
Elfriede Jelinek austriaca e vincitrice del Premio Nobel per la Letteratura nel 2004, ritorna in libreria per La nave di Teseo con un romanzo, Le amanti, datato 1975 ma arrivato in Italia solo vent’anni dopo e oggi riproposto con la traduzione di Nicoletta Giacon. Un romanzo scabro per le denunce che reca sulla condizione femminile in Austria negli anni Settanta e per l’uso di un linguaggio povero e scarno come quello delle due protagoniste, ma anche molto vicino al parlato accompagnato da una grafica senza lettere maiuscole quando occorrono, errori ortografici, ad esempio nei nomi propri, con una valenza simbolica legata alle tematiche e alle vite passivamente assoggettate ai dettami e alle convenzioni sociali di due donne, brigitte e paula, debitamente con la lettera minuscola, a significare un quasi anonimato, un’esistenza non propria ma estesa a tutte le donne? Non sempre facile da decifrare e interpretare la scelta linguistica dell’autrice. Il racconto scorre parallelo a raccontare le vite di ciascuna affondate nella provincia austriaca: nel villaggio in cui vivono il mondo esterno è rappresentato dalla mentalità gretta delle famiglie che vi abitano, dove le due giovani operaie, aspirando a “sistemarsi” e conquistare una posizione sociale migliore attraverso il matrimonio, perpetuano di fatto una divisione dei ruoli tra maschi e femmine, il primo di sopraffazione e il secondo di sottomissione.
In un villaggio delle Alpi austriache due giovani donne, Brigitte e Paula, lavorano come operaie in una fabbrica di biancheria intima. Sognano la felicità, una bella casa e un uomo gentile, ma la vita insegnerà presto a entrambe che il loro essere donne, nella società in cui vivono, le obbliga a scelte difficili e spesso dolorose. In un racconto incessante, diretto nell’indagare l’animo delle due protagoniste, l’autrice ci porta all’interno della vita e dei sogni di Paula, che crede di aver trovato il suo grande amore in Erich, un taglialegna rozzo ma bellissimo, e di Brigitte che in Heinz, un elettricista ingenuo, intravede una possibilità d’elevazione sociale. Entrambe sono imprigionate nello stereotipo di un ruolo femminile, quello di madre e moglie devota, entrambe sono vittime e complici della loro sottomissione. Elfriede Jelinek con una scrittura sperimentale e provocatoria traccia un ritratto spietato della società patriarcale, stigmatizzando il ruolo assegnato alle donne e, al contempo, la loro incapacità di reagire superando i ruoli imposti.