Ritorna, a poca distanza dal romanzo “Io sono castigo”, l’affascinante Manrico Spinori della Rocca, sostituto procuratore, il “contino”, amante della musica lirica, affiancato dalla sua squadra al femminile dovrà affrontare un nuovo caso: la scomparsa di Ademaro Proietti durante un’escursione a Ponza e ritorno sul suo motor yacht, il Chiwi; probabilmente, denuncia la famiglia, è caduto in acqua, presumibilmente dopo aver bevuto molto mentre i tre figli e il genero Brian dormivano.
Ma quando il mare restituirà il corpo dell’uomo con i segni di una forte botta alla nuca, la situazione cambia aspetto confermando i primi dubbi sorti nella mente del Pm: non più una scomparsa bensì un possibile omicidio anche se la famiglia insiste a chiamarlo un disgraziato incidente. Ma è con un nuovo cadavere che le indagini prenderanno la giusta piega.
Donal Cameron un ragazzino di 11 anni, orfano di entrambe i genitori, vive con la nonna, cuoca in un ranch nel Montana. I problemi di salute della donna costringeranno il giovane Donal a compiere un viaggio dal Montana al Wisconsin, per raggiungere gli zii Kitty ed Herman, che non conosce. È il 16 giugno del 1951 quando il giovane intraprende il lungo viaggio su una di quelle corriere della Greyhound Line, che attraversano tutti gli Stati Uniti. La nuova vita però si rivelerà difficile e così Donal, questa volta non più da solo ma in compagnia dello zio Herman, che approfitterà per andare alla scoperta dell’amato West, ripartirà, incontrando personaggi d’ogni sorta che appunterà sul libro delle dediche, dove raccoglie pensieri in rima delle persone che incontra, personaggi umili, umani, calorosi, tristi e felici, in un’America dai paesaggi sconfinati. Un viaggio che sarà un percorso di formazione in cui l’autore Doig rivisita e racconta, attraverso i ricordi della sua infanzia, l’America attraverso occhi di bambino. Questo romanzo è l’ultimo scritto prima della morte e rivela mirabilmente l’età dei sogni e delle scoperte nel percorso di crescita per diventare “grandi”
Brevi note biografiche
Ivan Doig (1939-2015) ha ambientato gran parte dei suoi romanzi nel Montana, dove era nato. Più volte premiato per i suoi romanzi, è stato anche finalista al National Book Award con il memoir This House of Sky. Nutrimenti ha pubblicato anche Il racconto del barista nel 2018.
Altro elemento fondamentale per la diffusione del libro fu l’invenzione dei caratteri tipografici ed il passaggio dal libro manoscritto all’Ars artificialiter scribendi e precisamente alla scrittura affidata alle macchine, la scrittura artificiale. Un passaggio epocale che potremmo paragonare a quello di due secoli fa, dalla fine dell’Ottocento anche se non mancarono tentativi molto antecedenti, dall’uso cioè della “macchina da scrivere” a quella digitale, alla fine del secolo scorso.
Un passaggio, il primo, che vide la scrittura artificiale cercare in ogni modo di assomigliare alla scrittura a mano, per non discostarsi troppo dal prodotto ottenuto manualmente. Eppure molti disdegnarono le nuove realizzazioni in serie e, per una buona decina d’anni, bibliofili e ceti colti preferirono il libro manoscritto a quello a stampa.
C’è un nome che tutti conosciamo che lega la nascita dei caratteri detti tipografici o mobili alla scrittura artificiale: siamo nel 1446 quando Johannes Gutemberg, orefice di Magonza, formò i primi caratteri su astine di legno; ma in effetti si tratta di un’attribuzione perché poco si sa con certezza sulla nascita dei caratteri tipografici. In collaborazione con Schoeffer, che si può definire un proto tipografo, inventarono il compositoio, strumento in cui si dispongono i caratteri, e la forma di stampa dei caratteri mobili, detti tipi, non più in legno ma in piombo e introdussero il torchio a stampa derivandolo da quello per il vino, invenzioni che si diffusero ben presto da Magonza in tutta Europa.
Ma soffermiamoci sulle varie fasi che caratterizzavano la complessa creazione della pagina a stampa, curiosando su punzoni, matrici, inchiostri e sui diversi caratteri che ancora oggi conosciamo con i loro antichi identificativi ad esempio di Corsivo, Bodoni, Garamond.
Da sinistra a destra: il punzone, la matrice, la forma, il carattere tipografico
Il punzone è un piccolo parallelepipedo di metallo duro con un’estremità profilata a tronco di piramide con in rilievo e al rovescio un carattere tipografico sia esso lettera, numero o segno di punteggiatura. Ottenuti i punzoni veniva creata la matrice battendo il punzone su dei blocchetti di rame per lasciare su essi impressa la forma del carattere che doveva avere la stessa profondità sulla tutta matrice e pertanto veniva “giustificata”. A questo punto si procedeva alla creazione del carattere tipografico, utilizzando uno stampo particolare, detto forma. La forma era composta da due elementi a L che venivano uniti per formare un contenitore dentro il quale veniva versata la lega metallica costituita prevalentemente, anche se in proporzioni variabili, da piombo, stagno e l’antimonio.
Ma l’operazione non era di certo completata: occorreva montare i caratteri nel compositoio per costruire la riga di stampa. Un’operazione di incredibile precisione e di industriosa capacità.
Da non dimenticare che un altro elemento fondamentale era l’inchiostro che gli studiosi attribuiscono ancora alla capacità creativa di Gutemberg: un inchiostro a base oleosa migliore rispetto a quelli la cui base era ad acqua. E in ultima fase la torchiatura per imprimere i caratteri sul foglio ed ottenere la pagina.
Non ci resta che ringraziare Gutemberg o chi per lui o insieme a lui ha permesso alle generazioni successive di usufruire di questo strumento che è la stampa i cui continui aggiornamenti e miglioramenti hanno permesso di creare libri a basso costo e quindi a grande diffusione!
Iniziale ornata fusa dalle prime matrici del Garamond, 1531
Un ultimo scorcio di curiosità sulle denominazioni di alcuni caratteri, sono tantissimi, tra i più diffusi e che ancora oggi utilizziamo:
Aldino: impiegato nelle edizioni veneziane di Manuzio. Un carattere piccolo, stretto, inclinato e legato che portò ad economizzare lo spazio della pagina e quindi la carta.
Corsivo: è il carattere che ha tutte le parti dell’occhio della lettera inclinate da destra a sinistra. Il suo nome deriva dalla scrittura della Cancelleria romana (cursivetus seu cancellarios). Viene chiamato anche italico ed è usato essenzialmente per evidenziare le citazioni; i primi ad usarlo a questo scopo furono i Froben, tipografi di Basilea nel primo ventennio del XVI secolo.
Bodoni: carattere dall’occhio rotondo e marcato. Prende il nome dal suo compositore Giovanbattista Bodoni tipografo ed editore a Parma
Carattere grafico Bodoni
Garamond: carattere disegnato e fuso nel Cinquecento da Claude Garamond ed è tra i più apprezzati caratteri nella storia della stampa con molte rielaborazioni nel Novecento
Gotico: particolarmente usato in Germania e fu il primo ad essere introdotto con la stampa a caratteri mobili e rifioritura nel periodo romantico; si rifà alla scrittura dei manoscritti medievali
Carattere grafico Gotico
Elzeviro: con occhio molto piccolo e sottile. Venne disegnato nel XVII secolo da Christoffel Van Dick per le edizioni in piccolo formato degli Elzevier, librai e stampatori olandesi.
Un grande romanzo sull’amore, la poesia e la memoria. Una storia famigliare che va dall’inizio del XX secondo fino ai giorni nostri e si snoda in tutta l’Islanda. Quella di Stefánsson è una scrittura che incanta e infonde nuova vita alla grande letteratura islandese.( da Iperborea Editore)
Islandese nato a Reykjavík, poeta e poi romanziere, Stefánsson esordisce nella prosa con “Crepitio di stelle” che ha per protagonista un bambino di sette anni che racconta, ormai quarantenne, sull’onda del ricordo senza quindi un vero e proprio filo narrativo ma con passaggi e salti, avanti e indietro nel tempo. Il lettore lo segue nell’Islanda del Novecento e in quella degli anni ‘70 ripercorrendo la storia di quattro generazioni nell’arco di centocinquanta anni: quella del bisnonno e quella del padre; con il primo agli inizi del Novecento dentro la sua vita burrascosa e inquieta, in quella del padre e nella propria tornando dove ha vissuto l’infanzia, in un condominio di Reykjavík, ricostruita e rivissuta attraverso i pensieri e i modi di un bambino, resi con sottigliezza psicologica, suscitati e riaccesi dall’impatto con un passato che non trova riscontri nella memoria. Due storie che s’intrecciano e confluiscono insieme alle voci dei personaggi che costellano momenti della quotidianità, inseguendo i guizzi della memoria che sovrappone, dilata, si sofferma o sorvola. E insieme a queste presenze e dentro questi ritagli fissati nel tempo c’è l’Islanda con i suoi paesaggi.
Brevi note biografiche
Jón Kalman Stefánsson (1963), insegnante e bibliotecario, è passato alla narrativa dopo tre raccolte poetiche. Più volte nominato al Premio del Consiglio Nordico, con Luce d’estate ed è subito notte ha ricevuto nel 2005 il Premio Islandese per la Letteratura. Paradiso e inferno (Iperborea 2011) è stato definito il miglior romanzo islandese degli ultimi anni, che insieme a La tristezza degli angeli (Iperborea, 2012) e Il cuore dell’uomo (Iperborea, 2014) costituisce una trilogia.
Elisabetta GnoneLa storia perduta (dagli8 anni) Salani editore Valeria Turati e Claudio Prati illustratori
Ottavo libro della fortunata serie di Fairy Oak, la quercia incantata. Nel villaggio intorno all’albero prodigioso vivono creature magiche e fatate insieme a comuni mortali. Le due protagoniste, le gemelle Pervinca e Vaniglia, ormai nonne, raccontano sul filo del ricordo il tempo in cui erano alunne nella scuola del villaggio e della gara di Storia organizzata dalla brillante supplente del professor Orcomorto: ricostruire le origini del loro paese. Scartabellando in biblioteca i loro amici avevano trovato un libro di leggende che riportava il racconto di una balena che riappariva ogni duecento anni. Ma il tempo passa e la balena non riappare…
Ole Lund Kirkegaard Il tappeto volante del Bulgistan Iperborea (dagli 8 anni)
Hodja è un bambino di 9 anni e vive nel lontano paese del Bulgistan; più che andare a scuola vorrebbe andare alla scoperta del mondo. Un giorno el-Faza, un vecchio tessitore di tappeti, gliene presta uno molto antico e speciale: è un vero tappeto volante! Ma chi lo usa deve imparare a comandarlo bene e stare sempre attento perché ne sono rimasti pochissimi e tanti vorrebbero impadronirsene. Ed è così che Hodja si alzerà in volo per una meravigliosa e spericolata avventura fino al palazzo del sultano, l’uomo più ricco, potente e grasso del Bulgistan.
Maia LundeSorella di neve Lisa Aisato illustratrice Giunti (dai 9 anni)
Dalla quarta di copertina:
La vigilia di Natale è alle porte e Christian sta per compiere 11 anni. Di solito è un giorno magico, il più bello dell’anno, accompagnato dal suono del fuoco che scoppietta nel camino, dalle luci dell’albero di Natale e delle candele tremolanti. Ma quest’anno tutto è diverso, Christian e la sua famiglia stanno affrontando un terribile lutto e l’atmosfera del Natale è del tutto scomparsa. Poi, un giorno, Christian incontra Edvige, una ragazza allegra e grande amante del Natale, e comincia a credere che forse non tutto è perduto. Ma qualcosa di strano accade nella casa di Edvige: chi è il vecchio che si aggira per la sua casa? E perché Edvige è sempre così riservata?
C. Bickford- Smith Il canto dell’albero Salani (dai 6 anni)
Allodola vive sulla grande Moringa, ma non è la sola ad abitare sull’albero. E così un giorno decide di conoscere gli altri animali e le loro storie: inizia un bellissimo viaggio dalle fronde, ai rami alla corteccia fino alle radici conoscendo tutti gli altri animali e cosa li lega.
Anna e Renata, un’amicizia nata sui banchi di scuola al liceo, allontanate poi dai casi della vita.
Anna è una giornalista di grido, con un amore adolescenziale mai dimenticato, un marito e il forte e frustrato desiderio di una gravidanza. Renata vive a Vienna, è separata con un figlio ormai adulto.
E così si ritrovano in un viaggio a Vienna voluto e realizzato da Anna in una pausa dal lavoro, per riprendersi, per ritrovarsi .
Ma perché questo viaggio dopo tanti anni, desiderato e mai realizzato da entrambe?
Cosa cerca Anna nei ricordi del suo viaggio a Vienna, nei suoi percorsi dentro il coma in cui è caduta dopo un tragico incidente di cui non si conoscerà nulla fino alla fine? Deve forse spegnere le troppe voci che da tempo l’assillano e può farlo solo attraverso l’amica del cuore, colei con cui aveva vissuto gli anni dell’adolescenza, segnati dal dolore e da esperienze che la vita ha elargito loro a piene mani, troppo forti per essere vissute senza lasciare traccia nell’intimo? O era solo un bisogno per non affogare in quel vuoto in cui si trovava?
Ripercorrere, si diceva, ripercorrere per non abbandonare i ricordi. Non doveva perdere nulla di se stessa nel mondo vuoto dove la sua anima adesso si trovava a volteggiare. Era necessario ricordare.
Domande, tante le domande che il lettore si pone ma alle quali troverà risposta solo alla fine, in quelle pagine del romanzo che rappresentano una vera agnizione finale, sebbene i segni non vengano lesinati e sapientemente inseriti nel contesto della narrazione dall’autrice, insinuando dubbi e sospetti che vengono addolciti nel cammino che Anna ripercorre di quei giorni a Vienna. E il lettore segue le due amiche nel caldo abbraccio delle pasticcerie viennesi dove stemperare il freddo e godere delle leccornie per cui i viennesi sono rinomati, e gli incontri e gli scorci della bella città e i suoi piatti che scaldano e ritemprano non solo il corpo; o nel “salottino nostalgia” dove ripercorrono a tratti, sul filo del ricordo senza tempo e senza cronologie, episodi e flash di un passato sempre presente.
Ordos, che significa città dai molti palazzi, è nata ex novo nei primi anni del nostro millennio nella Mongolia interna cinese, in pieno deserto, a circa 500 chilometri da Pechino per volontà del governo cinese, nell’ambito di un processo di inurbamento delle masse rurali, e con i capitali derivati dagli enormi giacimenti di carbone del sottosuolo. Una città avveniristica, ma progetto fallito perché oggi Ordos è una città quasi deserta. È qui che si ambienta parte della storia della protagonista, una mongola, costretta dalle decisioni dei fratelli, desiderosi di abbandonare il lavoro faticoso e poco redditizio degli allevatori della steppa, a lasciare la vita nomade per vivere in città.
Il racconto si apre con gli spazi, ampi, sterminati, i colori vividi, poi profondamente custoditi nella memoria del cuore, le tradizioni radicate, le abilità coltivate da generazioni, dell’ambiente e della vita nomade. Dopo l’abbandono della terra natia e degli affetti, nell’angustia e nella segregazione della nuova realtà di vita in città che schiaccia e mortifica, l’incontro tra Bolormaa la protagonista con la cinese Xiao Li, sua compagna di lavoro in una moderna fabbrica tessile dove lavorano come operaie tessitrici, sfruttate e schiavizzate: unico desiderio e speranza diventa la fuga, che non sempre realizza quanto si è sperato. E il viaggio verso un altro mondo ha inizio, terribile e pieno di sofferenza, inseguendo le promesse di un filo di lana di cachemire, concretizzatosi in una creazione della protagonista con l’ultima lana del suo gregge e gli insegnamenti della nonna per colorarla, rossa infuocata e di morbidezza impareggiabile venduta a malincuore ad una donna italiana al mercato di Ordos, ma ben pagata.
Le due giovani, fuggono con un viaggio clandestino lunghissimo e pericoloso per ritrovarsi anche in quel nuovo mondo, al di là dei tanti confini e dei chilometri percorsi, chiuse nella stessa prigione. Ma il filo di cachemire rosso non si è ancora spezzato e avvolgerà altri protagonisti con la medesima volontà di realizzare le proprie aspirazioni. Una storia di amicizia, di volontà e di resistenza per superare soprusi e angherie per un progetto di vita migliore e realizzata.
Nel caleidoscopio di colori del mercato di Ordos, in Cina, ce n’è uno che spicca su tutti. È il rosso, brillante e purissimo, di un maglione di cachemire. Alessandra se ne innamora subito: è quella la perla rara che le permetterà di risollevare le sorti della sua boutique di Firenze. A venderglielo è una ragazza di nome Bolormaa, e lo fa a malincuore. Perché per lei quel maglione è casa. Lo ha infatti realizzato con l’ultima lana del suo allevamento, prima che l’estate troppo torrida e l’inverno eccezionalmente rigido sterminassero il gregge e la costringessero a lasciare la Mongolia. È un incontro fugace, eppure l’immagine di quella signora, libera ed elegante, rimane scolpita nella mente di Bolormaa. A poco a poco, quel ricordo fa maturare in lei il sogno di una nuova vita in Italia. Armata solo del biglietto da visita che Alessandra le ha lasciato, Bolormaa s’imbarca allora in un viaggio rischiosissimo, che la porterà da Pechino a Oulan-Oude, in Mongolia, poi a Mosca lungo la Transiberiana e da lì in Italia, là dove il filo rosso del suo coraggio si ricongiungerà con quello di Alessandra, che ormai sta perdendo la speranza di salvare il suo negozio. E sarà proprio Bolormaa a darle la forza di cambiare un destino che sembra segnato…
Christiana Moreau vive a Seraing, in provincia di Liegi. Pittrice e scultrice autodidatta, è alla costante ricerca di nuovi modi per esprimere la sua creatività. Ha esordito con una raccolta di poesie nel 2014, per poi passare alla narrativa. Cachemire rosso è il suo primo romanzo pubblicato in Italia.
La macchina continua di Louis Nicolas Robert fine XVIII secolo
Nella storia del libro un elemento fondamentale e decisivo fu l’invenzione di macchine e l’utilizzo di sostanze chimiche capaci di ottenere un foglio di carta in tempi brevi e a prezzi competitivi. La lavorazione prima del XVII secolo era infatti lunga e specialistica.
La storia della carta si perde in tempi e luoghi lontani, pare infatti sia nata in Cina intorno al I secolo d.C. impiegando il gelso e altri vegetali. Furono poi gli Arabi a diffonderne la lavorazione in occidente e nei territori da loro occupati aggiungendo come materia prima il cotone e gli stracci. In Occidente vennero prevalentemente utilizzati gli stracci di lino, cotone, canapa, ma anche le piante da cui avevano origine i tessuti indicati con un ciclo di lavorazione di molte fasi: la sbattitura per liberarli dalla polvere e dal fango, la lavatura e la liscivatura per ammorbidirli e sbiancarli, quindi l’asciugatura. Successivamente venivano tagliati a strisce e posti nel marcitoio, una vasca piena d’acqua e lasciati marcire per varie settimane. A questo punto la pasta ottenuta veniva triturata con i magli azionati da una ruota idraulica o a mano.
Il tino e la forma
Posta quindi in un tino, nasceva finalmente il foglio immergendovi la cosiddetta “forma”, un’intelaiatura rettangolare con un piano filtrante costituito da sottilissimi fili di ottone detti vergelle, vicinissimi tra loro, paralleli al lato maggiore che incrociano quelli più grossi e distanziati detti filoni. Dopo un’operazione velocissima affidata a esperti il foglio appena formato veniva rovesciato su un feltro e coperto con un altro: aveva inizio la fase dell’asciugatura che si completava stendendo i fogli per un’asciugatura completa. La fase successiva era la collatura, operazione necessaria per rendere la carta impermeabile all’inchiostro.
Da quanto detto si comprende quanto potesse essere costoso, in tempi precedenti l’uso delle macchine e delle sostanze chimiche, il processo di formazione della carta. Alcune date, tipi di carta e nuove materie prime:
Alla fine del XVIII secolo Louis Nicolas Robert realizzò la prima macchina detta continua che produceva un foglio lungo 60 centimetri. Solo alla fine del XVIII secolo si utilizzò una fitta rete metallica che eliminava vergelle e filoni, ottenendo la carta detta velina che non recava alcun segno di vergatura. Alle materie prime già utilizzate, nel primo trentennio dell’Ottocento, fu aggiunta la paglia e il legno. Fu proprio con le nuove tecniche per la lavorazione delle fibre vegetali ottenute dagli alberi che il prezzo della carta si abbassò notevolmente divenendo un prodotto di largo consumo.
Dal legno alla carta
L’elenco e le caratteristiche dei diversi tipi di carta riempiono le colonne dei dizionari bibliofili.
Solo per citarne alcune:
La più resistente e pregiata, quella detta a mano fatta di stracci o di pura cellulosa;
la cartapecora o pergamena vegetale, molto simile alla pergamena per resistenza e impermeabilità; fu fabbricata intorno alla metà del XIX secolo in Francia;
marmorizzata che imita l’effetto del marmo; si ottiene mettendo a contatto il foglio in una vasca con soluzione gommosa e densa nella quale sono stati spruzzati con la spazzola spruzzatrice diversi colori, poi sparsi sulla superficie con pettini fino ad ottenere l’effetto desiderato;
di Fabriano ottenuta dagli stracci finemente lavorati;
di paglia dal colore tendente al giallo, molto fragile perché ottenuta da paglia proveniente da cereali
marezzata ottenuta con un procedimento simile alla marmorizzata da cui si distingue per il disegno ad andamento ondulato;
di riso bianca sericea, si ottiene dal midollo della Arialia Papyrifera; è fabbricata in Cina;
satinata o calandrata si ottiene per mezzo della pressione esercitata da due cilindri rivestiti di carta attraverso cui passa.
«Il partigiano americano» è l’originale racconto di una storia vera che vive per la prima volta scorrendo sul binario di uno stile narrativo coinvolgente e il rigore saggistico.
Renato Berardinucci, il protagonista, è nato in America, terra della libertà e delle opportunità per i suoi genitori emigrati dall’Abruzzo, e per lui l’Italia è un luogo dell’anima. Visto da lontano il fascismo gli ha dato l’orgoglio delle origini, ma quando dal college di Philadelphia si ritrova al liceo classico di Pescara, l’amico Hans, ebreo viennese, gli apre gli occhi. Il devastante bombardamento di fine agosto 1943 e il disastro dell’8 settembre seguito dall’occupazione tedesca, lo spingono alla scelta della resistenza. Crea una banda partigiana formata da giovani come lui ai quali trasmette una carica ideale. È abile nei travestimenti, sfida più volte la sorte, e in uno scontro a fuoco uccide un ufficiale tedesco. Con l’arrivo degli Alleati decide di compiere un’ultima missione. La madre ha un presagio e vuole seguirlo. Lo vedrà morire mentre si sacrifica per salvare i compagni dal plotone d’esecuzione.
Abruzzo 1957. Un’auto percorre le strade polverose dell’interno. L’anziano uomo sul sedile posteriore è tornato dagli Stati Uniti per cercare la spia fascista che nel 1944 aveva consegnato il figlio partigiano ai tedeschi. Renato Berardinucci (Philadelphia 1921 – Arischia 1944) era stato ucciso da un plotone d’esecuzione a soli 23 anni. Poco prima della scarica fatale, si era gettato contro i soldati per salvare i compagni, davanti agli occhi della madre impazzita di dolore. Dopo tanti anni, consegnano una medaglia d’oro al valor militare al padre Vincenzo, che invece è in cerca di un’impossibile vendetta. Una storia vera.
Marco Patricelli (Pescara 1963) ha scritto saggi storici per Mondadori, UTET, Laterza, Hobby & Work; in Polonia per Wydawnictwo Literackie, Bellona, Arte, Wydawnictwa Uniwersytetu Warszawskiego; in Francia per JC Lattès e in Repubblica Ceca per Grada. Nel 2010, con la prima biografia del capitano Witold Pilecki, Il volontario, ha vinto l’edizione XLIII del prestigioso Premio Acqui Storia. Dai suoi lavori sono stati tratti docufilm e docufiction per RAI, Mediaset e ZDF. Ha curato diverse consulenze storiche per le maggiori reti televisive e radiofoniche nazionali ed è stato invitato a dare contributi alla realizzazione di documentari in Germania e Polonia. Svolge intensa attività convegnistica in Italia e all’estero. Per un decennio ha insegnato Storia dell’Europa contemporanea all’Università “G. d’Annunzio” di Chieti. È stato insignito del titolo di Bene Merito, della Croce di Ufficiale al merito della Repubblica di Polonia e del cavalierato dell’Ordine al merito della Repubblica italiana. È laureato in Giurisprudenza ed è diplomato al Conservatorio. Alla figura di Pilecki ha dedicato nel 2019 una Suite in 8 quadri per grande orchestra sinfonica. Vive tra Praga e Pescara.