione quantistica a loop. Si è anche occupato di storia e filosofia della scienza con il libro Che cos’è la scienza. La rivoluzione di Anassimandro (2011). Tra le sue altre opere: Che cos’è il tempo? Che cos’è lo spazio? (2010), La realtà non è come ci appare. La struttura elementare delle cose (2014), Sette brevi lezioni di Fisica (2014), L’ordine del tempo (2017), la raccolta di articoli Ci sono luoghi al mondo dove più che le regole è importante la gentilezza (2018), Helgoland (2020), Relatività generale (2021) e Buchi bianchi (2023). R. collabora con la Repubblica e il supplemento culturale de Il Sole 24 ore. ( da Enciclopedia Treccani)

Le pagine di tuttatoscanalibri più visitate a febbraio 2023

Ferrazzi “Premonizioni. Punti di contatto tra umano e divino

Cassar Scalia “Il Re del gelato”

Candiani “Questo immenso non sapere”

Curiosità bibliofile: i caratteri tipografici

Tuzzi “Curiosissimi fatti di cronaca criminale”

Viviani “Dimenticato sul prato”

Naspini “Villa del seminario”

Bussola “Mezzamela”

Ochi “Raccontami una storia”

Calvino “Le città invisibili”

Viola “Voltare pagina. Dieci libri per sopravvivere all’amore”

Niccolò Ammaniti “La vita intima”, presentazione

“Maria Cristina Palma ha una vita all’apparenza perfetta, è bella, ricca, famosa, il mondo gira intorno a lei. Poi, un giorno, riceve sul cellulare un video che cambia tutto. Nel suo passato c’è un segreto con cui non ha fatto i conti. Come un moderno alienista Niccolò Ammaniti disseziona la mente di una donna, ne esplora le paure, le ossessioni, i desideri inconfessabili in un romanzo che unisce spericolata fantasia, realismo psicologico, senso del tragico e incanto del paradosso”.(dal Catalogo Einaudi)

Ammaniti torna al romanzo dopo otto anni soffermandosi sul tema dell’apparire, sull’immagine di sé all’esterno e il contrasto che può esserci tra il dentro e quel fuori. Lo intitola infatti “La vita intima” e affida quest’analisi alla protagonista, Maria Cristina Palma, ex modella e moglie del presidente del Consiglio italiano.

Al tema dell’ossessione per l’immagine pubblica di sé, si affiancano altre tematiche che presentano il nostro quotidiano preso nella filosofia dei social, tra sospetto e paranoia, tra superficialità e consenso, quest’ultimo troppo veloce e poco indagato, concesso agli amministratori pubblici e ad una politica vuota di ideali.

La protagonista è un personaggio pubblico e la sua bellezza più che un vantaggio diventa un ostacolo. In una recente intervista (La Repubblica, 17 gennaio, di Annalisa Cuzzocrea) lo scrittore dichiara che da tempo era interessato al fatto che donne così diventino quotidianamente bersaglio di ingiurie o complimenti esagerati e che gli interessava “quel che si cela dietro tanta perfezione”. Un compito affidato alla protagonista che più degli altri è esposta al meccanismo del controllo di come si è percepiti dagli altri, anche se è ormai presente nella vita di tutti: ne indaga quindi e ne evidenzia il contrasto tra come si presenta in pubblico, come viene immaginata e pensata, e ciò che effettivamente si agita nel suo mondo interiore cosa crede e sente, mondo interiore che si libera lentamente e la cui svolta viene data dal filmato hot che le arriva sul cellulare; un filmato che potrebbe, se divulgato, distruggere la sua immagine: un inferno, una minaccia. Un romanzo che indaga la nostra società, i suoi aspetti malati, il nostro interno compresso o dimenticato.

Dello steso autore su tuttatoscanalibri:

Branchie

I top 3 a cura di Maurizio Amore

Shirley Jackson “Un giorno come un altro”, presentazione di Salvina Pizzuoli

Il cinquanta per cento della mia esistenza è dedicato a lavare e vestire i bambini, a cucinare, a lavare piatti e vestiti […] dopo che ho messo tutti a letto, mi giro verso la mia macchina da scrivere e provo a… bè, a creare ancora una volta qualcosa di concreto […] Per tutto il tempo mi racconto storie […] uno scrittore scrive sempre, vede tutto attraverso una foschia sottile di parole, e adatta piccole descrizioni veloci a tutto ciò che vede (dalla biografia dell’autrice di Mason Currey)

I racconti proposti da Adelphi nella traduzione di Simona Vinci e pubblicati per la prima volta in italiano, sono testi brevi editati dall’autrice su varie riviste statunitensi tra il 1943 e e il 1968.

Colpiscono per le tematiche che affrontano, lontane dalle situazioni terrificanti dei romanzi che l’hanno resa famosa (L’incubo di Hill HouseLa lotteria e Abbiamo sempre vissuto nel castello).

Prevale un’ ironia sottile e amara che permea il quotidiano delle vite dei tanti e vari protagonisti e soprattutto protagoniste; presenta vicende apparentemente semplici di vite stereotipate, una quotidianità e una normalità inquiete negli accadimenti e nelle contraddizioni degli individui che popolano la società americana degli anni Cinquanta, vite in cui si insinua il magico e il soprannaturale quasi facesse parte del tutto, della naturalità delle cose.

Ma in fondo alla lettura nessuna vita ha accesso a quella serenità che pare cercare e a volte trovare come in Magia di famiglia o ne La moneta dei desideri. Resta un dubbio, spesso palesato, come nel racconto che dà il nome a tutta la raccolta Un giorno come un altro con le noccioline in cui Mr Johnson è un uomo che gira per New York per un’intera giornata, compiendo buone azioni senza alcun tornaconto ma che tornato a casa trova la propria moglie che per tutto il giorno ha svolto un compito esattamente opposto e con la quale l’indomani si scambierà il ruolo!

“Nessuno meglio di Shirley Jackson conosce «il male incontrollato» che si cela sotto la più linda e ordinata delle superfici. E solo lei sa mescolare assurdo, comico e spaventevole – avvelenata mistura –, portandoli alle estreme conseguenze con un’economia del dettato e un’acutezza del dettaglio del tutto inconfondibili” (dal Catalogo Adelphi)

Brevi note biografiche

Shirley Jackson (1916 – 1965) scrittrice e giornalista statunitense divenne nota per il romanzo La Lotteria (1948) e per L’incubo di Hill Hause (1959).

per saperne di più sulle opere:

Il Libraio

mangialibri