Ingeborg Bachmann “Invocazione all’Orsa Maggiore”, presentazione

Nel cinquantenario della scomparsa

Edizione con testo a fronte a cura di Luigi Reitani

Con una Nota di Hans Höller

Adelphi Editore

In libreria il 20 ottobre

[…] Una poesia multiforme, cangiante, dove classico e moderno si fondono in versi ora audaci e spigolosi ora di chiara musicalità, e lo sguardo della Bachmann si mostra attento a cogliere la violenza della realtà e il dolore, in particolare nei paesaggi italiani, luminosi e arcaici, feriti e vitali, lontanissimi dai cliché della tradizione classico-romantica: «Nel mio paese primogenito, nel sud / mi assalì la vipera / e nella luce l’orrore».(dal Risvolto,  Adelphi Editore)

Adelphi ripropone in una nuova edizione la raccolta di versi “Invocazione all’Orsa maggiore” (1956).

Nata a Klagenfurt in Carinzia, al confine con la Slovenia e l’Italia, visse con dolore l’ingresso delle truppe naziste nella sua città cercando rifugio nei luoghi di origine della famiglia.

Alla liberatoria caduta del regime, nel 1946 si trasferisce a Vienna dove conoscerà Paul Celan, l’amore della sua vita e che tanto spazio occuperà nelle sue opere in poesia e in prosa. Insieme saranno nel Gruppo 47, costituito da giovani letterati e scrittori, leggendo le loro poesie. Un amore travagliato e impossibile. Una nuova fuga nel 1953 la porterà verso l’Italia, prima a Ischia poi a Napoli e infine a Roma, la città che eleggerà a nuova patria e dove comporrà il canzoniere che Adelphi riedita nel cinquantenario della tragica morte della poetessa. Un’edizione speciale, bilingue, con il testo della edizione critica tedesca di Reitani e impreziosita da un importante apparato iconico

“Ingeborg Bachmann si fa portatrice di una moderna poetica del sublime, che riconosce la grandezza dell’uomo nella sfida che egli rivolge alle potenze che lo sovrastano. Se Dio non abita nel mondo e se la storia è visitata dal male, se l’uomo è estraniato da se stesso, spetta al canto poetico testimoniare messianicamente la verità. Il non-rivelarsi di Dio, la sua «presenza-assenza» ― un concetto che lega Ingeborg Bachmann a Simone Weil e a Wittgenstein, e ancora più indietro a Hölderlin ― si rovescia così nella trascendenza mistica della parola. Ogni poesia è in questo senso Anrufung: preghiera, invocazione e chiamata in giudizio al tempo stesso.” (Da Luigi Reitani)

Brevi note biografiche

Ingeborg Bachmann (Klagenfurt, 25 giugno 1926 – Roma, 17 ottobre 1973), scrittrice e poetessa austriaca conosciuta anche come Ruth Keller (pseudonimo). Nel 1953 la raccolta di poesie Il tempo dilazionato ottenne il premio letterario del Gruppo 47. Nel 1956 venne pubblicata la raccolta di poesie Invocazione all’Orsa maggiore, conseguendo il Premio Letterario della Città di Brema. Del 1961 è la premiata raccolta di racconti Il trentesimo anno, e nel 1971 il romanzo Malina. Muore a Roma a causa di un incidente causato da una sigaretta: addormentatasi la sua vestaglia prese fuoco. Portata in ospedale morì successivamente per le complicanze.

Alcuni componimenti della poetessa a questo link

Julien Green “Parigi”, presentazione

Traduzione di Marina Karam

Nato nel XVII arrondissement da genitori originari del Sud degli Stati Uniti, in bilico fra due lingue e due culture, Julien Green ha fatto di Parigi la sola vera patria, oggetto di una amorosa contemplazione e di una stupefatta tenerezza. Nessuno meglio di lui poteva dunque non già raccontarci le eclatanti( (da libro Adelphi)

Julien Green (1900 – 1998)  dedicò a Parigi questo suo scritto quando fuggito all’occupazione nazista fece ritorno nella città dove era nato da genitori americani. Fu al termine della guerra che decise di dedicare il suo scritto alla città che aveva scoperto di amare e di prediligere proprio durante il forzato abbandono.

“Ho sognato tante volte di scrivere un libro su Parigi che fosse come una lunga passeggiata senza meta, nel corso della quale non si trovano le cose che si cercano ma molte altre che non si stavano cercando. Anzi, è solo così che mi sento in grado di affrontare un argomento che mi scoraggia non meno di quanto mi attragga. Innanzitutto credo che non farò parola dei grandi monumenti e di tutti i luoghi per i quali ci si aspetterebbe una descrizione in piena regola.[…] Ai miei occhi Parigi resterà lo scenario di un romanzo che nessuno scriverà mai. Quante volte sono tornato da lunghi vagabondaggi attraverso vecchie strade con il cuore gonfio di tutto ciò che d’inesprimibile avevo visto! Si tratta forse di un’illusione? Non credo. Mi capita spesso di fermarmi all’improvviso davanti a una grande finestra addobbata di finti merletti, in fondo a un vecchio quartiere, e di fantasticare all’infinito sugli ignoti destini che si dipanano al riparo di quei vetri bui.(dal capitolo di apertura Ho sognato tante volte)”

per cui i monumenti famosi vengono tralasciati per fare spazio all’anima della città cercata e trovata magari nelle cassette dei libri malconci dei bouquinistes o sugli ippocastani al Trocadero, nei venditori di bambole al Palais Royal o nelle tante scalinate, immaginando storie, presenze di una città segreta con un fascino tutto da evocare e sentire.

Brevi note biografiche

Julien Green (1900 – 1998) nacque a Parigi da genitori americani. La madre era figlia del senatore democratico della Georgia Julian Hartridge (1829-1879), da cui aveva ereditato il nome ; è stato uno scrittore e drammaturgo e trascorse gran parte della sua vita in Francia.

Jean Stafford “Il puma”, presentazione

Qualcosa di morboso e strisciante, che è del paesaggio, delle presenze che lo anima­no, degli interni di case occasionalmente trasformate in camere ardenti, accoglie il lettore di questo paradossale romanzo di formazione, in cui all’impossibilità di ab­bandonare l’infanzia si accompagna quel­la di rimanere bambini.(da Adelphi Libro)

Pubblicato nel 1947, (The Mountain Lion) viene per la prima volta tradotto in italiano da Monica Pareschi per Adelphi.

I protagonisti sono due fratelli, Ralph e Molly, che all’inizio del romanzo hanno rispettivamente dieci e otto anni. Vivono con la madre e due sorelle maggiori in un sobborgo di Los Angeles, il padre è morto da molto.

Il loro tempo trascorre nella casa nei sobborghi di Los Angeles e ogni estate in un ranch in Colorado appartenente al fratellastro della madre. Qui vengono in contatto con un mondo diverso, selvaggio e brutale e in contrasto con quello del suburbio: se in un primo momento l’ambiente affascinerà entrambi, successivamente Ralph aderirà a quanto lo zio e la cerchia che frequenta, coinvolgendolo nelle loro vite, lo porteranno ad accogliere il passaggio verso una giovinezza adulta. La comparsa di un puma femmina sancirà poi definitivamente l’allontanamento dei due protagonisti e l’epilogo della storia che, come romanzo di formazione, descrive il raggiungimento della maggiore età dei due fratelli. una crescita che passa attraverso un allontanamento e tra i due e la stessa infanzia, con un finale inatteso. L’autrice si è ispirata a fatti reali della propria vita.

Brevi note biografiche

Jean Stafford, autrice statunitense (1915 – 1979)dopo gli studi all’Università di Heidelberg (1936-1937). tornata negli Stati Uniti si stabilisce a Boston, dove scrisse Boston Adventure (1944), diventato un best seller e lanciato la Stafford come autrice. Il suo secondo romanzo, e The Mountain Lion (1947): Scrittrice di racconti, pubblicati su riviste, ha vinto il Premio Pulitzer nel 1970.

Matsumoto Seichō “Il dubbio”, presentazione

Matsumoto Seichō (1909-1992) è stato uno scrittore prolifico, oltre trecento romanzi e vari racconti, e anche giornalista. In questo romanzo, titolo originale Giwaku, pubblicato nel 1982 e oggi proposto da Adelphi nella traduzione di Gala Maria Follaco, protagonista è un’avvenente vedova, spregiudicata e dai trascorsi poco limpidi, sopravvissuta alla morte del marito dopo un incidente in auto.

Solo prove indiziarie la vedono implicata, niente dimostra che alla guida ci fosse lei e che l’omicidio fosse premeditato per intascare il premio dell’assicurazione sulla vita del ricco e vedovo marito. Sebbene si dichiari innocente anche la stampa si schiera contro Kumako, questo il nome della donna, che di fatto non compare mai nel romanzo in prima persona, di lei si parla solo in terza, i protagonisti sono invece i portatori di due visioni opposte: da una parte il giornalista investigativo e dall’altra l’avvocato difensore

“Come sempre Matsumoto si rivela un maestro nel rovesciare le prospettive, ma soprattutto nello spiazzare il lettore smascherando, a partire da un’oscura vicenda, il più torbido sottofondo della società giapponese”.(da libro Adelphi)

Indagare l’animo umano è parte della scrittura di Seichȏ Matsumoto come fa ad esempio sull’ossessione del giornalista autore della cattiva disposizione nei confronti della vedova da parte dell’opinione pubblica avendo tra le altre cose rispolverato nella radice del cognome di lei, Onizuka, “oni”, ovvero demonio.

Dello stesso autore su tuttatoscanalibri:

“Un posto tranquillo”

I disegni di Kafka, a cura di Andreas Kilcher

Disegni di Franz Kafka (1901­1907). The Literary Estate of Max Brod, Na­tional Library of Israel, Jerusalem.

Traduzione di Ada Vigliani
Con una Nota di Roberto Calasso

Apparso in Germania nel 2021, nel testo Adelphi, come si legge nel Risvolto del volume, “è ripro­dotto – sul supporto originale, e quasi sempre a grandezza naturale – l’intero corpus dei dise­gni che si sono conservati”.

Vi sono raccolti i disegni che Kafka aveva disseminato su ritagli di giornale, fogli volanti o all’interno delle pagine di un intero quaderno o di un diario. Li aveva affidati all’amico Max Brod insieme ai suoi scritti perché voleva li bruciasse tutti alla sua morte. L’amico non eseguì il compito ma li conservò accuratamente, come racconta nella Presentazione il curatore e, grazie a questa disobbedienza, oggi possiamo scoprirli e, insieme a loro, un aspetto poco noto dello scrittore-disegnatore che li aveva realizzati.

Li aveva definiti i suoi “geroglifici personali” anche se ai primi del suo secolo aveva preso lezioni di disegno. Umani e altri animali, esseri a passeggio dalle forme allungate, prove di ritratto e caricature, personaggi frutto di una fantasia in cui si può riconoscere la sua scrittura feconda e inquieta. A Felice Bauer, la fidanzata, ne aveva mandati due esempi, perché ci si facesse una risata, sostenendo che nonostante fosse nato con un certo talento gli si era guastato per colpa delle lezioni che aveva preso da una cattiva pittrice e, nel febbraio del 1913, precisava però “quei disegni mi hanno appagato più di qual­siasi altra cosa”.

[…] Pagina dopo pagi­na, incontreremo esili silhouette nere di omini curvilinei che ora camminano frettolosi, ora s’inerpicano chissà dove, ora sembrano danza­re; figure angolose, dal volto appena accenna­to, talvolta comico; e ancora: esseri ibridi, spesso rappresentati con pochi tratti magistrali, imma­gini evanescenti, come in affannoso movimen­to, enigmatiche apparizioni. Ravviseremo così un artista imparentato con lo scrittore, ma che percorre un’autonoma strada parallela – una strada per Kafka non meno vitale […]( da Adelphi Libro)

Ibn Jubayr “Viaggio in Sicilia”, presentazione

A cura di Giovanna Calasso.

Illustrato a colori

Adelphi ripropone, con il titolo Viaggio in Sicilia, a cura di Giovanna Calasso, la sezione finale della relazione di viaggio, la Riḥla, di Ibn Jubayr poeta e viaggiatore musulmano (Valencia 1145 – Alessandria d’Egitto 1217) dove, come in un diario di bordo dalle date scandite rigorosamente, raccoglie e racconta il viaggio di rientro dalle coste siriane di Acri verso la Spagna: era infatti partito da Granada nel 1183 in pellegrinaggio alla Mecca. Si era imbarcato a Ceuta su una nave genovese giungendo dopo varie peripezie alla città santa. Ripresa la lunga via del ritorno visitò Damasco e Baghdad e si rimbarcò verso la fine del 1184 ad Acri, ancora su una nave genovese, che fece naufragio. Tratto in salvo, percorse via terra tutta la costa settentrionale della Sicilia fino a Palermo e a Trapani, da dove riprese il mare verso l’Andalusia, facendo ritorno a Granada nella primavera del 1185.

Il testo della Rihla, conosciuto grazie a Michele Amari e ad un altro famoso arabista, Celestino Schiaparelli, viene riproposto nella parte finale che percorre la Sicilia: oltre ad essere una gradevole lettura, fornisce, grazie all’ imprevista disavventura siciliana del protagonista, una genuina testimonianza dell’ambiente sociale, culturale e monumentale dell’isola nel periodo arabo-normanno. Particolarmente interessanti inoltre le pagine sulla corte del re Guglielmo II (1153-1189), sul trattamento e il ruolo assegnato a paggi e ancelle musulmane, testimonianza della tolleranza religiosa del sovrano, ma anche sul culto e sui monumenti cristiani di Palermo.

“Piene di meraviglia, ma anche di inquietudine, timori e silenziosi interrogativi, le pagine del Viaggio in Sicilia riescono a trasportarci nel mondo mentale di un viaggiatore musulmano del XII secolo che, catapultato suo malgrado in una realtà estranea e nemica – ma dalle sembianze così sorprendentemente familiari –, cerca di darle un senso”.(da Adelphi Libro)

Robert Walser “L’assistente”, presentazione



Disegno di Franz Kafka (1901­-1907 ca). The National Library of Israel, Gerusalemme.
 

Una nuova traduzione, a cura di Cesare De Marchi per Adelphi, di “L’assistente”, romanzo del 1908 di Robert Walser con postfazione di Claudio Magris. Protagonista è il giovane Joseph Marti che una mattina, in apertura del romanzo, si presenta all’ingegner Carl Tobler per prendere servizio come assistente. Tobler è un inventore, di un orologio pubblicitario, di una cartucciera automatica e di un nuovo modello di seggiolone per degenti, marchingegni bizzarri che si riveleranno col tempo dei fallimenti e determineranno il progressivo declino della famiglia borghese.

Definito un “romanzo realistico” di fatto propone molti dettagli autobiografici e situazioni derivate dalla personale esperienza di lavoro dell’autore, tra il 1903 e il 1904, presso l’ingegnere meccanico Dubler a Wãdenswill, sul lago di Zurigo, in una villa con vista: Stella Vespertina, tanto che lo stesso Walser afferma che L’assistente “non è propriamente un romanzo, bensì un semplice stralcio di vita quotidiana svizzera”.

“[…] Si immer­gerà in un microcosmo borghese: la moglie di To­bler, la serva Pauline e i quat­tro figli […] Un mon­do, in realtà, destinato presto a sgretolarsi: nel volgere di una stagione Joseph assisterà al declino di «padron Toble», le cui dissennate invenzioni lo votano al fallimento. […] in questo romanzo-­diario, Walser rie­sce miracolosamente a evocare l’abisso che all’improvviso può spalancarsi sulla liscia superficie di un placido lago, a raffigurarne l’orrore e insieme l’attrazione – raggiun­gendo uno dei vertici della sua arte”. (dal Risvolto Adelphi Editore)

Brevi note biografiche

Robert Walser (Biel 1878 – Herisau 1956), scrittore svizzero tedesco, lavorò come impiegato e compì senza successo alcuni tentativi teatrali. A causa di disturbi fisici e psichici fu internato in una clinica psichiatrica, dove trascorse gli ultimi 28 anni della sua vita. Scrisse in rapida successione tre romanzi a sfondo autobiografico, Die Geschwister Tanner ( I fratelli Tanner1907), Der Gehülfe (L’assistente 1908), Jakob von Gunten (1909),

Emmanuel Carrère “Yoga” recensione di Salvina Pizzuoli

“[…] ho cominciato a ricopiare e cucire insieme gli appunti a prima vista eterogenei […] Gli appunti sullo yoga, gli appunti sulla mia depressione e sul ricovero al Sainte-Anne […] Il lavoro di cucitura è il primo che bisogna affrontare quando si monta un film. In francese si chiama “orso” […] Nessuno che sia sano di mente può credere che ne verrà fuori qualcosa di guardabile – o di leggibile se si tratta di un libro […] A poco a poco quella specie di magma comincia a prendere forma, e spesso è una forma inaspettata”

Il testo si articola in due parti, la prima quando convinto di aver raggiunto “uno stato di meraviglia e serenità”, vuole dedicare un breve saggio “arguto e accattivante” alle pratiche che esercita da anni: lo yoga, la meditazione e il tai chi; la seconda quando scopre di non essere affatto nello stato che immaginava di aver raggiunto e prosegue invece con il racconto della sua malattia. Queste a grandi linee le tematiche di base, ma non è una cronaca sterile: il testo è pieno di vita, di incontri, di ricordi, di affettività e di amore, sotto ogni punto di vista. Se la prima parte, sebbene scandita dalla prosa piana, arguta e piacevole di Carrère, lascia perplessità nel lettore che non ne conosce il seguito, è proseguendo che si comprende.

“Sono stato accecato, come Paolo sulla via di Damasco, dall’evidenza che la mia autobiografia psichiatrica e il mio saggio sullo yoga erano lo stesso libro. Lo stesso libro, perché la patologia di cui soffro è la versione squinternata, parodistica, terrificante della grande legge dell’alternanza degli opposti di cui ho così sinceramente celebrato l’armonia una cinquantina di pagine fa. Dallo yin nasce lo yang dallo yang lo yin, e il saggio è colui che si abbandona alla corrente lasciandosi trasportare dolcemente da un polo all’altro. […] E sono sicuro che questo possa essere un buon libro, un libro necessario, in cui i due poli riusciranno a convivere: l’incessante aspirazione all’unità, alla luce, all’empatia e l’opposto, potente richiamo della divisione, della chiusura in sé, della disperazione. Questo tira e molla è più o meno la storia di tutti gli uomini, solo che in me è portato all’eccesso, è patologico, ma siccome sono uno scrittore posso farne qualcosa. Devo farne qualcosa”.

Interessante l’imperativo che l’autore si pone con lo sforzo linguistico che comporta raccontare l’orrore, il dolore di una paralizzante malattia psichica, di una depressione profonda, un racconto che si fa letteratura farcito com’è di pensieri e ricordi “vagabondi”, storie, momenti di una vita che può nuovamente aprirsi a nuove possibilità

“[…] la vita è bella. Non solo bella, ma bella. E trovo generoso da parte sua, se si considerano i miei conti in sospeso, avermi dato un’altra chance […] in questo momento della mia vita sono io e so che c’è la marina di Dufy ad attendermi, so che non riuscirò a sfuggirle, ma oggi me ne infischio, oggi sono pienamente felice di essere vivo” .