Category Recensioni
Hans Tuzzi “Polvere d’agosto” recensione di Salvina Pizzuoli
“Polvere d’agosto” è l’ultimo dei Melis, il commissario, ora fresco di nomina a primo dirigente, creato da Tuzzi; lo troviamo al lavoro in un torrido agosto di una Milano semideserta alla fine degli anni ‘80 visto che si era era offerto “ben volentieri di presidiare la Questura nei giorni più gettonati dai forzati delle vacanze”.
E come sempre Tuzzi non delude mai con i suoi ingredienti ben dosati e riconoscibilissimi di quello che si può ormai definire lo “stile tuzziano”: l’uso inconsueto di lingue e linguaggi, abbinati a persone personaggi e comparse a loro volta delineati con tratti lievi e veloci o con sfumature e pennellate più ampie; nomi e nomignoli, un mondo, un’umanità variegata, molteplicità godibilissima e varia di numerose tipologie sociali; ambienti, delineati con acume sapiente, testi di canzoni, conoscenze tra le più disparate emergono anche dalle citazioni mai banali e perfettamente contestualizzate e messe lì non per mero sfoggio di cultura.
È questo mix ben architettato che mi piace e mi cattura nei Melis? Non so, ma so per certo che non me ne perderei uno.
E ovviamente il poliziesco prende le mosse dal mistero di una morte millantata da un personaggio “conosciuto” e da un’altra, due morti, come nei gialli che si rispettino.
Si apre con un incontro inatteso in uno scenario in cui anche il clima non è del tutto estraneo alla situazione:
Pantaloni del completo color paglia stazzonati, camicia azzurra alonata dal sudore, colletto aperto e giacca buttata sulle spalle, il primo dirigente Norberto Melis fulminò il giovane agente, un pivello fresco di Scuola Allievi che balbettò confuso: «Eh, quando è arrivato qui, lei era fuori, e dopo…» «Sì, va bene» troncò brusco lui. «E dov’è, questo tipo? E come si chiama?» Il ragazzo in uniforme indicò la saletta d’attesa e balbettò «Bottazzi, Rattazzi…» Melis scosse le spalle infastidito, quel nome non gli diceva niente. Di sicuro, se non una grana, una salute senza soldi. Per un istante pensò se recuperare la cravatta dal taschino, decise che no, infilò con fastidio la giacca e spalancò la porta. «Piedini!» «Dottore!»
E si chiude ad ottobre con la soluzione con cui Norberto Melis arriverà a sciogliere l’enigma:
E così, i misteri alchemici, le dotte letture sapienziali e le lunghe ombre del passato, l’ateniese festa dell’altalena e i misteri delle confraternite cavalleresche, tutto questo mondo a un tempo irreale e seducente ma iperuranio come l’ippogrifo, non sublunare come i dèmoni mediatori di male, tutto questo mondo certamente astratto, ma che volava alto, forse ingenuo ma tale, nel suo esoterismo, da poter persino contemplare la morte, svaniva in nebbia come i sogni, travolto dalla realtà […]
E tra questi due momenti una ridda di personaggi, un percorso intricato e … un finale imprevisto!
S.P.
Romanzi dello stesso autore:
Hans Tuzzi, Il sesto Faraone, Bollati Boringhieri Milano 2016
Hans Tuzzi “Il Trio dell’Arciduca”
Hans Tuzzi, Al vento dell’Oceano, Bollati Boringhieri Milano 2017
Hans Tuzzi La belva nel Labirinto, Bollati Boringhieri 2017
Cordelia Fine “Testosterone Rex – Miti di scienza, sesso e società” recensione di Flavia Piccinni da Il Tirreno 22 luglio

Andrea Camilleri: I 10 libri più belli da Panorama Libri a cura di Andrea Bressa
Omaggio alla Luna: i libri sulla luna, scelti e presentati da Cinzia Lucchelli su Consigli.it
A cinquant’anni da quel lontano 20 luglio 1969… un omaggio all’astro più celebrato da scrittori e poeti
continua a leggere le proposte di lettura sulla Luna di Cinzia Lucchelli su Consigli.it
Annette Hess “L’interprete” da Robinson La Repubblica
Paolo Merlini Maurizio Silvestri “Sicilia express” recensione di Michele Lauro da Panorama Libri
Rachel Kushner “Mars Room” recensione di Paolo Mauri da la Repubblica Cultura
Rachel Kushner è nata nel 1968 in Oregon e si è poi trasferita a 11 anni con i suoi genitori a San Francisco, città in cui è vissuta anche la protagonista del suo romanzo Mars Room, prima di diventare un’inquilina fissa della prigione di Stanville, con due ergastoli sulle spalle. Si chiama Romy Hall e il nome lo deve a Romy Schneider, l’attrice per cui sua madre aveva una specie di fissazione. […] Noi lettori la incontriamo quando tutto è già avvenuto e lei si trova, con altre detenute, rinchiusa in un blindatissimo cellulare che a notte fonda sta andando verso il carcere di Stanville.
…continua a leggere la recensione di Paolo Mauri da La Repubblica Cultura
Coltelli e Urso “”Fake news – Cosa sono e come imparare a riconoscere le notizie false” recensione di Flavia Piccinni da Il Tirreno
Come riconoscere le fake news. E avere dei dubbi
di Flavia Piccinni
Era il 1835. Il New York Sun riportò il racconto dello scienziato John Herschel e di quello che aveva visto sulla Luna attraverso un potentissimo telescopio. Ne uscirono fuori “sei puntate pubblicate a partire dal 25 agosto 1835, che narravano le scoperte dello studioso, peccato che lui fosse all’oscuro di tutto. (…) Le copie vendute dal giornale aumentarono a dismisura, e persino un gruppo di studiosi di Yale cadde nell’inganno. Solo il 16 settembre del 1985 l’editore ammise la bufala”. Da allora sono passati 184 anni, eppure le fake news sono riuscite a resistere. Anzi, sono state in grado di moltiplicarsi a dismisura, colonizzando taluni media e molto il web, arrivando a suggerire non pochi problemi nella quotidianità di tutti noi. Per rispondere con l’arma dell’intelligenza – o, quantomeno, del dubbio – è buona la soluzione offerta dal breviario “Fake news – Cosa sono e come imparare a riconoscere le notizie false” firmato da Michelangelo Coltelli già fondatore di BUTAC (acronimo di “Bufale un tanto al chilo”), molto attivo su facebook, e dalla giornalista e scrittrice Noemi Urso (toscana d’origine, adesso a Roma). Il volumetto, pubblicato da Franco Cesati Editore (pp. 103, EUR 12), è una corsa a ostacoli fra passato e presente per riconoscere non solo le fake news.E aiuta anche a difendersi da queste, ma anche dai meccanismi che sostengono il giornalismo a tesi, la manipolazione e le relative smentite, per non parlare della dieta mediatica necessaria per disintossicarsi. Se pensate di essere immuni da questo “virus”, vi sbagliate di brutto.Chiunque di noi ha ricevuto una catena di Sant’Antonio e ha dubitato, o si è trovato invischiato – suo malgrado – nella diffusione di una notizia che pareva vera. E invece…
Anna Maria Ortese “L’Iguana” recensione di Federica Zani
Le opinioni dei lettori
Non è un caso che uno dei romanzi più celebri di Anna Maria Ortese parli di un’isola. Un’isola misteriosa, fuori dal comune, quasi esclusa da ogni contatto con la terraferma: un’immagine che si adatta bene, in fondo, anche alla personalità stessa della scrittrice, un’autodidatta vissuta per gran parte della sua carriera ai margini del mondo letterario ufficiale. Nel suo isolamento ha dato vita a libri eccentrici e affascinanti, quasi esotici nella loro diversità rispetto a gran parte della produzione coeva, ma mai chiusi o autorefenziali: Ortese, pur restando sulla sua personale isola, mantiene un dialogo continuo con i grandi temi al centro del dibattito culturale.
Il romanzo in questione è L’Iguana, pubblicato per la prima volta da Vallecchi nel 1965, e poi ristampato da Adelphi nel 1986 (l’immagine di copertina è relativa all’edizione di quell’anno)