Questo breve estratto dall’opera in 10 volumi di Jean-Henri Fabre, “Ricordi di un entomologo” è un felice assaggio su un mondo sconosciuto e spesso non indagato dai non addetti ai lavori in quanto ritenuto appunto “specialistico”. Si tratta invece di belle pagine di scrittura nate da osservazioni attente e accurate, protrattesi per mesi e anni e poi ritradotte in un raccontato che rende i protagonisti, in questo caso gli stercorari, analizzati e analizzabili nel loro comportamento così come fossero personaggi di una storia avventurosa, con i propri comportamenti, con le loro stranezze e i loro atteggiamenti spesso indecifrabili. Stupiscono a maggior ragione proprio perché si tratta di scritti a carattere scientifico che insieme alle osservazioni rigorose e precisissime nulla tolgono ad una lettura che sa catturare l’interesse anche del profano avvicinandolo in modo avvincente alla vita di esseri spesso considerati fastidiosi, come gli insetti. Pubblicati tra il 1879 e il 1907, i “Ricordi di un entomologo” hanno rappresentato una rivoluzione verso una nuova entomologia, influenzando anche l’opera dei maggiori etologi del Novecento. Ma la sensibilità e l’amore dell’autore per questo universo da osservare e studiare ha travalicato gli ambiti in cui era relegato conquistando un posto nuovo grazie ad una narrazione brillante, dimostrandosi capace affabulatore, oltre a saper investigare sulla vita e le ragioni del comportamento degli insetti, come in questo caso sullo scarabeo sacro, che riunisce i primi due capitoli della sua opera. Di seguito uno stralcio dalla presentazione del protagonista:
Chi è che sta trotterellando verso il mucchietto, temendo di giungere troppo tardi? Le lunghe zampe eseguono movimenti bruschi e goffi come spinte da un congegno che avesse sede nell’addome dell’insetto; le piccole antenne rosse si aprono a ventaglio, segno di impaziente cupidigia. Sta arrivando, è arrivato, non senza far ruzzolare qualche commensale. È lo scarabeo sacro, tutto vestito di nero, il più grosso e il più famoso dei nostri stercorari. Eccolo a tavola, fianco a fianco con i compagni che, con la parte piatta delle larghe zampe anteriori, danno gli ultimi colpetti per rifinire la palla, o la arricchiscono di un altro strato prima di ritirarsi e andarsi a godere in pace il frutto del loro lavoro.