Daniela Alibrandi “I misteri del vaso etrusco” recensione di Salvina Pizzuoli

Un piccolo paese, un piccolo nucleo familiare, nonna Adele e i suoi due nipoti Rosy e Mirko, una piccola comunità pettegola ma che sa essere anche attenta ai bisogni dei suoi componenti, e un vaso: questi gli ingredienti della vicenda, ma è attorno a quest’ultimo che ruota il nucleo narrativo, protagonista egli stesso non solo all’interno della famigliola, ma anche fuori campo dove partecipa e aleggia sul narrato con la sua misteriosa presenza e il valore portante di cui è stato investito e affettivo e materiale

Fatto sta che quando Adele ne parlava le si illuminava il volto e le si inumidiva lo sguardo.

Pensò di andare a liberare il vaso dal telo che vi poneva tutti i giorni […] Quando si trovò davanti quell’opera nuda, riuscì a godere ancora una volta dei suoi colori […] che da un lato le ricordavano la trasparenza del mare e dall’altro il verde dei prati nei quali era stata abituata a correre.

Rosy e Mirko volsero lo sguardo, come calamitati, verso il vaso che troneggiava nella parete opposta. Lorella seguì il loro sguardo e anche lei notò, forse per la prima volta, il bell’oggetto di fronte. Ancora silenzio e respiri veloci. Poi fu Mirko a parlare: “Non te lo permetterò mai nonna, non potrei guardarmi allo specchio la mattina, sapendo che hai sacrificato forse la cosa più preziosa, comunque quella che ti è più cara, per me. Non se ne parla proprio.

Non solo un vaso, ma un mondo di cui nonna Adele è custode, cui è affidata, come ultima ancora di salvezza, la felicità della famiglia:“C’è sempre il vaso”, ripeteva a se stessa, quasi a rincuorarsi, nonna Adele.

Il vaso etrusco come la vita è fonte di gioia ma altresì di dolori, è speranza ma anche delusione, è stupore e sopruso.

La storia, a lieto fine, racconta il piccolo nucleo domestico, del quale il lettore scoprirà pian piano le traversie, in un momento ulteriormente difficile della sua esistenza, durante il quale l’amore, la tenacia e la tensione per superare le controversie sono ancora messi a dura prova, ma custoditi all’ombra del vaso.

È una storia bella, che fa piacere leggere, perché sa di antico, di valori spenti nel frenetico vorticare del vivere odierno in cui velocità e consumo di beni e di sentimenti dominano, invasivi. Non a caso è ambientato in un mondo dal sapore magico e favolistico, un mondo lontano e dimenticato ma che fa piacere incontrare trascorrendoci dentro anche se solo tra le righe di questa storia semplice, come le cose vere della vita, quelle da riconquistare, dove ho letto il messaggio che l’Autrice vuole inviarci, invitandoci a una riflessione.

Salvina Pizzuoli

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Un pensiero riguardo “Daniela Alibrandi “I misteri del vaso etrusco” recensione di Salvina Pizzuoli

  1. ”I misteri del Vaso Etrusco” mi ha condotto in un fascinoso borgo antico ricco di reperti archeologici etruschi. Sono stata proiettata in un mondo ricco di valori, dove una famiglia composta da una nonna e due nipoti, si trova ad affrontare tutta la durezza che la vita può riservare, con tutta la dolcezza dell’amore, che alla fine trionfa in un finale da fiaba. Una lettura estremamente piacevole, una storia semplice e profonda, con personaggi che si fanno amare fin dalle prime righe. Specialmente nonna Adele, dotata di grande forza interiore e intelligenza, che si è trovata ad occuparsi da sola di due nipoti, ai quali vuole assicurare un avvenire sicuro nel piccolo borgo dove sono cresciuti, ma che a causa della crisi economica e della delocalizzazione delle imprese, si sta spopolando. A questo scopo Amelia è disposta anche a vendere l’oggetto più caro che possiede e che ha acquistato con tanti sacrifici. Un oggetto che fa bella mostra nel suo salotto, che le dà felicità e riscatto, a lei che non aveva potuto studiare, che a volte storpiava le parole suscitando l’ilarità dei nipoti, ma che sapeva apprezzare l’arte…

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