Francesco Savio “La sottovita” ovvero la “traduzione” dei risvolti di copertina da Robinson La Repubblica

Non credete all’editore questo non è un romanzo ma un diario

I risvolti di copertina come sono e come dovrebbero essere per sapere cosa c’è davvero in un libro

di Piergiorgio Paterlini 

Originale

In una domenica piovosa di agosto tra le montagne dell’Alto Adige, un uomo viene travolto da una vacca delle Highlands. Disteso a terra in attesa di soccorsi, ricorda un giorno di ottobre di qualche anno prima, trascorso tra il desiderio di iniziare a scrivere un saggio sull’opera di uno scrittore norvegese e la ricerca di un equilibrio necessario a sopravvivere fra i ritmi del lavoro quotidiano e il mestiere di padre. Cosa l’aveva spinto a trasferirsi dalla provincia a Milano, quindici anni prima, come un Luciano Bianciardi fuori tempo massimo? Dove lo porterà questa specie di luminosa sottovita? Venditore di elettrodomestici, libraio, incerto ma assiduo lavoratore, il protagonista di questa storia si muove fra occupazioni quotidiane (la piccola e smagliante vita da padre), immaginazioni letterarie, concretezze incuneate fra la morbidezza della provincia e lo scatto nevrotico della città. La sottovita è un romanzo dei giorni nostri, una registrazione di eventi “letterale” che accende ironia e grovigli filosofici. Dove bisogna “stare” per “essere”, o per essere un po’ di meno e non farsi male?

Traduzione

Un diario in cui lo scrittore — che si sente un po’ Bianciardi, un po’ Martin Eden, un po’ Walser — si mostra quale è, senza autocensure. Ed è uno che ce l’ha con un bel po’ di mondo. Con gli (altri) scrittori, «straripanti immodestia, talvolta impegnati nel sociale, ma sempre impegnati a sgomitare per ottenere il miglior posto al sole per la loro grande opera» ma che sederini di figli non ne hanno mai puliti, come invece tocca fare a lui, «meglio la merda allora». Con le scrittrici femministe, «tornate con prepotenza alla moda» tutte concentrate sulle battaglie per i diritti delle donne anziché sporcarsi le mani (letteralmente), anche loro, a pulire culetti. Savio ce l’ha con i tour promozionali («assurdi»). Con i festival letterari («noiosi»). Con «gli editori più grandi che non sono quasi mai grandi editori» perché rubano gli autori alle piccole case editrici (e se non lo sa lui, che ha pubblicato quattro libri con piccoli editori e quello che avete in mano con Mondadori). Ma la metafora per eccellenza sono i centri commerciali. E allora, contro Prodi e Berlusconi, indistinguibili perché d’accordo nel «non spendere una parola in merito alla disgrazia culturale e sociale delle aperture degli esercizi commerciali nel giorno che aveva sempre rappresentato il riposo, fisico e spirituale». Contro gli intellettuali, tutti uguali e servi. Contro Corriere e Repubblica, che sono «tutto sommato la stessa cosa». E così via. Verso la fine del libro, ricordando una scena cruciale dei suoi 9 anni, l’Autore scrive: «Un bravo romanziere avrebbe creato il personaggio di quell’attesa, ma questo non è un romanzo e io non sono un romanziere». Il lettore creda a questa affermazione. Sulla fiducia. O, alla peggio, per non farlo arrabbiare.

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