Stefano Terra “Alessandra”, Oltre Edizioni

il ritorno in libreria del romanzo vincitore del Premio Campiello nel 1974

Postfazione di Diego Zandel

Prezzo € 18.00, pag. 190

Oltre Edizioni

Il romanzo narra la storia di un diplomatico che sceglie di lasciare l’Italia per un’isola (Rodi) nelle regioni dell’Attica, e del suo triste amore per la moglie Alessandra. Il presente e il passato si alternano ed anche si mescolano dentro una scrittura malinconica e riflessiva. Al consolato giunge una lettera, riconosce la calligrafia: è di Alessandra, sua moglie «civile e legittima.», che non vede da dieci anni. Non ha il coraggio di leggerla. La nasconde. È la paura di contaminare la parte più preziosa della memoria, quella che dà senso ai suoi giorni: «La stessa paura di crollare di quando m’accorsi che Alessandra non era tornata.» Nella prosa di Terra c’è la poesia che nasce dalla indefinibilità delle cose che ci stanno intorno. Perfino i colorati mercati orientali si caricano dell’insicurezza e dell’imponderabilità della esistenza: «Forse sarà finito per me il tempo dei banchi di nebbia, degli sbarramenti nella memoria per contenere il disordine della solitudine.» Lo straniero che si sente non straniero per affinità culturale con il paese che lo ospita si confronta con la solitudine, l’amore perduto e forse riconquistato (e di nuovo perduto). Un racconto filosofico, il riassunto di una vita, la malinconia per un amore che c’è e non ci sarà più. Toni lievi e profondi insieme. Un libro da meditare per una scrittura che spesso si fa poesia.

Stefano Terra è oggi uno scrittore ingiustamente dimenticato. Ingiustamente perché è stato un grande scrittore. Lo scoprii tale proprio grazie alla lettura di Alessandra, romanzo con il quale vinse il Premio Campiello nel 1974. Non era quello il suo primo romanzo ma, confesso, io ero la prima volta, nei miei allora primi 26 anni di vita, che lo sentivo nominare. Acquistai il libro perché, avevo letto sui giornali, era ambientato in Grecia, a Rodi – ed io avevo una moglie di origine greca, di un’isola, Kos, appartenente allo stesso arcipelago di Rodi, il Dodecaneso – e alla stessa storia degli ultimi secoli. Cosa affascinava in quel giovane lettore dell’amore tra due anziani, due persone lontane dall’età, dai sentimenti che poteva provare lui? Credo che lo affascinasse il sogno di avere una vita piena come la loro, un’esistenza non comune, avventurosa, romanzesca, verrebbe da dire. Solo che quella esistenza, e il romanzo che la raccontava, a leggerlo, aveva un dono in più: l’afflato di una scrittura che afferrava il lettore alle viscere per trascinarlo dritto al cuore dalla prima all’ultima pagina (dalla Postfazione di Diego Zandel)

Stefano Terra, pseudonimo di Giulio Tavernari (Torino, 1917 – Roma, 5 ottobre 1986), è stato uno scrittore, giornalista e poeta italiano. Fu vincitore del Premio Campiello nel 1974 con Alessandra, del Premio Viareggio nel 1980 con Le porte di ferro e del Premio Scanno nel 1984 con Albergo Minerva.

Dalla bio di Stefano Terra che presenta se stesso nell’edizione Bompiani del 1974 «Sono nato nel ’17 a Torino. Provavano i motori degli idrovolanti in grandi capannoni vicino al Po. Dal fronte mio padre mandava lettere dannunziane a mia madre che non le capiva e doveva cucire in casa le asole un tanto la dozzina. Negli anni Trenta eravamo alcuni ragazzi avventurieri fra i libri rubati nelle biblioteche o stanati nei depositi per il macero. Cesare Pavese e Ginzburg più anziani e seri ci consideravano delle teste accese pericolose. Uno studente lituano ci traduceva Trotzski. Delle ragazze ebree che avevano fatto il liceo, (quello vero, che per noi irregolari pareva un tempio misterioso) ci prestavano dei libri rilegati che sapevano di chanel: Dedalus, Oblomov, I demoni. Andavamo a vedere i film di Carné alle due del pomeriggio per essere soli. Anni di manifesti rivoluzionari, riunioni segrete, amori di tutta una vita, casti come la cospirazione. Dopo tanti complotti facemmo scoppiare una bomba di carta durante un’adunata oceanica. Qualcuno di Giustizia e Libertà venne dalla Francia per un incontro segreto. La guerra ci disperse. Mobilitato per l’Albania, riuscii nel ’41 a raggiungere gli antifascisti al Cairo. Collaborai a Masses. New Leader pubblicava Morte di Italiani, i miei primi racconti, e poi usciva il mio romanzo, La generazione che non perdona, mentre Rommel si attestava a El Alamein e nel cortile dell’ambasciata britannica si bruciavano i cifrari. Scomparso Enzo Sereni, liquidato il Politecnico di Vittorini, espatriai nel dopoguerra come giornalista. Parigi e poi, per 25 anni, Balcani e Levante: interviste, guerriglie, pronunciamenti. Liquidavo. Liquidavo ogni giorno la vita con un pezzo per il giornale. Alcuni anni fa, di colpo, ho ricominciato a scrivere abbandonando il mestiere. E ho scritto La fortezza del Kalimegdan e, dopo qualche anno, Calda come la colomba. Vivo in una casa dell’Attica con eucalipti, vigna adagiata sull’argilla, gatti dalla testa piccola e le volpi all’imbrunire».

Barbara Trapido “Il fratello del famoso Jack”, presentazione

Barbara Trapido, nella scintillante traduzione di Claudia Durastanti, illumina le pagine con dialoghi acuti e pieni di umorismo caustico sui conflitti generazionali, di classe e sulla battaglia di una giovane donna per affermare la propria identità in un mondo costruito per gli uomini. “Questo romanzo” come dice Rachel Cusk nella postfazione, “ci insegna a rileggere le nostre vite, a cercare ancora, e a capire cosa ci è sfuggito la prima volta.”(da HarperCollins)

Traduzione di Claudia Durastanti

Pubblicato per la prima volta nel 1982 è ora tradotto in Italia, è una storia di formazione ma non fissata nel tempo, sa infatti rivolgersi a ieri come a oggi.

Protaginista è Katerine una diciottenne della media borghesia invitata a trascorrere qualche giorno nella casa di campagna del professor Goldmann di cui segue il corso di filosofia, corso in cui non è facile essere ammessi. La giovane ama la letteratura e in particolare Jane Austen e resta affascinata dalla famiglia e dal loro modo di vivere e si lascia prendere, come un’eroina dei romanzi preferiti, da una relazione struggente con Roger, uno dei sei figli del professore, relazione che la farà soffrire e la porterà lontano, a Roma, dove dovrà imparare a relazionarsi con se stessa, con il proprio bagaglio di educazioni e convenzioni sociali, a fare delle scelte. Proprio perché è un romanzo di formazione, molti i temi affrontati: la famiglia, la maternità, la sessualità, il ruolo femminile e il maschilismo.

Brevi note biografiche

Barbara Trapido. Nata a Capetown nel 1941, si è trasferita a Londra nel 1963. È stata insegnante nelle scuole di Hackney e Durham, prima di diventare scrittrice a tempo pieno nel 1970. Ha scritto sette romanzi ed è stata finalista al Man Booker Prize. La sua prima opera, Il fratello del famoso Jack, ha ricevuto il premio speciale per la narrativa del Whitbread Awards, nel 1982. Vive a Oxford con il marito.(da HarperCollins)

Herbert Clyde Lewis “Gentiluomo in mare”, recensione di Salvina Pizzuoli

Il romanzo riscoperto

[…] Standish era austero di natura. L’educazione gli aveva sbiadito i colori , rendendolo scialbo come una tela grigia. Faceva tutte le cose giuste, ma senza entusiasmo. […] beveva con moderazione, fumava con moderazione e faceva l’amore con sua moglie con moderazione; a dirla tutta, Standish era una degli uomini più noiosi al mondo

Un romanzo breve, pubblicato per la prima volta nel 1937, dimenticato e riscoperto, arrivato fino a noi solo recentemente come racconta Marco Rossari, traduttore e curatore, nella sua interessante postfazione: riscoperto solo nel 2010, a ben sessant’anni dalla scomparsa in giovane età del suo autore, fu infatti ripubblicato in Argentina e da allora il successo non è mancato, quasi a ripagare una vita piena di contrattempi, di scelte poco felici, di debiti e miserie subite dallo scrittore di origini ebraiche, nato a Brooklyn nel 1909, da immigrati ebrei fuggiti in tenera età dalla Russia negli Stati Uniti

“Quando Henry Preston Standish precipitò a capofitto nell’Oceano Pacifico, il sole stava sorgendo all’orizzonte. Il mare era piatto come una laguna, il clima così mite e la brezza così soave che era impossibile non sentirsi pervasi da una sublime mestizia”

Così l’incipit dove il lirismo del paesaggio naturale è estraneo e insensibile alla tragedia umana.

Caduto accidentalmente nell’Oceano durante un viaggio sul piroscafo Arabelle, in transito da Honolulu a Panama, senza la famiglia perché “spinto da una vaga irrequietezza”, il nostro benestante protagonista Standish, trentacinquenne agente di Borsa di New York, mantiene un incredibile sangue freddo, preoccupato di tenere un comportamento adeguato anche nell’increscioso frangente, cruccio che gli ha impedito di urlare per chiedere aiuto, quando lo farà sarà davvero troppo tardi e, nonostante tutto, restare generalmente fiducioso sulla possibilità di essere salvato dall’imbarcazione tornata a ripescarlo. Nelle lunghe ore di attesa, puntino nella vastità dell’Oceano, scorre ricordi, possibilità e aspetti legati al possibile salvataggio, con un senso quasi di vergogna e per essere caduto, anzi scivolato, come uno qualsiasi, senza creanza e per l’inadeguatezza del suo vestiario, vittima del proprio modello di comportamento! Quando stanco e sfibrato anche la fiducia pare abbandonarlo i suoi pensieri convoglieranno sul senso dell’esistenza: “che la vita era preziosa, che tutto il resto -amore, soldi, successo- era una menzogna rispetto al semplice benessere di non morire”

Il romanzo racconta un’esperienza carica di tensione, ciò nonostante la vicenda, così come viene narrata, non può definirsi angosciante perché Lewis sa ben dosarla con una prosa estremamente lineare ed essenziale, con ironia sottile per l’ossessiva ostinazione con cui il personaggio Henry Preston Standish risponde alla circostanza facendo prevalere pensieri e comportamenti da gentiluomo: “il decoro di un uomo era importante tanto quanto la sua vita”. Notevole anche un altro accorgimento narrativo utilizzato dallo scrittore: l’alternare proficuamente la situazione dell’uomo in mare e quella sull’Arabelle; i pochi passeggeri, nove in tutto, alcuni per una serie di malaugurate coincidenze, altri per noncuranza non si accorgono subito della sua mancanza a bordo; l’alternanza della narrazione tra Standish in mare e i passeggeri sull’Arabelle crea uno efficace contrasto tra le due realtà, tra chi è al sicuro e chi è in pericolo di vita, tra chi propende per una scelta suicida e chi attende la salvezza.

“E su quello che in fondo è solo uno scivolone, Lewis costruisce – con un senso dell’equilibrio che ha del miracoloso – un apologo beffardo e una novella perfetta”.( da Adelphi Edizioni)

Björn Larsson “La vera storia del pirata Long John Silver”, presentazione

“Accingendosi a scrivere una vita di John Silver, Björn Larsson affronta una scommessa difficile al limite dell’azzardo. Qualcosa di simile a scrivere la biografia di un demone o di un genio della bottiglia, di un essere apsicologico e magico per eccellenza. La biografia di un sogno, apparso in forma di incubo a un giovane nelle notti in tempesta, poi incarnatosi sotto mentite spoglie, poi, dopo varie scelleratezze, scomparso nel nulla. Come riempire quel nulla con una sostanza credibile? Non so come[…] ma l’autore è riuscito a superare l’ostacolo e vincere la scommessa” (dalla postfazione di Roberto Mussapi)

La prima edizione del romanzo risale al 1998 con il titolo originale “Long John Silver” per la traduzione di Katia De Marco; l’autore ne ricostruisce la vita, come si legge nelle pagine che precedono l’apertura: L’avventurosa  e veritiera storia della mia vita e delle mie imprese di uomo libero, gentiluomo di ventura e nemico dell’umanità. Nella finzione letteraria è proprio lui a raccontarla in prima persona.

Ma chi era John Silver?

L’indimenticabile personaggio dell’Isola del tesoro di Stevenson. Il pirata con una sola gamba che al termine del romanzo si dileguerà e che scomparirà, per volontà del suo autore, senza che di lui si sappia più nulla; una figura certamente negativa, ma non del tutto, ambiguo, aggiunge il commentatore Mussapi nella sua postfazione, il cui fascino si fonda proprio “sull’ambiguo atteggiamento di Jim, (il protagonista del romanzo), e di Stevenson nei suoi confronti”.

[…]“fatto sparire da Stevenson nel nulla per riapparirci ora vivo e ricco nel 1742 in Madagascar, intento a scrivere le sue memorie. […] Ma è a un personaggio letterario che è affidato il compito di rivelare la “verità”, un personaggio cosciente di esistere solo nelle parole, che dialoga in un pub di Londra con Defoe fornendogli notizie per la sua storia della pirateria, che risponde a Jim Hawkins dopo aver letto L’Isola del Tesoro, e che, in quel continuo gioco di rimandi, indaga sul rapporto tra realtà e invenzione, sete di vivere e bisogno di immortalità, solitudine e libertà, con la consapevolezza che non esiste altra vera vita di quella che raccontiamo a noi stessi”.(da Iperborea)

Brevi note biografiche

Björn Larsson è nato a Jönköping nel 1953, docente di letteratura francese all’Università di Lund, filologo, traduttore, scrittore e appassionato velista, è uno degli autori svedesi più noti anche in Italia. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Grinzane Biamonti, Premio Elsa Morante, Premio internazionale cultura del mare, Premio Boccaccio Europa e il prestigioso Prix Médicis in Francia. Tra i suoi titoli di maggior successo, tutti pubblicati in Italia da Iperborea, La vera storia del pirata Long John SilverIl Cerchio CelticoIl porto dei sogni incrociatiI poeti morti non scrivono gialli e L’ultima avventura del pirata Long John Silver.(da Iperborea Autore)

Dello stesso autore su tuttatoscanalibri

Nel nome del figlio

Adrienne Monnier “Rue de L’Odéon. Storia di una libreria che ha fatto il Novecento”, presentazione

Ripubblicato da Bordo Libero, la Casa Editrice nata di recente a Messina, con la traduzione di Elena Paul, ritorna in libreria un testo scritto da Adrienne Monnier (1892-1956) prima donna in Francia a fondare autonomamente la libreria La maison des amis des livres, in Rue de L’Odeon a Parigi il 15 novembre del 1915, che diventerà un punto di riferimento culturale nel Quartiere latino durante il primo Novecento insieme all’altra Shakespeare &Co. dell’amica Sylvia Beach.

Un diario, una pagina importante, una testimonianza pulsante della vita letteraria del periodo, della storia dell’editoria, sul mestiere dello scrivere, al cui interno rivivono nomi illustri di grandi protagonisti della letteratura del tempo. Un personaggio eclettico la Monnier che a soli 23 anni si avventura a costruire una libreria e a raccontarla raccontandosi in questo libro-diario: una poetessa, una saggista, una traduttrice, editrice della prima traduzione in francese dell’Ulisse di Joyce. E, come si legge nella sinossi “il libro è l’autoritratto di una donna e al contempo l’evocazione della straordinaria atmosfera che seppe creare attorno a sé. “Rue de l’Odéon” è un omaggio alla letteratura e ai mestieri che ispira”.

Per saperne di più sulla Libreria e su Adrienne Monnier

Per saperne di più su Bordo Libero la neonata Casa Editrice che ha rieditato il libro della Monnier

Francis Scott Fitzgerald “Il grande Gatsby”

“Il grande Gatsby”, titolo originale The Great Gatsby, è un romanzo di Francis Scott Fitzgerald (1896 – 1940), scrittore e sceneggiatore statunitense, pubblicato per la prima volta a New York nel 1925,  ambientato e a New York e a Long Island durante l’estate del 1922.

La storia viene raccontata da uno dei personaggi, Nick Carraway, vicino di “casa” di Jay Gatsby, il protagonista, che vive nella grande villa, con torre piscina in marmo e grande parco e giardino, che nessuno steccato separa dalla casetta affittata per ottanta dollari dal narratore della storia che segue da vicino le grandi feste che vi si tengono, organizzate dal padrone di casa che conosce solo pochissimi degli invitati ma che al contrario sembrano sapere bene da dove sia arrivata la fortuna del loro anfitrione e su cui spettegolano, ritenendola alcuni frutto di affari leciti e fortunati mentre altri malignano di loschi contrabbandi o di assassinii.

È così che il lettore inizia a conoscere il personaggio Gatsby misterioso e affascinante che successivamente l’autore tratteggerà con caratteristiche meno rispondenti all’alone di mistero che lo circonda dentro un interessante affresco del periodo americano degli anni venti.

Su Panorama cultura: “Il Grande Gatsby”, quattro curiosità sul libro leggenda

Stralci dall’introduzione di Alessandro Piperno

Anni fa, in gita a Long Island, mi spinsi fino alla lingua di costa su cui sorgeva la dimora che Sott Fitzgerald regalò al suo esigentissimo Jay Gatsby ( pare che l’abbiano demolita qualche decennio fa). […]

Che choc scoprire che questo circo è stato allestito per impressionare una ragazza! Tenerone di un Gtsby!

Lei si chiama Daisy. Abita con l’arrogantissimo marito Tom Buchannan in una villa non meno adeguatamente fastosa, dall’altra parte della baia. Al contrario di quelli di Gatsby, i soldi di Tom e Daisy sono antichi. […]

Nascere ricchi. È tutto lì il segreto. È la sola cosa che un self-made man non potrà mai comprare. La sola onta genealogica che non potrà mai ripulire, se non a costo di una patetica menzogna. È questo che imbarazza tanto Gatsby? È questo il muro che non si può scalare? […] Si sente che il rancore e lo spirito di rivalsa di Gatsby non è poi così diverso da quello del suo creatore “ Erano gente sbadata, Tom e Daisy sfracellavano cose e persone e poi si ritiravano nel proprio denaro e nella loro ampia sbadataggine o in ciò che comunque li teneva uniti, e lasciavano che altri mettessero a posto il pasticcio che avevano fatto…”


“[…]Il mito americano si decompone pagina dopo pagina, mantenendo tutto lo sfavillio di facciata ma mostrando anche il ventre molle della sua fragilità. Proprio come andava accadendo allo stesso Fitzgerald, ex casanova ed ex alcolizzato alle prese con il mistero di un’esistenza ormai votata alla dissoluzione finale”.(da La Feltrinelli)

e anche

“[…]Il grande Gatsby (The great Gatsby, 1925), uno dei classici della letteratura americana, fu la rivelazione di un ingegno ormai maturo, capace di analizzare emozioni e motivazioni delle classi agiate e di indicarne l’implicita distruttività. La forza del romanzo è nella sua lucidità formale di narrazione «indiretta», che, secondo la lezione di James e di Conrad, affida a un «testimone» il compito di evocare il magico e drammatico percorso del mito americano.”(da La Feltrinelli Libri Autori)


“La sua opera rimane al periodo tra le due guerre, quella che in America fu detta “l’età del jazz”. […] La sua arte sta in un impercettibile equilibrio tra cinismo e tenerezza, in un linguaggio limpido, senza sbavature, con un timbro tragico sempre presente. Tornò, nell’ultimo dopoguerra, al favore della critica che, dopo l’intervallo della letteratura sociale e naturalista, riconobbe in lui un precursore della nuova narrativa americana”.(da Treccani)

Hermann Hesse “Il canto degli alberi”, recensione di Salvina Pizzuoli

Il testo raccoglie scritti in prosa, versi, racconti in date e periodi diversi con un unico denominatore: gli alberi e la natura in genere.

Titolo originale è Bäume, ovvero Albero.

Gli alberi hanno infatti una loro preminenza nei testi soprattutto nelle pagine in prosa, perché l’autore ha una particolare predilezione per molte specie arboree, li considera infatti “santuari. Chi sa parlare con loro – scrive – chi li sa ascoltare, conosce la verità. Essi non predicano dottrine e precetti, predicano, incuranti del singolo, la legge primigenia della vita” ( tratto da Alberi, il testo che apre la raccolta e che porta la data 1919).

Paesaggi, ricordi, emozioni, ma soprattutto pensieri e riflessioni che lo scrittore presenta in forma di prosa o di poesia percorrono nel tempo i momenti che legano periodi della vita con spettacoli naturali.

Oltre ad essere santuari gli alberi sono amici: ci si rammarica infatti per l’amico abbattuto dal vento, si gioisce per i suoi nuovi germogli, si apprezza la sua forza e la sua resistenza di fronte alle intemperie, si impara o li si vorrebbe imitare nel loro distacco dalla vita e accogliere i consigli che potrebbe dare alleviando i periodi bui.

Il raccordo tra vita dell’uomo e gli alberi in particolare permea tutti gli scritti siano essi in prosa o in poesia.

Colpiscono alcune riflessioni legate alla memoria dei paesaggi “vissuti” per alcuni periodi e che senza alberi sarebbero mutili e non sarebbe possibile ricordarli, collocarli precisamente : “Come resterà più tardi nella mia memoria il paese in cui vivo ora, non lo so, ma non riesco a immaginarmelo senza pioppi, così come non riesco a immaginarmi il Lago di Garda senza ulivi e la Toscana senza cipressi”.

Non mancano i paragoni tra i due cammini, quello dell’uomo e quello della natura: paragoni come nella poesia Quercia spezzata

Mille volte hai sopportato/Finché furono in te tenacia e volontà!/Io ti somiglio, con le mie ferite,

[…]

Paziente metto nuove foglie/Sul ramo spezzato mille volte,/ E a dispetto del dolore resto/ Innamorato in questo pazzo mondo.

E ancora in:

Foglie appassite

Ogni pianta aspira al frutto,/Ogni alba si fa sera,/Nulla dura sulla terra/Tutto muta e fugge via.

Per concludere:

Gioca la tua partita, non fare resistenza,/Lascia che tutto segretamente accada./Lascia che il vento ti porti via/E verso casa ti trascini.

Come tutti gli scritti che riportano emozioni, vanno letti e scoperti un po’ alla volta, anche in momenti diversi.

Ringrazio Luisa, la mia cara amica, di avermi inviato il link al video dove viene drammatizzato il testo Alberi, lettura che mi ha spinto a conoscere tutta la raccolta e a provare a palesarne i messaggi emozionali e permesso indirettamente di cogliere altre sfaccettature dell’autore.

Da Guanda Libri:

[…] Faggi, castagni, peschi, betulle, tigli, querce e molti altri, nella magnificenza della fioritura o con i rami nodosi offerti alle brinate notturne, illuminati dal sole o al chiarore della luna: sono loro i protagonisti indiscussi di questa raccolta. Essi accompagnano lo scrittore, silenziosi e saggi, nel corso della sua vita, segnano momenti precisi, suscitano riflessioni e ricordi, vengono invocati come esseri viventi, come amici.

e anche

Brevi note biografiche

Hermann Hesse nacque nel 1877 a Calw, nel Württemberg. Dopo studi in seminario, presto abbandonati, si dedicò alle più svariate attività. A rivelarlo al grosso pubblico fu, nel 1904, il romanzo Peter Camenzind. Viaggiò in India e si stabilì in Svizzera, dove scrisse negli anni ’20 le sue opere più importanti come Siddharta e Il lupo della steppa. Vinse il premio Nobel nel 1946 e morì a Montagnola (Svizzera) nel 1962. (da Guanda Autori)

Due romanzi giapponesi del Novecento

Osamu Dazai vissuto nella prima metà del Novecento

Shizuko Natsuki, l’Agatha Christie giapponese

Tradotto per la prima volta in italiano da Antonietta Pastore per gli Oscar cult di Mondadori. Ningen shikkaku, titolo originale,  “Lo squalificato” in italiano, fu scritto nel 1948 divenendo un grande classico del Novecento giapponese. I romanzi di Osamu Dazai (1909 – 1948) ottennero un successo straordinario in Giappone soprattutto nei primi anni del dopoguerra.

Racconta le esperienze negative del protagonista, Yōzō, che ripercorrono quelle dell’autore medesimo, morto suicida dopo numerosi tentativi, un’indole disperata, dissoluta e infelice di cui ancora oggi si possono apprezzare le notevoli doti letterarie.

“Tre quaderni di memorie e tre fotografie. È tutto ciò che serve per raccontare la vita tormentata e dissoluta di Yōzō che, nel Giappone dei primi anni Trenta, vive diviso tra le antiche tradizioni della sua nobile famiglia e l’influenza della nuova mentalità occidentale: una lacerazione che fa di lui un individuo “squalificato”.(da Oscar Mondadori Libri)


Shizuko Natsuki (Tōkyō 1938 – Fukuoka 2016), considerata l'”Agatha Christie giapponese”, ha pubblicato circa cento romanzi polizieschi, di cui una decina hanno avuto adattamenti televisivi di successo. Omicidio al monte Fuji è la sua opera più celebre, da cui sono state tratte diverse trasposizioni cinematografiche.( tratto da Mondadori Libri)

Tradotto di recente in italiano da Laura Testaverde per Mondadori, fu pubblicato nel 1982 con il titolo originale W no higeki, un noir in cui l’autrice effettua un’interessante rappresentazione della ricca borghesia nipponica raccontando di Ichijō Harumi, giovane venticinquenne che aspira a diventare drammaturga e intanto dà lezioni private di inglese a Mako, giovane ereditiera della potente famiglia Watsuji, dell’industria farmaceutica giapponese. Ichijō, coinvolta suo malgrado in un fatto di sangue che vede Mako protagonista, per autodifesa, della morte del capofamiglia, assiste all’insabbiamento che i Watsuji decidono per proteggerla insieme al buon nome della famiglie e dell’azienda; con il passare del tempo e il procedere delle indagini della polizia, però si troverà ad affrontare un pesante dilemma.

Navarre Scott Momaday “Casa fatta di alba”, presentazione

Il romanzo pubblicato per la prima volta negli USA nel 1968 fu vincitore l’anno successivo del Premio Pulitzer. Opera prima di un nativo americano, Scott Momaday, rappresenta l’eccezione: fu la prima e unica opera ad aggiudicarsi il prestigioso Premio. Editato in Italia per la prima volta nel 1979 da Gaunda, è in libreria nella nuova traduzione di Sara Reggiani per Black Coffee. Il titolo deriva, spiega l’autore su tuttolibri La Stampa (26 maggio 2022), dal primo verso di una preghiera navajo. Il romanzo racconta di Abel, il protagonista, e contiene “un bel po’ della mia vita” si legge nell’intervista di Marco Bruna (La Lettura del 22 maggio 2022). Il giovane, che ha combattuto nella Seconda guerra mondiale, tornato a casa vive dentro due mondi separati e diversi: quello della famiglia profondamente legato alla natura, agli antichi riti e alle tradizioni e quello dell’America sempre più industrializzata e lontana dalla spiritualità e dall’ambiente naturale che lo invischierà nel vizio e nella corruzione.

“Un tragico racconto sui danni prodotti dalla guerra e dall’alienazione culturale, e sulla speranza con cui si torna alla propria terra, riscoprendo il valore sacro della famiglia e delle tradizioni”.(da Edizioni Black Coffee)

e anche

Brevi noTe biografiche

N. Scott Momaday appartenente alla tribù Kiowa dell’Oklahoma, è cresciuto a stretto contatto con le comunità Navajo e Apache. è autore di romanzi e numerose raccolte poetiche, oltre a una riflessione sul territorio americano, Earth Keeper, di prossima pubblicazione per Edizioni Black Coffee. Poeta, pittore, professore universitario e grande narratore, con la sua opera Momaday si è affermato come una pietra miliare della letteratura e dell’arte americana. Nel 1969 è stato il primo autore nativo ad aggiudicarsi il il premio Pulitzer con Casa fatta di alba, e negli anni ha ricevuto numerose onorificenze come una National Medal of Arts, un Hadada Award, una Frost Medal e il titolo di UNESCO Artist for Peace. Vive in Nex Mexico.

Robert Walser “L’assistente”, presentazione



Disegno di Franz Kafka (1901­-1907 ca). The National Library of Israel, Gerusalemme.
 

Una nuova traduzione, a cura di Cesare De Marchi per Adelphi, di “L’assistente”, romanzo del 1908 di Robert Walser con postfazione di Claudio Magris. Protagonista è il giovane Joseph Marti che una mattina, in apertura del romanzo, si presenta all’ingegner Carl Tobler per prendere servizio come assistente. Tobler è un inventore, di un orologio pubblicitario, di una cartucciera automatica e di un nuovo modello di seggiolone per degenti, marchingegni bizzarri che si riveleranno col tempo dei fallimenti e determineranno il progressivo declino della famiglia borghese.

Definito un “romanzo realistico” di fatto propone molti dettagli autobiografici e situazioni derivate dalla personale esperienza di lavoro dell’autore, tra il 1903 e il 1904, presso l’ingegnere meccanico Dubler a Wãdenswill, sul lago di Zurigo, in una villa con vista: Stella Vespertina, tanto che lo stesso Walser afferma che L’assistente “non è propriamente un romanzo, bensì un semplice stralcio di vita quotidiana svizzera”.

“[…] Si immer­gerà in un microcosmo borghese: la moglie di To­bler, la serva Pauline e i quat­tro figli […] Un mon­do, in realtà, destinato presto a sgretolarsi: nel volgere di una stagione Joseph assisterà al declino di «padron Toble», le cui dissennate invenzioni lo votano al fallimento. […] in questo romanzo-­diario, Walser rie­sce miracolosamente a evocare l’abisso che all’improvviso può spalancarsi sulla liscia superficie di un placido lago, a raffigurarne l’orrore e insieme l’attrazione – raggiun­gendo uno dei vertici della sua arte”. (dal Risvolto Adelphi Editore)

Brevi note biografiche

Robert Walser (Biel 1878 – Herisau 1956), scrittore svizzero tedesco, lavorò come impiegato e compì senza successo alcuni tentativi teatrali. A causa di disturbi fisici e psichici fu internato in una clinica psichiatrica, dove trascorse gli ultimi 28 anni della sua vita. Scrisse in rapida successione tre romanzi a sfondo autobiografico, Die Geschwister Tanner ( I fratelli Tanner1907), Der Gehülfe (L’assistente 1908), Jakob von Gunten (1909),