Chiara Frugoni, “Donne medievali. Sole, indomite, avventurose” presentazione

Chiara Frugoni, docente e medievalista nonché autrice di molti saggi, in questo suo ultimo lavoro propone, tratteggiandole all’interno di una cornice di splendide miniature che costellano le pagine, le figure di cinque donne fuori dai canoni voluti dalla Chiesa cattolica che, ispirandosi ai dettami dell’apostolo Paolo, le vedeva destinate o al chiostro, dov’era comunque possibile imparare a leggere e a scrivere, o alle mura domestiche, sottomesse ai mariti e senza alcuna considerazione.

Cinque donne particolari che non si adeguano pagandone però il prezzo: la prima è Radegonda di Poitiers vissuta nel VI secolo, regina , moglie di Clotario I il re merovingio, poi diaconessa nel monastero da lei fondato; personaggi storici conosciuti e potenti come Matilde di Canossa o umili come Margherita Datini, moglie del commerciante di Prato che sapeva scrivere e poteva comunicare direttamente con il marito sempre in viaggio, ma anche autrici come Christine de Pizan, poetessa e scrittrice, che, rimasta vedova ancora in giovane età, si dedicò allo scrivere anche come mezzo di sostentamento economico; protagoniste potenti ma anche leggendarie come la papessa Giovanna.

“Nella società medievale, guerriera e violenta, la presenza femminile rimane in ombra: le donne, per lo più analfabete e sottomesse, offese e abusate, a volte addirittura considerate specie a parte rispetto agli uomini, come gli animali, non hanno voce. A meno di non essere obbligate al monastero, dove possono vivere in modo più dignitoso, imparando a leggere e scrivere. Da dove viene tanta misoginia? Una volta affermatosi il celibato dei preti con Gregorio VII, ogni donna è una Eva tentatrice, non compagna dell’uomo ma incarnazione del peccato da cui fuggire”( da Il Mulino Editore)

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Brevi note biografiche

Chiara Frugoni ha insegnato Storia medievale nelle Università di Pisa, Roma e Parigi. Tra i suoi numerosi libri segnaliamo, per il Mulino, «Vivere nel Medioevo. Donne, uomini e soprattutto bambini» (2017), «Uomini e animali nel Medioevo. Storie fantastiche e feroci» (2018), «Paradiso vista Inferno. Buon governo e tirannide nel Medioevo di Ambrogio Lorenzetti» (2019), «Paure medievali. Epidemie, prodigi, fine del tempo» (2020). I suoi saggi sono tradotti nelle principali lingue europee, oltre che in giapponese e in coreano.

Robert Seethaler “L’ultimo movimento” presentazione

Nell’Ultimo movimento Robert Seethaler racconta l’ultimo anno di vita e la drammatica gelosia per la moglie del grande compositore e acclamato direttore d’orchestra Gustav Mahler nato a Kaliště (Boemia) nel 1860, di famiglia ebrea, e morto a Vienna il 18 maggio 1911.

Il romanzo ha inizio nel 1910 quando su una nave il musicista sta tornando dagli Stati Uniti in Europa: è malato da tempo, il suo cuore è malato, un difetto mitralico che l’impegno lavorativo e la difficile situazione matrimoniale acuiranno. Ha sacrificato molto alla musica, anche il suo matrimonio con la bella Alma Schindler conosciuta ventenne nel 1901 in un salotto a Vienna.

Ora lei, trentenne, ha un amante, Walter Gropius l’ architetto innovatore che legherà il suo nome alla Bahuaus, e vuole separarsi ma sarà solo la sua malattia a trattenerla consapevole che quel sibilo del cuore del marito che aveva già sentito e che l’aveva tanto spaventata era diventato letale.

L’anno dopo Mahler si spegnerà lasciando ai posteri un patrimonio di musica, sinfonie e Lieder che dal linguaggio romantico avevano aperto la strada alla musica moderna

“Finalista al Deutscher Buchpreis, tra i romanzi piú venduti dell’ultima stagione letteraria tedesca, L’ultimo movimento, struggente ritratto di un grande artista nel momento del suo addio alla vita, costituisce una splendida conferma del posto di rilievo che spetta a Robert Seethaler nella letteratura di lingua tedesca contemporanea”.( da Neri Pozza Libri)

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Brevi note biografiche

Robert Seethaler è nato a Vienna nel 1966. Autore e sceneggiatore, nel 2007 il suo romanzo d’esordio è stato premiato con il prestigioso premio del Buddenbrookhaus. Ha ottenuto numerose borse di studio, tra cui la Alfred Döblin dalla Academy of Arts, e il film tratto dalla sua sceneggiatura (Die zweite Frau) ha ricevuto un importante riconoscimento al Festival del Cinema di Monaco di Baviera nel 2009. Una vita intera è stato un grande successo di critica e pubblico. Attualmente vive tra Vienna e Berlino.

Margaret Atwood “Moltissimo” a cura di Renata Morresi, recensione di Salvina Pizzuoli

Moltissimo è una raccolta di cinquantasette poesie, con testo a fronte, divise in cinque sezioni che, come l’autrice stessa indica nella presentazione alle lettrici ed ai lettori, sono state scritte tra il 2008 e il 2019.

“Scritte a mano, riposte in un cassetto, battute, riviste. In questi undici anni le cose si sono fatte più scure nel mondo. E poi, sono invecchiata. Sono morte persone che mi erano molto vicine.
La poesia ha a che vedere con la sostanza dell’esistenza umana: la vita, la morte, la rigenerazione, il cambiamento; così come l’equità e l’iniquità, l’ingiustizia e a volte anche la giustizia. Il mondo in tutta la sua varietà. Il clima. Il tempo. La tristezza. La gioia. E gli uccelli. Ci sono tanti uccelli in queste poesie[…] ne vorrei ancora di più nella prossima raccolta […]”

Il titolo è dato dalla composizione inserita nella quinta sezione: una parola antica, che va sbiadendo/ Moltissimo volli/Moltissimo pregai. Io lo amai moltissimo.

E conclude:

“Moltissimo amate, riunite qui insieme/ in questo cassetto chiuso, /ormai sbiadite, mi mancate. Mi manca chi è mancato, chi è partito troppo presto./Mi mancano anche quelli che sono ancora qui./Mi mancate tutti moltissimo./ Moltissimo rimpianto ho di voi/ Rimpianto: ecco un’altra parola/ che non senti più tanto spesso”.

Nostalgiche, descrittive di un pianeta amato nei suoi fiori e nelle sue creature, come in Balene in cui una madre piange la morte del suo piccolo dovuto a “plastica tossica”, e diventato esso stesso tossico, versi di profondo rammarico e di domande impotenti come in “Fogliame”: la plastica nera chi la pianta, chi la miete questa coltura, ma soprattutto l’ultimo verso Chi mette un limite?

E non solo. Versi ironici dettati dal tempo che passa e che lascia il suo segno ne “La donna di latta si fa fare un massaggio” o in “Tradimento” dove i due amanti sorpresi si mostrano nelle loro nudità impietose.

Ma la poesia non si racconta, si legge, si rilegge e ci lascia perplessi, ci strappa un sorriso amaro, ci commuove, ci rallegra o ci rattrista e comunque ci trasporta in un mondo di immagini e di parole tutte da sentire.

Giorgio Manganelli “Notte tenebricosa” Graphe.it Edizioni

Un testo postumo di Giorgio Manganelli con la prefazione di Alessandro Zaccuri e una lunga intervista alla figlia di Manganelli, Lietta (a cura di Emiliano Tognetti).  

Il libro esce il 15 novembre 2021, giorno in cui Giorgio Manganelli avrebbe compiuto 99 anni e vuole idealmente iniziare le celebrazioni per il centenario della nascita.

Pagine 162, prezzo 15,90 euro

Una lunga riflessione sulla notte e un viaggio alla scoperta di Giorgio Manganelli: «Il dittico raccolto in questo volume è molto più di un invito alla lettura: un ritrovamento e una testimonianza, certo, ma forse anche un pegno che viene restituito». (Alessandro Zaccuri)

Il manoscritto di quest’opera si può far risalire al 1965. Siamo nel pieno della neoavanguardia del Gruppo 63, del quale Giorgio Manganelli fu membro attivo, anche se la sua produzione letteraria e giornalistica difficilmente si può inquadrare sotto un’unica etichetta. Caratteristica che vale anche per Notte tenebricosa: in queste pagine l’autore costruisce e descrive un universo mitico, teologico e a tratti psicoanalitico intorno al concetto della notte.

Così essa diventa la pentola nella quale i viventi sono cucinati, o la femmina delirante di storie archetipiche, e ancora la figura mitologica nel cui manto oscuro si celano innumerevoli altre (demoni, angeli, simboli) tramite le quali si potrebbe interpretare il destino, terreno e ultraterreno, dell’umanità. Un’immersione preziosa nel linguaggio peculiare e nelle radici tematiche tipiche di uno scrittore che merita di essere riscoperto e studiato. 

Questa nuova edizione, meticolosamente curata, si arricchisce dell’intervista a Lietta Manganelli, figlia dell’autore e depositaria – oltre che del corpus di libri e materiali – di uno sguardo unico e fondamentale sul padre, come uomo prima che come penna.

GIORGIO MANGANELLI (1922-1990), scrittore e saggista, collaboratore di importanti quotidiani e periodici (tra cui Il Corriere della seraL’EspressoIlMondo), ha fatto parte del Gruppo 63 ed è considerato uno dei teorici di punta della neoavanguardia. Numerose le sue pubblicazioni che si caratterizzano per l’uso di un linguaggio sgargiante e una visione anticonformistica.

Il racconto della domenica

SARRA

La prima domenica dopo Pasqua ricorreva la festa di San Costantino, nei salti di Bottuda.

I salti di Bottuda sono campagne assai distanti dal paese omonimo, e per arrivare alla chiesetta intorno a cui si fa la festa campestre, bisogna attraversare una valle, un bosco, una pianura. Ma i Bottudesi amano assai il loro San Costantino, e per tutto l’inverno sognano di attraversare il bosco, la valle e la pianura, pur di festeggiare il Santo ballando, cantando, bevendo acquavite e vino bianco fino a mezzogiorno, e liquore d’anice e vino rosso fino all’ora del ritorno.

Ed è giusto che essi si divertano finalmente. Hanno lavorato tutto l’inverno crudo, dissodando e seminando la terra selvatica, guardando le greggie assiderate e magre: ora le pecore hanno la lana lunga, il grano verdeggia sui ciglioni, le macchie sono fiorite, il cielo è azzurro. Bisogna ringraziare San Costantino delle buone promesse della terra e del gregge, e bere e ballare e cantare in suo onore.

Anche Sarra* Fioreddu sognava la festa, le danze, i mercanti di stoffe colorate e di gioielli falsi, ma non osava neppure esprimere il suo desiderio.

In casa sua la maltrattavano perché non voleva sposare un pastore che possedeva cento pecore, cavalli, terre, e un cane famoso in tutti i paesi vicini.

– Cosa me ne faccio delle sue pecore e del suo cane, che possa mangiar le viscere del suo padrone! – diceva Sarra. – Mattia sembra egli stesso un cane peloso, col suo naso grosso e gli occhi rossi. Eppoi egli ha venti anni più di me, è grasso e basso. Io non lo voglio, mi fa schifo; meglio morire.

Essa era alta, fina, un po’ curva, ma molto bella e bianca in viso; inoltre aveva gli occhi azzurri, una rarità per il paese. Era civettuola, voleva sposare un giovine roseo, non peloso, alto e sottile, la cui cintura ricamata potesse cingere la vita d’una donna.

Il padre e i fratelli – uomini rozzi e ubbriaconi – s’erano fissati in mente che ella dovesse sposare Mattia, il pastore ricco, e la maltrattavano crudelmente.

Ella non poteva aprir bocca che subito non si sentisse minacciata di venir trascinata pei capelli: intorno a sé non vedeva che visi inferociti, occhi verdi d’ira, e non udiva che parole vituperose. Bastava che comparisse lei perché tutti i suoi parenti prendessero l’aspetto di cani arrabbiati.

Ma lei restava dura. Diceva:

– Maltrattatemi pure, strappatemi i capelli, fatemi a pezzetti: l’ultimo pezzetto dirà no, no, no.

Fin dai primi d’aprile sentì che il padre e i fratelli con le loro fidanzate dovevano andar alla festa di San Costantino. Facevano già tanti progetti.

– Porteremo questo, porteremo quest’altro; mangeremo sotto l’albero a destra della chiesa, canteremo su quest’argomento, compreremo questo, compreremo quest’altro.

Sarra ascoltava con gli occhi spalancati, arrossiva d’invidia, si rodeva, spesso di notte piangeva amaramente. Ah, mai fino ad allora aveva sentita tutta la sua disgrazia. Non poter andare alla festa mentre ci andavano anche i mendicanti; non poter esprimere il suo desiderio, non poter neppure parlare!

Tutto ciò accresceva il suo odio e la sua ripugnanza per Mattia. Ella piangeva di rabbia, quando pensava a lui stringeva i pugni, sputava, lo ingiuriava continuamente fra di sé. E se lo vedeva gli voltava le spalle e impallidiva d’odio.

Intanto giunse la Pasqua, passò; cominciarono i preparativi per la festa.

Si fecero le focacce dolci ed il pane, fu portato l’agnello dall’ovile, si comprarono le arancie, il vino, il nasco** s’estrasse il primo miele. Sarra rodevasi di desiderio e di rancore: sapeva che Mattia non sarebbe andato a San Costantino e ciò accresceva la sua voglia.

La notte precedente la festa, la ragazza dormì poco e pianse: poi sognò che anch’ella era andata alla festa e che ballava con un giovine alto e bello; e svegliandosi provò uno stringimento al cuore.

S’alzò che era ancor notte: nella cucina stavano disposte in fila le bisacce colme, pronte le briglie, i freni, gli sproni ripuliti. Nel cortiletto i cavalli ruminavano: e nel silenzio dell’aria tiepida risuonava di tanto in tanto il rumore metallico delle loro zampate sul lastrico umido di rugiada.

Sarra guardò, ascoltò, accese il fuoco, mise a bollire il caffè e ricominciò a lagrimare.

Il padre che dormiva su una stuoia, si svegliò e sbadigliò; poi chiese con voce assonnata e rude. – Che cosa hai? Perché piangi?

Sarra si sentì intenerire, ma nello stesso tempo ebbe paura, scoppiò a pianger forte e non rispose.

Il padre s’alzo e curvandosi su una bisaccia la sollevò come per provarne il peso.

– Che il diavolo ti tolga le scarpe, – diceva intanto a Sarra, – tu vorresti venire alla festa di San Costantino?

Ella continuò a singhiozzare, col viso nascosto nel grembiale. Il padre le si rivolse minaccioso:

– Rispondi a tuo padre. Vuoi o non vuoi venire alla festa?

– Sì – ella rispose con un filo di voce.

– Sì! – disse il padre contraffacendola. – Ebbene, che il diavolo ti porti, va, cambiati il fazzoletto e le scarpe.

Sarra andò via rapidamente.

Allora anche i fratelli si alzarono, rotolarono le stuoie, rizzandole lungo la parete, e si guardarono fra loro.

– Ella viene – dissero a bassa voce.

E sulle prime parvero contenti, ma tosto ripresero la loro solita aria di malcontento.

– Ah, – diceva il padre, parlando fra sé, mentre sceglieva la briglia del suo cavallo, – non ci sarebbe stato bisogno di ciò.

Sarra riapparve subito, rossa, un po’ ansante, con gli occhi ancora gonfi ma lucenti di gioia. S’era cambiata in un attimo; aveva una camicia bianchissima, le scarpe nuove, il corsetto guarnito di trine d’oro, e in testa un gran fazzoletto frangiato, di damasco violaceo.

Quando le cavalcature furon pronte ella sedette in groppa alla cavalla grigia montata da suo padre. E via per la valle, il bosco, la pianura, nel purissimo e odoroso mattino di aprile.

Durante il viaggio nessuno dei parenti di Sarra, e neppure le sue future cognate, le rivolsero la parola: ma ella non se ne curava. Rideva e chiacchierava con gli altri paesani che andavano alla festa, ed era felice in modo inesprimibile.

La rugiada brillava sui grani: nelle macchie cantavano gli uccelli; l’aria era satura di profumi; i più bei giovani di Bottuda si recavano alla festa, voltandosi per guardare Sarra il cui volto, nel fazzoletto di damasco violaceo, pareva una rosa di macchia.

Ella rideva e parlava in alto per farsi udire dai giovanotti, guardandoli col suo azzurro sguardo apparentemente ingenuo, pieno di vita e di gioia.

– Noi balleremo assieme – dicevano gli occhi dei giovani e quelli di Sarra. – Chi sa come ci divertiremo.

Ed infatti ella si divertì follemente tutta la giornata: trovò le sue amiche, ballò, civettò, fu corteggiata a più non posso.

Il padre ed i fratelli bevevano acquavite e vino giallo, anice e vino rosso, giocavano alle carte ed al bersaglio e non badavano a lei.

Ella fece tutto ciò che le parve e piacque senza mai ricordarsi di Mattia e delle persecuzioni sofferte; comprò anellini con pietre gialle e verdi, ricevette qualche regalo galante e nascose tutto entro il seno.

Verso l’ora della partenza ella era stanca di ballare, i piedi le bruciavano, le mascelle le facevano male dal gran ridere, e si sventolava sul viso infuocato i lembi del fazzoletto violaceo, ma vedeva con dispiacere avvicinarsi il momento di partire.

Il sole tramontava, il cielo accendevasi di oro all’orizzonte, l’ombra della chiesetta allungavasi sull’erba calpestata; un gran silenzio scendeva già sulla pianura. Il sogno era finito.

A poco a poco la gente se ne andò: gli uomini erano quasi tutti ubbriachi, le donne melanconiche. I Fioreddu furono fra gli ultimi a partire, e il padre si attardò più di tutti. Era anch’egli ubbriaco, ma fingeva di esserlo più di quanto veramente lo era. Barcollava, chiudeva gli occhi, balbettava. A cavallo dondolava di qua e di là dalla sella, e Sarra doveva quasi sostenerlo perché non cadesse. La cavalla andava lentamente, e si lasciò sopraggiungere e sorpassare anche dai carri dei mercanti e dai mendicanti che facevano la strada a piedi. A poco a poco zio Fioreddu e la figliuola rimasero ultimi e soli nel sentiero all’entrata del bosco. Le ombre cadevano: attraverso i rami immobili nella quiete del crepuscolo il cielo impallidiva. Il roteare dei carri, i passi dei cavalli, le voci, i canti morivano in lontananza.

Zio Fioreddu continuava a dondolare in sella e pareva dormisse. Sarra fu colta da grave tristezza. Il suo volto si fece bianco bianco, gli occhi così facili al riso ed al pianto si velarono.

Ella aveva paura di trovarsi così nel bosco sola con quell’uomo ubbriaco, e non osava svegliarlo e dirgli di viaggiare più sollecitamente.

Per quanto poteva batteva il piede sul ventre della cavalla, ma la bestia scuoteva la coda, rizzava le orecchie e continuava a camminare lentamente. Era sazia, la cavalla, sazia di erba e di fronde; non le importava quindi, come quando zio Fioreddu tornava dal lavoro, di trottare rapidamente verso la mangiatoia.

Sarra cominciò a incollerirsi e inquietarsi. La notte cadeva, i rumori dei carri e le voci dei viandanti s’erano spenti; zio Fioreddu continuava a dormire.

– San Costantino mio, – diceva Sarra fra sé, – cosa è questo? Aiutateci voi, altrimenti arriveremo domani mattina.

Ad un tratto ella provò un grande spavento, le parve veder Mattia dietro un albero, nell’ultimo barlume del crepuscolo.

– È il demonio – pensò: ma tosto diede un grido acutissimo e si strinse alla vita di suo padre,

perché realmente Mattia balzò in avanti e fermò la cavalla.

Era armato di fucile, di pistola, di leppa (coltello) e pareva un brigante: dopo di lui vennero

correndo altri due uomini che Sarra riconobbe benissimo. Eran due servi di Mattia. La fanciulla capì immediatamente che volevano rapirla, e si mise a urlare, avvinchiandosi a suo padre e chiamando soccorso. Zio Fioreddu parve destarsi.

– Cosa c’è? – chiese con voce rauca ed assonnata. – Cosa vuoi, Mattia?

– Smontate – disse costui. – Lasciatemi vostra figlia e la vostra cavalla e tornate a piedi, al paese. Vi riporterò tutto in buono stato.

Zio Fioreddu si mise a ridere e disse:

– Eh, eh, tu scherzi. Vuoi andare alla festa, ora, tu? Sei matto? Noi torniamo ora, dalla festa.

– Si vede bene! – disse Mattia. – Quanti calici avete bevuto? Basta, smontate con le buone, altrimenti vi farò smontare con le cattive.

– No! No! – urlava Sarra. – Non lasciatemi, babbo mio. Farò tutto ciò che vorrete, ma ora non lasciatemi.

Tutto fu inutile. Invano le sue grida risuonarono nel bosco: mezzo morta ella si trovò, dopo aver dato parecchi pugni, graffi e pedate, in balìa del suo rapitore.

Ziu Fioreddu, che rideva e parlava insensatamente, fu lasciato nel bosco, e Sarra fu condotta all’ovile del rapitore.

Là c’era la sorella di Mattia, una brutta donna nera dalle labbra grosse, che cercò confortare la fanciulla.

– Non temere, colomba mia, – le disse, – nessuno ti torcerà un capello: domani mattina Mattia, ti ricondurrà a casa tua, ed anche la cavalla ricondurrà. E subito vi sposerete, colomba mia, non temere.

– No, non lo credere, labbra di cavallo – disse Sarra con disprezzo. – Voi siete tante bestie feroci, ma io non sposerò tuo fratello.

– Cosa vuoi, sorella cara? – disse l’altra stendendo una stuoia accanto al fuoco. – Chi vuoi che ti sposi, ora? Dopo questo fatto chi vuoi che ti sposi? Coricati, sta tranquilla, ché con mio fratello tu starai come una regina. Cosa vuoi di più? Coricati, Sarrina mia. Domani mattina faremo il caffè, dopo torneremo tutti assieme al paese, e domani mattina stesso Mattia ti farà il dono di sposo: otto anelli con pietre, una medaglia d’argento, le scarpe ricamate, il fazzoletto color di garofano.

La donna continuò ad enumerare i doni dello sposo, ma Sarra le volse le spalle e si accoccolò in un angolo della capanna.

Ah, ella lo vedeva bene. Tutti erano d’accordo in quest’orrenda commedia, compresi i suoi fratelli ed il padre. Che cosa le restava a fare contro quelle bestie feroci, com’ella le chiamava.

– Cosa farò io? – pensava, singhiozzando. – Io andrò dagli uomini della giustizia e denunzierò queste bestie feroci? E poi? Li condanneranno, ma nessuno più mi sposerà dopo che sono stata rapita. Tutti crederanno che io abbia passato la notte con quel cane di Mattia, e nessuno più mi guarderà.

In questi pensieri ella pianse a lungo e disperò; a poco a poco si calmò, e verso l’alba cominciò ad assopirsi. Allora nel dormiveglia, una strana e selvaggia dolcezza le scese nel cuore.

– Quelle bestie feroci! – pensava vagamente. – Esse mi hanno ammazzata; ma toccherà poi a me. Ah, fratelli cari, voi credete che profitterete del benestare di Mattia? Sarò io la padrona; vi discaccerò come cani rognosi. E tu, Mattia, credi che avrai una moglie fedele? Io ti sposerò, ma tu ti sbagli, bestia feroce…Così si addormentò.

Note

* Alessandra

** vino bianco sardo dolce e forte


da Grazia Deledda La regina delle tenebre raccolta di racconti

Simonetta Robiony “Elogio della nonna. Solidità solidarietà emancipazione”

Prefazione di Cristina Comencini

Fefè Editore

pagg. 140 • € 13 • 2021

Simonetta Robiony è nata a Napoli e vissuta a Roma, fin da bambina, a casa dell’adorata nonna. Questo ELOGIO DELLA NONNA è nato a posteriori, dal confronto tra le infinite riflessioni sulla questione femminile fatte con il suo gruppo e la figura della nonna, donna autonoma, forte, decisa, indipendente, anche se all’epoca non poteva votare, né divorziare, né firmare col suo cognome da ragazza. Un incontro che ha prodotto un racconto di grande fascino letterario, storico e sociale.

«La nonna del libro, come altre di quella generazione, sono fiere della loro femminilità, hanno la sensazione chiara che essere donne è una grande fortuna, malgrado le proibizioni, malgrado la maggioranza non possa ancora lavorare, non voti, non venga riconosciuta. Credo che la mia generazione dovrebbe ricordarsene sempre e portare con sé, nelle nuove libertà acquisite, queste vite ricchissime di intelligenza, di ironia, di fatica e di bellezza» Dalla prefazione di Cristina Comencini

Un elogio della “nonna” che rappresenta un effettivo elogio della femminilità, della forza e della dignità di ogni donna. Un esempio anche e soprattutto per il nostro mondo in cui abbiamo conquistato tante libertà e la nostra vita all’apparenza sembra più facile. 

SIMONETTA ROBIONY Giornalista, ha collaborato con Rizzoli e con il quotidiano La Stampa di cui è stata firma storica per quarant’anni. Partecipò fin dall’inizio al movimento “Se Non Ora Quando?” curando le interviste per www.cheliberta.it. Ha collaborato con la Rai e con Maurizio Costanzo. Ha pubblicato Avevo 20 anni nel ’68 con All Around e Se non ora quando con Castelvecchi (insieme a Rita Cavallari).

CRISTINA COMENCINI Regista, sceneggiatrice, drammaturga e scrittrice tra le più popolari. Da sempre impegnata per diritti civili e parità di genere. Tra le fondatrici di “Se Non Ora Quando?”.

Michelle Magorian “Buonanotte signor Tom” presentazione

Buonanotte, signor Tom, titolo originale Goodnight, mister Tom pubblicato nel 1981, è un classico della letteratura inglese per ragazzi e comunque una lettura per tutti, tradotto per Fazi da Arianna Pelagalli. Un classico di successo, per la prima volta in Italia, che racconta una storia di grande affettuosità tra un “evacuato” e il vedovo burbero e solitario che lo accoglierà.

È il 1939 e il governo inglese decide l’evacuazione dei bambini dalle città, obiettivo dei bombardamenti nemici. Tra questi William Beech che viene da Londra, ha nove anni ma è più piccolo della sua età e sicuramente traumatizzato e deprivato come dicono i suoi occhi grigi e spenti, ha paura di tutto, e il corpo pieno di lividi e cicatrici. Thomas Oakley lo accoglierà nella sua casa in un villaggio in campagna, è il mese di settembre. Saranno le attenzioni e l’affetto che il piccolo non ha mai avuto a consentirgli di acquisire una nuova serenità. E tra i due nasce un forte e tenero rapporto quasi parentale che porterà il vecchio Thomas a cercare William dopo che la madre ne ha chiesto il ritorno in città, facendo dopo molte traversie una triste scoperta.

“Per la prima volta nelle librerie italiane, Buonanotte, signor Tom è un classico moderno che figura tra i cinquanta libri più amati di sempre dagli inglesi. Adattato più volte per il cinema e il teatro e vincitore, fra gli altri riconoscimenti, della Carnegie Medal, è un commovente romanzo dalle atmosfere dickensiane che conquisterà grandi e piccoli”.(da Fazi Editore)

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Brevi note biografiche

Michelle Magorian nasce a Portsmouth nel 1947. Studia recitazione e mimo, poi si specializza in Film Studies alla London University e comincia a recitare. Nel frattempo scrive racconti, uno dei quali costituirà l’ossatura del suo romanzo più celebre, Buonanotte, signor Tom. La storia è stata adattata in forma di musical, di pièce teatrale e di film. Tra gli altri libri dell’autrice ricordiamo A Little Love SongJust Henry e Back Home.(da Fazi Autore)

Gaia de Beaumont “Scandalosamente felice” presentazione

Dopo Scusate le ceneri e Tra breve io ti scorderò, mio caro, la biografia romanzata di Dorothy Parker la prima, di Edna St. Vincent Millay la seconda, Gaia de Beaumont  celebra Joséphine Baker (1906 – 1975) la “venere nera”, la ballerina di colore statunitense, naturalizzata francese, che nei ruggenti anni ‘20 innamorò Parigi, dove nel 1925 si esibiva al Théâtre des Champs-Elysées, oltre ad uno stuolo di scrittori, a cominciare da Simenon, e artisti che non resistevano al suo fascino di giovane donna esuberante e fresca, dalle lunghe gambe sottili che sapeva muovere con agile frenesia così come quando si esibiva giovanissima ad Harlem.

Personalità eclettica riscosse sempre maggiori successi esibendosi in vari teatri di varietà in giro per l’Europa, ma fu anche impegnata nella Resistenza e nella lotta al nazismo trasportando messaggi segreti tra le pagine degli spartiti e impegnandosi nella lotta antirazzista partecipando alla marcia della pace di Martin Luther King nel 1963.

Una vita la sua tumultuosa, anche sentimentalmente, aveva collezionato ben cinque matrimoni e vissuto amori bisex, adottato ben 12 bambini di diverse nazionalità e si era circondata di animali di ogni specie.

Dal corrente anno riposa nel Pantheon di Parigi.

Scandalosamente felice è la storia di Joséphine Baker (1906-1975), che nel racconto esatto e confidente di Gaia de Beaumont diventa il romanzo di una vita che in sé è già un romanzo, e di avventura. Nata poverissima ma con una grande passione per la danza Joséphine riesce, con peripezie degne dei bambini di Dickens, a fuggire dal mancato amore della madre e a raggiungere prima New York, poi Parigi, e soprattutto riesce a ballare[…]Con una lingua vicinissima e distante come quella di un biografo inglese, ironica e dolente, Gaia de Beaumont srotola, come un nastro dorato, la vita di Joséphine Baker, restituendo amori ed errori a un’icona che non è mai stata ferma nel tempo”.( da Marsilio Editore)

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Brevi note biografiche

Gaia de Beaumont vive a Roma. Oltre a Vecchie noiose, con Marsilio ha pubblicato Scusate le ceneri (biografia romanzata di Dorothy Parker; 1993, 2019), Ghiaia (1996), Care cose (1997), Vogliamoci male (1997), La bambinona (2001), Tra breve io ti scorderò, mio caro (biografia di Edna St. Vincent Millay; 2004), I bambini beneducati (2016) e Scandalosamente felice (2021). Ha collaborato con quotidiani e settimanali e ha lavorato come sceneggiatrice e ghostwriter.( da Marsilio Autore)

Della stessa autrice su tuttatoscanalibri.com:

Vecchie noiose

Cristina Cassar Scalia “Il talento del cappellano” presentazione

“Comincia tutto in una notte di neve, sull’Etna. Il custode di un vecchio albergo in ristrutturazione chiama la Mobile di Catania: nel salone c’è una donna morta. Quando però i poliziotti arrivano sul posto, del corpo non vi è più traccia”.(dal Catalogo Einaidi Editore

Un nuovo giallo della Scalia con protagonista la nostra Vanina Gaurrasi, e sì, perché la Scalia ha un dono, non da poco come scrittrice, di saper rendere così vicini al lettore i suoi personaggi e non solo i protagonisti, da farli uscire dalle pagine e farli sentire “di casa”, quasi amici. Chi segue le indagini del vicequestore sa bene cosa intendere.

Questo nuovo caso capita tra Natale e Capodanno quando Vanina, superate le ritrosie, ha deciso di trascorrere le Festività tra i familiari.

Ma se il mestiere, di chi come Vanina, è quello di cercare la verità di mostruosi delitti non ci sono feste che tengano.

Il nuovo caso si apre subito misterioso: c’è un cadavere che compare e scompare per poi ricomparire in un luogo diverso e, guarda caso, nel cimitero di Santo Stefano, proprio il paese dove abita la Guarrasi. L’indagine s’infittisce quando accanto al cadavere ritrovato si trova anche quello di un monsignore, assai conosciuto e stimato: i due cadaveri giacciono dentro una messinscena di fiori, lumini, addobbi “ca pare ‘na bancarella natalizia”.

Anche questa volta l’intervento in aiuto del commissario in pensione Biagio Patanè sarà determinante per le doti di intuito sopraffino che lo caratterizzano.

Dello stesso autore su tuttatoscanalibri.com:

L’uomo del porto

La salita dei Saponari

L’intervista sulla Gazzetta del Sud

Scalia De Cataldo De Giovanni “Tre passi per un delitto”

Due presentazioni in breve:

Howard Carter “Tutankhamen. Il mistero di un faraone e l’avventurosa scoperta del suo tesoro”

Paolo Mieli “Il tribunale della Storia. Processo alle falsificazioni”

A quasi cento anni dal ritrovamento della tomba più celebre, più ricca perché quasi inviolata, fino ad ora rinvenuta nella Valle dei Re, Garzanti ripropone il volume in cui lo stesso egittologo raccontò la sua incredibile scoperta.

Era il 1922 e più precisamente il 29 novembre (anche se ufficialmente la tomba fu aperta il 16 febbraio 1923) quando l’egittologo Howard Carter dopo anni di ricerche effettuò la prima discesa nella tomba di Tutankhamon.

Il testo, nella nuova edizione, è introdotto da un saggio di Christian Greco, il direttore del Museo Egizio di Torino.

[…] “Fu il gruppo guidato da Howard Carter e lord Carnarvon a penetrare per primo nelle stanze segrete della sepoltura del faraone, sopravvissute ai secoli e alle razzie dei predoni. Gli scavi misero in luce un tesoro insospettato di arredi funebri e di suppellettili della vita quotidiana di allora, […] il minuzioso racconto di Carter fa rivivere con immediatezza e trasporto le aspettative e le sorprese di un’impresa archeologica che ha fatto storia”.( da Libri Garzanti )

HOWARD CARTER (1874-1939)è stato tra i più celebri archeologi della storia. Fra il 1891 e il 1899 lavorò all’Egypt Expolration Fund e più tardi divenne ispettore capo alla sezione antichità del governo egiziano. A lui si devono le scoperte delle tombe di Thutmosi iv, di Hatshepsut e, in collaborazione con lord Carnarvon, di Tutankhamen e di Amenofi I.(da Garzanti Autori)

Nel suo ultimo saggio, “Il tribunale della Storia. Processo alle falsificazioni” Paolo Mieli spiega in cosa consista il metodo “giudiziario” applicato ai fatti e alle figure del passato: i fatti vanno sempre revisionati e non soltanto perché ne emergono di nuovi, ma per una loro rivisitazione. Nelle tre parti che compongono il volume la rivisitazione segue un processo in cui si immagini un banco degli imputati, l’arringa dell’accusa e le argomentazioni della difesa, il tutto per arrivare non a nuove sentenze, non per raggiungere delle verità ma per aprire nuovi percorsi di ricerca seguendo il metodo che di quest’ultima è proprio: rigore, spirito critico e apertura a nuove verifiche, un processo alle falsificazioni.

“Mieli riesce, con la brillantezza del grande divulgatore e l’acume dell’attento osservatore dei nostri giorni, a spiegare in cosa consista l’applicazione di un metodo «giudiziario» per una rivisitazione dei fatti e delle figure della storia. «A patto che, beninteso, tale metodo sia utilizzato in modo comprovatamente onesto. In caso contrario, tutto sarà stato inutile.»Il vero processo, dunque, necessario e prezioso, è quello contro ogni tipo di falsificazione. Ed è «il risultato del lavoro del tribunale della storia, tribunale che nell’era dell’informazione diffusa è sempre riunito. In seduta permanente».(da Libri Rizzoli)

Brevi note biografiche

Paolo Mieli giornalista e storico, negli anni Settanta allievo di Renzo De Felice e Rosario Romeo, è stato all’“Espresso”, poi alla “Repubblica” e alla “Stampa”, che ha diretto dal 1990 al 1992. Dal 1992 al 1997 e dal 2004 al 2009 è stato direttore del “Corriere della Sera”. Dal 2009 al 2016 è stato presidente di RCS Libri. Tra i suoi saggi per Rizzoli, oggi disponibili nel catalogo BUR, Storia e politica (2001), La goccia cinese (2002), I conti con la storia (2013), L’arma della memoria (2015), In guerra con il passato (2016), Il caos italiano (2017), Lampi sulla storia (2018), Le verità nascoste (2019) e La terapia dell’oblio (2020) (da Rizzoli Autori)