Le pagine di tuttatoscanalibri più visitate nel mese di luglio 2023

Jean Stafford “Il puma”

Alberto Riva “Ultima estate a Roccamare”

Ilaria Tuti “Figlia della cenere”

Matteo Bussola “Un buon posto in cui fermarsi”

Primo Levi “Se questo è un uomo”

Ermanno Detti “Le altre facce della guerra”

Giovanni Nucci “Gli dèi alle sei. L’Iliade all’ora dell’aperitivo”

Un Edida per l’estate?

Alessandro Barbero “Inventare i libri”

Alessia Gazzola e la nuova trilogia con Costanza Macallè

Fabio Delle donne “La Napoli del commissario Lo Tufo”

Daniela Alibrandi “Delitti sommersi”

Il sabato del racconto

Un giallo metafisico

Le gatte

Il palazzotto neogotico con la torretta e il bugnato rustico della facciata, si distingueva tra le case basse con balconi e terrazze e giardini all’inizio della bella strada in salita di una delle tante colline intorno alla città. Lo avevo notato subito quando anni addietro avevo percorso quella via alla ricerca del numero civico indicato dall’agenzia incaricata della vendita dell’appartamento che poi sarebbe diventato di mia proprietà. La posizione elevata, la strada e i campi, visibili dalla parte retrostante, mi avevano conquistato: la vista era magnifica; mi aveva ricordato i quadri di Monet punteggiati dei colori caldi e soffusi dei fiori di campo; meritava la spesa seppure nella limitazione degli ambienti all’interno.

 Con il passare del tempo mi ero abituato alla singolarità delle forme di quell’unico fabbricato che così poco s’ intonava con le altre costruzioni tanto ariose e aperte in confronto all’ austerità cupa del palazzotto protetto da un muretto e da un’ inferriata a barre fitte e scure.  Era però possibile sbirciare al di là del pesante cancello, filtrando lo sguardo tra i ricci e gli anelli di ferro che ne alleggerivano la struttura e il peso. Strano a dirsi, non c’era stata volta che passando, e da allora c’ero passato davanti spesso, non avessi sentito il desiderio impellente di gettare un occhio al cortile interno sempre uguale nella sua trascuratezza, abbandonato alle intemperanze della natura, con le erbacce che spuntavano a ciuffi tra le pietre spaccate del selciato o ricoperto dalle foglie cadute dai rami di due alti e imponenti tigli. Vivificavano l’ambiente due gatte, una tigrata e l’altra a pelo lungo e fulvo costantemente appollaiate su una panchina di pietra. Per il resto il luogo era privo di vita. Le gatte erano curate e sembravano le padrone di quel territorio disabitato. Non era mia abitudine chiedere e pertanto nulla sapevo circa gli eventuali inquilini che comunque non avevo mai visto, né intravisto durante le numerose passeggiate lungo quella strada che da subito avevo amato; la percorrevo infatti spesso a piedi, in tutte le stagioni. Ne amavo i giardini di cui spesso riuscivo a carpire solo scorci e fugaci vedute, gradevoli per l’intensità dei colori e per i loro accostamenti nati da una magistrale tavolozza. Ne amavo le siepi di gelsomino che si affacciavano sul marciapiede con i loro piccoli calici bianchi o azzurri, riempiendo l’aria della sera di avvolgente profumo, ma l’amavo soprattutto in inverno quando la vita sembrava fermare il passo e attendere. Niente tripudi di fioriture, niente foglie sugli alberi, niente rose, niente profumi, niente colori, solo sagome scarne, pieni e vuoti; riuscivo solo in quella stagione a vedere la grande finestra che si apriva nel fabbricato in cima alla collina, in estate completamente nascosta dal fogliame. Fu proprio una notte d’estate che tutto ebbe inizio e che da allora avrebbe completamente trasformato il mio rapporto con il palazzotto e con tutto ciò che conteneva. Preso da una delle mie frenetiche e angosciose ansietà, mi ero precipitato fuori nella strada; avevo camminato fino a sfinirmi, ma non sapevo di preciso per quanto, annebbiato dal turbinio dei miei tormentosi pensieri. Stanco, nel rientrare a casa mi ero poi lasciato prendere da quel sentore di fresco che già ai piedi della salita rendeva il caldo meno soffocante quando, passando accanto al palazzotto, mi accorsi che il grosso cancello era scostato; un occhio meno avvezzo forse non lo avrebbe neppure notato, ma il mio abituato, sì. Rimasi lì fermo a sincerarsene. Non c’erano dubbi, era stato aperto. Mille congetture si fecero strada nella mia mente affollandola, senza però fornirmi una soluzione plausibile. Mai, ed erano ormai trascorse varie stagioni, quel cancello non lo avevo visto né spalancato né aperto né tanto meno scostato. Incredulo mi trovai a spingere con la mano sul battente e a intrufolarmi nel cortile. Era tutto molto silenzioso, sotto la luce dei potenti lampioni che qualche mese addietro avevano sostituito i precedenti, vecchi e discreti; ora quella luce sfacciata illuminava la via da seguire. Non ero ancora a metà del percorso tra il cortile e il portone d’ingresso che un movimento attirò la mia attenzione: le gatte erano comparse da dietro la casa. Sembrava mi venissero incontro sebbene non mi avessero degnato mai di uno sguardo. Si accucciarono a qualche passo da me. Il comportamento mi sembrò singolare; non mi intendevo di gatti, ma qualunque animale alla vista di uno sconosciuto avrebbe trovato più conveniente la fuga. L’arrivo improvviso delle gatte mi aveva distolto dai miei pensieri che si rincorrevano arruffati e confusi; in realtà cosa ci facevo lì e perché mi era saltato in mente di correre un rischio simile? Chiunque avrebbe potuto a ragione considerarmi un intruso. Eppure la curiosità, cresciuta nel tempo, aveva prevalso su ogni ragionevole considerazione. Stavo per avanzare quando le gatte cominciarono a dirigersi lentamente verso l’angolo dal quale erano arrivate. Decisi di seguirle. Cosa può spingere un uomo assennato, sfiancato dal tentativo di sfinire i suoi cattivi pensieri, in un cortile privato, nel cuore di una notte estiva, a seguire due gatte all’interno di un’abitazione? Me lo sarei chiesto inutilmente mille e una volta nei giorni e negli anni successivi. Tuttavia nel preciso istante in cui avevo varcato quel cancello, tutta la mia ansia era scomparsa per lasciare posto a una suggestione che andava raggomitolandomi. Girato l’angolo, sul retro del palazzo l’oscurità era maggiore, ma il riflesso della luce forte del lampione alto sulle case mi permise di distinguere un portoncino di servizio, anch’esso accostato; le gatte intanto erano entrate. Lo spinsi senza alcuna esitazione. Nella luce che filtrava chiara dalla lunetta del portone dell’ingresso principale nella parete di fronte a quello di servizio, lo spazio interno appariva disadorno e occupato interamente da una scala di pietra che addossata alla parete a destra saliva al piano superiore. Scorsi le gatte appostate sulla parte dove la scala si faceva più larga, prima del corrimano, anch’esso di pietra, ma più scura, di un grigio levigato dal tempo e dalle molte mani che lo avevano stretto. Quando mi videro mi precedettero, quasi a fare da guida. Giunto in cima continuai a seguirle verso un’ampia stanza che si apriva proprio di fronte al corridoio d’ingresso al piano superiore. Una luce, come a bagliori, sembrava rischiararla, ma il raggio potente del lampione insinuandosi tra gli scuri accostati la rivelava in tutta la sua magnifica e composta eleganza: le pareti in angolo a destra erano completamente tappezzate da libri ben disposti in scaffali che lasciavano trasparire solo gli assi portanti tanto erano stipati. In basso altri libri, più alla rinfusa su sedie, poltrone, mobili, nella libreria girevole. Mi colpì il bagliore di una fiamma che si era come ravvivata per un’impercettibile corrente; la cenere rianimata diffondeva all’intorno un alone di luce rossastra che mi permise di cogliere i contorni del bel caminetto rivestito di maioliche portoghesi; avrei riconosciuto ovunque quella manifattura unica e gradevolissima nelle sue gradazioni e disegni dal blu intenso. Quei bagliori, insieme ai tappeti, alle poltrone, ai divani e ai libri conferivano all’ambiente un’atmosfera calda e accogliente; una stanza studio, come sottolineava una piccola scrivania rococò, di sicura manifattura fiorentina, splendida in angolo, vicino alla seconda ampia finestra, alla luce della quale distinsi il bel piano di lavoro lavorato a intarsio. Ero talmente affascinato da quell’ambiente così simile a quello che avrei avuto in mente per il mio appartamento che non colsi subito, lì, vicino a me, la poltrona ingombra di qualcosa che assomigliava a un fagotto. La mia attenzione era intermittente nel tentativo di cogliere più elementi contemporaneamente. Alla mia sinistra una bassa scaffalatura stretta e lunga quanto tutto il lato dell’ampia stanza, conteneva una raccolta di classici latini e greci in edizione economica che avevo subito riconosciuto dalle vecchie copertine di cartoncino sottile; il loro aspetto sciupato e gualcito evidenziava l’ operosità del tempo, ma anche le ripetute letture; sopra di essa, una scelta di opere di impressionisti e macchiaioli, quelli che più amavo, tappezzava letteralmente la parte restante della parete. Rimasi incantato come Batà dalla luce della luna mentre li osservavo al chiarore dei lampioni filtrato dagli scuri e al baluginare del caminetto; tutto in quella stanza pareva studiato per avvolgermi e accarezzarmi l’anima e io rispondevo lasciandomi prendere e cullare. Era come in un dejà vu, conoscevo quell’ambiente, c’ero già stato e lì stavo bene; come un brutto cofanetto, il palazzotto, pur nell’ abbandono apparente ed esterno degli ambienti disadorni e trascurati, custodiva un gioiello. A quel punto mi detti a ricercare segni di un’eventuale effrazione, ma non ravvisai alcunché, né in quella stanza né negli ambienti limitrofi vuoti e bui a cui faceva riscontro quell’unica stanza dove il disordine era quello di chi legge, studia, cerca, rilegge, vive; un mondo parallelo, chiuso e isolato. Avrei continuato a crogiolarmi in quell’ambiente senza pormi domande, senza dubbi o incertezze, sicuro delle risposte come già date, se le gatte non mi avessero svegliato da quel torpore piacevole, piazzandosi accanto a quella poltrona ingombra che ancora non avevo considerato. Fu allora che mi accorsi che il fagotto era in realtà un ammasso sì di abiti, ma che vestivano qualcuno.

Per un attimo il cuore ebbe un sussulto e poi sembrò fermarsi completamente. Avrei voluto urlare, ma la voce si era completamente strozzata in gola; avrei voluto allontanarmi, ma le gambe non obbedivano; in tutto questo tumultuare di sensazioni di cui mi sembrava di non avere alcuna coscienza e consapevolezza, i miei occhi sbarrati erano riusciti a penetrare meglio tra le pieghe del fagotto e a distinguere un lungo impermeabile beige che ricopriva una figura minutissima e scarna, stretto da una cintura che segnava il punto vita. La testa era nascosta da uno strano copricapo, simile al cappello di un fantino che a sua volta si calzava su un foulard che incorniciava il viso asciutto di una vecchia signora. I suoi occhi erano chiusi e la sua testa era reclinata morbidamente sulla spalliera alta della poltrona nella quale era alloggiata. Accanto a lei, a cavallo del bracciolo, un volumetto dei classici, come se stesse leggendolo e lo avesse un attimo appoggiato per tenere il segno e riprenderne la lettura successivamente. Sembrava così tranquilla che il cuore ricominciò a battermi in petto. La stanza e la vecchia signora sembravano non avere nulla in comune, l’una sobria ed elegante l’altra bizzarra e trasandata, eppure da quel viso traspariva un’ espressione di compiuta quiete. Con una tranquillità di cui non mi credevo capace, diedi ancora un’occhiata alla bella stanza dove solitaria viveva la vecchia signora e mi avviai verso le scale per uscire, ma senza fretta. Fu solo allora che mi accorsi che le gatte per tutto il tempo, che a me era sembrato lunghissimo, erano rimaste accoccolate accanto al caminetto acceso e che ora come riscosse mi stavano accompagnando ancora una volta, in un percorso a ritroso. Lasciai tutto come lo avevo trovato: sia il portone di servizio che il cancello; anche di questo non seppi mai spiegarmi il perché. Trasognato, mi avviai verso casa dove crollai in un sonno profondo e senza sogni.

Il risveglio fu meno sereno. Il primo impulso fu quello di pensare che avessi sognato, ma la vivezza delle immagini che ancora mi turbinavano nella mente affermavano il contrario. Decisi allora di tornare là con l’intento di soffermarmi a controllare e guardare meglio i luoghi alla luce del giorno. Giunto davanti al cancello vidi che era ancora accostato. Feci finta di chinarmi ad allacciare le scarpe per avere più tempo di guardare senza dare nell’occhio. Tutto sembrava immutato: gli alberi, le erbacce e la panchina sulla quale le gatte ancora una volta erano appollaiate. Richiamai la loro attenzione sfregando i piedi sul selciato, ma loro, sornione, non colsero o non vollero cogliere e rimasero incuranti accovacciate sulla loro panchina. Le domande si affollarono: cosa era accaduto nella casa dove nessuno fino a poche ore prima aveva manomesso nulla? e la vecchia signora? era solo un fagotto di stracci che la mia mente agitata aveva vestito o c’era davvero? e perché non l’avevo mai vista né incontrata? se c’era, stava davvero dormendo o era, orrore solo a pensarci, morta da tempo? nulla era cambiato nell’ampio cortile; davvero avevo visto un caminetto acceso in piena estate? davvero avevo ammirato la bella stanza che tanto assomigliava a quella vagheggiata? Non mi restava altro che constatarlo contravvenendo alla mia indole. Con fare svagato, da visitatore casuale, mi spinsi oltre il cancello avviandomi con passo lento verso il retro del cortile e verso quell’ingresso di servizio che ormai mi era noto. A metà percorso qualcosa intervenne a far vacillare la sicurezza dei miei passi. Ricordavo benissimo di aver seguito le gatte sul retro della casa, ma il percorso mi era sembrato molto più breve. Forse non ricordavo a causa del buio quel cespuglio che vi si addossava? Lo avevo sicuramente aggirato. Ci provai ancora e cercai un varco che non c’era: il passaggio era completamente sbarrato da un muro di pietra. Sentivo la bocca farsi più secca e il bisogno di ingoiare sempre più insistente e difficoltoso mentre la gola si stringeva in un nodo serrato che mi impediva di deglutire in modo normale. Quel muro non lo avevo mai notato nonostante le continue sbirciate attraverso il cancello. Istintivamente mi voltai a guardare in una prospettiva capovolta. Immediatamente mi accorsi che la distanza era maggiore di quella che avevo percorso la notte precedente, ma compresi che l’esistenza del muro perimetrale addossato al palazzo mi era stata impedita dai due poderosi tigli che limitavano la visuale del cortile. Le deduzioni ricavate dalla breve esplorazione non solo non mi avevano chiarito l’enigma, ma stavano se possibile complicandolo. Immerso nella nube nera dei miei pensieri non mi accorsi di sbattere quasi subito contro la panchina di pietra, la panchina sulla quale le gatte trascorrevano le loro giornate. Ciò che vidi mi lasciò letteralmente di sasso. I miei pensieri per quanto arruffati erano stati fino a quel momento una presenza; in quel preciso istante percepii con un vigore mai provato cosa potesse significare “testa vuota”. Non c’erano pensieri, non c’erano domande, non c’era emozione, né sensazione ma una voragine senza fondo mi stava trascinando in un vortice che non riuscivo a percepire con i sensi, esisteva intorno a me risucchiandomi nella sua spirale sempre più stretta e soffocante. Uscire o riemergere non era possibile, potevo solo sprofondare. Mi ritrovai con una mano appoggiata sul bordo inciso della vecchia panchina; non sapevo quanto tempo fosse effettivamente trascorso, ma mi riscossi e avvertii di essere tutto intero. Le belle gatte mi fissavano sornione, beatamente accucciate sullo stesso lato della panchina, immote e fisse nella consistenza vetrosa della porcellana. A guardarle così da vicino era possibile notare la notevole rispondenza al vero, nonostante alcuni tratti sbeccati dal logorio del tempo; ben fatte e verosimili nelle loro espressioni paciose e paffute, erano le padrone di quel cortile che non potevano abbandonare. (da Corti e fantastici, Edida)

e’Giungla Gialla: La Giungla di Mursia diventa più fitta e Amazonica

 Nasce e’GIUNGLA GIALLA solo per Kindle

Dichiara l’editore Fiorenza Mursia: «La collana Giungla Gialla è un successo di vendite e di appassionati che ci seguono ogni mese. Abbiamo fidelizzato il pubblico così tanto che ci arrivano molte proposte, e di buon livello. Per questo abbiamo deciso di dare un segnale ulteriore, un segnale forte al nostro pubblico: abbiamo creato e’Giungla Gialla, una costola di Giungla Gialla solo in formato Kindle per offrire i nostri libri a un maggior numero di lettori grazie al prezzo vantaggioso, e per riuscire ad arrivare in modo sempre più capillare a tutti gli appassionati di Giallo che con i nuovi eBook potranno viaggiare in giro per l’Italia, alla scoperta del crimine e della bellezza del nostro Paese».

I primi due titoli della collana

GIORGIO MAIMONE, SOLE SU BRERA: La prima rovente indagine milanese di Filippo Marro

Primo titolo di una trilogia

Pagg. 182, prezzo 2.69.

Luglio 2023. Milano, Brera, il quartiere degli artisti. Il solleone brucia, la voglia di lavorare evapora come il sudore ed evapora anche Francesca Mauri, 20 anni. I genitori si rivolgono a Filippo Marro, detective spiantato che di malavoglia accetta l’incarico. Tariffa? La solita: 200 euro al giorno più le spese. Fuga?

Rapimento? Delitto? Che fine ha fatto la ragazza? I contorni sono confusi, e poi, soprattutto, se fugge, da cosa fugge? Tra una sosta in enoteca, un aperitivo in un wine bar e il ricordo struggente di un amore sbagliato, l’investigatore ricostruirà con pazienza (e una buona dose di fortuna) la trama del caso. Filippo Marro è un nome che vi suona familiare? Avete ragione, perché a casa ha la collezione completa delle avventure di Philip Marlowe, il detective nato dalla penna brillante di Raymond Chandler. Non è un clone, a Filippo Marro manca tanta ambizione, è solo un garbato, divertito omaggio. Marro, come Marlowe, è un personaggio che rimane fedele a sé stesso, non cambia, non si evolve, non cede mai all’amarezza del tempo, ma si farebbe uccidere per la battuta giusta. Disincantato e crepuscolare, eppure a suo modo idealista, Filippo Marro conosce l’amore di cui conserva le cicatrici, viene tradito e deluso dagli amici e dalle donne, ma non si arrende. Neanche quando per le strade di Brera la temperatura sfiora i 40 gradi e una mano assassina lo aspetta al varco.

Giorgio Maimone (Vedano Olona 1953) milanese, è stato caporedattore del “Sole 24 ore” per venti anni e ha partecipato come autore a programmi Mediaset. Con Mursia, nella collana Giungla Gialla, ha pubblicato MacerieGreta e Marlon e la strage delle lucciole scritto con Erica Arosio.

GABRIELE CANTELLA, IL SANGUE DI GIUDATutti abbiamo una scelta? In una Gela osservante e dissacrante, Giovanni Alma cerca una risposta

Pagg.178, prezzo 2.69.

Sotto una pioggia fitta e ostinata, che in aprile a Gela non s’era mai vista, un serial killer invisibile e spietato semina la sua scia di morte e terrore. I delitti del misterioso assassino appaiono ancor più inquietanti perché compiuti in chiesa, durante la Santa Messa, nella Settimana di Pasqua. Accanto ai corpi senza vita delle vittime, trenta pezzi d’argento e un santino raffigurante una delle stazioni della Via Crucis. Mentre la Polizia insegue un fantasma al quale non riesce a dare un nome e un volto, l’investigatore privato Giovanni Alma indaga parallelamente alla ricerca del colpevole e delle ragioni che hanno armato la sua mano. L’indagine sui delitti del serial killer della Via Crucis, così lo ha ribattezzato la stampa, diverrà per Giovanni Alma un’indagine su sé stesso, un’occasione per ritrovare quel senso che nella sua vita sembra ormai perduto da quando lei se n’è andata. La morte ha spezzato la vita di Marella e interrotto quella di Giovanni Alma, che si è condannato all’esilio dal mondo dei vivi, vagando senza titolo in quello dei morti, alla ricerca di un’ombra muta e invisibile.

Gabriele Cantella, siciliano, ma da anni a Milano per studio, lavoro e scelta di vita, si occupa di comunicazione. Ha studiato Legge, ma poi cede a quella che era sempre stata la sua prima e più genuina passione: la scrittura. Così diventa giornalista a tempo pieno e scrittore nel tempo che rimane. In un’altra vita, forse, avrebbe fatto il detective e, chissà, magari anche da questo desiderio mai realizzato nascono i suoi personaggi e le loro storie nella cornice di un giallo forse un po’ atipico, dalle atmosfere Hard Boiled, rivisitate in una chiave più intima e personale, e trasferite nella Sicilia di oggi.

Sudhir Hazareesingh “Spartaco nero”, presentazione

Agosto 1791. Una scintilla accende la rivoluzione degli haitiani contro l’oppressione dei coloni francesi. I primi a sollevarsi sono gli schiavi neri, capitanati da un personaggio oggi leggendario: Toussaint Louverture, ex schiavo liberato, capopopolo, guerriero e ribelle. È proprio lui a guidare il processo che, nel corso di dodici anni, porta alla proclamazione del primo Stato nero indipendente (da Rizzoli Libri)

Traduzione di Daniela e Monica Pezzella

Toussaint Louverture figura studiata e indagata, spesso con diverse interpretazioni del suo operato: prima condottiero, poi generalissimo dell’esercito francese e quindi governatore della colonia di Saint Domingue, oggi Haiti.

Un opportunista, un ambizioso?

Il saggio, ponderoso, smentisce alcune accuse e lo inquadra come personaggio  coerente, confutando notizie inattendibili e consegnando al lettore una pagina interessante sul processo di emancipazione delle colonie. Accusato di tradimento morì nel 1803 in carcere: l’anno dopo Haiti ottenne l’indipendenza.

Sudhir Hazareesingh, è nato nell’isola Mauritius. Si occupa di storia culturale francese ed è research fellow alla British Academy, mentre in precedenza è stato tutor in Politics al Balliol College di Oxford. Tra i suoi volumi ricordiamo The Legend of Napoleon, The The Shadow of the General e How the French Think; con il primo ha vinto il Prix du Mémorial d’Ajaccio e il Prix de la Fondation Napoléon, con il secondo il Prix d’Histoire du Sénat e con il terzo il Grand Prix du Livre d’Idées.

Fabio Delle Donne “Cannoli e delitti. La Sicilia del commissario Lo Tufo”

Dopo l’anno trascorso a Napoli, raccontato nel primo volume della serie “Sfogliatelle e delitti”, il commissario Vincenzo Lo Tufo si trasferisce in Sicilia.

In questa edizione illustrata l’autore ci accompagna per le strade della Sicilia, fra le quali Lo Tufo si imbatte in crimini ma anche in gustose pietanze della cucina siciliana. 

Il commissario, di origini calabresi, è un’ottima forchetta, anzi si potrebbe dire che è un gran mangione, e sull’isola troverà pane per i suoi denti. Durante l’anno si imbatterà in diversi casi da risolvere, tra assassini da scovare e boss da arrestare. Tra un caso e l’altro il libro propone disegni dei luoghi raccontati e ricette dei piatti gustati dal protagonista nelle sue avventure, scelte e scritte dall’altra autrice: Eleonora Baluci.

Al termine di Cannoli e delitti si scoprirà già la prossima meta: nel terzo volume della serie Lo Tufo tornerà a casa in Calabria, nella terra in cui è nato.

Visto il successo del primo volume, il viaggio di Lo Tufo non poteva che proseguire, in questo originale connubio tra il mondo del giallo e quello dell’enogastronomia.

L’Indice

La Quarta di copertina

Dello stesso autore su tuttatoscanalibri

Sfogliatelle e delitti. La Napoli del commissario Lo Tufo

Licia Troisi “Astrofisica per ansiosi”, presentazione

Astrofisica per ansiosi, un viaggio attraverso scenari catastrofici, tutti scrupolosamente affrontati con serietà e rigore scientifico, che ci porterà a esorcizzare le nostre paure ma anche a renderci contro che — spoiler! — la più grande, e reale, minaccia alla nostra sopravvivenza siamo proprio noi stessi! (da Rizzoli Libri)

Astrofisica e scrittrice di fantasy  di successo con le serie tradotte in tutto il mondo,  ci propone in questo “curioso” volume gli svariati scenari apocalittici che dalla notte dei tempi travagliano gli umani  sulla fine dell’universo: la luna che si sta allontanando e le nefaste conseguenze se ciò avvenisse bruscamente; se c’è chi si allontana c’è anche chi si avvicina, come Andromeda che pare puntare la Via Lattea, solo per citare alcuni dei fenomeni che potrebbero essere causa di estinzione di quanto e come ci è dato conoscere dell’assetto dell’universo.

Dobbiamo preoccuparci davvero?

L’autrice ci dà una mano scientifica ad affrontarli, li spiega, rassicurandoci relativamente ai tempi e ai modi.

Brevi note biografiche

Licia Troisi, nata a Roma nel 1980, è l’autrice fantasy italiana più venduta nel mondo, grazie allo straordinario successo delle saghe del Mondo Emerso, della Ragazza Drago e dei Regni di Nashira. Laureata con una tesi sulle galassie nane, ha collaborato con  l’Università di Roma Tor Vergata come astrofisica.(da Rizzoli Libri)

Una collana di classici italiani per l’estate

Arrigo Boito “L’alfier nero”

Arrigo Boito “Il pugno chiuso”

Luigi Capuana “Novelle”

Grazia Deledda “La regina delle tenebre”

Giovanni Verga “Le storie del castello di Trezza”

Igino Ugo Tarchetti “Tre racconti gotici” con una premessa sulla Scapigliatura e note a cura di Alessandro Ferrini

In cartaceo e in ebook

Italo Calvino “Palomar”, presentazione di Salvina Pizzuoli

Pubblicato per la prima volta nel 1983, due anni prima della morte del suo autore, raccoglie una serie di racconti che hanno come protagonista il signor Palomar nel quale molti hanno rivisto lo stesso Calvino.

I racconti, sebbene separati, costituiscono un corpus e pertanto sono raccolti come romanzo. In una presentazione scritta dall’autore nello stesso anno, ma pubblicata successivamente, si esplicitano particolari legati alla gestazione e alla realizzazione di questo volume: alcuni dei racconti sono stati pubblicati sulla Terza pagina del Corriere della sera, testata per la quale Calvino al tempo era redattore, e precisamente scritti tra gli anni 1975 e 1977, alcuni soltanto però, proprio perché dovevano costituire un volume unico. Nella medesima presentazione l’autore definisce il protagonista “personaggio in cerca d’una’armonia in mezzo a un mondo tutto dilaniamenti e stridori”

Ma chi è Palomar?

Nella Quarta di copertina della prima edizione nella Collana Super Coralli, si legge “ Potremo mai trovarci in pace con l’universo? E con noi stessi? Il signor Palomar è tutt’altro che sicuro di riuscirci, ma, se non altro, continua a cercare una strada”.

Copertina della prima Edizione Einaudi Super Coralli

E sempre nella presentazione di cui sopra, Calvino scriveva che rileggendo il tutto la storia di Palomar potesse essere riassunta in poche frasi: “Un uomo si mette in marcia per raggiungere, passo passo, la saggezza. Non è ancora arrivato”.

Possono queste poche indicazioni chiarire al lettore il contenuto del testo?

No di certo, sarà quanto raccontato nelle pagine, il procedere dei racconti, articolati per aree tematiche, esperienze visive, elementi antropologici e culturali, speculazioni, l’ironia sottile e un certo pessimismo che accompagna le “osservazioni” del protagonista sulla possibilità di poter rispondere alle proprie domande, che ne delineano di nuove non sempre con risposte esaustive, nell’eterna ricerca di un linguaggio che possa avvicinarsi il più possibile a descrivere il reale, a far sentire il protagonista capace del compito, a non precipitarlo, come spesso gli capita, nell’angoscia di scoprire il contrario, scegliendo il silenzio.

Il titolo e il nome Palomar si ispira all’Osservatorio astronomico del monte omonimo (USA) dove è collocato il telescopio Hale per guardare lontano, scrutare l’universo dalla propria piccolezza…

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Fruttero e Lucentini “Enigma in luogo di mare”

Alberto Riva “Ultima estate a Roccamare”

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Omaggio a Italo Calvino

Fruttero e Lucentini “Enigma in luogo di mare”, presentazione di Salvina Pizzuoli

Un giallo del 1991, datato, prezioso perché come tutte le cose preziose è esemplare e unico. Per oggi forse troppo lento, ma con tanti aspetti positivi che controbilanciano: orchestrato e studiato  anche nei particolari, impeccabile e creativo nell’uso della lingua.

Una carrellata, spesso ironica e sferzante, di tipi umani, tutti protagonisti, raffigurati all’ “interno” di un luogo particolare, quella pineta nel testo denominata della Gualdana, nei pressi di Castiglione della Pescaia, con i suoi 18300 pini piantati nel lontano Settecento per volontà delle studioso Ximenes a protezione del litorale dal vento e dalla salsedine: a Roccamare , alla vigilia di Natale.

Pennellati nella loro quotidianità di vizi e di virtù. Si apre con una situazione che potrebbe diventare essa stessa “gialla” ma che al contrario si risolve per dilatarsi nel tempo e nei luoghi all’interno e nei dintorni, lentamente, ma in modo gustoso, dove il periodare e la lingua, precisa, di piacevole scorrevolezza, immaginifica ed evocativa sa catturare l’attenzione del lettore che ad un certo punto si muove come uno di loro, tra amici e conoscenti, simpatici e antipatici.

Una riscoperta, grazie al volume di Alberto Riva “Ultima estate a Roccamare” un saggio che mi ha trasportato nel tempo alla ricerca di quelle lontane letture e convinto a ripresentarle e tra queste anche Palomar di Calvino di prossima pubblicazione

La copertina della prima edizione

Giancarlo De Cataldo “Colpo di ritorno”, presentazione

Mentre stappava il terzo Franciacorta, Manrico annunciò a Deborah, Orru, Vitale e Brunella che il merito della risoluzione del caso era di Čajkovskij.

In Colpo di ritorno ritroviamo l’aristocratico e melomane  pm romano, Manrico Leopoldo Costante Severo Fruttuoso Spinori della Rocca dei conti di Albis e Santa Gioconda, impegnato in un nuovo caso dopo quelli della trilogia Io sono il castigo, Un cuore sleale, Il suo freddo pianto.

Capomagli Giuseppe, in arte Mago Narouz, è stato assassinato nella sua casa di Trastevere con un oggetto contundente che gli ha sfondato la testa. Il caso è delicato, proprio perché il mago aveva strettissimi legami con la Roma che conta, a cui distribuiva a richiesta soluzioni in amore, vincite e carriera con filtri e numeri al lotto vincenti:. È proprio per questo motivo che il procuratore Gaspare Melchiorre affiderà il caso a Manrico Spinori ritenendolo il più idoneo a trattare con le dovute precauzioni una materia difficile evitando le strumentalizzazioni. Così Manrico erediterà il caso insieme alla sua squadra tutta al femminile: sarà poi in parte merito dell’ispettrice Deborah Cianchetti ma anche della di lui eccentrica madre e della lirica, anche se in un primo momento non era riuscito a inquadrare l’opera di riferimento, se il puzzle troverà la composizione definitiva.

“[…]Manrico Spinori ha come l’impressione di girare a vuoto, e talvolta perfino di essere manipolato. Poi, proprio quando la situazione pare sul punto di sfuggirgli di mano, un suggerimento inaspettato gli permette di tirare i fili dell’ingarbugliata matassa. A rimanere un groviglio, in compenso, sono le vite private di Manrico e dei membri della sua squadra, interamente composta da donne. Soprattutto quella dell’ispettora Deborah Cianchetti, elemento dal pessimo carattere eppure utilissimo se invece del fascino e del savoir-faire occorrono metodi piú spicci”.( dal Catalogo Einaudi)

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Io sono il castigo

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