Gianfranco Bracci e Rossana Cedergren “L’enigma etrusco dell’acqua e del vino”, presentazione di Luisa Gianassi

Prefazione di Francesco Trenti, Direttore del Museo Archeologico del Casentino

“Lo scheletro riemergeva da millenni di sepoltura. Il teschio risultava spaccato e la bocca era rimasta leggermente aperta: sembrava volesse sussurrare la sua storia”. Un nubifragio riporta alla luce, sulla spiaggia toscana di Baratti, uno scheletro e il suo singolare corredo funebre. Quello che si trovano davanti Laura e Lina, archeologhe esperte chiamate a dirigere gli scavi, è un vero e proprio mistero da svelare, ricco di oggetti enigmatici e iscrizioni oscure. L’acqua e il vino scorrono tra le parole, e le pagine, nelle pieghe della storia, con tutto il potere simbolico e spirituale della loro essenza.(da Effigi Edizioni)

Passato e presente si fondono armonicamente per costruire la trama del romanzo L’ENIGMA ETRUSCO dell’ACQUA e del VINO, scritto a quattro mani da Gianfranco Bracci e Rossana Ravacchioli Cedergren, entrambi appassionati della civiltà etrusca. Ed è proprio un enigma etrusco che due archeologhe sono chiamate a svelare. Il lettore viene proiettato in una dimensione temporale trascendente nella quale tutto può accadere: storia, mitologia e fantasia si fondono per costruire una trama avvincente ricca di colpi di scena, ma anche stimolante per i tanti insegnamenti che fornisce sul popolo etrusco, al quale gli autori ci fanno sentire molto vicini.

La nostra stessa lingua è distesa su strati di vocaboli dall’origine segreta, e il tempo che ha visto la loro trasformazione ci dice tanto sulla nostra storia. Proprio lo studio etimologico del nome dei luoghi porterà le protagoniste alla scoperta di tombe e templi etruschi, che sarà per gli autori l’occasione di catapultare il lettore dal nostro XXI secolo al VI a.C. e narrare le vicende di coloro che li costruirono. Il ritrovamento di strani oggetti in terracotta fa emergere riti etruschi sopravvissuti quasi fino ai giorni nostri. Le vicende che si intrecciano in epoche distanti 2600 anni, ci restituiscono poi un’immagine immutabile della natura umana, dove bene e male, onestà e spregiudicatezza coesistono, mentre ogni epoca cerca il trionfo della “sua giustizia”

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I misteri del tempio dimenticato

Amedeo Lanucara “Quando la Cia rapì Moro”

Noir fantapolitico ma non troppo, con un reportage introduttivo sull’Affaire

Noir fantapolitico ma non troppo in cui si narra di un’operazione di professionisti internazionali in cui le BR furon comparse a caccia di soldi e il Governo fece da palo con ricerche-farsa

Fefè Edizioni

A via Fani operarono forze speciali formate in scuole militari d’eccellenza, solo due erano a quel livello, l’ebraico Mossad e il sovietico Spetsnaz. A via Fani, soprattutto, Aldo Moro non c’era! Prima della strage l’avevano rapito in eliambulanza. L’unica cosa certa è che poi venne ucciso. Ma non da chi siamo abituati a credere. Questo noir di fantapolitica, appassionante e iperrealistico, risponde a molti interrogativi ancora senza risposta. E ne propone altri inquietanti anche dopo mezzo secolo.

«A qualcuno parrà forse esagerato o provocatorio il titolo di questo libro: QUANDO LA CIA RAPÌ MORO, un concetto che ne implica un secondo: che la Cia prelevò Moro prima della strage. Eppure ciò si evince dalle sue lettere dalla prigionia, oltre che da un’analisi logica dei fatti e dalla storia “furfantella” del nostro Paese, ricca di menzogne e depistaggi. Amici e Nemici han sempre riconosciuto in Moro un maestro nel dissimulare il proprio pensiero. […] Non capirò mai perché gli “Ermeneuti”, sempre a sgomitarsi su chi l’interpretasse meglio, solo nei 55 giorni si siano imposti la museruola, lasciando disco verde a una falange di “Psicologi” fuor di senno (o fuor di scrupoli) che han dichiarato pazzo lui, proprio mentre usava al meglio le sue meningi, impostando contro tutti una “trattativa fantasma”, che per poco non lo salvò. Ordini di scuderia? Il “consigliere” americano Steve Pieczenik si vanterà d’aver imposto lui al nostro Governo la “linea della pazzia”. Conseguenze. Dal 16 marzo in poi ci mancherà il lavoro degli Ermeneuti, nel decrittarci le prose e i silenzi morotei. Eppure nei “55 giorni” il loro lavoro sarebbe stato ancora più prezioso, per le restrizioni e le inevitabili censure della cattività. Bisognava trovare le rare “perle” in una marea di scritti dalla prigionia (saran raccolte da Eugenio Tassini, per un libro di 215 pagine, edito da Piemme). Cominciamo dalla iniziale lettera a Cossiga, la più importante e genuina, prima che i giochi s’ingarbugliassero. Che dice (o non dice), a chi voglia interpretarla correttamente? Esaminiamola. Singolare, ad esempio, che egli non nomini mai le Br, neanche di sfuggita. Come se non esistessero. Le nominerà solo negli ultimi giorni e nel Memoriale, come se soltanto allora esse avessero assunto un peso nella terribile vicenda. Non meno singolare è che egli taccia sempre sulla tragica sorte della sua Scorta, come se non ne sapesse nulla. Eppure è quel che egli afferma con esemplare chiarezza nella iniziale lettera, con una frase buttata là per caso, secondo il suo stile: “Benché non sappia nulla, né del modo, né di quanto accaduto, dopo il mio prelevamento”. Che significa? Significa che egli fu prima prelevato, e poi. Accadde quel che non sa. Attenzione ai vocaboli, nel cui uso (lo ribadiamo) fu maestro. Egli non scrive che fu “rapito” o “sequestrato”, lemmi in cui c’è il concetto di non consensualità e di uso della forza. No. Egli scrive che ci fu il suo “prelevamento”, che si fa consensualmente, magari di malavoglia; e comunque senza uso della forza. V’è di più. Egli non scrive il più semplice: “Sono nelle mani”. No. Egli scrive il più complesso: “Sono sotto un dominio pieno e incontrollato”, una frase inusuale, le cui implicazioni un Professore di Giurisprudenza come lui conosce fin troppo bene. Ricordo le sue lezioni di “Filosofia del Diritto”, ateneo di Bari, aula magna, anno accademico 1954-55, cui io assistevo da matricola universitaria. “Neanche lo Stato”, egli sentenziava, “ha un potere assoluto, perché limitato dalle leggi”. L’unico caso, aggiungeva, “di dominio pieno e incontrollato, riguarda l’esercito d’occupazione d’un Paese vincitore sul Paese vinto”. Egli inoltre non si dichiara “in balia”, o “sequestrato”, o “rapito”, ma “prigioniero politico”, una dizione cara ai Br, ben sapendo però che in diritto internazionale “lo scambio di prigionieri” è solo quello tra due Stati. E tra Stati sono gli esempi che lui apporta: ”scambi Breznev-Pinochet”, “scambi di spie”, “espulsione di dissenzienti dal territorio sovietico”

AMEDEO LANUCARA Giornalista pugliese di lungo corso, con un piede professionale a Roma ed uno a Milano, vive a Roma. Grande viaggiatore, esperto di Vicino Oriente. Già inviato e/o capo-servizio al Globo di Antonio Ghirelli e Mario Pirani, a Il Sole-24 Ore, ad Avvenire e ai settimanali ex-Rusconi con Pietro Zullino. Free-lance alla Rai tv. Già direttore di periodici istituzionali e de La Voce del Cittadino. Suo il libro Berlinguer segreto. Autore di Belzebù Pezzént/un senatore corrotto, una bimba scomparsa l’assedio musùlml’Europa egoista (Fefè Editore, 2017).

Costanza DiQuattro “Arrocco siciliano”, presentazione di Salvina Pizzuoli

Il titolo richiama il gioco degli scacchi ma, come la stessa autrice precisa nella pagina a chiusura dedicata ai Ringraziamenti, non ha nulla a che vedere con esso, né in Sicilia è un modo di dire, di fatto l’arrocco siciliano non esiste anche se nel romanzo, nella trama,  si possono trovare e il gioco delle carte e gli scacchi stessi.

“L’arrocco siciliano non esiste.  Non è una mossa degli scacchi e neanche un modo di dire. Tuttavia lo si potrebbe intendere come un modo di vivere e pensare nel quale certi siciliani come me potrebbero rivedersi.”

E continua:

Per questo libro, così come per gli altri, ho da ringraziare innanzitutto Ibla, la mia città. Questo piccolo luogo intriso di bellezza barocca sopra un tracciato medievale, arroccato, per l’appunto, sopra una tenue collinetta degli Iblei, mi offre, con audace prepotenza, continui e perenni sbocchi narrativi, mi regala storie che sgorgano dalle sue mura come fontane d’acqua viva e mi stupisce giornalmente salvandomi dalla mestizia della quotidiana banalità.

Da siciliana, figlia della stessa città capisco, animata dai ricordi, e amo citare la profferta affettuosa dell’autrice alla bellezza del luogo.

Un paese arroccato e un modo di vivere, questo lo scenario su cui si muoverà  e come sperimenterà il protagonista, Antonio Fusco, colui che prenderà il posto del vecchio speziale nella storica farmacia Albanese. Ma chi è questo giovane napoletano che si presenta alla morte del vecchio proprietario per mandarne avanti la farmacia? Nessuno in paese lo sa e il segreto resterà tale anche per il lettore fino alla fine.

E come “straniero” dovrà imparare a farsi accogliere nella nuova e diffidente comunità dove è approdato aiutato in questo dalla fortuna al gioco e dall’amicizia con Federico, il figlio minore del barone Crescimanno, nato con una malattia rara

“È l’alba del Novecento, a Ibla, lì dove la vita scorre fiacca sulla campagna stanca; lì dove si accalcano notabili tronfi, mogli tradite e poveri diavoli; lì dove la farmacia Albanese, per tutti «molto più di una chiesa», di colpo rimane orfana di colui che da tanti anni la amministra con riserbo monastico. Quando a succedergli accorre da Napoli un giovane senza passato, accolto da ostilità e diffidenza che piano piano si sciolgono in un cauto abbraccio, il paese prende a pulsare e la farmacia a rivivere”.(da Baldini e Castoldi Libri)

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La mia casa di Montalbano

 “Donnafugata”

Giuditta e il monsù

Diego Zandel “Eredità colpevole”, Voland Editori

VOLAND, Collana Intrecci 

Pagine 254, prezzo 19 euro 

“Le zone di confine sono così. Per questo ho imparato a evitare ogni radicalizzazione, da una parte o dall’altra…”

Roma, anni 2000. Il giudice La Spina viene freddato davanti al portone di casa con cinque colpi di pistola, l’ultimo, fatale, alla nuca. A rivendicare l’attentato un sedicente gruppo di estrema destra, Falange Nera, che con un comunicato alla stampa accusa il giudice di essere stato complice e responsabile dell’assoluzione dell’infoibatore Josip Strčić.

Si interessa all’omicidio Guido Lednaz, giornalista e scrittore figlio di profughi fiumani, che seguendo varie piste e rintracciando figure del suo passato ripercorre una delle pagine più sanguinose della storia del Novecento, fra le atrocità della Seconda guerra mondiale e il conseguente esodo di un intero popolo, quello istriano. Un’avvincente indagine dalle tinte noir, condotta tra Roma e Trieste, che porterà il protagonista a una drammatica verità.

Figlio di esuli fiumani, DIEGO ZANDEL è nato nel campo profughi di Servigliano nel 1948. Ha all’attivo una ventina di romanzi, tra i quali Massacro per un presidente (Mondadori 1981), Una storia istriana (Rusconi 1987), I confini dell’odio (Aragno 2002, Gammarò 2022), Il fratello greco (Hacca 2010), I testimoni muti (Mursia 2011)Esperto di Balcani, è anche uno degli autori del docufilm Hotel Sarajevo, prodotto da Clipper Media e Rai Cinema (2022). 

Sacha Naspini “Villa del seminario”, presentazione

“Maremma toscana, novembre ’43. Le Case è un borgo lontano da tutto. René è il ciabattino del paese. Tutti lo chiamano Settebello, nomignolo che si è tirato addosso in tenera età, dopo aver lasciato tre dita sul tornio. Oggi ha cinquant’anni – schivo, solitario, taciturno. Niente famiglia. Ma c’è Anna, l’amica di sempre, che forse avrebbe potuto essere qualcosa di più… René non ha mai avuto il coraggio di dichiararsi. Poi ecco la guerra, che cambia tutto […]”( da e/o edizioni)

Il romanzo di Naspini si ispira ad una storia vera, un pezzo di storia recente ma di cui si sapeva molto poco: “com’è possibile che a quel muro invalicabile eretto intorno alla Villa per tenere ben separati il dentro dal fuori, gli abitanti abbiano opposto un altro muro, di silenzio e oblio, che ha cominciato a sgretolarsi solo nel 2008, quando a Roccatederighi finalmente è stata collocata una lapide in memoria?”(dalla recensione di Fulvio Paloscia su La Repubblica del 25 gennaio 2023)

Così dichiara lo stesso autore incredulo su quanto accaduto a Roccatederighi tra il 1943 e il 1944.

I fatti storici raccontano che la residenza estiva del vescovo, la Villa del Seminario appunto, fu affittata con regolare contratto a un gerarca perché vi potesse realizzare un campo destinato a raccogliere un centinaio di ebrei italiani e stranieri che in seguito sarebbero stati in parte deportati nei lager, soprattutto ad Auschwitz. Fatti tristi e incresciosi di una storia non molto lontana.

La finzione narrativa vede il paese di Le Case, nella realtà storica Roccatederighi, come ambientazione e un protagonista, il ciabattino Renè, un cinquantenne dalla vita oscura. È proprio attraverso il vissuto del protagonista e la sua ribellione a quanto sta accadendo intorno a lui, senza che gli altri paiono averne contezza, che si sviluppano le pagine più vive del romanzo: quanto capitato ad Anna, la vedova di cui è segretamente innamorato, le domande che rivolge a se stesso, lo spingeranno all’azione.

 Cosa può fare un ciabattino che si vota alla causa partigiana? Il ciabattino sabotatore…

Brevi note biografiche

Sacha Naspini è nato a Grosseto nel 1976. È autore di numerosi racconti e romanzi, tra i quali ricordiamo L’ingrato (2006), I sassi (2007), Cento per cento (2009), Il gran diavolo (2014) e, per le nostre edizioni, Le Case del malcontento (2018 – Premio Città di Lugnano, Premio Città di Cave, finalista al Premio Città di Rieti; da questo romanzo è in fase di sviluppo una serie tv), Ossigeno (2019 – Premio Pinocchio Sherlock, Città di Collodi), I Cariolanti (2020), Nives (2020), La voce di Robert Wright (2021), Le nostre assenze (2022) e Villa del seminario (2023). È tradotto o in corso di traduzione in Inghilterra, Canada, Stati Uniti, Francia, Grecia, Corea del Sud, Cina, Croazia, Russia, Spagna, Germania ed Egitto. Scrive per il cinema.

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Nives

Alberto Angela “Nerone. La rinascita di Roma e il tramonto di un imperatore”

Il terzo volume che completa la trilogia con “L’ultimo giorno di Roma” vol I e “L’inferno di Roma” vol II

Un’indagine meticolosa, originale e affascinante che offre una chiave di lettura nuova su Nerone, il suo impero e ciò che ci ha lasciato in eredità.

[…]Quella che emerge è la figura di un artista poliedrico (cantante, musicista, poeta e attore), un audace auriga, un amante appassionato, un raffinato collezionista d’arte… Ma al contempo un abile negoziatore, un cinico assassino e un feroce repressore, come dimostra la persecuzione dei cristiani incolpati di aver causato proprio il Grande incendio[…](da Harper&Collins)

La Storia ad oggi lo tramanda come imperatore spietato, matricida, accusatore e persecutore dei Cristiani, se non addirittura pazzo; la figura che ci restituisce lo studio di Angela lo riabilita, non in toto, ma inserisce il suo operare in un contesto storico che lo vede al potere per tredici anni durante i quali il suo agire non fu dissimile da quello di altri imperatori; molte delle maldicenze nei suoi confronti, le fake news, erano in parte nate in seno alla sua corte e provenienti dalla parte più tradizionalista del Senato. Nerone fu condannato dall’odio degli antichi: il popolo lo amava ma aveva contro una parte dei senatori e dell’aristocrazia perché era troppo innovatore e ribelle, troppo avanti per il suo tempo” così lo stesso Angela spiega in una recente intervista (a Elisabetta Pagano su La Stampa 9 Dicembre 2022). Lo stesso incendio che devastò Roma nel 64 d. C. di cui fu accusato e di cui a sua volta accusò i Cristiani, non ne fu responsabile, perché, come ritiene ormai la stragrande maggioranza degli storici, le fiamme erano partite accidentalmente in un magazzino del Circo Massimo mentre lui non era a Roma.

Un libro in cui Angela ripercorre la storia ma lo fa come fosse un romanzo, perché questi libri sono un viaggio nel tempo, dichiara, li ho scritti come se fossero sceneggiature di un film o di una serie: le scene sono movimenti di telecamera e questo aiuta il lettore a vedere le cose. E per ottenere questo risultato aggiunge nell’intervista già citata ho unito contenuti da libro di storia e di archeologia a uno stile da romanzo. Per me è importante interessare gli esperti ma anche affascinare chi ti legge sul bus o prima di dormire.

Dello stesso autore su tuttatoscanalibri: I due volumi della trilogia

L’ultimo giorno di Roma” e “L’inferno di Roma

Ilaria Tuti “Come vento cucito alla terra”, presentazione

La vicenda si apre a Londra nel quartiere di Witechapel alla data 21 agosto 1914: Cate, “la dottoressa italiana” sta suturando una ferita sul volto di una giovane prostituta in un bordello dei sobborghi della città ed è qui che Flora Murray, anestesista e fisiatra, e Louisa Garrett Anderson, chirurgo, si presenteranno e la inviteranno ad unirsi alla squadra “composta da otto infermiere, quattro ausiliarie e tre dottoresse” con lo scopo di aprire un’unità chirurgica gestita da donne.

Questa è la storia dimenticata delle prime donne chirurgo, una manciata di pioniere a cui era preclusa la pratica in sala operatoria, che decisero di aprire in Francia un ospedale di guerra completamente gestito da loro. Ma è anche la storia dei soldati feriti e rimasti invalidi, che varcarono la soglia di quel mondo femminile convinti di non avere speranza e invece vi trovarono un’occasione di riabilitazione e riscatto.
Ci sono vicende incredibili, rimaste nascoste nelle pieghe del tempo. Sono soprattutto storie di donne. Ilaria Tuti riporta alla luce la straordinaria ed epica impresa di due di loro”
(da Libri Longanesi)

Una storia lontana, vera e poco conosciuta, la storia delle “lady doctors” donne medico, ma destinate, a quel tempo, a curare solo donne e bambini, specializzate pertanto prevalentemente in ginecologia e pediatria; ma con l’inizio della prima guerra mondiale Anderson e Murray, suffragette e membri della principale organizzazione militante che si batteva per il suffragio femminile, fondarono ospedali in Francia e a Londra gestiti esclusivamente da donne medico e da personale femminile dove, nonostante la loro mancanza di formazione e senza precedenti esperienze in medicina militare, intervennero chirurgicamente e curarono soldati feriti e mutilati in guerra.

Il titolo del romanzo parafrasa un verso della composizione, presentata dopo il frontespizio, di Marina Cvetaeva “L’amore è sutura, […] sutura, con cui il vento è cucito alla terra”

dello stesso autore su tuttatoscanalibri:

“Ninfa dormiente”

“Fiore di roccia”

Marco Consentino e Domenico Dodaro “Madame Vitti” presentazione

Madame Vitti, un romanzo a quattro mani da una storia vera, di Marco Consentino e Domenico Dodaro, pubblicato da Sellerio.

Gli autori raccontano la storia di Maria Caira, di suo marito Cesare Vitti, insieme alle due sorelle e al fratello Antonio e una cugina, partiti alla fine dell’Ottocento da Atina con destinazione Parigi dove iniziano a posare per gli artisti. Ma già due anni dopo Maria fonderà l’ Académie Vitti aperta solo alle donne e con insegnati illustri, vi insegnò anche Paul Gauguin, con una particolarità: qui posano dal vero i modelli, fino ad allora era infatti possibile per le artiste studiare e riproporre il nudo maschile solo da modelli cartacei. La storica sede, situata in Montpanasse, 49 Boulevard Montparnasse Paris, il quartiere che diverrà simbolo dell’arte a livello mondiale, che vent’anni dopo sarà aperta anche agli artisti di sesso maschile, fu operativa dal 1889 fino al 1914 allo scoppio della Prima guerra mondiale, quando i Caira decideranno di rientrare in Ciociaria.

Si deve a Cesare Erario, discendente della famiglia Caira-Vitti, la fondazione del Museo ad Atina (Frosinone), aperto al pubblico dal 2013, in cui sono conservati tutti i materiali dell’Académie Vitti: schizzi e disegni di nudo, fotografie di modelli in costume, cartoline postali, quadri, foto di famiglia e d’atelier. Due anni dopo, nel 2015, i due discendenti, Erario ed Eugenio Beranger, hanno dato alle stampe “Académie Vitti, 49 Boulevard Montparnasse, Paris”, volume in cui si ricostruiva su base documentaria la storia dell’Académie, testo tra le fonti principali degli autori del romanzo.

“Madame Vitti riscopre una storia vera e dimenticata in un romanzo dalla scrittura fortemente visiva; è il racconto di una donna che ha lottato con sfrontatezza per realizzarsi, conquistando ammirazione e disprezzo, vittorie e cicatrici profonde”.( dal Catalogo Sellerio Editore)

e anche

Brevi note biografiche

Marco Consentino e Domenico Dodaro hanno scritto  Madame Vitti (2022). I due, insieme con Luigi Panella, sono autori anche del romanzo I fantasmi dell’Impero (Sellerio 2017), accolto come un caso letterario, Premio Selezione Bancarella 2018.