Melinda Moustakis “150 acri”, presentazione

Traduzione di Marco Bianco e Ilaria Oddenino

Alaska, 1956. Marie, poco più che adolescente, si trova a Anchorage, sulla Baia di Cook, in visita a sua sorella più grande, Sheila,  che vive lì con il marito Sly. Quando nell’unico locale della zona, il Moose Lodge, il suo sguardo incontra quello di Lawrence, il giovane uomo le si avvicina e le dà un pezzetto di carta su cui ha scritto solo due parole: 150 acri. Lei, a sua volta, risponde con l’indirizzo del trailer dove é ospite di Sheila. Pochi giorni dopo, Lawrence e Marie, quasi senza conoscersi, decidono di sposarsi e raggiungono i 150 acri di lande selvagge  per farne insieme la propria casa. Per Lawrence costruire una casa e fare una famiglia con Marie significa cercare di non sentirsi più estraneo a ogni cosa che lo circonda; per Marie quella terra e il matrimonio con Lawrence rappresentano la fuga dal futuro vuoto e il sogno di una vita migliore.[…](da Edizioni Atlantide)

Ispirato a una storia vera legata alla figura dei nonni materni, Melinda Moustakis racconta l’Alaska, uno degli ultimi territori diventati Stato degli USA, nel 1959.

I protagonisti: Lawrence è un veterano di guerra coreano di 27 anni del Minnesota. Marie ha 18 anni e viene dal Texas in visita alla sorella e al cognato ad Anchorage. Si incontrano al  The Moose Lodge e quando Lawrence consegna a Marie un foglietto di carta con scritto “150 acri” decidono di incontrarsi la notte successiva quando lui le propone “Sai cosa ho e cosa ho da offrire”.
Si sposano e vivono situazioni davvero difficili: un vecchio autobus malandato li ospita mentre Lawrence costruisce una capanna, quindi una gravidanza, l’incontro con un grizzly e un  territorio selvaggio intorno a loro…

Il romanzo si ambienta tra il 1956 e il 1959. La grande attrattiva per nonno Lawrence, come il nome del protagonista, proprio i 150 acri che danno il titolo all’opera. Nella realtà il nonno si era trasferito in Alaska dal Minnesota, spinto dalla miseria in cui versava la famiglia, e costruì, insieme alla moglie, conosciuta e sposata dopo poche settimane, a Point Mackenzie, una fattoria in Alaska appunto quando ancora non era uno Stato ma un territorio senza infrastrutture: una vita dura e senza comodità con l’acqua da trasportare e un forno a legna per cucinare, animali feroci e isolamento, in un paesaggio ghiacciato; due sconosciuti alle prese con se stessi e con la vita che hanno scelto di intraprendere nella ricerca di un’esistenza migliore.

Nata in Alaska, Melinda Moustakis (Fairbanks, Usa, 1982) è cresciuta in California. Il suo libro di esordio, la raccolta di racconti (University of Georgia Press, 2011), ha vinto vari premi tra cui il Flannery O’Connor Award. Uscito all’inizio dell’anno scorso per Flatiron Books, 150 acri è il suo primo romanzo tradotto e pubblicato in Italia da Blu Atlantide (da Atlantide Edizioni)

la Quarta di copertina

Doreen Cunningham “Il canto del mare”, presentazione

Traduzione di Duccio Sacchi

In autunno le balene grigie si trasferiscono dall’oceano Artico alle lagune costiere del Messico per partorire. Alla fine dell’inverno mamme e cuccioli intraprendono il viaggio di ritorno insieme. A seguire la loro straordinaria migrazione ci sono Doreen e il suo bambino Max.

Tra memoir e nature writing, esplorazioni avventurose e importanti riflessioni sullo stato del nostro pianeta e ciò che sta portando alla sua distruzione, Il canto del mare è un’emozionante storia vera di coraggio e resilienza.(Dal Catalogo Einaudi)

Era il 2008 quando la Cunnigham decide di seguire il percorso più lungo che un cetaceo possa compiere per svernare: una decisione sofferta per lei che sta attraversando un periodo abbastanza pesante della propria vita di donna e di giornalista della BBC; ha dovuto lasciare Londra, il suo lavoro, la sua vecchia vita. Ora, dopo una battaglia estenuante per ottenere l’affidamento del piccolo Max, è relegata in una casa rifugio sull’isola di Jersey per donne-madri single e senza un soldo. Ma una nuova forza la spinge ad imitare le madri balene e partire con Max, anche se ha solo due anni. Un viaggio avventuroso ma anche pieno di conseguenze positive: un memor, un rapporto forte con il figlioletto, una riflessione sui danni che l’uomo sta provocando al pianeta.

E in questo testo avvincente si racconta

Stralci dal Prologo

Il vento mi bagna il viso di spruzzi. L’acqua scivola contro i fianchi del nostro piccolo peschereccio che esce fremente dal porto, in un’alba che sparge bagliori di fuoco sopra e sotto l’orizzonte. Max, il mio bambino di due anni, è davanti che «aiuta» a pilotare. Conosco lo skipper, Chris, da appena dodici ore. Abbiamo preso a nolo un papà, un uomo che conosce il mare, e che forse può aprire una porta in questo oceano geloso dei suoi segreti. Oggi è la nostra ultima possibilità perché le cose girino per il verso giusto. Non posso fare altro che fidarmi di questo generoso sconosciuto, abbandonarmi al vento e all’acqua e tenere gli occhi fissi sulle onde, esaminando ogni curva, ogni rollio, ogni gorgo, ogni increspatura.[…] Non ho piú fede nella mia idea di seguire la migrazione delle balene grigie, non ho piú fede nelle balene e soprattutto non ho piú fede in me stessa. Volevo far vedere a Max le balene e i loro piccoli che percorrono insieme migliaia di chilometri, dalle lagune messicane della Baja California all’oceano Artico, e dimostrargli cosí che non c’era nulla al mondo di impossibile, che non esistevano ostacoli insormontabili, anche per noi due da soli. Ma ero io quella da convincere, e le cose non sono andate secondo i piani.[…] Il viaggio doveva aiutarmi a ricominciare. Per un po’ mi ha distratto, ma ora che volge al termine mi ritrovo davanti tutti i problemi da cui stavo fuggendo, l’intera lista dei miei fallimenti. Non ho saputo costruire per me e per Max una vita che fossi in grado di sopportare, non ho saputo guadagnare a sufficienza per mantenerci, non ho saputo tirare avanti come fanno tutti. In amore poi ho fallito in modo clamoroso e ripetuto, e ovviamente ho fallito soprattutto nel non rendermi conto di quanto fosse stupida l’idea di questo viaggio. Sono cosí stordita dai miei insuccessi che sento le gambe vacillare e mi aggrappo al bordo della barca, stringendomi forte con le mani al legno. […]Durante il viaggio ho imparato molte cose sulle balene grigie. Ogni volta che Max si addormentava mi mettevo a leggere.
Ormai lo so, siete creature uniche, straordinarie: sentinelle delmare, ingegneri dell’ecosistema, araldi del cambiamento climatico che si ripercuoterà su tutti noi. Ma dove cazzo vi siete cacciate? Come avete potuto tradire la mia fiducia?

E alla fine conclude il Prologo con le motivazioni profonde al viaggio

Mentre ero china sul computer, sul bordo del letto, di fianco a Max, sentii una voce, la voce di Billy, vicina e profonda, come se fosse seduto accanto a me, sulla banchisa in Alaska sette anni prima, a scrutare le balene.[…] Da quel momento avvenne tutto in fretta. Una corda calata dal cielo mi stava tirando fuori dalla finestra per portarmi di là dal mare. Il giorno dopo lasciai l’ostello e mi trasferii nella mansarda di un’amica. Ottenni un prestito, richiesi i visti. Seguiremo madri e cuccioli dal Messico fino in capo al mondo, spiegai a Max. Le balene nuoteranno e noi prenderemo l’autobus, il treno e la barca di fianco a loro.[…] Mi dissi che dalle balene avrei imparato di nuovo a fare la mamma, a perseverare, a vivere. Sotto sotto, segretamente, quello che desideravo era tornare nell’estremo nord dell’Alaska, nella comunità che mi aveva offerto rifugio nell’aspra bellezza dell’Artico, e da Billy, il cacciatore di balene che mi aveva amato.

E il viaggio ha inizio.

Nell’intervista con Brunella Schisa (Il Venerdì 19 aprile 2024) rispondendo alla domanda dell’intervistatrice circa il potere che hanno gli esseri umani di creare un cambiamento profondo e positivo e dare una svolta in tal senso alla vita sulla terra, ha risposto che ciascuno di noi potrebbe trovare il proprio eroe nel mondo naturale e che il suo è una balena grigia a nome Earhart: una sopravvissuta che ha scoperto una fonte alternativa di cibo al Krill di cui le balene grigie sono ghiotte. E conclude dicendo che sono  “i guro della gestione dell’ignoto”.

Un’avventura, una prova straordinaria di perseveranza, una storia coinvolgente.

Le mie grigie cirripedute sono qui. Sono loro, sono proprio loro, una mamma e una giovane balena, che si stanno
nutrendo insieme alle megattere. D’un tratto i tipici soffi a forma di cuore, le gobbe screziate di grigio e di bianco sono ovunque. Ce l’hanno fatta. Sono qui. Sono arrivate fin qui dal Messico, come noi.

DOREEN CUNNINGHAM è nata in Galles. Dopo gli studi di ingegneria, è stata ricercatrice per il Natural Environment Research Council e la Newcastle University prima di dedicarsi al giornalismo. Dal 2000 lavora per il BBC World Service, dove ha ricoperto vari ruoli, tra cui quello di reporter. Con Il canto del mare, il suo primo libro, è stata finalista dell’Eccles Centre & Hay Festival Writer’s Award e ha ottenuto il Giles St Aubyn Award della Royal Society of Literature.

Antonella Lattanzi “Cose che non si raccontano”, recensione di Antonia del Sambro

Chiudiamo gli occhi e siamo due pazzi ed è solo fortuna se mi addormento e mi sveglio un milione di volte, quella notte del Circeo, mentre il rumore del mare, che ho sempre amato, si fa sempre più minaccioso, è solo fortuna se non dormo un attimo in più.

Ci sono cose che non si raccontano perché le parole sono scogli nel mare. Ci sono cose che non si
raccontano per vergogna, rabbia, troppo dolore, e perché se non le racconti, in fondo puoi sempre
credere che non siano successe. Antonella e Andrea vogliono un figlio: adesso lo vogliono proprio,
lo vogliono assolutamente. Ma è come se non ci fosse niente di semplice, nel desiderio più naturale
del mondo: tutto ciò che può andare storto andrà storto, anche l’inimmaginabile.
(dal Catalogo Einaudi)

Finalista al Premio Strega 2024, Antonella Lattanzi regala ai lettori un romanzo intimista che stringe il cuore e fa lacrimare gli occhi. Un romanzo potente e drammatico che ricorda da vicino i grandi lavori della letteratura novecentesca e anche se si parla di narrativa la scrittura autoriale è così commovente ed elevata che al lettore non resta altro che nutrirsi di ogni parola, di ogni capoverso e riga di questo straordinario racconto-confessione. La storia di una madre mancata che oscilla tra sofferenza e speranza, desiderio e rinuncia.

E la confessione di una singola donna diventa il grido straziante di altre centinaia e migliaia di donne su un argomento che, ancora oggi, si cerca di non affrontare appieno, di tacitare, perfino di ignorare: la maternità. Si può essere completamente donne anche senza essere madri? Quanto è frustrante sentirsi chiedere se si hanno figli o meno?
Quanto è doloroso, mortificante, sfinente provare ad avere un figlio a tutti i costi e non riuscirci mai? E come viene vissuto quotidianamente l’argomento all’interno di una coppia.
Cose che non si raccontano concentra fantasmi e dolori universali e ancestrali e lo fa in pagine di drammaticità sublimi dove la raffinata e accorata penna dell’autrice trasforma in catarsi l’intera scrittura e offre ai lettori infiniti spunti di riflessione.

Massimo Carlotto “Trudy” recensione di Antonia del Sambro

Mentiva, e sperò che il vecchio squalo non se ne fosse accorto…Si sa, il denaro rubato non ha padroni, appartiene a chi l’arraffa.


Ludovica Baroni era una commessa. Poi un matrimonio che sembra quello giusto e la sua vita cambia. Quanto e come non l’avrebbe mai immaginato. Da un giorno all’altro l’uomo che ha
sposato, uno dei più importanti commercialisti di Lecco, sparisce. Né la polizia né lei stessa – che fra lo sconcerto generale se ne va in vacanza sulla riviera romagnola – paiono molto interessati a cercarlo. Strano, perché invece c’è chi è disposto a pagare un sacco di soldi pur di sapere che fine ha
fatto e a ingaggiare una società che si occupa di sicurezza e a richiedere l’attenzione speciale di Gianantonio Farina, che nella ditta i soci chiamano il Grigio e i dipendenti il Dottore. Lui è il responsabile delle «indagini non autorizzate». Tipo questa, cosí riservata che in pochissimi ne conoscono la ragione. Farina fa spiare Ludovica, la fa pedinare, intercettare. Le assegna anche un nome in codice: Trudy. Tutto è sotto controllo. O forse no.
(dal Catalogo Einaudi)

Il ritorno in libreria di Massimo Carlotto è segnato da un noir fuori da ogni schema fino a oggi presente nella nostra narrativa di genere. I piani su cui si sviluppa sono molteplici e all’interno di Trudy ci potrebbero essere almeno altri quattro prequel e altrettanti sequel. E questo perché ognuno dei personaggi presentati si presta a infinite altre storie; storie che nessuno vuole raccontare, perché troppo complicate, sensibili direbbe qualcuno, scomode si potrebbe dire in sintesi. Un romanzo dove non c’è nessun protagonista o personaggio positivo, nessuno per cui tifare, nessuno da odiare o compatire perché tutti sono lupi per tutti. La lezione sociale è cruda, durissima, paurosa.
In un mondo come quello descritto in Trudy bisogna solo guardarsi le spalle e sperare che non tocchi a te. Interessi personali, soldi, tradimenti sono la linfa di cui si nutre una società malata, una società che ha deciso di usare la tecnologia più avanzata non per il bene comune ma unicamente per assoggettare gli altri. In questo noir dalle tinte più fosche che mai a fare da ambientazione ideale è la provincia tranquilla, operosa e borghese che si snoda dalla Lombardia alla Toscana e in cui i vari “poteri” si coalizzano o si scontrano infischiandosene dell’esistenza delle povere creature e di quanto la loro vita possa venire sconvolta per sempre. Ed è questo che nell’ultima fatica di Massimo Carlotto fa più paura, ovvero, che il crimine riguarda tutti, può colpire tutti, può annientare tutti. Come si legge giustamente nella quarta di copertina del romanzo: Dopo aver letto Trudy, camminando per strada ti verrà voglia di guardarti le spalle.

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Il Francese

E verrà un altro inverno

Eugenio Carmi – Umberto Eco “Tre racconti di pace”, presentazione

L’uguaglianza tra gli uomini, il rapporto tra potere e libertà, l’attenzione per la natura, la condanna della violenza erano, e lo sono ancora, temi da raccontare anche ai più piccoli. Nascono così, dalla fantasia di Eco e dall’immaginario visivo di Carmi, le storie e i protagonisti raccolti in questo volume: gli atomi rinchiusi dentro una bomba nucleare si ribellano al generale che vuole scatenare una guerra; tre cosmonauti in competizione tra loro – un americano, un russo e un cinese – arrivano su Marte; un imperatore presuntuoso vuole portare la civiltà su un piccolo pianeta innocente e felice.(da La Nave di Teseo)

Riunite con il titolo Tre racconti di pace, tornano in libreria per La Nave di Teseo, nella collana La Nave dei Piccoli, tre favole scritte da Umberto Eco e illustrate da Eugenio Carmi. Un nuova edizione di tre storie dalla produzione lontana nel tempo: era la metà degli anni ’60 quando nacquero dalla fantasia di Eco  “La bomba e il generale” e “I tre cosmonauti” due racconti per i piccoli, da leggere e visionare insieme ai “grandi”, scritti dall’allora poco più che trentenne Umberto Eco, studioso di semiotica,  in collaborazione per la parte grafica con l’amico e artista Carmi.

Ma è nel 1988 che un editore tedesco chiederà ad Eco di ripubblicare le due favole editate nel 1966 a cui fu aggiunta Gli gnomi di Gnù il cui tema trattava del rispetto dell’ambiente, mentre Carmi decise di rinverdire le immagini che le avevano illustrate: la raccolta ebbe molto successo. Oggi le ritroviamo in questa nuova edizione per i giovani lettori che, attraverso il raccontato e il raffigurato, potranno accostarsi ai valori sempre attuali della pace, dell’ambiente e della convivenza civile.

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Filosofi in libertà

Il Nome della rosa torna in libreria con gli appunti e i disegni di Eco

1 maggio festa dei lavoratori

celebrata in molti paesi del mondo già dal 1889

L’origine è legata alle lotte sindacali per il diritto alla giornata lavorativa di 8 ore. Il 1° maggio del 1886 fu indetto da parte dei sindacati statunitensi uno sciopero generale. A Chicago avvennero violenti scontri con morti e feriti. Negli anni successivi furono molte le dimostrazioni per ricordare le vittime e per rivendicare i diritti dei lavoratori. Al Congresso internazionale di Parigi del 1889, dove fu istituita la Seconda internazionale socialista, pertanto venne scelta come data simbolica per la Festa internazionale dei lavoratori. In Italia fu introdotta l’anno dopo. Durante il Fascismo, nel 1924, venne istituita il 21 aprile una diversa festività con la denominazione Natale di Roma – Festa del lavoro; il 1 Maggio fu ripristinato alla fine della guerra.