Italo Calvino “Le città invisibili”

Fu pubblicato per la prima volta nel 1972 nei Supercoralli Einaudi, con in copertina René Magritte, “Il castello dei Pirenei, 1959” e nella quarta: “Un imperatore melanconico, un Kublai Kan che dopo aver conquistato il mondo ha perso ogni speranza di salvarlo dal suo lento sfacelo, ascolta dalla voce di un Marco Polo visionario le descrizioni di città misteriose”.

Quanto si legge nella quarta di copertina dà subito al lettore la precisa impostazione narrativa, non di romanzo, ma nemmeno di una serie racconti a tema, sebbene l’organizzazione complessiva si muova all’interno di una cornice che assomma, dentro nove capitoli, le descrizioni di cinquantacinque città, con cinquantacinque nomi di donna reperiti dalla mitologia, nella Bibbia e nella classicità, in letteratura e in musica, collocate all’interno di undici temi di cui sono soggetto: memoria, desiderio, segni, scambi, occhi, nome, morti, cielo, sottili, continue, nascoste.

Le ho chiamate tutte con nomi di donna: nomi magari con qualche risonanza orientale, di imperatrici bizantine per esempio, o nomi medievali. Ma i nomi non importano” ebbe a dire Calvino stesso, ma molti studiosi hanno letto in queste scelte accurate e ponderate richiami ad atmosfere, ad immagini più che una simbologia immediata.

Un testo, quello di Calvino, da leggere e da rileggere e da gustare, con gli occhi della mente, all’interno di una visione più ampia:

Il libro è nato un pezzetto per volta, a intervalli anche lunghi, come poesie che mettevo sulla carta, seguendo le più varie ispirazioni. […] Penso d’aver scritto qualcosa come un ultimo poema d’amore alle città, nel momento in cui diventa sempre più difficile viverle come città. Forse stiamo avvicinandoci a un momento di crisi della vita urbana, e “Le città invisibili” sono un sogno che nasce dal cuore delle città invivibili. […] Quello che sta a cuore al mio Marco Polo è scoprire le ragioni segrete che hanno portato gli uomini a vivere nelle città, ragioni che potranno valere al di là di tutte le crisi. Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, come spiegano tutti i libri di storia dell’economia, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi. Il mio libro s’apre e si chiude su immagini di città felici che continuamente prendono forma e svaniscono, nascoste nelle città infelici”(Italo Calvino)

Le premesse in corsivo che aprono e chiudono le descrizioni alle città visitate dal viaggiatore veneziano sono parte sostanziale della narrazione e non semplici premesse. Condivido quanto scrive Benedetta Ferrucci su Mangialibri: “Recensire Le città invisibili di Calvino è compito arduo, poco comodo”

Salvina Pizzuoli

Come inizia:

Non è detto che Kublai Kan creda a tutto quel che dice Marco Polo quando gli descrive le città visitate nelle sue ambascerie, ma certo l’imperatore dei tartari continua ad ascoltare il giovane veneziano con più curiosità e attenzione che ogni altro suo messo o esploratore. Nella vita degli imperatori c’è un momento, che segue all’orgoglio per l’ampiezza sterminata dei territori che abbiamo conquistato, alla malinconia e al sollievo di sapere che presto rinunceremo a conoscerli e a comprenderli; un senso come di vuoto che ci prende una sera con l’odore degli elefanti dopo la pioggia e della cenere di sandalo che si raffredda nei bracieri; una vertigine che fa tremare i fiumi e le montagne istoriati sulla fulva groppa dei planisferi, arrotola uno sull’altro i dispacci che ci annunciano il franare degli ultimi eserciti nemici di sconfitta in sconfitta, e scrosta la ceralacca dei sigilli di re mai sentiti nominare che implorano la protezione delle nostre armate avanzanti in cambio di tributi annuali in metalli preziosi, pelli conciate e gusci di testuggine: è il momento disperato in cui si scopre che quest’impero che ci era sembrato la somma di tutte le meraviglie è uno sfacelo senza fine né forma, che la sua corruzione è troppo incancrenita perché il nostro scettro possa mettervi riparo, che il trionfo sui sovrani avversari ci ha fatto eredi della loro lunga rovina. Solo nei resoconti di Marco Polo, Kublai Kan riusciva a discernere, attraverso le muraglie e le torri destinate a crollare, la filigrana d’un disegno così sottile da sfuggire al morso delle termiti.

Le città e la memoria. 1

Partendosi di là e andando tre giornate verso levante, l’uomo si trova a Diomira, città con sessanta cupole d’argento, statue di bronzo di tutti gli dei, vie lastricate di stagno, un teatro di cristallo, un gallo d’oro che canta ogni mattina su una torre. Tutte queste bellezze il viaggiatore già conosce per averle viste in altre città. Ma la proprietà di questa è che chi vi arriva una sera di settembre, quando le giornate s’accorciano e le lampade multicolori s’accendono tutte insieme sulle porte delle friggitorie, e da una terrazza una voce di donna grida: uh!, viene da invidiare quelli che ora pensano di aver già vissuto una sera uguale a questa e d’essere stati quella volta felici”.