
La lettera di Marina Cvetaeva a Berija è introdotta da uno scritto di Ezio Mauro ed è tradotta da Claudia Sugliano.
Una grande poetessa, una vita travagliata, una famiglia epurata dalla polizia del regime: emigrata nel 1922, tornò in Russia nel 1938, dove morì suicida nel 1941 a Kazan’, il marito Sergej Efron, arruolato tra i “bianchi” e spia dell’NKVD (la sigla: Commissariato del popolo per gli affari interni; era la polizia politica dell’Unione Sovietica dal 1934 al 1946, sostituito dal KGB) in Europa, venne giustiziato nel 1941, la figlia, Ariadna, arrestata nel 1939 e condannata ai campi di lavoro, fu riabilitata solo nel 1955.
È il 1939 e Marina scrive a Berija, il capo dell’NKVD ed esecutore delle purghe staliniane. È una preghiera: vuole notizie del marito e della figlia. È la testimonianza di una pagina terribile della storia contemporanea e della tragedia di una donna.
“Il 23 dicembre del 1939, Marina Cvetaeva, la grande poetessa russa, scrive a Lavrentij Pavlovič Berija, guida del ministero degli affari interni dell’Unione Sovietica, capo della polizia segreta. Vuole avere notizie in merito alla sorte del marito, Sergej Efron, e della figlia, Ariadna, arrestati due mesi prima. Con coraggio, la poetessa si erge e difesa della sua famiglia. Russo “bianco”, coinvolto, all’estero, in attività di controspionaggio – compreso l’omicidio della spia dissidente Ignace Reiss – il marito della Cvetaeva sarà fucilato nel 1941. La figlia, riabilitata nel 1955, non rivedrà mai più la madre”( da De Piante Editore)
e anche
Brevi note biografiche
Marina Cvetaeva (1892-1941) è tra le grandi poetesse di ogni tempo. Dal 1922 comincia un difficile esilio in Europa; ritornata in Unione Sovietica nel 1939, assiste all’arresto del marito e della figlia. Messa ai margini dal mondo letterario sovietico, sceglierà di morire, nella tarda estate del 1941. Il suo epistolario costituisce un’opera a parte, di granitica grandezza: tra i suoi interlocutori speciali ricordiamo Boris Pasternak e Rainer Maria Rilke.