
Nel saggio “Un doge infame. Sodomia e nonconformismo sessuale a Venezia nel Settecento” edito da Marsilio, l’autore, Tommaso Scaramella, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Culture e Civiltà dell’Università di Verona con il dottorato in Storia Culture Civiltà all’Università di Bologna, ricostruisce “attraverso i dispacci delle corti europee, i panphlet e i processi” le vicende della vita di Alvise V Sebastiano Mocenigo (1726 – 1795) esponente di spicco dell’aristocrazia veneziana, appartenente ad una della famiglie più antiche e influenti tanto che sette dogi e vari uomini di Stato ne avevano fatto parte. Mogenico non era stato da meno divenendo ambasciatore a Madrid e a Parigi.
Fu proprio il clamore scatenato dal rifiuto imperiale per l’ incarico che avrebbe dovuto ricoprire a Vienna come rappresentante della Repubblica di Venezia a costringere il governo veneziano ad aprire un percorso di indagini per sodomia nei suoi confronti: il rifiuto imperiale “di persona non gradita” si legava ad aspetti della vita privata di Mocenigo, considerato tale per i suoi comportamenti sessuali libertini volti al di fuori della finalità procreativa e coniugale intrattenuti nei palazzi delle sue ambasciate. Mocenigo fu condannato a sette anni di prigione nella fortezza di Brescia, dove scontò la sua pena, ma fu l’infamia che gli derivò dall’accusa di sodomia a pesare sulla sua esistenza successiva negandogli pertanto, anche se a distanza di anni dall’aver scontato la pena comminatagli, di candidarsi a ultimo doge della Serenissima e condannandolo a portare per sempre il marchio di “doge infame”. Nella copertina un suo ritratto attribuito al Tiepolo datato 1756/66 circa.
La Quarta di copertina:
