Jurij Tynjanov “Il sottotenente Kižè”, Bibliotheka Edizioni

Nuova traduzione dal russo della novella Il sottotenente Kižè, che ha ispirato una suite di Prokofiev e un film. Un divertente e corrosivo ritratto della Russia zarista ai tempi di Paolo I

UN BANALE ERRORE DI SCRITTURA DÀ VITA A UN UFFICIALE INESISTENTE, CHE FARA’ UNA SORPRENDENTE CARRIERA E SARA’ ONORATO DALLO ZAR

A cura e con la traduzione dal russo di Francesca Tuscano

Nota di lettura di Roberto Alessandrini

Bibliotheka

Dal 5 dicembre

Un copista militare maldestro e inesperto compie due errori nello scrivere altrettante ordinanze da sottoporre alla firma di Paolo I, imperatore di Russia: una persona in carne e ossa viene data per morta e un individuo inesistente viene destinato a una favolosa carriera.
È un divertentissimo e corrosivo ritratto della Russia zarista quello offerto dalla novella di Jurij Tynjanov Il sottotenente Kižè, scritto nel 1928. La novella ebbe molto successo al punto da ispirare un film con lo stesso titolo, diretto nel 1934 da Aleksandr Michajlovic Fajncimmer, e la Suite op. 60 di Sergej Prokofiev.

È lo zar Paolo I a firmare le due ordinanze che certificano ufficialmente due fatti mai avvenuti e che saranno ritenuti veri, per banali errori di scrittura, dalla conformistica società statale e dall’ottusa burocrazia militare: la cancellazione dai ranghi dell’esercito di un tenente la cui esistenza verrà completamente ignorata, e la parallela creazione di un ufficiale virtuale, il sottotenente Kižè, il quale andrà incontro a eventi reali, di cui resterà traccia nei documenti ufficiali. Inizialmente fustigato e deportato in Siberia, sarà poi promosso e farà una brillante carriera nei ranghi dell’esercito. Avrà persino una moglie e un figlio, ma alla fine si ammalerà, morirà e sarà onorato con funerali di Stato alla presenza dell’addolorato sovrano.

[…] nella novella storica di Jurij Tynjanov Il sottotenente Kiže un banale errore di trascrizione agisce come motore, anche in questo caso identitario, della vicenda. Un giovane e inesperto scritturale è intento a ricopiare l’ordine del giorno che dovrà essere sottoposto al sovrano. Angosciato dal ritardo, dalle interruzioni e dal timore di sbagliare, commette due involon­tarie mistificazioni che producono effetti inattesi, ma reali. Pur non esistendo, il sottotenente Kiže esiste in virtu’ di un lapsus, di una semplice maiu­scola su un documento. Ufficiale ignoto e incorporeo, senza volto, ma con un cognome, Kiže sarà esiliato in Siberia su ordine dell’imperatore, poi richiamato dall’esilio, promosso al grado superiore e persino sposato a una dama d’onore. Ai tasselli di questa elementare biografia si deve aggiungere la notorietà che presto si assocerà al suo nome assieme al rigore della sua condotta militare. L’errore di scrittura che lo ha generato lo protegge da ogni possibile sbaglio e lo proietta in un mondo di perfezione irreale perché gli automa­tismi della finzione militar-burocratica non ha al proprio interno la possibilità di emendarsi: tutti fin­gono di vedere ciò che non esiste. (Roberto Alessandrini)

Jurij Tynjanov (1894-1943), nato in una famiglia della borghesia ebraica russa, studiò all’Università di San Pietroburgo, dove conobbe Šklovskij ed Ėjchenbaum, con i quali fondò la Società per lo studio del linguaggio poetico, centro del Formalismo russo (insieme a Jakobson, Propp e altri linguisti e critici letterari). Dal 1925 iniziò la sua attività nella narrativa e nel cinema, prima come consulente presso gli studi della Leningradkino, poi come sceneggiatore.

Hermann Broch “La morte di Virgilio”, Bibliotheka

Considerato l’ultimo esemplare del romanzo moderno borghese, affiancato alle opere di Proust e Joyce, tradotto in oltre 25 lingue, torna Il capolavoro di Hermann Broch in una nuova traduzione italiana

Introduzione e traduzione di Vito Punzi

Bibliotheka

Dal 28 novembre

“L’ultimazione dell’Eneide ristagnava completamente già da mesi e non era rimasto altro, se non la fuga e di nuovo la fuga. E la colpa non era della malattia, non dei dolori, cui da tempo s’era abituato e che da tempo dominava, piuttosto dell’inevitabile, inspiegabile inquietudine, quella impaurita sensazione che si prova quando si vaga senza trovare una via d’uscita”. 
Il poeta latino Virgilio è sulla nave che lo sta riportando in Italia dopo un soggiorno ad Atene. Ormai molto malato, si tormenta per non essere riuscito a terminare l’Eneide e vorrebbe bruciare il poema. Cercano di dissuaderlo gli amici Lucio Vario Rufo e Plozio Tucca, assieme all’imperatore Augusto in persona. 
La registrazione immaginaria dell’ultimo giorno di vita del poeta, scritta con una esuberanza che intreccia realtà, allucinazione, poesia e prosa e intitolata La morte di Virgilio ritorna in libreria nella nuova traduzione italiana di Vito Punzi.
Tradotto in più di  venticinque lingue (in italiano oltre 60 anni fa) e molto amato da Hannah Arendt, è considerato il capolavoro di Hermann Broch, che lo iniziò durante la prigionia in un campo di concentramento e vide la luce negli Stati Uniti nel 1945.

“Nessuna notte ci abbraccia e nessun mattino ci abbraccerà  perché siamo sotto incantesimo, senza fuga e senza obiettivo di fuga, non abbandonati a noi stessi, perché le nostre braccia non hanno attratto nulla al nostro cuore”.

Hermann Broch (1886-1951), nato a Vienna da una famiglia di ebrei benestanti, conobbe scrittori e intellettuali come Musil, Rilke, Canetti e Perutz e pubblicò a 45 anni il suo primo romanzo, I sonnambuli. Arrestato e rinchiuso in un carcere nazista dopo l’annessione dell’Austria al Reich, fu liberato grazie all’aiuto di un gruppo di amici ed emigrò in Gran Bretagna e poi negli Stati Uniti. Qui ottenne la cittadinanza americana, una cattedra di Tedesco all’Università di Yale e portò a termine La morte di Virgilio.

Henry Whitehead “Jumbee. Zombi e altri orrori del Voodoo”, Alcatraz

Per la prima volta presentata in italiano, la raccolta integrale di un maestro del soprannaturale

più volte lodato da Lovecraft

Traduzione a cura di Francesco Vitellini e Marta Suardi.

Introduzione di Pietro Guarriello

A cura di Jacopo Corazza e Gianluca Vendetta

Collana Biblioteca di Lovecraft 5

Alcatraz

Dal 17 ottobre in libreria

“La Biblioteca di Lovecraft” si arricchisce della raccolta Jumbee and Other Uncanny Tales, pubblicata per la prima volta dalla storica ArkhamHouse nel 1944, finora mai presentata integralmente in italiano, e qui corredata dalle illustrazioni tratte dalle prime pubblicazioni di ciascun racconto, sulle riviste Weird TalesAdventure e Strange Tales of Mystery and Terror. Whitehead, attingendo profondamente al folclore caraibico e al fascino dei Tropici, esplora il mondo misterioso e macabro del voodoo attraverso racconti inquietanti e suggestivi, in cui creature mostruose siimpadroniscono della mente umana e le esistenze dei vivi sono perseguitate dalle presenze dei defunti.
In questa antologia sono presenti dei veri e propri classici della letteratura weird e horror, tra cui Morte di un DioCassiusLa bestia nera L’uomo dell’albero, tutti qui inclusi e più volte citati e lodati da H.P. Lovecraft, che di Whitehead fu corrispondente, amico e collaboratore. Il “solitario di Providence” gli riconosceva infatti un realismo e uno stile erudito non comuni nel mondo dei pulp, e fu proprio lui ad annunciare al mondo del fantastico la sua prematura scomparsa, sul numero di Weird Tales del marzo 1933.

Henry S. Whitehead (1882-1932), autore americano noto per racconti weird spesso ambientati nei Caraibi, fu per diversi anni arcidiacono della Chiesa episcopale nelle Isole Vergini, e questa esperienza gli consentì di ispirarsi alle leggende locali ascoltate direttamente dagli isolani, e di permeare le proprie storie di folclore voodoo. Pubblicò principalmente su riviste pulp come Weird Tales Adventure, e le opere principali per riscoprirne la narrativa breve sono le due antologie postume Jumbee and Other Uncanny Tales (1944) e West India Lights (1946). 

Dell’autore, il compianto Giuseppe Lippi scrisse: «Crediamo che la lezione di stile di Henry S. Whitehead sia attuale ancora oggi e, soprattutto, godibile. Portato al mistero e al soprannaturale già dalla sua vocazione, ma saldamente ancorato alla terra per carattere e temperamento, Whitehead fu uno dei più maturi autori fantastici pubblicati in America fra le due guerre. Non un visionario delirante, non un sognatore oppiaceo, ma al contrario un narratore completo, ricco di sfumature e sottigliezze ed estremamente attento al mondo che lo circondava. Un mondo che si apriva al prodigio con estrema naturalezza e senza chiasso: per arrivare a questo occorre essere maestri non solo nell’arte del mistero, ma nell’arte del racconto tout-court».

Augusto De Angelis “La barchetta di cristallo”, presentazione

In ebook su Amazon e in cartaceo


Nonostante l’oblio in cui per decenni è caduta la sua opera, oggi De Angelis è giustamente considerato il fondatore del giallo italiano moderno. I suoi romanzi sono stati riscoperti, ristampati e
studiati, non solo per il loro valore narrativo, ma anche per la loro capacità di raccontare un’Italia
inquieta, contraddittoria e profondamente umana.

Con La barchetta di cristallo, Augusto De Angelis firma una delle sue opere più intense, sofisticate e, al tempo stesso, emblematicamente cupe. Pubblicato per la prima volta nel 1931, questo romanzo va ben oltre i confini del giallo tradizionale, immergendosi in una trama fitta di simboli, atmosfere oniriche e psicologie complesse, che restituiscono non solo il mistero di un omicidio, ma l’enigma più profondo dell’esistenza umana nella società moderna.
La narrazione si apre su un palcoscenico notturno e teatrale, dove ogni dettaglio – la luce riflessa sulla neve, il ritmo cadenzato dei passi, il silenzio vischioso di una sala da gioco – contribuisce a costruire una tensione crescente. La città di Milano, con i suoi quartieri bene e i suoi angoli oscuri, non è solo sfondo, ma vera protagonista dell’indagine, specchio fedele e deformante dei personaggi che la abitano.
Il commissario De Vincenzi, figura ormai iconica nella letteratura poliziesca italiana, si muove in questo mondo con lo sguardo dell’intellettuale e la sensibilità dello psicologo. A differenza degli investigatori freddi e razionali della tradizione anglosassone, De Vincenzi è un uomo che pensa, soffre, intuisce; non si limita a raccogliere indizi, ma penetra le pieghe delle anime, ascolta il peso dei silenzi, osserva i riflessi negli specchi. Il suo metodo investigativo è fatto di deduzione, sì, ma anche di empatia, introspezione e malinconia.

A distanza di quasi un secolo, l’opera conserva una sorprendente attualità. Le domande che solleva – sul potere, sulla maschera sociale, sull’identità e sul tempo – risuonano ancora oggi con forza. E la figura di De Vincenzi, con la sua umanità malinconica e la sua ricerca di senso, rimane una delle più affascinanti e moderne della nostra narrativa.
Augusto De Angelis, con La barchetta di cristallo, non ci invita soltanto a scoprire un colpevole, ma a guardare più a fondo nella complessità dei legami, delle apparenze e delle verità che ciascuno porta con sé. È questo, forse, il mistero più grande.

I tre romanzi sono tutti corredati da ampie pagine introduttive e note a cura di Alessandro Ferrini ed evidenziano la figura dell’autore, la storia personale e della sua opera, lo stile.

Dello stesso autore su tuttatoscanalibri

“Il Do tragico”

Il mistero di Cinecittà

David Pinner “Ritual”, Alcatraz Edizioni

Per la prima volta tradotto in italiano, arriva nelle librerie il bizzarro romanzo di culto del 1967 che ha ispirato il capolavoro del cinema folk-horror inglese The Wicker Man.

Traduzione di Stefania Renzetti

Collana Bizarre Off 3

Alcatraz

Dal 10 ottobre in libreria

David Hanlin, ispettore di polizia di Scotland Yard, viene inviato in uno sperduto villaggio in Cornovaglia per investigare sulla morte di una ragazzina. Sulle prime, le circostanze parrebbero quelle di un tragico incidente, ma vicino al cadavere viene ritrovata una testa di scimmia inchiodata a un albero in maniera bizzarra, come a suggerire uno strano rituale. Durante la sua breve permanenza nel villaggio, Hanlin si trova sempre più invischiato nelle strane vite e nelle altrettanto singolari abitudini dei suoi abitanti, finendo per rimanere quasi ipnotizzato dall’assurda e decadente atmosfera che vi si respira. Ma quando un altro ragazzino viene trovato senza vita, capisce che deve fare di tutto per dissipare le ombre che sembrano oscurargli la mente, e trovare l’assassino.
Con la sua prosa decisamente sopra le righe, Ritual è un vero e proprio viaggio allucinato in un entroterra rurale pagano dove le regole dell’esistenza si piegano ad antichi riti religiosi celati da una coltre di inganno e omertà. E dove nulla è come sembra, sino alla sconcertante rivelazione finale…

INCIPIT

La quercia era molto antica. Uno dei suoi rami più bassi era stato spezzato di recente e, circa un metro e mezzo più giù, una testa di scimmia e tre fiori d’aglio erano stati fissati al tronco con uno spillone da cappello. Eppure la bambina, ad­dormentata alla sua ombra, sembrava ignara dell’albero e delle sue strane decorazioni. Non si accorse nemmeno del corvo che stava volando verso di lei. Non si accorse di nulla, mentre il sangue le sussurrava tra i denti e le scivolava lungo la gola. Presto le rigò i capelli color grano, ma lei continuò a non ac­corgersi di niente. Non stava dormendo. Dian Spark aveva otto anni ed era decisamente morta.

David Pinner è nato nel 1940 ed è uno scrittore e attore britannico. Dopo essersi formato alla Royal Academy of Dramatic Art, dal 1966 al 2019 ha interpretato diversi ruoli sia per il teatro che per la televisione, nel Regno Unito e oltreoceano. È autore di tredici opere teatrali e di quattro romanzi. Ritual (1967), il suo libro di maggiore successo, ha ispirato il capolavoro del cinema folk-horror The Wicker Man del 1973.

Augusto De Angelis “Il mistero di Cinecittà”, presentazione

Un poliziesco dal maestro dimenticato del giallo italiano

In ebook su Amazon e in cartaceo

Stralci dall’Introduzione a cura di Alessandro Ferrini

Nel panorama della narrativa poliziesca italiana tra le due guerre, Augusto De Angelis occupa un posto di rilievo per aver saputo fondere, con originalità e coerenza, il modello investigativo del giallo classico con una sensibilità tutta italiana per l’indagine psicologica, morale e sociale. Con De Vincenzi e il mistero di Cinecittà, pubblicato nel 1939, lo scrittore raggiunge una delle vette più complesse e affascinanti della sua produzione, offrendoci un romanzo che è al contempo un giallo rigoroso e un lucido ritratto della società e del costume dell’epoca.
Ambientato interamente a Roma, il romanzo si svolge in un contesto temporale estremamente concentrato – due giornate di novembre – ma si articola in una trama densa che scava nelle pieghe più oscure delle dinamiche umane e professionali che animano il mondo cinematografico della neonata Cinecittà.

La sinossi
L’azione si svolge a Roma, nell’arco di due sole giornate del novembre 1939, ma la rapidità temporale è solo apparente: nel breve lasso narrativo si condensano tensioni morali, colpi di scena, intrighi personali e segreti inconfessabili. Il romanzo ruota attorno all’assassinio del regista Vassilli Boldviski, figura tanto geniale quanto inquietante, il cui cadavere viene ritrovato nella sua abitazione, al centro di un intrigo che coinvolge attori, produttori e segretarie della neonata casa di produzione Acidalia Film, emblema di un cinema ambizioso, opulento e decadente.
Protagonista dell’indagine è, come sempre, il Commissario Carlo De Vincenzi, appena trasferito da Milano alla Questura romana. Uomo colto, silenzioso e riflessivo, De Vincenzi è forse il primo vero detective “intellettuale” della narrativa gialla italiana. I suoi metodi non sono quelli dell’investigazione forense, ma quelli dell’osservazione psicologica, della deduzione morale, del ragionamento profondo. La sua ricerca della verità non è solo volta a individuare il colpevole, ma a comprendere il movente, l’anima, il contesto che rende possibile il crimine.

Brevi note biografiche

Augusto De Angelis fu una delle figure più originali e significative della narrativa italiana tra le due guerre, nonché il vero pioniere del romanzo poliziesco moderno in Italia. Nato a Roma nel 1888, trascorse gran parte della sua vita professionale tra Milano e Genova, lavorando come giornalista per importanti testate come Il Resto del Carlino, Il Secolo XIX e La Stampa. Fu anche autore teatrale, traduttore e saggista. La fama di De Angelis è legata indissolubilmente alla creazione del Commissario Carlo De Vincenzi, protagonista di una fortunata serie di romanzi gialli pubblicati a partire dal 1935. Con De Vincenzi, l’autore offrì al pubblico italiano un investigatore colto, umano, malinconico e profondamente riflessivo, molto lontano dagli stereotipi del detective infallibile o cinico. I suoi romanzi si distinguevano per lo stile letterario elegante, per l’ambientazione fortemente caratterizzata e per l’attenzione ai moti interiori dei personaggi.A differenza della narrativa gialla coeva, spesso considerata “di evasione” e guardata con sospetto dal regime fascista , De Angelis seppe nobilitare il genere, trasformando l’indagine in uno strumento di esplorazione psicologica e sociale. La sua prosa, sobria ma incisiva, unisce l’introspezione all’ironia, la denuncia sociale all’indagine dell’animo umano. Proprio per questa sua tensione etica e intellettuale, De Angelis entrò presto in contrasto con il regime fascista. Nel 1943 venne arrestato dalla Repubblica Sociale Italiana per “antifascismo morale”. Detenuto nel carcere di San Vittore, subì un pestaggio da parte di una guardia e morì poco dopo, nel 1944, a soli cinquantacinque anni.

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I tre romanzi sono tutti corredati da ampie pagine introduttive e note a cura di Alessandro Ferrini ed evidenziano la figura dell’autore, la storia personale e della sua opera, lo stile.

Dello stesso autore su tuttatoscanalibri: i link alla presentazione degli altri due romanzi della serie

De Angelis “Il Do tragico”

De Angelis “La barchetta di cristallo”

Augusto De Angelis “Il Do tragico”, presentazione

In ebook su Amazon e in cartaceo

Il volume è corredato da ampie pagine introduttive e note a cura di Alessandro Ferrini che evidenziano la figura dell’autore, la storia personale e della sua opera, lo stile.

Dall‘Introduzione a cura di Alessandro Ferrini

Pubblicato nel 1935, Il do tragico è uno dei capolavori del giallo italiano firmato da Augusto De Angelis, pioniere del genere nel nostro Paese, con protagonista il commissario Carlo De Vincenzi. L’opera è ambientata nel mondo della lirica, tra passioni, intrighi e atmosfere cariche di tensione. Il titolo gioca su un doppio senso: la nota musicale “do” si trasforma in simbolo di un destino oscuro.
De Vincenzi, investigatore umano e riflessivo, si muove in una Milano densa di nebbia e mistero, in un’indagine che è anche un viaggio psicologico nel dolore, nella colpa e nella solitudine.
Il romanzo intreccia l’introspezione con l’enigma, la musica con il crimine, la verità con l’ambiguità. Accanto alla suspense, emergono temi profondi e una critica velata al conformismo culturale del tempo, in pieno regime fascista.
De Angelis dimostra qui una capacità unica di nobilitare il romanzo poliziesco, fondendo rigore investigativo e lirismo narrativo. Il do tragico è più di un giallo: è un’opera d’arte letteraria, un classico intramontabile che ha aperto la strada al noir italiano moderno.
[…]Così, come in una composizione musicale, i capitoli si succedono come movimenti di un’opera drammatica, in cui l’indagine del commissario De Vincenzi si intreccia con le armonie e le dissonanze di un mondo teatrale, fatto di apparenze, di passioni esasperate e di silenzi carichi di significato.
De Angelis costruisce quindi un romanzo che si legge come si ascolta una sinfonia tragica: ogni capitolo è un tempo della narrazione, ogni personaggio una voce solista o uno strumento dell’orchestra, ogni indizio una nota che compone la melodia finale della verità. La musica, con la sua capacità di esprimere l’indicibile, diventa la chiave simbolica attraverso cui comprendere il senso più profondo del mistero.

Augusto De Angelis fu una delle figure più originali e significative della narrativa italiana tra le due guerre, nonché il vero pioniere del romanzo poliziesco moderno in Italia. Nato a Roma nel 1888, trascorse gran parte della sua vita professionale tra Milano e Genova, lavorando come giornalista per importanti testate come Il Resto del Carlino, Il Secolo XIX e La Stampa. Fu anche autore teatrale, traduttore e saggista. La fama di De Angelis è legata indissolubilmente alla creazione del Commissario Carlo De Vincenzi, protagonista di una fortunata serie di romanzi gialli pubblicati a partire dal 1935. Con De Vincenzi, l’autore offrì al pubblico italiano un investigatore colto, umano, malinconico e profondamente riflessivo, molto lontano dagli stereotipi del detective infallibile o cinico. I suoi romanzi si distinguevano per lo stile letterario elegante, per l’ambientazione fortemente caratterizzata e per l’attenzione ai moti interiori dei personaggi. A differenza della narrativa gialla coeva, spesso considerata “di evasione” e guardata con sospetto dal regime fascista, De Angelis seppe nobilitare il genere, trasformando l’indagine in uno strumento di esplorazione psicologica e sociale. La sua prosa, sobria ma incisiva, unisce l’introspezione all’ironia, la denuncia sociale all’indagine dell’animo umano. Proprio per questa sua tensione etica e intellettuale, De Angelis entrò presto in contrasto con il regime fascista. Nel 1943 venne arrestato dalla Repubblica Sociale Italiana per “antifascismo morale”. Detenuto nel carcere di San Vittore, subì un pestaggio da parte di una guardia e morì poco dopo, nel 1944, a soli cinquantacinque anni.

Boileau-Narcejac “I vedovi”, presentazione

Sarà appunto la gelosia, una gelosia furibonda, autoalimentata, incontrollabile, a condurre all’omicidio il protagonista dei Vedovi – titolo che solo alla fine del romanzo svelerà il suo ambiguo significato. Ma attenzione: l’omicidio non è che l’inizio – il bello deve ancora venire(da Adelphi Libri)

I vedovi di Boileau-Narcejac  è un poliziesco  uscito in Francia nel 1970; Adelphi lo propone nella traduzione di  Giuseppe Girimonti Greco e Ezio Sinigaglia.
Orazio Labbate così lo definbisce in apertura al suo articolo comparso su la Lettura del Corriere  il 10 agosto 2025

“ Stile affilato, senza pause metaforiche, allegorie sottese, immagini corpose, a rallentare il ritmo. Sì, perché è il ritmo, sopra ogni altro elemento letterario, a trionfare e a distinguersi, pagina dopo pagina, fino a regnare indiscusso lungo tutta la struttura. Il ritmo è martellante, furioso, spedito, non vi è alcun respiro per il lettore”[…]

Un ritmo serrato e accattivante a cui il lettore può rispondere solo con il medesimo nello scorrere della lettura, trascinato com’è a seguire il raccontato della voce dell’io narrante e dentro i suoi pensieri, con le riflessioni e gli stati d’animo e le interpretazioni degli avvenimenti, e immaginate e vissute, in un’analisi psicologica acuta e stringente che percorre gli effetti generati da un’esasperata gelosia, fino alle estreme conseguenze, quando crollano i presupposti che li hanno prodotti e trovano posto anche le sottili “vendette punitive”.

Protagonista è Serge, uno scrittore agli esordi, afflitto da una gelosia perniciosa  per la moglie Mathilde, modella, per le compagnie maschili dell’ambiente artistico che frequenta e soprattutto per il capo di lei, Jean-Michel Méryl, di cui è convinto la moglie sia l’amante nonostante non vi siano prove certe: obiettivo di Serge diventa quindi eliminare il rivale.

Quando Mathilde esce, ogni mattina, quando scappa via da me, tutti gli uomini sono sospetti. Hanno tutti voglia di stringerla fra le braccia. Quanti ce ne saranno che, come me, l’hanno seguita, magari per il solo piacere degli occhi, perché è un animale che sembra nato per l’amore? Si voltano a guardarla per strada. Fanno apprezzamenti. Quando usciamo insieme, io sono sempre li li per menare le mani. Ma, fra tutti, quello che me l’ha rubata è quasi certamente uno del suo piccolo mondo. E quindi dev’essere qui. A meno che Mathilde non abbia avuto il tempo di avvertirlo. «Verrà a prendermi mio marito. Non farti vedere». Ma io, al posto suo, sarei venuto lo stesso.

Una caratteristica del narrato, su cui si sofferma, e la sinossi e Labbate,  è la capacità degli autori di costruire ogni loro storia (I diabolici, I volti dell’ombra, Le lupe, La donna che visse due volte ) non in maniera lineare, ma tentacolare, dove i protagonisti  perdono la capacità di stabilire il confine netto tra la realtà e le proprie farneticazioni, dove si crea confusione “tra la crudeltà reale degli eventi con quella sottile dell’anima”;  le loro storie “si confondono e si immergono nella dimensione dell’incomprensione psicologica, del dubbio”

Pierre Boileau (1906-1989) e di Pierre Ayraud, detto Thomas Narcejac (1908-1998), francesi e autori di romanzi polizieschi; alcune delle loro opere sono state adattate per il cinema da Hitchcock e Clouzot 

Susan Taubes “Lamento per Julia”, presentazione

Lamento per Julia, capolavoro del grottesco elogiato da Susan Sontag e Samuel Beckett, è una brillante esplorazione della doppia coscienza di una donna. Rimasto inedito durante la vita di Susan Taubes, è stato recentemente pubblicato negli Stati Uniti dalla prestigiosa NYRB insieme alla selezione di racconti inclusa in questo volume. (dal Catalogo Fazi Editore)

“Bisogna lodare l’editore Fazi per aver ripescato, in fondo all’inesauribile cappello magico della letteratura del secondo Novecento, i due stravaganti e bellissimi libri scritti da Susan Taubes, entrambi ben tradotti da Giuseppina Oneto: Divorzi, pubblicato con scarsissimo successo nel 1969, e ora Lamento per Julia e altre storie, rimasto a lungo inedito, perché la riscoperta di questa grande, direi grandissima scrittrice è cosa di questi tempi anche in America, grazie soprattutto alla «New York Review of Books”.

Così scrive Emanuele Trevi nella sua recensione al romanzo (La lettura del Corriere 3 agosto 2025) lamentando però una mancata presentazione dell’autrice e della sua opera in una Introduzione o Postfazione che avrebbe favorito una migliore divulgazione dell’opera medesima e sperando che il suo articolo possa supplire alla mancanza. In effetti la sua presentazione incuriosisce in relazione alla composizione narrativa che, come si legge in quarta di copertina, colpì Samuel Beckett che ebbe a definirlo “un libro pieno di tocchi erotici e di linguaggio crudo, il prodotto di un autentico talento. Lo rileggerò”.

Julia Klopps  è la protagonista, nata in una famiglia dell’alta borghesia mitteleuropea: da giovane è una sognatrice, a quindici anni viene deflorata da un soldato poco attraente e a diciotto sposa un brillante ingegnere navale, a  trent’anni sparisce e tutta la sua storia viene narrata da una voce senza corpo: “il romanzo – sottolinea Trevi – mette in scena quello che a tutti gli effetti è un rapporto con un doppio, e una dissociazione. Da un lato c’è la protagonista, Julia Klopps, bambina e poi donna che tende a far prevalere l’immaginazione sulla realtà, trovando un accordo con la vita solo nelle nebbie della noncuranza e della rimozione. Ma il personaggio straordinario è l’anonima voce narrante “, definendola un “io in terza persona”,
Non resta che leggerlo

Susan Taubes Nata a Budapest in una famiglia ebrea, figlia di uno psicanalista, emigrò in America col padre nel 1939 e studiò Religione al Radcliffe College. Grande amica di Susan Sontag, è stata una delle menti più interessanti del ventesimo secolo. Insegnò alla Columbia University e pubblicò Divorzi (Fazi Editore, 2023), il suo unico romanzo, nel 1969. Si suicidò poco dopo.

Salinger nella nuova traduzione di Matteo Colombo

Gli scritti di Salinger, i Nove racconti, Franny e Zooey, Alzate l’architrave, carpentieri e Seymour sono stati ripubblicati in una nuova edizione e affidati alla traduzione di Matteo Colombo, così come in precedenza Il giovane Holden; una rigenerazione legata proprio alla necessità di una nuova traduzione: trasportare una lingua in un’altra non è mai un “tradurre” indolore, può variare, anzi varia proprio a seconda dei tempi, intendendo quelli storici e propri della lingua in cui deve essere resa.
La traduzione del testo de Il giovane Holden ad esempio, dovuta nel 1961 ad Adriana Motti, risentiva sicuramente delle risorse linguistiche disponibili allora per la traduzione di un testo gergale; oggi le risorse sono cambiate e “nell’italiano e nella conoscenza degli autori americani” come ha recentemente dichiarato Matteo Colombo.
A ribadire le difficoltà della traduzione di allora la posizione di Alessandro Piperno (La Lettura 29 giugno 2025) che si racconta come giovane lettore alle prese con il romanzo di Salinger nella versione della Motti “Oggi so che parte del fastidio che mi provocò la lettura de Il giovane Holden derivava dalla traduzione di Adriana Motti. Intendiamoci, non ho nulla contro quella preziosa traduzione storica. So che per molti versi è una specie di capolavoro, un classico per famiglie, ma so anche che si tratta di una trappola mortale. E non tanto, o non solo, per qualche licenza di troppo, ma per via del birignao che, oltre ad aver privato la voce di Holden della sua spontaneità, ha favorito la proliferazione di una schiera di emulatori e di epigoni che, lasciatemelo dire, di spontaneo hanno ben poco”, intendendo con il termine birignao, legato al mondo della recitazione teatrale, artificioso e innaturale.

Incuriosisce, almeno in me ha determinato questo effetto e riflettendo in effetti leggere un testo in una resa linguistica rispetto ad un’altra, ne cambia sicuramente non solo la forma ma essenzialmente la fruibilità e l’impatto.

Garantisce Piperno quando afferma che un’impresa così delicata è stata affidata nelle mani di un traduttore eccellente e navigato come Matteo Colombo. “Il progetto, iniziato una decina d’anni fa – aggiunge – trova oggi il suo compimento nelle traduzioni (eseguite dalla medesima mano salda, felice e calibrata) dei Nove racconti, Franny e Zooey, Alzate l’architrave, carpentieri e Seymour”

SP.

Einaudi