Non è facile raccontarsi, soprattutto a cinquant’anni di distanza.
Chi eravamo e chi siamo sono la stessa persona?
L’autrice sa spiegare questo “doppio”, così difficile da definire e delimitare, in modo chiaro, incredibilmente semplice, capace di tramutare le immagini e le sensazioni in parole:
“Quella ragazza là, capace di manifestarsi a cinquant’anni di distanza e di provocare un tracollo interiore, è dunque ancora nascosta dentro di me, da qualche parte, irriducibile. Se il reale è ciò che agisce, produce degli effetti, secondo la definizione del dizionario, questa ragazza non è me, ma è reale in me. Una sorta di presenza reale”( in corsivo nel testo).
Un romanzo tentato più volte e realizzato solo molto dopo perché è difficile ripercorrere i fatti che caratterizzano momenti di crescita, di passaggio, animati dall’ansia giovanile che nel frastuono e nell’euforia del vivere frastornano al punto di vivere senza averne la completa consapevolezza, ma ne segnano profondamente il percorso. In questo ritorno all’altra lei, in quel lontano ‘58, c’è la forza e il coraggio di guardare senza filtri, per accettare o meglio fare pace con se stessi, per liberarsi di un fardello riposto nella memoria, ma che c’è e probabilmente fa male, e non solo: “Mi domando cosa possa significare che una donna si metta a ripercorrere scene risalenti a più di cinquant’anni prima alle quali la sua memoria non può aggiungere niente di nuovo. Quale convinzione la sostiene, se non quella che la memoria sia una forma di conoscenza?”
E in un passo precedente:
“Ho voluto dimenticarla anch’io, quella ragazza. Dimenticarla davvero, ossia non avere più voglia di scrivere di lei. Non pensare di scrivere di lei, del suo desiderio, della sua follia, della sua idiozia e del suo orgoglio, della sua fame e del suo sangue prosciugato”.
“E quale desiderio c’è, oltre a quello di capire, in questo accanirsi a cercare, tra le migliaia di nomi, verbi e aggettivi, quelli che diano la certezza – l’illusione – di aver raggiunto il più alto grado possibile di realtà? Se non la speranza che tra questa ragazza, Annie D., e qualunque altra ci sia almeno una goccia di somiglianza?”
Un testo quello della Ernaux dove l’analisi del ricordo è sempre suffragata dal “reale” dalle foto, dalle lettere, dalle pagine del diario della ragazza del ‘58; è un testo capace di dare risposte non solo alla protagonista ma anche a tutte le giovani donne e a tutte quelle che ripercorrendo tasselli importanti, dirompenti del proprio vissuto, possano ritrovarsi e ritrovarvisi.
“A che scopo scrivere, se non per disseppellire cose […] che sia una cosa che possa aiutare a comprendere – a sopportare – ciò che accade e ciò che facciamo?”
Salvina Pizzuoli
dello stesso autore “Gli anni”
Brava Salvina, bella recensione. A me è piaciuto molto, come anche gli altri suoi; mi piace lo stile della Ernaux.
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Grazie Pina. Sì, anch’io amo lo stile della Ernaux e in particolare questo romanzo coraggioso.
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