Marco Filoni “Inciampi. Storie di libri, parole e scaffali” recensione di Flavia Piccinni da Il Tirreno Culture

La biblioteca di Marco Filoni, un piccolo mondo infinito
di Flavia Piccinni
La storia di un libro non è solo quella che racconta fra le sue pagine, ma anche – e soprattutto – quella che si nasconde dietro il suo lavoro, e che è fatta di incontri, ossessioni, appuntamenti mancati e mistero. La storia di una biblioteca, dunque, diviene una moltiplicazione esponenziale di vissuti, narrazioni, ambizioni e frustrazioni. A raccontare questo piccolo, infinito, mondo è Marco Filoni con “Inciampi” (pp. 72, EUR 13), pubblicato di recente dall’editore indipendente Italo Svevo. Filoni – nato a Fermo nel 1975, già dottore di ricerca in Storia della Filosofia e giornalista culturale, nonché autore e curatore di molteplici e rilevanti testi per prestigiosi editori, come Gallimard e Adelphi – guida il lettore in una biblioteca che, come notava Umberto Eco, è scoperta e come ripeteva Roland Barthes genera non poca frustrazione poiché «il libro desiderato non è mai dove lo si cerca». Molteplici, e spesso meravigliose, le storie raccontate – come quella di Henri Cinoc, reale e contemporaneamente invenzione di George Perec, indemoniato dai libri – o le citazioni più disparate. Da apprezzare, oltre il gusto per la raffinatezza dell’autore, la sua sincerità, che con un bonario sorriso mette a nudo la verità dello scrittore: quello «stare lì, seduto, prorogando le parole da scrivere per fare altro – di solito, altro di vanamente infruttuoso e gioiosamente futile. Fino a quando non si avvicina, ineluttabile e arcigna, la data di consegna: ecco allora che alla paura di scrivere qualcosa di brutto subentra la paura di non scrivere nulla». Un pensiero che potrebbe essere applicato a qualsiasi cosa – dal fare i compiti di scuola, al consegnare una relazione a lavoro – e che viene sublimata dalla straordinaria tendenza al procrastinare espressa nella nota massima di Mark Twain: «Non rimandare a domani ciò che puoi fare dopodomani». Come contraddire la straordinaria verità contenuta in quest’unica frase?

Salvina Pizzuoli “Il tempo smarrito. Memorie di un’ottuagenaria” con la recensione di Daniela Alibrandi

 

Esce solo in ebook questo racconto lungo di Salvina Pizzuoli dedicato ancora ad una donna che racconta un breve arco della propria vita; un percorso su base storica che si muove lungo  i ricordi della protagonista: la nascita nel 1929, la seconda guerra mondiale, la mafia, il viaggio nel dopo guerra, dalla Sicilia alla Toscana, verso Firenze .

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e su Edida

Recensione di Daniela Alibrandi:

Un racconto delicato, dove si affacciano immagini a volte nitide, a volte sbiadite, i ricordi di una ottuagenaria, nata nell’ottobre del ‘29. L’autrice ha mosso passi rispettosi e delicati tra i preziosi ricordi di una donna, che si è trovata a vivere in uno dei periodi più significativi della nostra storia politica e sociale. Attraverso descrizioni toccanti e palpabili, scopriamo un’infanzia vissuta durante l’ascesa del Fascismo e un’adolescenza trascorsa nel dopoguerra. E come spesso accade nella mente degli anziani, alcune immagini restano scolpite e, anche se legate a ricordi lontani, sembrano in prospettiva molto vicine. È così che con uno stile fluido e originale, l’autrice passa con disinvoltura dal tempo passato al presente, come se le situazioni di allora fossero tuttora vive. L’infanzia descritta in maniera toccante nella grande casa e nella masseria, i giochi spensierati sull’aia. Intorno un mondo che si avvia alla distruzione della guerra, una Sicilia dilaniata dai bombardamenti e dalla mafia. La politica che entra prepotentemente nella famiglia. Il tutto intuito dalla sensibilità infantile, che diviene profonda consapevolezza nel momento in cui si deve lasciare il luogo in cui si è nati per non rivederlo mai più. E conoscere scenari diversi, sentiti come “stranieri”, in una Firenze che viene ammirata e amata profondamente. Un racconto che non lascia indifferenti e porta a capire quale sia la poesia che a volte cercano di raccontare gli sguardi umidi degli anziani. Ne raccomando la lettura.

Dalla quarta di copertina:

“C’è stato il tempo di vivere e dimenticare e c’è il tempo di rivivere; quale preferire e assecondare? Il dolore e la felicità sono gli stessi, la frustrazione e l’impotenza insopportabili” Questa la frase a premessa del racconto, costruito su base storica, con il quale la protagonista introduce una narrazione che accompagna le fasi essenziali della sua vita dalla nascita agli anni del dopoguerra che decide di ripercorrere nel giorno del suo ottantesimo compleanno, tra ricordi, avvenimenti, personaggi reali e di fantasia, in un viaggio dalla Sicilia attraverso la Puglia e poi in Toscana. Il tema ripropone il tempo di cui non abbiamo memoria, un tempo smarrito che cerchiamo a volte senza risultato: perché ci sfugge?

Come inizia:

Il tempo dentro di me, il tempo che non si vede
e ci impasta
Mercè Rodoreda La piazza del Diamante

Prologo

Oggi è il mio compleanno, compio ottant’anni.

Il fastello degli anni, no, non mi angustia; sono traguardi legati ad una convenzione; dentro mi hanno appena sfiorata. Sono sempre io, mi riconosco. Ora che c’è più passato che futuro nella mia storia, lo inseguo, lo ripercorro, lo riassaporo, mi fermo a ripassare la mia vita, ma non sono in grado di scorrerlo tutto; questo è il mio cruccio. Sfugge al controllo una lunga parentesi della quale mi restano inspiegabilmente pochi episodi; riemergono con impazienza e stento a riconoscerli come miei, quasi fossero invecchiati precocemente, prima di me. La mente ritorna sempre più spesso a quel tempo sperduto nelle pieghe della memoria, ma così palpabile; mi turba, con i pochi frammenti rimasti.

Perché?

Il futuro è ormai troppo breve, vicino alle conclusioni e incerto oppure i pezzi perduti sono davvero così rilevanti? Non so rispondere; ho vissuto buona parte della mia vita senza averne conservato un ricordo completo; sono riuscita a trattenerne pochi brandelli, sfilacciati e strappati in più punti. Sono spaventata e affascinata da questo tempo smarrito; preferirei impegnarmi a trascorrere intensamente l’ultimo lasso della storia che mi appartiene più che immaginarne il finale o rimpiangere o rammaricarmi delle stagioni perdute dal ricordo. Il richiamo del passato è forte e deciso; sento una strana ansia, forse paura, di non riuscire a mettere a fuoco neppure i pochi episodi che la mia mente ha conservato. Nessuno può illuminare gli spazi bui di questa ricerca, ma vorrei dare ordine ai pezzi che si presentano senza una precisa scansione temporale; posso provare a ricucirli senza pretese; capire perché riemergono quando meno me lo aspetto e perché mi angustiano tanto.

C’è stato il tempo di vivere e dimenticare e c’è il tempo di rivivere; quale preferire e assecondare? Il dolore o la felicità sono gli stessi, la frustrazione e l’impotenza insopportabili.

La grande casa

Della prima infanzia ho come tutti solo una piccola scorta di episodi, non sempre congruenti ed identici. La memoria me li riporta sconnessi e mi ci perdo dentro confondendoli tra le immagini di vecchie foto o tra brani di conversazione che mi pare di ricordare, tra gesti o sguardi di adulti, sfuggiti e carpiti dai piccoli; ma forse ricordi veri non sono, sono solo fotogrammi che la mia mente ha ottenuto cucendo ritagli di vissuto con i racconti di mia madre, non sempre disponibile a rinverdire il passato, o con le sue scarne risposte alle domande che insistentemente le rivolgevo. So con certezza di essere nata il 21 ottobre del 1929, di lunedì che, come ripeteva sempre mia madre, era una giornata fortunata perché al paese era giorno di fiera. Nei suoi racconti, snocciolati alla buona dietro mia insistenza, il parto assumeva i contorni di una favola lieta: tra una doglia e l’altra mangiava le mandorle sgusciate che teneva in tasca, incurante dell’affaccendarsi delle altre donne, quelle esperte di parti, quelle che avevano già partorito tanti figli.

Nacqui nella grande casa.

Non ero particolarmente graziosa né bella, ricordava mia madre, anzi, insisteva che per la mia magrezza aveva in un primo momento avuto l’impressione di aver partorito un coniglio, di quelli scuoiati che lei vedeva spesso penzolare inerti nella zona adibita al macello. Avevo anche una grande bocca che le donne curarono prontamente con delicati ma costanti sfregamenti di spicchi di limone, quelli nostrani e abbondanti nel giardino del nonno e naturalmente astringenti, come tutti ben sapevano già allora…

 

dello stesso autore su tuttatoscanalibri e sul sito di EDIDA.net:

in ebook 

Salvina Pizzuoli, Corti e… fantastici, Edida 2016

Salvina Pizzuoli – Quattro donne e una cucina, Edida 2014

in cartaceo e in ebook:

Salvina Pizzuoli “La valle dell’Arno tra storia e geografia”

Salvina Pizzuoli “Nell’altro giardino”, in cartaceo 2019

Alessandro Ferrini e Salvina Pizzuoli, Odessa: l’ora della fuga, Edida 2015

Alessandro Ferrini  e Salvina Pizzuoli ODESSA Caccia in Argentina 2018

Alessandro Ferrini  e Salvina Pizzuoli “La val di Merse. Luoghi e paesaggi”

A. Ferrini S.Pizzuoli “Fatti e Fattacci al tempo di Firenze capitale”

A Natale leggi con EDIDA

 

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Qui il nostro catalogo e il Progetto editoriale

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Qualche assaggio:

Verne “La sfinge dei ghiacci”

Stevenson “Lo strano caso del dottor Jekill e mister Hyde” illustrato con i disegni di Mauro Moretti

Stevenson “Il diavolo nella bottiglia” con testo originale a fronte e le illustrazioni di Elena Salucco

 thriller di successo:

Ferrini Pizzuoli “Odessa. L’ora della fuga”

o il sequel “Odessa. Caccia in Argentina”

gialli, fantasy, mistero 

Maria Castellett “Delitti”

Ferrini “Il complesso di Arkhàn”

ma anche storici e di viaggio

Alessandro Cosi “L’oro di Tolosa”

Salvina Pizzuoli “La valle dell’Arno tra storia e geografia”

Ferrini Pizzuoli “La val di Merse. Luoghi e paesaggi”

per i più piccini

Stefano Angelo “Theo e il drago artiglio rosso”


E tanti altri… Li trovate tutti presentati nel catalogo del sito di Edida 

 

Matthew Sturgis “Oscar. La vita di Oscar Wilde” recensione di Michele Mari da La Repubblica Cultura

La verità, vi prego su Oscar Wilde

Esce quella che in Gran Bretagna è considerata la biografia definitiva dello scrittore Ma si può realmente ricostruire l’esistenza di chi viveva come su un palcoscenico?

 

La vita di Oscar Wilde sembra fatta apposta per mettere in difficoltà un biografo (un biografo, intendo, animato da uno zelo positivo di stampo settecentesco e impermeabile alle suggestioni della “vita romanzata”), visto che non c’è aspetto, nei gesti, nella condotta, nelle affermazioni di questo straordinario poseur che non sia programmaticamente (e però anche naturalmente, congenialmente) improntato alla mistificazione. […]Ecco, fosse stato il personaggio di un libro di Mark Twain quel libro si intitolerebbe L’uomo che diventò un pettegolezzo, l’uomo che a differenza di Dreyfus non ebbe bisogno di essere processato per essere “un caso” […]

Le biografie wildiane, paragonabili per quantità e per divergenze solo alle biografie di Lewis Carroll, sono caratterizzate da un forte tasso di competitività: ognuna vuole fare giustizia dei pettegolezzi (appunto) cui le precedenti avrebbero indulto; ognuna vuol essere “definitiva” e, in termini di serietà, la “prima”. […] come ammette con un filo di sgomento lo stesso Sturgis, «nella sua esistenza postuma ha indossato tante maschere quante ne sfoggiò in vita, e con il medesimo brio. È stato un ribelle della controcultura, un martire gay, una vittima dell’oppressione coloniale britannica, un proto-modernista, un precursore del cool, e la lista non si esaurisce certo qui».[…](Da  Michele Mari  La Repubblica Cultura)

Andrea Bonacchi “Il burqa delle streghe” recensione di Luisa Gianassi

Le opinioni dei lettori

“Il burqa delle streghe” di Andrea Bonacchi – edito da Apice libri – oltre ad essere un romanzo pieno di colpi di scena che ne rendono avvincente la lettura, è anche ricco di idee e spunti di riflessione. Si parla di anoressia, di emancipazione femminile e della possibilità di una convivenza pacifica tra Popoli. Ambientato in Toscana, spazia tra campagna e città: attraverso l’amore tra il protagonista narrante e Fadwa, una giovane donna libanese, si incontrano e scontrano occidente e mondo islamico. L’autore nell’evoluzione delle vicende svela che la vera integrazione può passare solo attraverso l’universo femminile, le cui caratteristiche sono l’empatia e la solidarietà. Proprio grazie all’energia femminile si evolve anche la crescita personale del protagonista, il cui nome viene rivelato solo nell’ultima pagina del romanzo, a significare che finalmente ha trovato la sua strada e consapevolezza di sé. Il burqa in questo romanzo perde il suo significato oggettivo legato al mondo islamico e diventa il simbolo di ogni forma di condizionamento, dato anche da modelli sociali, culturali o religiosi del nostro occidente. Infatti Fadwa, discutendo con una sua coetanea Toscana dice “anche voi occidentali avete il vostro burqa: la taglia 38”.

Luisa Gianassi

Erodoto108- Rivista trimestrale, Casa editrice Bottega Errante: il consiglio di dicembre di Martina Castagnoli


Quando nasce una rivista di carta il fiocco rosa è d’obbligo; perché il senso di marcia è ostinato e contrario, perché se ne infischia delle logiche del mercato, perché manifesta con coraggio di non omologarsi. Se poi è una rivista di “storie di mondo” il valore cresce, perché in questi tempi bui, di conoscere e creare ponti, di scambiare punti di vista e aprirsi a culture e mondi diversi ce n’è davvero bisogno. Erodoto108, così si chiama la rivista, non pubblica diari di viaggio, non recensisce le bellezze dei paesi, semplicemente raccoglie alcune delle penne migliori in circolazione, alcuni dei fotografi più talentuosi, dei viaggiatori più acuti e li fa incontrare in un trimestrale stampato con grande generosità e coraggio da una Casa Editrice con la “E” maiuscola, Bottega Errante, di cui avevo già parlato nella recensione del meraviglioso “Radio Wilimowski”. Erodoto108 prende il nome dal grande storico greco antico, considerato a ragione da molti (tra cui il grande giornalista Ryszard Japuscinski) come il “primo
vero reporter della storia” per il suo bisogno di viaggiare, raccogliere dati, raccontare storie…questo si propone Erodoto108 e l’augurio è che viaggi in lungo e largo nelle vostre case e vi fornisca la materia prima per i vostri viaggi: l’immaginazione e la curiosità.

La Rivista è disponibile in libreria

Libreria On the road, via Vittorio Emanuele II,32A rosso, Firenze, come i libri di viaggio consigliati da Martina Castagnoli:

Alberto Bile “Una Colombia. Canzone del viaggio profondo”

Jennifer Clement “Gun love”

Patrick Leigh Fermor “Mani. Viaggi nel Peloponneso”

Mjlienko Jergovic “Radio Wilimowski”

Vito Paticchia “Via della lana e della seta”

Lorenzo Pini “Lisbona”

Catherine Poulain “Il grande marinaio”

Juan Pablo Villarino e Laura Lazzarino “Vie invisibili”

Lorenzo Barbiè “Pacific crest trail”

 

Annie Ernaux “L’evento”

È l’ottobre del 1963 e una studentessa universitaria aspetta per più di una settimana che le venga il ciclo. Tutte le sere prende la sua agenda e scrive sempre la stessa parola, in maiuscolo e sottolineata: niente. Ormai non riesce a pensare ad altro. Non è più in grado di apprezzare la bellezza di un film italiano in bianco e nero (Il posto di Ermanno Olmi) o di una pièce teatrale contemporanea (A porte chiuse di Sartre), perché ha una «realtà» che le cresce dentro la pancia. Nemmeno lo studio universitario o l’insegnamento del francese possono distoglierla dall’idea che quasi certamente è rimasta incinta di P., uno studente di scienze politiche conosciuto durante le vacanze estive…

continua a leggere:  la recensione di Lorenzo Pierangeli su mangialibri

e recensioni ai romanzi della Ernaux

Salvina Pizzuoli “Nell’altro giardino” recensione di Federica Zani

Una delle immagini più belle e famose della Recherche di Proust è quella dei giardini di Combray, la città dove il Narratore ha trascorso l’infanzia, che scaturiscono dalla sua tazza di tè: quel tè bevuto per caso il cui sapore ha miracolosamente riattivato tutti i ricordi di un periodo della sua vita che credeva perduto. La memoria come un giardino da esplorare: una metafora che, sebbene in modo diverso, è alla base anche di Nell’altro giardino, che si apre infatti con una citazione della sterminata opera proustiana.

Di giardini in questo romanzo ce ne sono due, ma il più importante è il terzo: l’altro, quello che non si vede. È il giardino del tempo perso per sempre, trascurato, impossibile da recuperare. Il Narratore proustiano trova la chiave per entrare nel giardino della memoria; nel nostro romanzo, invece, la chiave non c’è. Non si può raccontare quello che non si ricorda; si può solo segnare lo spazio occupato dalla sua assenza. Per questo il lettore sulla sua strada troverà molti vuoti, molti spazi bianchi di cui i personaggi per primi non sanno dare spiegazione. È una situazione in cui anche noi ci troviamo: la storia della nostra vita è scritta sopra la massa informe delle cose che abbiamo dimenticato. Quante sono, di tutte quelle che abbiamo vissuto, le ore che si sono davvero impresse nella nostra memoria? La percentuale, se ben ci si pensa, è desolante.

Fra le ore che quasi tutti ricordiamo ci sono probabilmente quelle in qualche modo legate all’amore. La ricerca di un modo giusto di dare e ricevere amore è infatti ciò che accomuna tutte le protagoniste. Sono donne che coprono lo spazio di tre generazioni, mostrando l’ampiezza e la varietà dello spettro emotivo nell’adolescenza, nella maturità e nella vecchiaia. La loro ricerca non si appiattisce sul cosiddetto “amore romantico” di troppi romanzi rosa; anzi, se c’è una lezione in questo libro, è forse proprio che non sempre le forme canoniche dell’affetto, così come la società le propone, sono di una taglia adatta a tutti. Bisogna avere la forza di guardare attraverso gli stereotipi per trovare la propria forma d’amore fatta su misura, l’unica in grado di riempire di senso la propria vita. È un percorso difficile e non tutti riescono a concluderlo con successo: qualcuno si smarrisce per strada. Nell’altro giardino, con la sua particolare struttura narrativa corale, che non si focalizza su un solo personaggio, riesce a raccontare con partecipazione la vicenda di ognuna di queste donne, comprendendo senza giudicare.

Federica Zani

dello stesso autore su tuttatoscanalibri e sul sito di EDIDA.net:

in ebook 

Salvina Pizzuoli, Corti e… fantastici, Edida 2016

Salvina Pizzuoli – Quattro donne e una cucina, Edida 2014

Salvina Pizzuoli – Il tempo smarrito. Memorie di un’ottuagenaria, Edida 2019

in cartaceo e in ebook:

Salvina Pizzuoli “La valle dell’Arno tra storia e geografia”

Alessandro Ferrini e Salvina Pizzuoli, Odessa: l’ora della fuga, Edida 2015

Alessandro Ferrini  e Salvina Pizzuoli ODESSA Caccia in Argentina 2018

Alessandro Ferrini  e Salvina Pizzuoli “La val di Merse. Luoghi e paesaggi”

A. Ferrini S.Pizzuoli “Fatti e Fattacci al tempo di Firenze capitale”

Francesca Sgorbati Bosi” “Non mi attirano i piaceri innocenti. Costumi scandalosi nella Parigi del Settecento” da Il Tirreno Culture

 

Nella scandalosa Parigi con Sgorbati Bosi

di Flavia Piccinni

Libertà dei costumi, delle ambizioni e delle speranze. Consumismo sessuale. Dipendenza dal gioco. Intraprendenza negli inetti, e nessun desiderio di faticare. Cortigiane, preti, re, lesbiche, commissari e mantenute. È questa la scandalosa Parigi di cui scrive nello spassoso e sorprendente “Non mi attirano i piaceri innocenti” (Sellerio, pp. 330) Francesca Sgorbati Bosi, che spesso si è occupata di temi affini.«Nei salotti – nota l’autrice – si faceva sfoggio di eleganza, umorismo e belle maniere, e i francesi erano certi di essere la nazione in cui la socialità era assurta a un livello di perfezione irraggiungibile», eppure gli osservatori stranieri non perdevano occasione di notare come “fosse raro incontrare competenza, studio e applicazione, senso del dovere, dedizione al bene pubblico, concretezza». Qualcuno direbbe: corsi e ricorsi di una storia ciclica. Al clima di perdizione si allinearono anche la pittura, che «trascurò i soggetti sacri e mitologici, e si dedicò sempre di più all’erotismo», e la cucina: «i cuochi si adeguarono al dilagante edonismo, con abbondanza di ingredienti afrodisiaci, ricette sempre nuove e complicate». In questo mondo alla rovescia – nel quale l’autrice guida il lettore in modo molto appassionante, accompagnandolo in una narrazione densa di perdizione e di curiosità – il bon ton smette di essere un modo per stare al mondo, e viene sostituito dal libertinaggio più sfrenato, dal conto del «numero di amanti ridotti sul lastrico o di dame compromesse per le spese folli e le perdite del gioco». E, naturalmente, dal cinismo. —