Daniela Alibrandi “L’ultima casa” il terzo racconto tratto da “Storie tra luci e ombre”

Oggi 29 dicembre il terzo racconto breve di Daniela Alibrandi tratto da “Storie tra luci e ombre”

Espropriare la casa a qualcuno, questo era ciò che del mio lavoro non mi piaceva, anche se i motivi potevano essere il bene comune o il cammino del progresso. Così mi accinsi, con un certo disagio, a bussare per la seconda volta alla casa del vecchio, che si ergeva sul promontorio a nord della città. Era l’ultima abitazione di quelle costruite dai pescatori nel dopoguerra, il nucleo da cui prese vita la grande e moderna città di oggi.
La prima volta lui, curvo, pallido e dai vecchi occhi azzurri e umidi, mi aveva accolto male, sbattendomi la porta in faccia. Stavolta lentamente aprì.
“Ah, sei tu?” mi disse.
“Sì sono io e ora deve starmi a sentire!” risposi in tono perentorio. Lui mi squadrò ed era difficile interpretare il suo sguardo.
“Entra!” mi intimò, ed entrai nella sua casa di legno. Le travi che cigolavano allo sferzare del vento e la veduta che da lì si godeva mi fecero sentire come in un antico veliero perso in alto mare.
“Mi stia a sentire, il comune le offre un’ottima buonuscita e inoltre le è stata assegnata una casa popolare al di là della ferrovia!”
“No! Da qui non mi muovo!” disse con fermezza. Mi invitò, però, a sedermi e mi versò un bicchiere di vino. Mi scrutava, mentre si accendeva un sigaro. L’odore che si sentiva era un misto di legno fradicio e di scoglio.
“Dunque, la casa che le è stata assegnata è di due camere.”
“Ho detto no!” Tacqui.
“Io sto qui da tanto di quel tempo! Prima non c’era niente, solo noi pescatori, la sabbia chiara, il Castello e la pineta
che arrivava fin qui
” i suoi occhi erano lucidi “mi piaceva tanto, sai, correre fino alle rovine del Castello. Lì mi sdraiavo con Nina, finché le
onde arrivavano a bagnarci”.
Non sapevo cosa dire, così lo lasciai continuare
“Avete abbattuto i pini, vergogna! Non avete avuto rispetto di ciò che avevo scritto su quelle cortecce!” La nostalgia nella sua voce stava iniziando a contagiarmi.
“Ora ci sono gli alberghi sulla spiaggia, i lettini, gli ombrelloni! Vergogna!”
Azzardai: “Sì, ma il Castello è stato restaurato ed è meta dei turisti, il lungomare è uno dei più belli del Paese. Ha visto quanti bei negozi, sa che dove sorgono le case popolari c’è un mercato coperto e vicino c’è anche il cinema!”
“Da qui non me ne vado!” Ribadì, guardandomi dritto negli occhi. Era più difficile di quanto pensassi, forse avrei preferito la scortesia della volta precedente. Lasciai andare le braccia in un gesto di resa.
Lui allora sospirò e mi propose: “Senti, ti darò retta se una notte verrai a pesca con me, ci stai?” Non me l’aspettavo, ma se serviva a convincerlo…
“Va bene, anche stanotte” dissi deciso.
Così andai con lui e, quando la sua barca prese il largo, lui non volle che parlassimo oltre.
“Devi ascoltare” mi intimò.
Ascoltai, incredulo, il silenzioso dialogo che esisteva tra le onde e i colori intensi che, al tramonto, si stavano accendendo di una calda tonalità pastello. Mentre il sole tramontava, compresi che ogni giorno muore in un modo tutto suo, come ogni uomo. La notte arrivò improvvisa e sentii la presenza della luna che, muta e lontana, influenzava la marea. Infine la rapsodia dell’alba mi investì, mentre i raggi del sole nascente, correndo veloci, fendevano le onde per colpire la terra, svegliandola. Vidi l’ampio e gioioso volo dei gabbiani, che salutavano il nostro rientro sulla terra ferma. Eppure io ogni giorno mi alzavo, vivevo, lavoravo in quello stesso luogo! Come mai nel ritmo concitato delle mie giornate non avevo mai trovato il tempo di ascoltare il mare, guardandolo solo distrattamente dalla finestra del mio ufficio?
Mentre lui legava la sua vecchia barca al molo, mi gridò:
“Non sopporto la puzza dei motori! La città la puoi odiare, ma il mare no!” Capii che non avrebbe ceduto.
È per questo che ora sono qui, tra questi legni cadenti. La vecchia casa verrà demolita oggi e sono quasi felice che lui non ci sia più o sarebbe morto ora, davanti ai miei occhi. Prima che la ruspa arrivi voglio inspirare ancora lo strano olezzo di legno marcio e di scoglio. Lo voglio portare dentro di me tornando alla realtà della città moderna e bellissima, dove il ritmo veloce della mia vita si fonde con quello festoso e lento di chi viene qui a villeggiare. Nella mia mente scorrono le immagini di spiagge popolose, di forestieri che passeggiano scrutando le intriganti vetrine, gustando appetitosi gelati, in attesa di andare al cinema o in discoteca. Penso ai tramonti che infuocano gli eleganti palazzi e che non parlano di un giorno che muore, ma di una notte che nasce, promettendo magie. La musica sul molo e i turisti che attendono i traghetti, le botteghe artigianali del Castello, questo è l’insieme del meraviglioso ingranaggio che ha creato lavoro e benessere. Esco da questa stamberga, chiudendo la porta con delicatezza. Nel lasciarla, però, sento che qualcosa in me si strugge. Mentre mi avvio verso il centro è quasi il tramonto. Un vento forte si è alzato, carico di salsedine. Le folte chiome delle palme sul lungomare agitate e scomposte mi parlano di un’altra storia e io sento inequivocabilmente che il mare ha vinto e, nonostante tutto, tra le alte mura dei palazzi e le insegne luminose, riesce ancora a sussurrare la sua poesia.

Daniela Alibrandi “Storie tra luci e ombre”

I racconti:

L’ultima prospettiva
Il bacio dei vecchi

Daniela Alibrandi “L’ultima prospettiva”, un racconto breve

Quattro dei racconti presenti nell’antologia “Storie tra luci e ombre” saranno protagonisti per altrettanti sabato sulla home della nostra rivista a partire da oggi sabato 8 novembre, il prossimo appuntamento sabato 22 novembre con “Il bacio dei vecchi”
Un gradito omaggio dell’autrice ai nostri lettori!

da Storie tra luci e ombre

È una mattina come tante altre, del genere che amo. Il cielo terso, l’aria frizzante e i tetti di Via Margutta accarezzati dal sole. L’odore dell’acquaragia non mi infastidisce più, e la tela che ho appena iniziato è il richiamo inconfondibile che non sono mai riuscito a ignorare e che mi porta ad alzarmi con l’unico desiderio di continuare a dipingere.
Era tanto che non sentivo un impulso così forte, una carica interiore talmente prorompente da farmi dimenticare la notte quasi insonne.
Sveglio, finalmente pronto a ricominciare. Decido di mettere su un buon caffè il cui profumo, misto all’odore tipico dei colori a olio, crea l’inebriante elisir che ricordavo. E la soffitta, dove ho vissuto e dipinto, diviene adesso la porta tra le umane passioni e l’infinito distacco.
Un mondo vuoto, scevro di momenti e di materia, nel quale il mio animo fluttua e non riesce a scegliere da che verso aprire o richiudere l’uscio. Fa caldo, è estate piena e l’alba vista dal terrazzo ricavato nell’abbaino non delude mai. È qui che sorseggio il caffè bollente, inspirando l’aria asciutta di un’estate romana, che potrebbe appartenere all’oggi o a un tempo lontano.
E mentre con lo sguardo indugio sulle tegole colorate e antiche, mi chiedo quanto sarebbe bello iniziare il quadro dalla fine, sapendo che sto per dare l’ultima pennellata su di una tela all’apparenza bianca, riscoprendone tratti e sfumature, che esistono ma che non riesco a mettere a fuoco.
Mi tremano le mani e so che il momento di decidere se aprire o chiudere, se entrare o uscire, è inesorabilmente arrivato.
Mando giù gli ultimi sorsi di un caffè amaro, che scuote i miei sensi mentre brucia nella gola e nelle viscere e adesso lo so, senza dubbio, sto per morire. La mia stagione che sembrava infinita sta per scadere.
Me ne sono accorto dall’impercettibile cambiamento del ticchettio dell’orologio, più cadenzato, isolato dai rumori dell’ambiente, lento, inesorabile.
– Non l’ho visto! Me lo sono trovato davanti e non sono riuscito a frenare…– grida, piangendo, il ragazzo del quale riesco a vedere solo le scarpe da ginnastica. Vorrei avvertirlo che gli si stanno inzuppando, che non doveva indossarle in una giornata piovigginosa come questa.
Anche il mio volto adesso è bagnato da una pioggia fitta e fredda e, se cerco di aprire gli occhi, vedo che gli antichi sanpietrini riflettono a specchio la luce languida dei lampioni sul Lungotevere.
– Chiamate l’ambulanza! – gli fa eco la voce di una ragazza, argentina, acuta, mi fa male udirla.
Vedo solo i suoi stivali lucidi e le calze a rete che salgono più su del ginocchio, verso le cosce magre. Non voglio che mi aiutino, vorrei essere solo lasciato in pace, perché era tanto che desideravo conoscere e comprendere ogni verità, era ora che tutto si compisse. Finalmente sono nel mio studio e posso dipingere qualcosa di eterno.
Passi frettolosi attorno a me, ma io sono già lontano e la gamma di colori che vedo è immensa, così come sembra infinita la quantità di azioni che sto lasciando in sospeso. Non c’è più spazio per le mie fughe e i miei silenzi.
Devo terminare la tela, prima che tutto finisca, e l’ultima pennellata deve essere la più forte, deve lasciare il colore in rilievo, anzi meglio ancora se è un colpo di spatola, talmente alto che potrebbe far scivolare la mano all’indietro.
In un baleno chi ha attraversato la mia esistenza è vicino a me, una moltitudine di occhi che mi scrutano, ma ancora non ho risposte alla loro muta domanda, che faccio mia, mentre mi chiedo perché mai non ho saputo o voluto esprimere ciò che provavo. Solo adesso, se avessi la forza, mi alzerei in piedi e griderei l’amore che ho taciuto, le lacrime di meraviglia che ho nascosto nel guardare il mare, i brividi che ho rinnegato scoprendo il sesso.
Mi alzerei, sì, e davanti ai loro sguardi increduli scuoterei forte quella ragazza che continua a urlare, isterica, dicendo che sembro davvero morto, che sono proprio morto. Le direi che la vita in fin dei conti non è altro che la finzione dell’essere. Che la morte alla fine è solo la verità del nulla. E che sì, è vero, adesso ci sono solo tante luci e infiniti colori, dove immergere il pennello.
E posso abbandonarmi finalmente alla carezza nell’anima che sento, all’impalpabile stretta di una mano invisibile sul mio cuore, che stringe e spreme i miei sentimenti.
E ti vedo, non così come sei ora, vecchia e con le mani macchiate, immaginando come le dimenerai disperata quando ti diranno che sono morto, che non ci sono più. Griderai che non può essere vero, ma che lo sapevi, prima o poi ti avrei tradito ancora, lasciandoti sola. No, non così, ti rivedo invece come eri quell’estate, con i capelli sciolti e gli occhi grandi, distesa sulla sabbia ancora calda, mentre vibravi forte alle mie carezze e mi lasciavi spingere la lingua tra le tue labbra. Il tuo sapore di miele, i tuoi capezzoli turgidi, l’odore di scoglio confuso col profumo degli oleandri.
Dal colpo di spatola finale adesso torno indietro a dipingere di azzurro chiaro l’armonia, perché non te l’ho mai detto quanto eri bella allora e quanto sei bella adesso, con i capelli bianchi, le rughe e gli occhi stanchi!
E ancora il tratto scorre indietro agli anni rosa tenue delle ninne nanne, delle poppate infinite.
Tra le mie mani i pennelli si muovono
impazziti, spalmando il rosso intenso degli slogan gridati nei cortei di protesta, fino al nero delle notti insonni e dei lutti insopportabili, al verde dei prati dove ci stendevamo tranquilli quando avevamo marinato la scuola, distese verdi di quel verde intenso nel quale a sbocciare erano solo fiori e non siringhe.
Poi il grigio chiaro, il colore limpido delle canne fumate nei bagni di scuola. Il giallo, l’arancione e le sfumature violette che annunciano l’intensità del tramonto, e solo ora mi accorgo che ogni giorno muore in un modo tutto suo, come ogni essere umano, ghermendo nel suo transito le profonde gioie e le incancellabili disperazioni che lo hanno animato.
Il verde chiaro delle nostre illusioni, la trasparenza delle tue lacrime per i miei tradimenti, il freddo indaco per i miei rimorsi… la osservo e la tela adesso è un vero splendore.
– Inutile il trasporto in ospedale, è andato, – dice perentorio il medico, sceso dalla ambulanza che è arrivata squarciando il silenzio sospeso di chi assiste alla mortalità; e io ho udito chiaramente le sue parole.
Nessuno si accorge che sono felice, mentre vorrei portare con me il profumo di umido e di pioggia, quello che da sempre colma il mio animo, in attesa dei raggi di sole.
Mi allontano dalla tela che ho dipinto con tanto fervore, camminando con passi lievi e orgogliosi nello studio da pittore di quel tempo lontano, nello spazio che da anni non mi appartiene più. Dio quanto mi è mancato! penso, mentre irrefrenabili sgorgano le lacrime di chi inspiegabilmente viene avvolto, all’improvviso, da una folata di vento tiepido. E mi accorgo che fuori anche il giorno sta morendo e che i tetti di Via Margutta riflettono quegli ultimi e sconfortanti sprazzi di luce nel mio sguardo spento.
I colori perdono intensità, si affievoliscono e la tela sta tornando vergine come lo era all’inizio ed è questo che vorrei sussurrare adesso all’orecchio di quella ragazza, che ancora piange e si dispera. A lei che tra qualche ora cercherà di dimenticarmi, sfilerà veloce le sue calze a rete e farà l’amore per non ricordare. Vorrei asciugare quelle lacrime, tirarle indietro i capelli, baciarla nella bocca e raccontarle la stupenda verità che ho scoperto solo adesso. Lei non mi crederà, si pulirà le labbra dalla saliva di un vecchio e correrà via. Il ragazzo la seguirà con le sue scarpe da ginnastica inzaccherate, la terrà ferma per un braccio, non comprendendo il perché della sua fuga. Nessuno crederà che il vecchio morto investito l’ha baciata, nessuno crederà a quello che le ha detto in un sussurro. Ma lei giurerà, spergiurerà che è vero e che lo ha
udito chiaramente con le sue orecchie. Lo griderà disperata, tirandosi i capelli.
– Calmati! – cercherà di sedarla lui, abbracciandola, – ti credo, smettila di urlare, che ti ha detto?
– Una cosa bellissima e terribile, ho perfino paura a raccontarla, – tra i singhiozzi lei tirerà su col naso, pulirà il muco col dorso della mano e alla fine parlerà, – mi ha confessato che la morte non arriva mai senza avvertire e che non è sopraffazione, ma restituzione. Mi ha assicurato che c’è un attimo, una frazione di secondo che solo la morte sa regalare,
tra luci e ombre, fastidiosi suoni stridenti e leggeri accordi di arpe. Ed è in quell’unico momento, nel quale riesce a dilatare il tuo ultimo tempo, che solo lei, la morte, sa mostrarti ciò che sei stato e che avresti potuto essere, restituendoti in un solo istante quello che hai perso nell’insensato palpito di vita.

Andrea Pomella “Vite nell’oro e nel blu”, per la 39^ edizione del Premio dei Lettori Lucca Roma

L’autore sarà ospite della Società Lucchese dei Lettori a Villa Rossi (Gattaiola-Lucca) martedì 28 ottobre alle 18 

Andrea Pomella presenta il suo libro dedicato alle vicende biografiche di Schifano, Angeli, Festa e Lo Savio, selezionato per l’assegnazione del Premio dei Lettori Lucca-Roma 2026

“Vite nell’oro e nel blu”: il romanzo Einaudi di Andrea Pomella selezionato per la 39sima edizione del Premio dei Lettori Lucca-Roma. L’autore sarà ospite della Società Lucchese dei Lettori a Villa Rossi (Gattaiola-Lucca) martedì 28 ottobre alle 18 grazie al sostegno della Fondazione della Cassa di Risparmio di Lucca e della Fondazione Banca del Monte di Lucca.

Il romanzo, che racconta le vicende biografiche di Mario Schifano, Franco Angeli, Tano Festa e Francesco Lo Savio, viene presentato dal filosofo e scrittore Marco Giuseppe Ciaurro, presidente dell’associazione.

Il romanzo. Ci sono vite talmente grandi che sembrano inventate, come certe epoche del mondo. Come la luce che alla fine degli anni Cinquanta si spandeva su piazza del Popolo a Roma nell’ora del tramonto. Sfiorati da quella luce, un gruppo di giovani seduti ai tavoli del bar Rosati – capelli alla moda, sigarette agli angoli della bocca, Clarks ai piedi – guardano in cagnesco la città che rifiorisce dalle macerie della guerra. I loro nomi sono Mario Schifano, Franco Angeli, Tano Festa e Francesco Lo Savio. Vengono dal popolo e stanno per prendersi la scena culturale e mondana del Paese. Da lì a poco infatti diventeranno i pittori comunisti che folleggiano con le principesse, bocconi succulenti per i paparazzi e inventori di nuove mitologie pagane. Ma intanto vivono la loro gioventù, lanciando la sfida ai geni artistici d’oltreoceano – Warhol, Rauschenberg, Johns – e frequentando Ungaretti, Moravia, Guttuso, gli Agnelli e i Rolling Stones.

Mario Schifano è un profugo della Libia italiana che porta inciso sulla pelle il marchio del miraggio imperialista di Mussolini. Franco Angeli nasce a Roma, nel quartiere di San Lorenzo, in una famiglia perseguitata dal fascismo. Tano Festa e Francesco Lo Savio, nonostante i cognomi diversi, sono fratelli. Il primo passa i pomeriggi sulla scalinata di Trinità dei Monti a distribuire poesie ai passanti. Il secondo, fragile e inquieto, sviluppa un pensiero radicale che lo porta ben presto a isolarsi da tutto e da tutti. Sono «i maestri del dolore», come li chiama un gallerista romano storpiando il titolo di una famosa collana di monografie d’artista. Ciascuno vive la sua «ora d’oro» attraversando la café society degli anni Sessanta in una Roma che è tornata a essere il centro del mondo. Conquistano le donne più ambite, vanno a vivere in lussuosi palazzi aristocratici, viaggiano in ogni continente, guadagnano e scialano in modo compulsivo, si tradiscono fino a tentare di ammazzarsi l’un l’altro, mettono su famiglie e le distruggono, soprattutto dipingono come ossessi, senza tregua, firmando opere che segnano l’immaginario iconografico italiano della seconda metà del Novecento. Ma «l’ora d’oro» – quel particolare tipo di luce che c’è solo a Roma, al tramonto, e che fa sembrare i palazzi di velluto – dura pochissimo, poi arriva «l’ora blu», quella dell’ombra che anticipa la notte. Il clima del Paese cambia e i loro nomi sprofondano nell’oblio. Affrontano gli anni della caduta, dello scivolamento verso la follia, gli arresti, la tossicodipendenza, i ricatti della malavita, i ricoveri in ospedali e manicomi. Dando forma a un’epopea che si dipana lungo mezzo secolo di storia d’Italia, Andrea Pomella scrive il romanzo avventuroso di quattro esistenze indimenticabili, capaci di toccare con mano – e restituirci – l’indifesa bellezza della vita.

L’autore. Andrea Pomella è nato a Roma nel 1973. Ha pubblicato per Einaudi “L’uomo che trema” (2018, Premio Napoli 2019 e Premio Wondy 2020), “I colpevoli” (2020), “Il dio disarmato” (2022) e “Vite nell’oro e nel blu” (2025). Ha scritto anche “Il soldato bianco” (Aracne 2008), “10 modi per imparare a essere poveri ma felici” (Laurana 2012), “La misura del danno” (Fernandel 2013), “Anni luce” (Add 2018) e “A Edimburgo con Irvine Welsh. Il sogno di un dio folle” (Perrone 2023). Scrive su “Doppiozero” e insegna alla Scuola del Libro di Roma e alla Holden di Torino.

Il Premio dei Lettori è un premio letterario istituito a Lucca nel 1988 dalla Società Lucchese dei Lettori, fondato da Francesca Duranti e Antonio Dini, e destinato alla migliore opera di narrativa presentata nel corso dell’anno sociale nell’ambito delle iniziative dell’associazione. Le attività dell’associazione sono aperti a tutti e l’ingresso è libero.

Le novità Voland di ottobre 2025

Tijan Sila Radio Sarajevo

“Le persone civilizzate prosperano in tempo di pace,
gli idioti prosperano in tempo di guerra.”

dal 17 ottobrein libreria Collana Intrecci

È il 1992, il piccolo Tijan ascolta una canzone di David Bowie alla radio quando le prime bombe colpiscono i quartieri di Sarajevo. Con tutta la famiglia il bambino si precipita in cantina in cerca di riparo mentre il mondo sembra esplodergli intorno. Lo shock iniziale è enorme, la vita cambia radicalmente. I negozi chiudono, le dispense si svuotano, in tanti scappano dalla città. Col passare del tempo la guerra però diventa quasi un’abitudine: tra terrore e noia, la gente cerca di inventarsi una nuova quotidianità. Mentre i genitori si dimostrano inadeguati ad affrontare la situazione, l’undicenne Tijan impara presto a cavarsela da solo e insieme agli amici Rafik e Sead affronta saccheggiatori, vende oggetti al mercato nero e baratta riviste pornografiche con i soldati in cambio di dolciumi… Un romanzo di formazione e memoria dallo stile avvincente e tragicomico, il ritratto di una generazione costretta a crescere fra le macerie.

TIJAN SILA nato nel 1981 a Sarajevo, nel 1994 è arrivato come rifugiato di guerra in Germania, dove ha studiato lingua e letteratura tedesca e inglese a Heidelberg. Insegnante di tedesco e membro di una band punk, ha esordito in narrativa nel 2017 e Radio Sarajevo è il suo romanzo più recente. Nel 2024 si è aggiudicato il prestigiosissimo Premio Ingeborg Bachmann.

Julia Kissina Bubuš

“Nessuno è in grado di descrivermi.
Sfuggo perfino a me stessa.”

dal 24 ottobrein libreria collana Amazzoni

Cosa succede quando ci si innamora di un poeta beatnik ex alcolizzato affascinante ma anche patologicamente egocentrico e possessivo?
E quali saranno le conseguenze se per amor suo si acconsentirà a trasferirsi d’impulso da Berlino a San Francisco? Con spumeggiante umorismo Julia Kissina racconta la storia di una passione tanto strampalata quanto irrefrenabile, in nome della quale la protagonista è disposta a lasciarsi tutto alle spalle, perfino un figlio adolescente schizofrenico e un tranquillo fidanzato surfista e a confrontarsi non solo col fantasma di una suocera gelosa scampata alla Shoah, ma anche con la realtà di un’America ben lontana dalle proprie aspettative. Un romanzo brillantemente dissoluto e tragico che si dipana dagli orrori del xx secolo ai giorni nostri.

 JULIA KISSINA Fotografa, performer e scrittrice, è nata a Kiev nel 1966 e ha studiato drammaturgia a Mosca. Rifugiata politica, nel 1990 è emigrata in Germania e si è diplomata all’Accademia di Belle Arti di Monaco di Baviera. Attualmente vive tra Berlino e New York dedicandosi a una doppia fortunata carriera di scrittrice e artista visiva.
Tra i suoi romanzi scritti in russo e pubblicati anche in tedesco ricordiamo Vesna na lune [Primavera sulla luna, 2012] ed Elefantina (2018, edito in italiano con il titolo di Madame la Dostoevskaja. Una storia d’amore e poesia a Mosca, Scritturapura 2020). Kissina è stata insignita per due volte del premio del Senato di Berlino (2006 e 2012), mentre in Russia ha ricevuto nel 2016 il premio della rivista letteraria pietroburghese “Zvezda”. 

Francesco Recami “Il mostro del Casoretto. Sei storie della casa di ringhiera”, presentazione

Sei racconti, tratti dalle varie antologie a tema pubblicate in questi anni, in cui gli inquilini della casa di ringhiera vanno in scena con i loro thriller, reali o immaginati. Un condominio che riesce ad essere contemporaneamente colpevole e investigatore attorno al quale l’autore ha imbastito un’unica grande storia in divenire che fa il verso ai costumi dell’Italia di oggi.(da Sellerio)

Sei storie che hanno come protagonista principale la casa di ringhiera, personificazione dei vari personaggi che vi abitano, con le loro ideosincrasie, segreti, colpe, imbastiti con pregiudizi ed  equivoci che generano opinioni malevole e crimini.

Se ogni storia ruota attorno ad Amedeo Consonni, ultrasessantenne, tappezziere in pensione e fidanzato ufficiale di Angela, maestra a sua volta in pensione, la tela narrativa ruota attorno al concetto della casa di ringhiera milanese: microcosmo sociale dove si consumano bassezze, manie e sentimenti di una quotidianità che è ormai la normalità” scrive Simone Innocenti nella sua presentazioner sulle pagine de La Lettura del Corriere (21 settembre 2025).

Recami racconta, sfiorando vari generi del thriller, i rapporti tra gli umani che lì vivono, inquadrandoli dentro un campionario che sa di teatro dell’assurdo pur apparendo normale in tutte le situazioni che raffigura: un mondo quello della casa di ringhiera che s’infrange dentro le ragioni dettate dal “punto di vista”, nell’inganno che vi si genera e dentro un’atmosfera noir.
E conclude così Simone Innocenti nel suo articolo:  “Recami, questo narratore finissimo e spregiudicato, è un Carlo Emilio Gadda ancora più nero che filtra la materia narrata col rigore stilistico di un Honoré de Balzac e la puntuta cattiveria toscana di un Curzio Malaparte”.

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Il diario segreto del cuore

Emanuele Trevi “Mia nonna e il Conte”, presentazione

Dopo La casa del mago, con Mia nonna e il Conte Emanuele Trevi prosegue la panoramica impressionista degli adulti di famiglia, fondendo personaggi e luoghi in un’unica memoria delle origini.
( da Solferinolibri)

Un paesino della Calabria, nonna Giuseppina, per tutti Peppinella, il suo giardino e l’incontro con il Conte, sono il fil rouge del racconto, e non solo. Nel suo giardino, dominato dall’imponente cibbia, ormai svuotata ma che continua a significare sorgente di vita per l’acqua che conteneva, il nipote Emanuele ha trascorso, tra libri e letture, le estati dell’infanzia e della giovinezza, era lì che si isolava per leggere

“Possiamo accontentarci di ritenere che i giorni e gli anni, per il solo fatto di essere passati, non esistono più? Chiudo gli occhi e ho sette anni, è il primo pomeriggio di un giorno di luglio, il frinito delle cicale vibra e risuona nell’aria immobile tanto da equivalere a un silenzio assoluto, mi cerco un posto buono per leggere le storie di Christopher e Winnie Pooh e tutto è futuro per me, indistinto e gravido futuro; riapro gli occhi ed eccomi qui che scrivo curvo”…

Trevi continua anche in questo romanzo, dopo “La casa del  Mago” il suo dialogo con il passato, con i suoi personaggi e gli ambienti rivitalizzati dal ricordo e impregnati di vite e di esperienze, le proprie dall’infanzia alla giovinezza, e ritrovarvi le radici di una formazione, intessuta di storie, tipi umani, cose, ambienti,  tanto da dire che la letteratura e il giardino della nonna “sono rimasti due concetti totalmente equivalenti”, quando le sue letture e il luogo si sono cementati nell’emozionario del ricordo.
Oltre ai luoghi emerge la figura  di un personaggio particolare, la nonna, e il suo incontro con il Conte, un conte vero: tra i due fiorisce un affetto inaspettato, un sodalizio, come può esserlo un amore senile: Peppinella ultraottantenne è vedova da decenni, e il Conte è un  vero aristocratico ultra ottantenne anche lui; si è  trasferito nel paese calabrese, ma avendo un ginocchio difettoso, il Conte si presenta a Donna Peppinella per chiedere la cortesia di transito dal suo giardino, e  i transiti si allungheranno in  visite e in pomeriggi sotto la magnolia, e in pranzi, fino all’incontro con la cugina principessa.

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La casa del mago

I cani del nulla. una storia vera

Due vite vince il Premio Strega

Due vite presentazione

Elizabeth Strout “Raccontami tutto”, presentazione

Traduzione di Susanna Basso

Un carosello di storie che, pagina dopo pagina, si affastellano una sull’altra, alimentate dal desiderio di dar conto delle tante «vite ignorate» che scorrono apparentemente senza lasciare traccia, e di sondare cosí il mistero che tutti quanti siamo.(da Einaudi Libri)

Crosby nel Maine, Bob  Burges, sessantacinquenne, che da quasi quindici anni lì vive: in gioventù avvocato a New York , tra i cui clienti annoverava William, l’ex marito di Lucy, la scrittrice, che insieme a lei aveva affittato a Crosby una casetta sul mare durante la pandemia di Covid-19 e che ora è diventata la loro dimora permanente; così nel precedente romanzo “Lucy davanti al mare” l’autrice racconta.  
Un ritrovarsi.
È proprio grazie a Bob e alle loro passeggiate quotidiane e alle nuove frequentazioni cui Bob l’ ha introdotta, che Lucy è riuscita a trascorrere meglio gli anni bui della pandemia, e a incontrare la novantenne Olive Kitteridge, proprio lei : chi ha letto Elizabeth Strout, rincontra due protagoniste chiave della sua narrazione.
Da questo incontro nasceranno le tante storie dal passato e mai rivelate, storie di un’umana esistenza, di quelle vite ignorate, vite fragili, storie all’apparenza banali che Olive e Lucy si raccontano e ci raccontano per farci entrare in quell’universo che sono gli altri, quelli con i quali spesso dividiamo le nostre giornate ma che non conosciamo davvero, quel microcosmo sconosciuto che sono e che siamo tutti noi.  
Emergono così storie dei protagonisti non rivelate dentro le prime storie. E fra tante anche una in giallo: il cadavere di una donna, Gloria Beach, è rinvenuto nelle cave dei dintorni; il figlio è il principale indiziato, sarà Bob a incaricarsi della sua difesa, decisione legata proprio al suo vissuto.

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Piergiorgio Pulixi “L’uomo dagli occhi tristi”, presentazione

Piergiorgio Pulixi torna alle atmosfere potenti de L’isola delle anime con uno dei capitoli più tesi, emotivi e implacabili della serie di Vito Strega, Mara Rais ed Eva Croce. Un thriller dove la verità ha il sapore del peccato. E dove ogni segreto rischia di travolgere chi osa scavare troppo in profondità.(da Rizzoli Libri)

Il noir, della serie del poliziotto Vito Strega, Mara Rais ed Eva Croce, si ambienta a Saruxi, una località immaginata dalla finzione letteraria, nell’Ogliastra in Sardegna; indaga l’omicidio di un diciassettenne, Michelangelo, trovato vestito e truccato da donna, pugnalato con decine di coltellate a bordo di un motoscafo abbandonato su un lago circondato da montagne e fitti boschi. Proprietario del natante è Daniele Enna, ex sindaco di Saruxi, politico rampante per diventare governatore della Regione. E questo non fa che complicare le indagini: pertanto del caso vengono incaricate le ispettrici Mara Rais ed Eva Croce, con l’ ordine di chiuderlo senza clamore proprio  per non compromettere con uno scandalo la posizione del politico che ha legato la propria politica alla transizione ecologica sarda. Emergono menzogne e vecchi rancori ma soprattutto una rete di interessi e di ricatti tanto che le due ispettrici avvertono chiaramente la presenza di ostacoli alle indagini e la volontà di proteggere annosi  segreti. Ostacolate ma anche indebolite da chi tenta di dividerle e non farle collaborare, le due ispettrici saranno esse stesse messe in crisi: le loro vicende personali e dinamiche relazionali incideranno nella ricerca del killer.
Un romanzo che mostra diversi punti di vista sui fatti, oltre a evidenziare aspetti legati all’attualità politica, articolato in tre parti precedute da un prologo nel primo una luce nuova tratteggia la vittima:  i suoi quadri ritraevano in maniera quasi ossessiva solo occhi maschili tristi e inquietanti.

Piergiorgio Pulixi (Cagliari, 1982) ha fatto parte del collettivo di scrittura Sabot, creato da Massimo Carlotto. I suoi noir sono tradotti in diversi Paesi e hanno ricevuto riconoscimenti nazionali e internazionali. Nel 2024 è stato il narratore italiano più venduto in Francia. Tra i suoi libri: L’isola delle anime (Rizzoli, 2019), che ha vinto il Premio Scerbanenco ed è stato finalista al Gran Prix de Littérature Policière. Sempre per Rizzoli sono usciti i noir Lo stupore della notte (2018), Stella di mare (2023), Per un’ora d’amore (2024) e il romanzo per ragazzi Il mistero dei bambini d’ombra (2022). Dal 2009 con e/o pubblica la saga poliziesca di Biagio Mazzeo con il noir Una brutta storia (2012), che è poi proseguita con La notte delle pantere (2014) e Per sempre (2015); a chiudere la quadrilogia è Prima di dirti addio (2016). Ha pubblicato anche libri Feltrinelli (del 2024 è La donna nel pozzo), Marsilio (di quest’anno è Sei gatti potessero parlare) e Mondadori (Per mia colpa è del 2021) L’incontro Piergiorgio Pulixi presenta L’uomo dagli occhi tristi al festival Pordenonelegge venerdì 19 settembre, alle ore 19 nello Spazio di Piazza della Motta a Pordenone, in dialogo con Marco De Franchi. Conduce l’incontro Enrico Galiano

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Stefano Terra “Alessandra” Oltre Edizioni

Simona Genovali “C’era una volta un padre”

Andrew Porter “La vita immaginata”

A. Ferrini, S. Pizzuoli “Lungo la via Francigena in Toscana” Edida

Parnian Kasae “Seta, figlia dell’Iran” Mursia

Da La Repubblica G. Simenon “Le persiane verdi” Il giallo più giallo

Tommaso Pagano “Ovunque giaguari”

Han Kang “Convalescenza”

Davide Morosinotto “Il leggendario tesoro di Hell Gate”

Un racconto per Ferragosto

Livio Frittella “Agnizione fatale. Un giallo in alto mare”, presentazione

Valerio Portenti, un uomo trasformato dal caso – o dal destino – in un genio fuori dal comune, è abituato a risolvere enigmi. Ma quando il corpo senza vita di un passeggero viene ritrovato nella cabina 8142, anche la sua logica infallibile sarà messa alla prova. Nessun segno di violenza, nessun indizio evidente… e troppi possibili colpevoli. Ogni passeggero sembra custodire un frammento di verità, un movente inconfessabile, un’ombra che il mare non può cancellare.(da LuoghInteriori Editore)

Valerio Portenti, possiamo dire di nome e di fatto, è il protagonista del romanzo ambientato nella primavera del 1990 sulla Ocean Empress, una nave salpata da Fort-defrance in Martinica per un viaggio nei Caraibi: una crociera letteraria con ospiti internazionali.
Si trova in crociera con Lorenza, la sua assistente piscologa, per partecipare ad una serie di conferenze. Durante il viaggio fanno amicizia con altri ospiti, un ex ispettore e un reporter. Tutto procede per il meglio, fino al  verificarsi di  strani incidenti che culminano con la morte di un  passeggero.
La risoluzione del caso, di taglio classico,  scorre tra rivelazioni, segreti, deduzioni, ragionamenti, false piste e sfugge alla logica anche la più portentosa, come quella del protagonista fino all’agnizione fatale, come recita il titolo, davvero sorprendente.
Due i fattori che giocano a vantaggio di una risoluzione che non può mancare: la scena del crimine e le facoltà intellettive del protagonista. L’ambiente circoscritto della nave che non ha fatto scali lega l’assassino al luogo del delitto, è quindi ancora a bordo tra i passeggeri o i membri dell’equipaggio; secondo fattore, la logica stringente e le capacità deduttive di Valerio saranno fondamentali per la soluzione del mistero.
Ma cosa aveva reso Valerio così eccezionale? Un caso fortunoso: Valerio Portenti c’era diventato dopo un’aggressione subita; si era svegliato “diverso” ma, la lesione al lobo temporale anteriore sinistro che avrebbe potuto ucciderlo, invece l’aveva reso portentoso, con capacità cognitive in grado di assimilare informazioni in supervelocità tanto da  farlo lavorare per un celebre istituto di studi neurologici.

Livio Frittella, romano, è giornalista del «Giornale Radio RAI» e conduttore del «GR2». Ha lavorato per l’emittente locale GBR TV, per i giornali «Il Tempo», «Il Messaggero», «Paese Sera», «Corriere dello Sport», e per molte altre testate.
Ha pubblicato Le parole dello spettacolo. Dizionario di cinema, teatro, radio e televisione (Lindau), Italiani. Citazioni, aforismi, pensieri sugli abitanti del Belpaese (Neri Pozza), Templari. Dal Ducato di Puglia e Calabria all’Italia del Terzo Millennio (con G.P. Ventura – Efesto), Olimpionary. Dizionario dei termini sportivi (prima edizione: Stampa Alternativa 2017; edizione aggiornata: Efesto 2024), il romanzo giallo classico Ingannevoli apparenze (Robin) e quello giallo umoristico I Misteri dello Zoopark (Efesto), infine il romanzo di fantascienza Ulyssex (Il Filo di Arianna).(da Autori LuoghInteriori)