Ken Follett “Il cerchio dei giorni”, presentazione di Salvina Pizzuoli

Mondadori

The Circle of Days, titolo originale de Il cerchio dei giorni, è l’ultimo romanzo di Ken Follett che con le sue opere di narrativa di ambientazione storica ha portato il lettore in epoche lontane, a partire dall’eccezionale e decisamente impareggiabile I pilastri della terra, con pagine vivide e con personaggi perfettamente tracciati e vicende che hanno saputo costruire per gli appassionati lettori un mondo medievale fuori dai  cliché, fornendo contemporaneamente una pagina di storia ben documentata, attendibile nonché indelebile.
Con questo nuovo romanzo, ambizioso e ponderoso, ha voluto trasportarci in epoche non solo remote ma addirittura in qualche modo dentro uno degli enigmi più significativi ancora esistenti: Stonehenge e la società che lo ha edificato

Se I pilastri della Terra poggiava su fonti storiche e personaggi realistici, Il cerchio dei giorni si muove nel terreno della possibilità e del mito: i protagonisti sono figure archetipiche, più simboli che individui. Diversi nello stile e nell’ambientazione, i due romanzi condividono però la stessa idea di fondo: l’uomo che costruisce, la sua fatica, fede e genialità, forze eterne del bisogno umano di creare, capire e lasciare traccia.

Al lettore trarre le proprie considerazioni, mi soffermerò pertanto sui dati essenziali senza rivelare troppo.

Una società quella narrata ambientata circa 4500 anni fa, una società tribale.
Tre le tibù umane che vi compaiono: i pastori, gli agricoltori, gli abitanti dei boschi. Gruppo a parte sono le sacerdotesse, donne che stanno con le donne, proprietarie di antiche conoscenze e sanno tramandarsele.
A differenza di quanto tradizionalmente trasmesso saranno i pastori che con le loro precise caratteristiche e impostazioni mentali daranno vita a creazioni e a percorsi decisamente nuovi. Se gli appartenenti sono inclini a non risolvere le controversie in modo violento, se sanno accogliere le differenti scelte dei propri membri anche in ambito sessuale, il loro contrario sono gli agricoltori. E non solo.
I tipi umani che ci caratterizzano ancora oggi, sono tutti rappresentati: violenti e concilianti, rozzi e cortesi, di bella presenza e decisamente no, arroganti e geniali, generosi e accaparratori, …
Lotte e scontri caratterizzerenno i lunghi e occasionali periodi di convivenza tra i diversi gruppi umani, e vi si distingueranno due personaggi in modo particolare divenendo i protagonisti di un progetto temerario: Seft, un cavatore di pietra, particolarmente  talentuoso e creatore di “macchine” e Joia, la sacerdotessa che spera e agogna di sostituire i cerchi di legno con pietre gigantesche, quelle del Monumento che è nato a gloria del sole e permette alle sacerdotesse di contare, conoscere i numeri,  tramandare il “tempo”, onorando con canti e danze il sorgere del sole e i suoi movimenti.
Una lotta tra progresso per tutti e il suo contrario, determinata a impedire la realizzazione per quanto ambiziosa del progetto, caratterizzeranno l’ultimo scorcio della narrazione.
L’autore ha condotto ricerche approfondite, si è stabilito in antiche miniere e si è confrontato con archeologi per immaginare quel mondo lontano, senza dimenticare che la materia  è in gran parte avvolta dal mistero e dai limiti delle fonti, come  l’autore ammette chiaramente, spiegando che “si sa così poco che ho dovuto immaginare molto di più”.
Un immaginario gradevole, ben articolato, che sa catturare nonostante la mole che lo caratterizza

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I pilastri della terra

Fu sera e fu mattina

Le armi della luce

Tommaso Pagano “Ovunque giaguari”, presentazione

Con Ovunque giaguari Tommaso Pagano scrive, più che un poliziesco, un romanzo famigliare, un romanzo siciliano, mescolando lo sguardo stupefatto del giovane Tommaso a quello disincantato del nonno. Dietro questa insolita coppia di autonomi “investigatori” c’è una città, Siracusa, torva di luci spettrali, c’è una società, ci sono traffici loschi, e c’è soprattutto una malinconia diffusa che intacca il paesaggio, la calura, la giungla del male. (da Mondadori libri)

Un  suicidio, un omicidio, due inchieste a dieci anni di distanza: un suicidio mai accolto come tale e la scoperta di una verità sconcertante.
Anna Musumeci, dirigente di polizia, fu trovata impiccata dal padre con accanto un messaggio di congedo scritto di suo pugno. Stava indagando sull’omicidio di un giovame bracciante che aveva denunciato traffici illeciti nella cooperativa Amuni presso cui lavorava e gestita da don Damiano. Sono trascorsi dieci anni dal suicidio, ma sia il padre che Vito Presta, l’attuale dirigente del Commissariato, non hanno mai accettato e condiviso la tesi allora accolta. Si aprono quindi due inchieste: quella ufficiale di Vito Prestia, da sempre convinto che la donna che allora era la sua capa sia morta proprio a causa dell’indagine che stava conducendo,   e quella del tredicenne figlio della suicida che, sebbene adolescente, sa cogliere i problemi degli adulti ed è preoccupato per i comportamenti del padre divenuto un bevitore e anche lui alla ricerca della verità. Il giovane Tommaso quindi convince il nonno a collaborare forzando la sua volontà e premendo a causa dei tempi stretti: trascorsi dieci anni i resti della madre saranno infatti riesumati ma come da prassi finiranno in un ossario comune, è quindi  l’ultima occasione di indagine, dal momento che non era mai stata fatta l’autopsia.

Tommaso Pagano è nato a Genova, ma da tredici anni si ritrova a Siracusa a fare il sostituto procuratore. Ha scritto per l’editore Solferino Il bambino che disegnava le anime. La cosa più bella che ha fatto in vita sua si chiama Giacomo.

Maurizio de Giovanni “L’antico amore”, presentazione

Mondadori

L’amore è il ricordo dolce di una tempesta

La frase sopra citata compare in fondo al romanzo ed evidenzia in modo struggente cosa resta nella tempesta del cuore scatenata da Amore: un sentire  dolce e melanconico, come il ricordo.
De Giovanni in questo suo scritto propone tre storie d’amore, tre protagonisti, di età ed epoche diverse, in cui il fil rouge è Amore, che li attraversa e assimila.

Un poeta, mai citato direttamente ma chiaro per la collocazione storica: si tratta di Catullo e del suo amore per Lesbia, così indicata nella finzione letteraria. Un sentimento totalizzante, che travolge e coinvolge: prima appagante nella corrispondenza, poi devastante nel rimpianto.

Il secondo protagonista è un professore universitario con un matrimonio finito e un gruppo di studenti che seguono le sue lezioni distrattamente, situazioni pesanti che non sono riuscite a distoglierlo dall’entusiasmo per lo studio e la ricerca di quanto scritto e ritrovato del “senso di quell’antico amore” che un suo vecchio insegnante al liceo gli aveva trasmesso.

Un Vecchio e la sua badante sono i protagonisti della terza storia che si alterna e inframmezza senza una precisa successione tra le altre due.

Se per il professore universitario  paiono aprirsi nuove possibili strade per una vita affettiva e di studio appagante, nel prosieguo le tre storie saranno accomunate dal ricordo “dolce di una tempesta”: come quello del Vecchio chiuso nel suo passato ma ancora palpitante e vivo; quello del poeta sincero e franco nelle diverse  e contrarie situazioni; quello di Marco, il professore universitario, e della sua giovane studentessa, potente e forte ma rimasto come un fiore nel suo primo rigoglio e mai appassito.

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Volver

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Tre passi per un delitto (con Scalia e De Cataldo)

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Soledad. Un dicembre del commissario Ricciardi

Pioggia. Per i Bastardi di Pizzofalcone

Pietro Grossi “Qualcuno di noi”, presentazione

[…]Qualcuno di noi è l’opera matura di uno dei più grandi scrittori italiani, finalmente davanti alla cruciale occasione di visitare se stesso e di accompagnarci tutti dentro un abisso in cui si gioca senza regole, sul ciglio del nonsenso.(da Libri Mondadori)

Dopo sette anni l’autore di Pugni ritorna in libreria con un romanzo che potrebbe essere etichettato come autobiografia letteraria anche se, come l’autore sottolinea nella sua recente intervista di Caterina Soffici (tuttolibri çLa Stampa sabato 18 gennaio 2025), “È un romanzo a tutti gli effetti” anche se, occorre aggiungere, corale, fatto da tanti “io” e quindi “noi”, tanto che non viene adoperata la prima persona, ma un noi narrante. A tale proposito, interessante e opportuna la domanda della Soffici:
“Perché la scelta inusuale della prima persona plurale, quel “noi” fatto di voci diverse che litigano come una ciurma a bordo di una nave?”

Con una risposta a sua volta chiarificatrice

“È stata la piccola epifania della stesura di questo libro. Erano talmente tanti i picchi e i punti oscuri della mia storia che ho scelto di investigare la vita nascosta del personaggio che conoscevo meglio, cioè io. Quello che volevo fare era circoscrivere una caratteristica della mente umana, ovvero le moltitudini interiori. E l’ho capito leggendo Il lupo nella steppa, dove la vita di Harry è composta da cento, mille poli, come quella di tutti gli uomini”.

Cosa deve quindi aspettarsi il lettore, ci chiediamo?: per rispondere riutilizziamo quanto l’intervistatrice sottolinea nella premessa all’intervista medesima “un romanzo-mondo che contiene anche pezzi delle vite di ciascuno di noi, o almeno chi di noi si ritiene un essere imperfetto alla ricerca di un luogo dove approdare”.
Dopo sette anni di silenzio, dopo il successo di Pugni con cui entrò a far parte della cinquina dello Strega nel lontano 2006, e dopo l’ultima opera editata nel 2018, lo scrittore riassume in poche righe il percorso fino a questo romanzo di approdo: “I primi due anni li ho passati ad allineare e riscrivere cose scritte nei quindici precedenti che a un tratto mi sono reso conto avevano a che fare con lo stesso tema e la stessa storia, la mia. Erano 750 pagine, con Alberto Rollo ci abbiamo lavorato parecchio per arrivare alla forma attuale”.

Pietro Grossi – Scrittore italiano (n. Firenze 1978). Ha frequentato la scuola Holden, e ha esordito nella letteratura nel 2000 con Touché. Ha poi vissuto per un anno a New York, dove ha lavorato per una società di produzioni cinematografiche. Tornato in Italia per alcuni anni ha tra l’altro collaborato con case editrici e con un’agenzia di pubblicità. Del 2006 è Pugni, finalista del Premio Viareggio e dello Strega e vincitore di alcuni premi letterari, tra cui il Premio Pietro Chiara. Tra gli altri scritti pubblicati si ricordano: L’acchito (2007), Martini (2010), Incanto (2011), L’uomo nell’armadio (2015), Il passaggio (2016), Orrore (2018) e Qualcuno di noi (2025).(da Treccani)

Carlotta Fruttero “Alice ancora non lo sa”, presentazione di Salvina Pizzuoli

Carlotta Fruttero in questo suo primo romanzo torna a Roccamare, inevitabilmente aggiungo: luogo simbolo di un periodo felice della letteratura e della cultura di casa nostra che qui ebbe contatti con artisti e scrittori e pittori e registi e musicisti, sia italiani che stranieri, come racconta egregiamente Alberto Riva nel suo splendido romanzo-saggio L’ultima estate a Roccamare, un testo che ho avuto il piacere di leggere e che ho apprezzto molto, non solo per nostalgia, ma perché sicuramente il miglior libro che ho letto ultimamente. E Maria Carla, la Carlotta figlia di Fruttero, che proprio qui insieme a Lucentini aveva scritto uno dei gialli più significativi, così fuori genere, così piacevole e interessante: Enigma in luogo di mare, non poteva sfuggire al fascino essendoci cresciuta e vivendoci ancora stabilmente: i periodi magici ci formano e ci lasciano quell’atmosfera dentro, pertanto Roccamare è luogo ma anche personaggio.

Il titolo inoltre scelto dall’autrice richiama un tema preciso: Alice ancora non lo sa, ricorda Alice non lo sa, il titolo della bella canzone di de Gregori, datata 1973, in cui il mondo di Alice è realtà e anche fantasia.

Ma vediamo più da vicino il romanzo di Carla Fruttero che vive stabilmente in questa villa a Roccomare. Il raccontato si sviluppa attraverso due voci narranti, entrambe in prima persona. Così che Caterina Soffici (La Stampa 16 luglio 2024) scrive: “Questo romanzo mischia in maniera molto contemporanea fiction e non fiction […] una parla in corsivo ed è la voce più reale, quella più vicina alla vera Carlotta […] poi c’è la voce di Alice […]dove finisce la realtà e inizia la finzione è sempre una questione delicata” […]

Ma veniamo alla trama.

Alice sta per perdere la casa di famiglia per una serie di scelte che hanno contraddistinto gli ultimi dieci anni della sua vita quando si è lasciata andare ai sentimenti e si è innamorata di Lui, un senza nome nel romanzo. Lei cederà alle sue lusinghe, ha quaranta anni e lui la fa sentire ancora desiderata. Ma è alto il prezzo da pagare: è un ingannatore che dopo pochi anni si manifesterà portandola a perdere ciò a cui tiene di più

E la voce non in corsivo racconta

“Questa non è una casa qualsiasi, un patrimonio immobiliare da sfruttare in caso di bisogno, ma un capitale umano di inestimabile valore che racchiude l’intera esistenza dei miei genitori, il loro lavoro, i loro sacrifici, le loro speranze, i loro successi, i loro sogni.
Ogni angolo, ogni oggetto, è un ricordo prezioso. La tazzina da caffè preferita da mio padre, la siepe di pitosfori dietro cui mi nascondevo per sfuggire alle sgridate della mamma, lo sgabello della cucina su cui mi inchiodava per farmi ripetere le tabelline, e poi ancora le corse intorno a casa inseguita da papà trasformato in un terrificante “mostro”, le uova di Pasqua nascoste tra i cespugli, il prato disseminato da gavettoni e palloncini colorati durante le feste dei miei figli e dei loro innumerevoli amici”.

È pronta quindi a lottare

“Poteva agire diversamente? È stata tutta colpa sua? Eppure amore c’è stato, non è accaduto tutto invano se ora Alice ha il coraggio di ripercorrere il cammino che l’ha portata fino a qui; un cammino segnato da ricordi dolorosi ma che le consentirà di diventare più consapevole e forte. Una scrittura nitida e sincera, un romanzo avvincente che racconta come una donna possa emergere da qualsiasi dirupo se ha buone ragioni per farlo”.(da Libri Mondadori)

“Il racconto diventa vorticoso, la voce in corsivo sparisce […] e Carlotta Fruttero fa un’operazione di scavo e redenzione di cui Alice non sarebbe stata capace” (da Caterina Soffici “Un amore sbagliato in casa Fruttero, la storia vera di un’Alice inventata” da La Stampa, cit.)

Ken Follett “Le armi della luce”, presentazione

La libertà si conquista con fatica e si perde con facilità. Trasformare questa verità in narrativa è stato il lavoro della mia vita (da Ken Follett in tuttolibri 23 settembre 2023)

Traduzione di Annamaria Raffo

Titolo originale The Armour of Light, l’armatura di luce, quinto capitolo che chiude la saga di Kingsbridge e si ambienta  tra il 1792 e il 1824, agli albori della Rivoluzione industriale sullo sfondo delle guerre napoleoniche.

“Questa è solo una delle storie che ho trovato nei movimenti per la libertà. Ho scritto della lotta per la libertà di religione nella Colonna di fuoco, per il voto alle donne nella Caduta dei giganti, per i diritti civili nei Giorni dell’eternità. Il mio ultimo libro, Le armi della luce, che verrà pubblicato a settembre, parla della lotta dei lavoratori degli opifici tessili per il diritto a riunirsi in sindacati.”

Così l’autore nella presentazione del suo ultimo lavoro ma aggiunge una serie di riflessioni interessanti: si chiede quale sia il ruolo della narrativa che racconta il passato che qualifica come “innanzitutto educativo” in quanto avvicina la storia al lettore avendo meno vincoli dello storico in quanto legato ai fatti e al quale sono quindi precluse le congetture sulle quali al contrario costruisce il narratore: “la narrativa non può sostituirsi alla storia degli accademici ma, paradossalmente, può renderla più reale. E più divertente” e aggiunge “I miei libri sostengono la causa della libertà romanzando le vite delle persone che la perseguono”

Che in effetti i romanzi di Follett siano stati chiarificatori di molti passaggi storici difficili indicati è indubbio: lo stesso autore fa riferimento a quanto accaduto con I pilastri della Terra, sottolineando che se “I libri di storia si vendono a migliaia, i romanzi storici a milioni. Ventisette milioni di persone hanno acquistato il mio romanzo I pilastri della terra e hanno appreso come furono costruite le grandi cattedrali medievali e perché”.

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I pilastri della Terra

Fu sera e fu mattina

Romana Petri “Rubare la notte”, presentazione

In copertina un dipinto di Rita Albertini

Romana Petri costruisce e decostruisce, sgretola le regole della biografia, evoca e racconta amori, amicizie e sgomenti come dettagli di un appetito d’avventura mai sazio, si muove fra le date e dentro la Storia alla sola ricerca del principe che ha sconfitto la notte ed è entrato volando nell’infinito. (da Mondadori Editore)

L’autrice racconta da varie prospettive, insieme alle donne, agli amori, ai luoghi e ai tempi della storia, la vita di Antoine de Saint-Exupéry  e la sua grande passione per il volo e per la scrittura cosa che faceva durante i suoi viaggi tra terra e cielo, disperso durante una  missione di guerra aerea sulla Francia il 31 luglio 1944. Il volo, una passione che troverà ampio spazio nei suoi scritti tra i quali, il primo romanzo Vol de nuit (1931), in cui l’azione si attua nel corso di una notte, ma anche Pilote de guerre (1942) testimonianza sulla sfortunata campagna di Francia del 1940, romanzi che non ebbero risonanza ma lo resero famoso fino al più letto in assoluto nel mondo Le Petit Prince,(New York 1943) scritto un anno prima di morire.

Ma chi era l’autore di quel romanzo immortale che tutti più o meno abbiamo letto o che comunque conosciamo per fama?

Questa la domanda a cui risponde il romanzo di Romana Petri che colma i vuoti delle ricerche biografiche del personaggio con l’immaginazione raccontandoci un uomo e la sua grande passione nonché l’amore per la madre Marie Boyer de Fonscolombe, vedova giovanissima del visconte Jean de Saint-Exupéry dal quale ebbe cinque figli e alla quale era particolarmente legato come si evince nella sua ossessiva e fitta corrispondenza con lei.

Il romanzo si apre proprio con una lettera alla madre da Cap Juby, in Marocco, del 27 febbraio 1928, dove dirige una stazione aeropostale, in pieno deserto; altre missive sono presenti più volte nel corso della narrazione:

“vi chiedo scusa per il ritardo, so di avervi abituata ad altri ritmi. Ma qui sono stato io a dovermi abituare. Forse non è il termine giusto, ma non me ne viene un altro. Potrei dire stupore – abituarmi, adattarmi allo stupore –, ma non rende l’idea. Non importa, voi mi conoscete come nessuno”.

firmata Tonio, nome con cui era familiarmente chiamato.

Romana Petri vive a Roma. Tra le sue opere, Ovunque io sia (2008), Ti spiego (2010), Le serenate del Ciclone (2015, premio Super Mondello e Mondello Giovani), Il mio cane del Klondike (2017), Pranzi di famiglia (2019, premio The Bridge), Figlio del lupo (2020, premio Comisso e premio Speciale Anna Maria Ortese-Rapallo), Cuore di furia (2020), La rappresentazione (2021) e Mostruosa maternità (2022). Traduttrice e critico, collabora con “Io Donna”, “La Stampa”, “il Venerdì di Repubblica” e il “Corriere della Sera”. I suoi romanzi sono tradotti in Inghilterra, Stati Uniti, Francia, Spagna, Serbia, Olanda, Germania e Portogallo (dove ha lungamente vissuto).

Simonetta Agnello Hornby e Costanza Gravina “La cuntintizza”, presentazione

Simonetta Agnello Hornby e Costanza Gravina, zia e nipote, raccontano i loro momenti di cuntitizza evidenziandoli nella loro peculiarità anche attraverso i caratteri grafici con cui li hanno messi su carta, in tondo l’una, in corsivo l’altra. Perché è così, la cuntintizza non è per tutti legata allo stesso oggetto o alla stessa situazione o evocata dal medesimo profumo, luogo, colore, persone e affetti da cui involontariamente scaturisce, si rinnova, si accende e riaccende, ma solo se è stata “nutrita, curata e protetta”.

Ma cos’è la cuntintizza?

“È uno stato d’animo, una condizione di appagamento e soddisfazione” perché non può essere considerata una vera e propria contentezza o soddisfazione o allegria “non possiamo smuovere un concetto troppo vasto come felicità né possiamo accontentarci di serenità”: è il termine cuntintizza che lo nomina, che realizza nel nome questo particolare sentimento, emozione, sensazione, una parola del dialetto siciliano molto musicale con cui le autrici hanno deciso di chiamarlo. Si connatura ai ricordi, all’infanzia, ai legami affettivi, agli oggetti, alle “piccole buone ragioni della bellezza del vivere” spesso dimenticate nella frenesia del vivere, ma di cui forse abbiamo bisogno proprio in questo periodo storico così travagliato, determinando uno stato di benessere che sa essere vivace, frizzante. Ciascuno ha le proprie per la propria cuntintizza.

“Ecco dunque questo fascinoso duettare che, con ricchezza di episodi e di memorie famigliari, evoca il sottile piacere di arrotolare una pallina di zucchero e caffè, la sensualità dell’affondare le mani nella pasta frolla, il conforto di quel “quanto basta” che abita nelle ricette, lo struggimento con cui si accarezza l’oggetto appartenuto a una persona scomparsa, la meraviglia che dispiegano le pale puntute del fico d’India, la delicata cascata di calici, bicchieri e bicchierini colorati”(da Libri Mondadori)

e anche

Brevi note biografiche

Simonetta Agnello Hornby è nata a Palermo nel 1945. Cittadina italiana e britannica, vive dal 1972 a Londra, dove ha svolto la professione di avvocato dei minori. Ha esordito con La Mennulara (Feltrinelli, 2002, nuova edizione arricchita e graphic novel a cura di Massimo Fenati, 2019). Fra i suoi titoli più celebri, La zia marchesaBoccamurataVento scompostoLa monacaIl veleno dell’oleandroCaffè amaroNessuno può volarePiano nobilePunto pieno (tutti Feltrinelli), Un filo d’olio (Sellerio) e La mia Londra (Giunti). Con Mimmo Cuticchio ha scritto Siamo Palermo (Mondadori). Ha scritto con il figlio George il racconto per ragazzi Rosie e gli scoiattoli di St. James (Giunti). Nel 2018 il presidente della Repubblica le ha conferito l’onorificenza dell’Ordine della Stella d’Italia nel grado di Grande Ufficiale.

Costanza Gravina di Comitini, nata a Palermo, è farmacista di professione. Coltiva, con passione, l’arte della miscelazione e dei cocktail.

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