Omaggio a Charles Baudelaire nel bicentenario della nascita 9 aprile 1821

L’albatro

Per dilettarsi, sovente, le ciurme

catturano degli albatri, marini

grandi uccelli, che seguono, indolenti

compagni di viaggio, il bastimento

che scivolando va su amari abissi.

E li hanno appena sulla tolda posti

che questi re dell’azzurro abbandonano,

inetti e vergognosi, ai loro fianchi

miseramente, come remi, inerti

le candide e grandi ali. Com’è goffo

e imbelle questo alato viaggiatore!

Lui, poco fa sì bello, com’è brutto

e comico! Qualcuno con la pipa

il becco qui gli stuzzica; là un altro

l’infermo che volava, zoppicando scimmieggia.

Come il principe dei nembi

è il Poeta che, avvezzo alla tempesta,

si ride dell’arciere: ma esiliato

sulla terra, fra schermi, camminare

non può per le sue ali di gigante

(da I fiori del male nella traduzione di Luigi de Nardis)

Gustave Courbet, ritratto di Baudelaire 1819 (Foto originale)

[…]“Il suo aspetto ci colpì: egli aveva i capelli cortissimi e del più bel nero; e quei capelli, che facevano delle punte regolari sulla fronte d’una smagliante bianchezza, lo adornavano come di un casco saraceno; gli occhi, color tabacco di Spagna, avevano uno sguardo spirituale, profondo e di una penetrazione forse troppo insistente; la bocca poi, adorna di denti bianchissimi, nascondeva, sotto i baffi leggieri e morbidi che ne ombreggiavano il contorno, alcune sinuosità mobili, voluttuose ed ironiche come le labbra delle figure dipinte da Leonardo da Vinci; il naso, fine e delicato, un po’ arrotondato, dalle nari palpitanti, pareva fiutasse vaghi profumi lontani; una fossetta pronunciata accentuava il mento come l’ultimo colpo di pollice dello statuario; le guancie, accuratamente rase, contrastavano, per la tinta bluastra vellutata dalla polvere di riso, col colorito vermiglio degli zigomi; il collo, d’una eleganza e di una bianchezza femminea, usciva snello dal colletto arrovesciato della camicia e da una stretta cravatta di madras delle Indie a quadretti. Il suo vestito si componeva di un soprabito di stoffa nera e lucente, di calzoni color nocciuola, di calze bianche e di scarpe verniciate, il tutto meticolosamente lindo e corretto, con una cert’aria studiata di semplicità ingle18 ne, che succedeva alla grande generazione del 1830, pareva contasse molto su di lui. Nel misterioso cenacolo, dove si delineano le riputazioni dell’avvenire, era ritenuto il più forte. Avevamo spesso udito parlare di lui, ma non conoscevamo nessuna delle sue opere. Il suo aspetto ci colpì: egli aveva i capelli cortissimi e del più bel nero; e quei capelli, che facevano delle punte regolari sulla fronte d’una smagliante bianchezza, lo adornavano come di un casco saraceno; gli occhi, color tabacco di Spagna, avevano uno sguardo spirituale, profondo e di una penetrazione forse troppo insistente; la bocca poi, adorna di denti bianchissimi, nascondeva, sotto i baffi leggieri e morbidi che ne ombreggiavano il contorno, alcune sinuosità mobili, voluttuose ed ironiche come le labbra delle figure dipinte da Leonardo da Vinci; il naso, fine e delicato, un po’ arrotondato, dalle nari palpitanti, pareva fiutasse vaghi profumi lontani; una fossetta pronunciata accentuava il mento come l’ultimo colpo di pollice dello statuario; le guancie, accuratamente rase, contrastavano, per la tinta bluastra vellutata dalla polvere di riso, col colorito vermiglio degli zigomi; il collo, d’una eleganza e di una bianchezza femminea, usciva snello dal colletto arrovesciato della camicia e da una stretta cravatta di madras delle Indie a quadretti. Il suo vestito si componeva di un soprabito di stoffa nera e lucente, di calzoni color nocciuola, di calze bianche e di scarpe verniciate, il tutto meticolosamente lindo e corretto, con una cert’aria studiata di semplicità ingle18se e quasi col proposito di allontanarsi dalla maniera degli artisti dal cappello a cencio, dagli abiti di velluto, dai camiciotti rossi, dalla barba incolta e dalla capigliatura scarmigliata. Nulla di troppo nuovo o di troppo appariscente in quel severo abbigliamento. Carlo Baudelaire apparteneva a quel dandysme sobrio che raschia i proprî abiti colla carta smerigliata per toglier loro quel lucido festivo od affatto nuovo tanto caro al bottegajo e tanto ingrato al vero gentiluomo. In seguito, anzi, si tolse anche i baffi, trovando ch’era un resto di antica eleganza pittoresca che gli sembrava puerile e triviale conservare. Spoglia in tal modo d’ogni pelo superfluo, la sua testa ricordava quella di Lorenzo Sterne, somiglianza accresciuta dall’abitudine che aveva Baudelaire d’appoggiare, quando parlava, l’indice alla tempia; e questa è, come si sa, la posa del ritratto dell’umorista inglese, posto in principio delle sue opere. Tale è l’impressione fisica che in quel primo incontro lasciò in noi il futuro autore dei Fiori del male”.[…] (da Théophile Gautier “Charles Baudelaire”)

Les fleurs du mal pubblicato nel 1857 (Foto originale )

“I fiori del male” si aprono con la dedica a Théophile Gautier nel frontespizio :“Al poeta impeccabile, al perfetto mago in lettere francesi, al carissimo e molto venerato maestro e amico Théophile Gautier con i sentimenti della più profonda umiltà dedico questi fiori malsani”, cui segue la poesia dedicata “Al lettore”. Niente lusinghe, solo verità e accuse: di nascondere sotto un velo di ipocrisia tutti i propri vizi che biasima negli altri e di nutrire nell’anima un grande mostro, un mostro moderno, la Noia.

Au lecteur

La sottise, l’erreur, le péché, la lésine,
Occupent nos esprits et travaillent nos corps,
Et nous alimentons nos aimables remords,
Comme les mendiants nourrissent leur vermine.

Nos péchés sont têtus, nos repentirs sont lâches;
Nous nous faisons payer grassement nos aveux,
Et nous rentrons gaiement dans le chemin bourbeux,
Croyant par de vils pleurs laver toutes nos taches.

Sur l’oreiller du mal c’est Satan Trismégiste
Qui berce longuement notre esprit enchanté,
Et le riche métal de notre volonté
Est tout vaporisé par ce savant chimiste.

C’est le Diable qui tient les fils qui nous remuent!
Aux objets répugnants nous trouvons des appas;
Chaque jour vers l’Enfer nous descendons d’un pas,
Sans horreur, à travers des ténèbres qui puent.

Ainsi qu’un débauché pauvre qui baise et mange
Le sein martyrisé d’une antique catin,
Nous volons au passage un plaisir clandestin
Que nous pressons bien fort comme une vieille orange.

Serré, fourmillant, comme un million d’helminthes,
Dans nos cerveaux ribote un peuple de Démons,
Et, quand nous respirons, la Mort dans nos poumons
Descend, fleuve invisible, avec de sourdes plaintes.

Si le viol, le poison, le poignard, l’incendie,
N’ont pas encor brodé de leurs plaisants dessins
Le canevas banal de nos piteux destins,
C’est que notre âme, hélas! n’est pas assez hardie.

Mais parmi les chacals, les panthères, les lices,
Les singes, les scorpions, les vautours, les serpents,
Les monstres glapissants, hurlants, grognants, rampants,
Dans la ménagerie infâme de nos vices,

II en est un plus laid, plus méchant, plus immonde!
Quoiqu’il ne pousse ni grands gestes ni grands cris,
Il ferait volontiers de la terre un débris
Et dans un bâillement avalerait le monde;

C’est l’Ennui! L’oeil chargé d’un pleur involontaire,
II rêve d’échafauds en fumant son houka.
Tu le connais, lecteur, ce monstre délicat,
– Hypocrite lecteur, — mon semblable, – mon frère!

AL LETTORE

La stoltezza, l’errore, il peccato, la sordidezza, governano gli spiriti nostri e tormentano i nostri corpi, e noi alimentiamo i nostri piacevoli rimorsi, come i mendicanti nutrono i loro insetti schifosi. I nostri peccati sono caparbî; i nostri pentimenti, vigliacchi; ci facciamo pagare lautamente le nostre confessioni, e rientriamo festanti nel sentiero limaccioso, credendo lavare tutte le nostre macchie con lagrime vili. Su il guanciale del male è Satana Trismegisto che culla senza posa il nostro spirito incantato, e il ricco metallo de la nostra volontà è tutto vaporizzato da questo chimico sapiente. È il Diavolo che tiene i fili che ci muovono! Negli oggetti ripugnanti troviamo delle attrattive: ogni giorno, senza orrore, scendiamo di un passo verso l’Inferno a traverso tenebre mefitiche. Come un libertino povero, che bacia e morde il seno martirizzato d’una vecchia baldracca, noi rubiamo a volo 105un piacere clandestino che spremiamo con forza come un’arancia avvizzita. Serrato, formicolante, come un milione d’elminti, nei nostri cervelli gozzoviglia un popolo di Demoni, e, quando respiriamo, la Morte, fiume invisibile, scende nei nostri polmoni con sordi lamenti. Se lo stupro, il veleno, il pugnale, l’incendio, non hanno ancora ricamato dei loro vaghi disegni il canovaccio volgare dei nostri miseri destini, è che l’anima nostra, ahimè! non ha bastante ardire. Ma fra gli sciacalli, le pantere, le linci, le scimmie, gli scorpioni, gli avvoltoi, i serpenti, i mostri che guaiscono, urlano, grugniscono, e s’arrampicano nel serraglio infame dei nostri vizî, ve n’è uno più brutto, più maligno, più immondo! E benché non faccia larghi gesti, né getti alte grida, farebbe volentieri de la terra una ruina, e in uno sbadiglio inghiottirebbe il mondo; è la Noia! – coll’occhio grave d’un pianto involontario, sogna patiboli, fumando il suo houka (ndr: pipa). Tu lo conosci, lettore, questo mostro delicato, ipocrita lettore! mio simile, mio fratello ( Dalla traduzione e versione in prosa di Riccardo Sonzogno della poesia di Baudelaire prologo a “I fiori del male”)

e anche:

su mangialibri Charles Baudelaire, l’albatro (de)caduto e I LIBRI DI CHARLES BAUDELAIRE

su Consigli cultura Charles Baudelaire il poeta del fango e dell’oro

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2 pensieri riguardo “Omaggio a Charles Baudelaire nel bicentenario della nascita 9 aprile 1821

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