Hans Tuzzi la trilogia con Neron Vukcic: presentazione di Alessandro Ferrini

ll Trio dell’Arciduca, una spy story magistralmente inserita nel
torbido periodo antecedente lo scoppio della Prima Guerra Mondiale con una ricostruzione storica talmente accurata e puntuale da offrire una originale e convincente rilettura degli episodi che portarono all’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando; il secondo, il Sesto Faraone, un giallo classico la cui trama è impreziosita dagli scorci su Alessandria d’Egitto e sulla multietnica società che ospitava agli inizi degli anni Venti. Infine il terzo, Al vento dell’Oceano. ambientato sul transatlantico che porta Neron Vukcic negli Stati Uniti a costruirsi una nuova vita. L’intreccio si snoda accompagnato da impareggiabili descrizioni della vita di bordo, di ambienti e personaggi che finiscono sotto l’occhio attento, distaccato e ironico dell’autore. Ovviamente la capacità investigativa di Vukcic riuscirà a smascherare il colpevole della catena di delitti che si susseguono durante la traversata.
Come scrive Corrado Augias sul “Venerdì” di Repubblica “il gusto di leggerlo è garantito”.

Alessandro Ferrini*

Ma chi è Neron Vukcic? Leggi le recensioni su tuttatoscanalibri:

Hans Tuzzi Il trio dell’Arciduca

Hans Tuzzi, Il sesto Faraone

Hans Tuzzi, Al vento dell’Oceano

 

*Leggi la nota dell’Autore:

 

 

 

 

Rolf Dobelli “Smetti di leggere notizie” recensione di Maria Anna Patti da Robinson La Repubblica

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Gialli e thriller: tuttatoscanalibri, per cominciare, consiglia

Giallisti italiani

Daniela Alibrandi, “Quelle strane ragazze”

Camilleri” Il metodo Catalanotti”

Gianrico Carofiglio “Testimone inconsapevole”

Donato Carrisi “La casa delle voci”

Maria Castellett, “Delitti. Due casi per il commissario Bellantoni”

Maurizio De Giovanni “Il metodo del coccodrillo”

Adele Colgata “I deliti di Monteverde”

Enrico Deaglio “La zia Irene e l’anarchico Tresca”

Ferrini Pizzuoli, “Odessa: l’ora della fuga”,

Fabrizio Gatti “Educazione americana”

Antonio Manzini “Rien ne va plus”

Gigi Paoli “Il rumore della pioggia”

Francesco Recami “L’atroce delitto di via Lurcini”

Fabrizio Silei “Trappola per volpi”

Ilaria Tuti “Ninfa dormiente”

Hans Tuzzi “La morte segue i magi”

Hans Tuzzi “La notte di là dai vetri”

Valter Veltroni “Assassinio a Villa Borghese”

Capolavori di ieri e di oggi in formato kindle: su Consigli.it

 

                     

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Auguri di una Pasqua coi fiocchi…a tutti i lettori!

I libri di Baraghini risorgono sul web e sfidano il mercato: un articolo di Paolo Toccafondi da Il Tirreno Culture 8 aprile

Da Millelire a gratis, i libri di Baraghini risorgono sul web e sfidano il mercato, la storica collana che rivoluzionò l’editoria vendendo 22 milioni di copie ora si può scaricare on line

di Paolo Toccafondi

L’idea è sempre la stessa. Trovare strade alternative, laterali rispetto a quelle mainstream. Ora si chiamano “Strade bianche”, «quelle dei disertori, dei renitenti, dei partigiani» e danno il nome all’associazione che ripropone online un trentennale mito cartaceo: i libri Millelire con cui Marcello Baraghini inondò e stravolse il mercato editoriale a partire dal 1989. La nuova iniziativa non è che lo sviluppo naturale di quel percorso. Con i Millelire la sfida era quella di proporre a un prezzo che più basso quasi non si poteva libri di qualità «cibo per la mente» come dice Baraghini. Adesso che le librerie sono chiuse, il passo ulteriore il download gratuito di tutti i libri della storica collana e non solo di quelli, in barba, come al solito, alle regole del mercato. «Perché il nemico è il mercato e il conseguente consumismo compulsivo», ripete Baraghini. Questo è il primo comandamento. Il secondo è che «quando un gioco non funziona o non ci piace, bisogna cambiarne le regole». Tutto il resto ne discende di conseguenza. La sua battaglia di mezzo secolo contro il sistema, quello generale e quello dell’editoria, è giunta a un nuovo approdo che Baraghini spiega così: «Io parto dal principio che i libri di qualità sono beni comuni, patrimonio dell’umanità, come l’aria che respiriamo. E’ cibo per la mente, appunto, vitale come l’aria e l’acqua pubblica. I piccoli edtori non hanno capito che i tempi stavano cambiando, i libri di qualità andavano liberati dalla galera del copyright, resi fruibili a tutti, solo così si sarebbe poi incrementato anche l’acquisto dei libri di carta».Le nuove regole sono quelle che lui si è dato. «Il mio contratto con gli scrittori ora è di tre righe. L’autore che io scelgo mi dà licenza di gratuità online ancor prima dell’edizione cartacea. Una volta testato il mercato, io riconosco a lui metà della tiratura cartacea, i diritti sono suoi. Stop. Se lo scrittore ha successo e Mondadori lo vuole, lui è libero di andarci chiedendomi di togliere dal mercato oppure no l’edizione cartacea». E con questo il copyright è liquidato. Secondo passo: «Chi mi obbliga a mettere il codice a barre? Nessuno, e io non lo metto. Già questo mi pone fuori dal mercato». Terzo: «Mi sono liberato anche del prezzo simbolico, i miei libri si scaricano gratis. Per quelli che stampo chiedo una donazione, dico al lettore: dammi quanto vuoi. E le assicuro che si hanno delle sorprese». Questo è il percorso alternativo. «Adesso sono nella legalità, forse per la prima volta nella mia vita, eppure non sono mai stato fuorilegge come ora rispetto al mercato, con la licenza degli autori e la loro complicità». E l’alternativa si regge dal punto da vista economico? Baraghini assicura di sì: «Io vivo con la pensione sociale, ho una libreria a Pitigliano che si autosostiene (e che ora è chiusa come tutte, perché si tengono aperte le tabaccherie per avvelenare i polmoni e si chiudono le librerie, mah…”) , non ho più preso un prestito e quando ho i soldi stampo un libro. Non ho più l’assillo che non mi faceva dormire la notte di quando dovevo stampare per forza 50 titoli al mese aumentando il prezzo perché bisognava stampare più libri e più cari che vendevano sempre meno». E’ la sua ultima frontiera. L’ennesima rinascita dopo la caduta. Quella di Baraghini, 77 anni, è una lunga storia di coerenza a regole diverse da quelle dominanti, economiche e politiche. Tra i protagonisti a fianco di Pannella della stagione delle grandi battaglie radicali a cominciare dal quella sul divorzio, nel 1970 fonda la casa editrice e agenzia di contro-informazione Stampa Alternativa a cui è legata, negli anni Novanta, la grande idea che rivoluzionò il mondo dell’editoria: un libro di poche pagine, 64 al massimo, e piccole dimensioni (10×14), non rilegato, senza copertina ma con contenuti di qualità a prezzi supereconomici (mille lire erano più o meno 50 centesimi di oggi) e con una grafica straordinariamente efficace che fruttò a Baraghini il Compasso d’oro, mentre i cofanetti a tema le raccolte di Millelire venivano esposti nei musei come il Moma. Il successo fu subito notevole, poi arrivò il big bang. Nel 1992 Augias raccomanda in tv un Millelire, la “Lettera sulla felicità” di Epicuro, e il fenomeno esplode. «Ricevemmo subito un’ordine di 50.000 copie», ricorda Baraghini. Il libro di Epicuro arriverà nel tempo a vendere 2 milioni di copie ed è anche il più scaricato nella sua attuale versione online. I Millelire raggiunsero complessivamente l’astronomica cifra di 22 milioni di copie, «tutte certificate».«Quando avevo 14 anni ero un miserabile, un disgraziato – racconta Baraghini -. La mia vita fu cambiata dai libri della Bur, la piccola biblioteca Rizzoli, che costavano 60 lire. Lì ho scoperto gli autori russi e tutti i grandi scrittori. Fare l’editore era il mio sogno«. La collana Millelire fu la sintesi della sua idea di cultura: di qualità, a poco prezzo, controcorrente e per tutti. «Con noi nacque anche un nuovo tipo di lettore, giovanissimo, indipendente dal mercato, dalla scuola, dalla famiglia e dalla Chiesa. E siccome avevamo successo alla fine ci cacciarono dalle librerie». Quando avvenne? «Quando scese in campo Berlusconi (Baraghini in realtà lo chiama in un altro modo, più esplicito, citando la definizione contenuta in una sentenza del tribunale di Milano in cui si parlava dell’ex premier come di un soggetto “che tendeva naturalmente a compiere reati” ndr). Intanto fu lui a portare la durata del copyright da 50 a a 70 anni perché scadevano i diritti di alcuni autori della sua Mondadori. Le regole del mercato che impose penalizzarono i libri di qualità a favore dei “Fabi Volo”, dei libri di facile consumo, dei giornalisti che presidiano i talk show per vendere di più. Poi usarono contro di noi l’artiglieria pesante: arrivò in libreria un concorrente sleale aiutato da chi lo so ma non lo posso dire, con una collana di cento pagine a mille lire, fuffa letteraria, ma a condizioni talmente favorevoli per i librai che per noi non ci fu più spazio. A quel punto – continua – dovevo scegliere: faccio il pensionato e coltivo la terra o riparto? Ho deciso di ripartire, coltivando anche gli orti e la vigna qui a Sorano», partendo dalla libreria Strade Bianche, stesso nome dell’associazione, con cui edita i libri, erede di Stampa Alternativa. «Ripropongo i Millelire, ne ho già messi sul web 250 dei mille che facemmo e si viaggia sulle decine di migliaia di download al giorno). Metto online anche nuovi libri. Il mio sogno è avere un milione di nuovi lettori». Nessun rimpianto per la carta? «Io li amo i libri, ho stampato volumi per bibliofili. Ma ora bisogna ripartire dai contenuti, quella è l’urgenza, la mente muore senza cibo. I lettori forti, i bibliofili, muoiono per l’età. Se non riusciamo a far leggere i giovani siamo fottuti».

 

Fran Ross “Oreo” recensione di Tiziana lo Porto da Il Venerdì La Repubblica 3 aprile

 

Romanzo picaresco post moderno, Oreo è una riscrittura satirica, black e al femminile del mito di Teseo, che qui si reincarna nella protagonista Christine, ragazza americana figlia di madre nera e padre bianco ( e ebreo). Sulle tracce di quest’ultimo, separatosi dalla famiglia quando lei aveva due anni, Christine lascia la natia Philadelphia e approda a New York, fronteggiando una discreta serie di omonimi del padre, mossa dalla certezza che tra di loro si nasconda anche l’originale […]  (da Tiziana lo Porto  Il Venerdì La Repubblica 3 aprile)

dal sito di Sur Editore:

Fran Ross (1935-1985) è stata una giornalista, scrittrice e autrice televisiva afroamericana. Oreo (1974) è l’unico romanzo che ha scritto, prima della morte prematura: passato inosservato alla sua prima uscita, è stato di recente rilanciato dalla casa editrice newyorkese New Directions, guadagnandosi elogi dalla critica e da scrittori come Paul Auster, Marlon James, Paul Beatty; questa è la prima volta che viene tradotto in italiano.

Linda Barbarino “La Dragunera” recensione di Maria Anna Patti “CasaLettori” Robinson La Repubblica

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Jenny Offill “Tempo variabile” consigliato da Martina Castagnoli

Con un tempismo degno di Cassandra, la casa editrice NN pubblica un libro geniale ed ironico, fotografia perfetta di questo periodo apocalittico. Non c’è una pandemia che mette in pericolo la sopravvivenza del genere umano ma nell’aria aleggia un clima da fine del mondo presagio di imminenti sciagure e di apocalisse. “ Tempo variabile” mette al centro della storia Lizzie, una bibliotecaria generosa, un po’ sperduta, che odia in egual misura ricchi e hippy, con una famiglia (normalmente) imperfetta e un fratello ingombrante, che d’improvviso viene coinvolta e costretta da un’amica a prendere il suo posto nel rispondere ad un podcast nel quale si chiedono consigli su come sopravvivere alla fine dell’umanità. Ne esce fuori un affresco di una società fatta da individui vulnerabili, ipocondriaci, egocentrici che si comportano come una mandria impazzita, nella quale Lizzie si destreggia con ironia e senso pratico senza mai perdere la propria personalità ed omologarsi al gregge. Un libro acuto, che affronta un tema serio con umorismo intelligente e caustico.

Il libro è disponibile in libreria:

Pinocchio prima edizione: la riscoperta, un articolo da Il Tirreno 4 aprile

Atmosfere cupe senza lieto fine
nel testo di Collodi uscito
sul “Giornale per i bambini”
nel 1881.
Poi i lettori lo spinsero
a continuare la storia
Ripubblicato Pinocchio
nella prima versione “noir”
Il burattino muore impiccato
Roma
«Intanto s’era levato un vento impetuoso di tramontana, che soffiando e mugghiando con rabbia, sbatacchiava qua e là il povero impiccato, facendolo dondolare screanzatamente come il battaglio di una campana che suona a festa. E quel dondolio gli cagionava acutissimi spasmi, e il nodo scorsoio, stringendosi sempre più alla gola, gli toglieva il respiro (….) – Oh babbo mio! Se tu fossi qui! – E non ebbe fiato per dir altro. Chiuse gli occhi, aprì la bocca, stirò le gambe e, dato un grande scrollone, rimase lì come intirizzito». Finiva così la storia di Pinocchio, col 15° capitolo il 27 ottobre 1881, nella prima versione pubblicata sul “Giornale per i bambini”, con il burattino che muore solo e impiccato dagli assassini per togliergli le monete d’oro. La storia aveva così tutto un altro senso, virato al noir e privo di alcuna redenzione. Altro che trasformazione in un bravo bambino, come accadrà dopo altri 18 capitoli, aggiunti sei mesi dopo, per le insistenze dei lettori e del direttore del Giornale. Il successo a quel punto fu tale e più consono alle positivistiche idee pedagogiche dell’Italia appena unificata, che è andata praticamente dimenticata quella prima versione della storia di «un pezzo di legno da catasta» che non era nemmeno divisa in capitoli, ma scritta tutta di fila. La ripropongono ora, in una bella, piccola edizione con illustrazioni gotiche di Simone Stuto e a cura di Salvatore Ferlita, le edizioni Il Palindromo di Palermo, ed è una piccola, curiosa scoperta. In realtà in quella prima versione, a mostrare tutte le perplessità che lo stesso Collodi aveva su come sarebbe stata accolta la sua storia, c’era già un avviso ben prima del finale: «Quello che accadde dopo è una storia da non potersi credere, e ve la racconterò la prossima volta» che nella riscrittura diverrà «una storia così strana» e «ve la racconterò in quest’altri capitoli», mentre proprio il primo finale non è più così conclusivo, ma a Pinocchio torna «in mente il suo povero padre e balbettò quasi moribondo». Così il nuovo XIX capitolo può cominciare dicendo: «In quel mentre che il povero Pinocchio. impiccato dagli assassini a un ramo della Quercia grande, pareva oramai più morto che vivo» ecco che compare la fatina dai capelli turchini.E tutto procede di avventura in avventura, partendo ancora con il racconto aspro del burattino incatenato a far il cane da guardia, ma poi arriva il Paese dei balocchi, la trasformazione in ciuchino, l’essere inghiottito dal pesce-cane in cui ritrova suo padre e lo libera portandolo a riva, dove incontra e non si fila il Gatto e la Volpe mal ridotti, si pacifica con la Lumaca e col Grillo parlante, e si comporta bene sino alla trasformazione, chiudendo con l’osservazione: «com’ero buffo quand’ero burattino! E come ora son contento di essere diventato un ragazzino perbene!». Tutto senza più quelle atmosfere tenebrose e inquietanti della prima parte, con notti buie dove «non ci si vedeva da qui a lì» mentre gli sbattono addosso le grandi ali di uccellacci neri, come ricorda Ferlita nella sua postfazione in cui gioca azzardando anche un parallelo curioso con Sherlock Holmes.Allora, se Giorgio Manganelli ne aveva parlato come di «un romanzo mortuario e infernale», si capisce perché Italo Calvino, studioso delle fiabe italiane, legasse questo di Collodi al romanticismo nero e fantastico, aggiungendo che «Collodi non è certo Hoffman o Poe», per notare poi però che «la casina che biancheggia nella notte con alla finestra la fanciulla come un’immagine di cera che incrocia le mani sul petto e dice – Sono tutti morti… Aspetto la bara che venga a portarmi via, a Poe sarebbe certamente piaciuta».Del resto anche uno sguardo diverso come quello di una scienziata quale Margherita Hack, ricordando la sua lettura della versione definitiva da bambina, spiegava: «C’erano pagine terrificanti, come gli assassini tutti incappucciati di nero, a cui pensavo con un pò di paura. Così ricordo che quando finalmente Pinocchio usciva sano e salvo da tutte le sue avventure e arrivava il desiderato lieto fine, provavo invece un senso di delusione, di stonatura con tutto il resto».