Andrea Kerbaker “La vita segreta dei libri fantasma”, presentazione

[…]E poi ci sono loro: i libri fantasma – quelli che, dopo una vita più o meno effimera, spariscono dalla circolazione per non riapparire mai più. Per questo li abbiamo battezzati così: proprio come gli spettri, esistono e non esistono. Non è facile scovarli. Per loro natura, sono restii a prender la parola, destinati a rimanere in secondo piano rispetto ai loro fratelli maggiori. […]( da Salani libri)

Ma quali sono e dove si trovano i libri fantasma?

Sono opere di autori conosciuti, sono stati scritti e pubblicati e poi ritirati, per cause tra le più disparate: pentimento, censure, a volte degli autori medesimi, censure politiche, giudicati successivamente impresentabili, vittime della sfortuna o di fatalità editoriali.

E allora dove sono finiti?

Sono nella Kasa dei libri, la grande biblioteca di un appassionato collezionista, aperta e visitabile, che il proprietario, nonché autore di questo libro particolare, Andrea Kerbaker, scrittore e bibliofilo, ha a Milano con dépendence ad Angera sul Lago Maggiore.

È dall’età di diciassette anni che colleziona libri e giunto alla soglia considerevole dei trentamila ha deciso di raccoglierne parte a Milano in quella la cui denominazione non poteva essere più calzante ed è lì che fantasmi hanno trovato tutti un ottimo ricovero.

Ma cos’ha di speciale questo testo?

Racconta, i perché e i per come, storie incredibili, di come alcuni di essi, dei libri detti fantasma, siano appunto spariti dalla circolazione. Non è facile scovarli ma qui possiamo leggere le loro traversie. E solo per citarne alcune: chi non conosce il famoso romanzo di Agatha Christie “Dieci piccoli indiani”? Beh, la storia è tutta nel titolo originale, non era infatti così ma conteneva un termine proibito che poteva essere scambiato per razzista anche se l’autrice faceva riferimento ad una filastrocca inglese quando la parola non aveva ancora quell’accezione. Ma anche il travagliato e tragico iter de Il più lungo giorno di Dino Campana, perduto e poi ritrovato a distanza di svariati anni. E, lo sapevate che Salinger aveva scritto il seguito del Giovane Holden? E nella sezione “Oddio”storie di pentimenti politici: quello di Vitaliano Brancati o Indro Montanelli che sconfessavano il primo due opere teatrali e il secondo un suo romanzo.

Storie curiose, tragiche, divertenti, per gli appassionati dei libri tutte da non perdere come la Kasa dei libri tutta da visitare e fruire.

E per averne un assaggio dalla viva voce dell’autore:

su Youtube filmati sull’icontro tra Calvino e l’editore Ricci e un libro pieno di Tarocchi

e

L’incontro tra Munari e Lucini

Curiosità bibliofile: la legatura, la carta, i caratteri tipografici

La storia del libro, come oggi lo conosciamo, ha un lungo cammino pregresso legato al mutare del gusto, alla capacità inventiva e artistica di quanti, artigiani e creatori di strumenti ad hoc, abbiano voluto rispondere alle nuove richieste dei committenti. Il primo passaggio avviene dal codex o libro manoscritto, formato da fascicoli “legati” insieme, che sostituì il rotolo o volumen realizzato in papiro o pergamena in epoche antecedenti il IV – V secolo, periodo in cui viene collocata la comparsa delle prime legature.

Ma in cosa consisteva la legatura?

Detta anche rilegatura o coperta del libro, era costituita da parti ben precise, ciascuna con un proprio nome a identificarne le diverse componenti: serviva per legare insieme i diversi fascicoli per formare il volume e dargli non solo consistenza e compattezza ma anche una veste più elegante e duratura. Le parti fondamentali erano i due piatti e il dorso a cui erano assicurati i diversi fascicoli.

Senza entrare nello specifico*, lo schema sopra riportato servirà egregiamente a illustrare le diverse voci della composizione. I materiali costitutivi erano diversi: storicamente si passa da assi di legno, alla pergamena, al cartone mentre i rivestimenti dei piatti erano in pelle, carta decorata, stoffa.

Legature raffinate hanno contraddistinto nel tempo quest’arte che ha lasciato traccia di sé non solo nella storia del libro come oggetto, ma nella cultura in genere contraddistinguendo l’evoluzione del gusto, nel senso del bello abbinato al pregio e all’abilità. Se ci capitasse di consultare un dizionario bibliofilo resteremmo esterrefatti dalla quantità di tipi di legatura individuati, ciascuna con le proprie caratteristiche e nome proprio. In questa breve carrellata sulle curiosità bibliofile, ne saranno citate solo alcune partendo dalla aldina, dal nome del famoso tipografo Aldo Manuzio, veneziano, che operò dal 1494 al 1515.

Caratteristiche precipue sono i piatti in cartone, più adatti a volumi di piccolo formato, foderati di marocchino bruno decorati con una semplice cornice. Il marocchino è un tipo di cuoio pregiato utilizzato per le edizioni di lusso, ottenuto dalla concia con il tannino o le noci di galla. Fu molto utilizzato durante il Rinascimento e dai legatori veneziani. Una variante assai pregiata è il marocchino verde oliva, detto marocchino veneziano.

In uso a Napoli nel Quattrocento la legatura detta Aragonese, caratteristica per il motivo centrale a mandorla o rettangolo a foglia d’oro su marocchino colorato. Particolare quella detta di Caterina de’ Medici, fatte per la sua collezione, con agli angoli e al centro del piatto i simboli del lutto, dopo la morte di Enrico II: montagne su cui piovono lacrime.

Continua con la storia della carta e i diversi tipi di carta…

*Nomenclatura:

piatti: le parti solide della coperta, uno anteriore e uno posteriore

dorso: cui si applica la cucitura

rialzi o nervature: le sporgenze poste a intervalli regolari lungo il dorso

capitelli: piccole venature alle due estremità del dorso tessute in uno o più colori

guardie: le pagine bianche che seguono e precedono il testo

sguardie o risguardie: fodere interne della copertina

bindelle: striscioline di pelle o seta inserite sui margini esterni tra il piatto e la coperta, per far chiudere il libro

Per saperne di più:

In questa pagina i nomi delle parti che compongono il libro del XX secolo

La legatura su Sapere.it

Su tuttatoscanalibri: Curiosità bibliofile: Le copertine

Curiosità bibliofile: le copertine

Sia come lettori che come scrittori restiamo molto coinvolti dalla impostazione grafica esterna al libro e al testo che contiene, compendiato o meno, in alcuni casi solo evocato, in quella che chiamiamo “copertina”. Oggi diamo per scontato che rivesta e racchiuda il testo non solo che lo protegga, come era nei tempi dei tempi per i primi volumi (gli incunaboli), intorno a XV secolo, che non avevano copertina ma una pagina a protezione che veniva gettata dopo che il libro era stato rilegato. Oggi non potremmo immaginare un libro senza, ci apparirebbe come spogliato, nudo, senza una veste che lo contraddistingua.

Ma cosa rappresenta la copertina?

Vediamola con gli occhi dello scrittore e a tale proposito mi piace sintetizzare o riportare le diverse e articolate riflessioni emotive che la scrittrice Jhumpa Lahiri raccoglie nel suo breve saggio dal titolo esplicativo “Il vestito dei libri”: quando arriva la copertina sono due le emozioni che prova, definendole ambivalenti, in quanto da una parte si commuove e dall’altra si agita. Perché due controverse manifestazioni?

La commozione nasce dalla consapevolezza che la copertina rappresenta la fase finale del suo lavoro, il libro sta per nascere, mentre l’agitazione è derivata dal tipo di copertina che è stata confezionata come atto finale della lettura di vari rappresentanti delle staff editoriale: chi l’ha letto ha quindi concepito per quel testo quel tipo di vestito che ne rappresenta “la sua prima interpretazione “ non solo visiva ma anche promozionale”. E precisa:

“La copertina giusta è come un bel cappotto, elegante e caldo, che avvolge le mie parole mentre camminano per il mondo, mentre vanno a un appuntamento con i miei lettori. La copertina sbagliata è un costume ingombrante, soffocante. Oppure una maglia troppo leggera, inadeguata. Una bella copertina è lusinghiera. Mi sento ascoltata, intesa. Una brutta copertina mi sembra un nemico, mi è odiosa”.

E se il libro non avesse una copertina?

Secondo la scrittrice mancherebbe una porta per entrare nel testo, mancherebbe il suo viso.

E dalla parte del lettore?

Inutile nascondere che, gironzolando (che bel ricordo!) tra gli scaffali di una libreria, la copertina sia sicuramente un richiamo cromatico e figurativo che può attrarre la nostra attenzione, magari portandoci a sfogliare quel volume che non rappresenta un nostro precipuo interesse. E poi, non va dimenticato, che la copertina continua ad avere la iniziale funzione protettiva a cui si aggiunge quella ornamentale, che ai tempi dei tempi era rappresentata dai materiali pregiati e a tal proposito ne sa molto il bibliofilo, nonché pubblicitaria.

Interessante è a sentire gli studiosi della storia del libro scoprire che non vi fu un vero e proprio inventore, ma che il suo utilizzo è il risultato di un processo graduale che si lega alla diffusione del libro e della lettura a strati sociali sempre più ampi, alla nascita e diffusione delle prime librerie divenendo necessario non solo proteggere ma anche differenziare i libri dando a ciascuno il proprio vestito, un processo che ebbe inizio alla fine del Settecento anche attraverso l’operato intraprendente e imprenditoriale di personaggi come il libraio inglese James Lackington che a Londra dette vita alla prima libreria così come la intendiamo oggi. Una storia lontana quindi, ma perché si diffondesse il fenomeno lettura e libri occorrerà attendere i primi anni Venti del Novecento con i libri economici alla portata di molte tasche, nonché superare la concorrenza e sostenere il volume attraverso un apparato ad hoc: le copertine.

S.P.

Per chi volesse saperne di più:

l’articolo su Libri Panorama

L’articolo su Il LIbraio

Il volumetto di Jhumpa Lahiri

Il saggio di Ambrogio Borsani La claque del libro

e su tuttatoscanalibri la seconda e terza parte:

Curiosità bibliofile: la legatura, la carta, i caratteri tipografici

Curiosità bibliofile: la carta e alcuni tipi di carta

Edward Wilson-Lee in “Il catalogo dei libri naufragati” presentazione di Janne Perego da Il Tirreno Culture 21 marzo

Fernando, nato da una relazione extraconiugale, raccolse migliaia di volumi in tutto il mondo.
Ne parla Edward Wilson-Lee in “Il catalogo dei libri naufragati”
Il figlio di Colombo e il sapere,
primo “Google” della storia
di Jeanne Perego
La straordinaria biblioteca del figlio di Cristoforo Colombo, precursore di Google nel Rinascimento: fu un visionario con immense ambizioni di cui sono rimaste tracce tangibili. Ad esempio la prima biografia di suo padre: “Historia del almirante don Cristóbal Colón”, tradotto in italiano con “Historie della vita e dei fatti di Cristoforo Colombo”, cui si deve quasi tutto quello che sappiamo sullo scopritore dell’America.Fernando Colombo (1488 – 1539), figlio di una relazione extraconiugale del grande navigatore con la cordovese Beatriz Enríquez de Arana, ebbe intuizioni potenti come quelle del genitore, ma è finito in un angolo dimenticato della storia. A riscattarlo è arrivato Edward Wilson-Lee, professore all’Università di Cambridge, specialista in storia dei libri nell’età moderna, con il suo “Il catalogo dei libri naufragati” pubblicato da Bollati Boringhieri, libro insolito che fa luce su quello che può essere considerato un precursore di Google nel Rinascimento. Fernando, geniale, “uno dei primi e più grandi visionari dell’era della stampa” immaginò e si dedicò a creare “una biblioteca che contenesse tutto, una biblioteca universale in un senso mai immaginato prima”, dice il professor Wilson-Lee, una biblioteca destinata ad accogliere “tutti i libri, in tutte le lingue e su tutti gli argomenti, che si potevano trovare dentro e fuori il mondo cristiano”. Ci riuscì, grazie anche agli acquisti fatti nel corso del suo viaggiare come ammiraglio e cosmografo che lo portò ovunque, dalla Spagna a Santo Domingo, in Giamaica, a Londra, Basilea, Strasburgo, Magonza, Roma, Milano, Venezia. Intorno al 1530 Fernando Colombo fece costruire una casa per sé ma soprattutto per i suoi 15.000 volumi a Siviglia, vicino alla Porta di Ercole, il luogo ideale e immaginifico per albergare i volumi ma anche i bauli e bauli di stampe -la più grande collezione mai messa insieme -, spartiti, ballate di una sola pagina, pamphlet, oltre che i cataloghi e le liste su cui lavorò senza sosta, in maniera maniacale, ossessiva, per rendere fruibile la sua “creatura”. “Cristoforo Colombo non voleva arrivare alle Indie, ma trovare la via per fare il giro della Terra – dice Wilson-Lee – e Fernando fece lo stesso, nel suo progetto trovò il modo di avere tra le mani il mondo attraverso il dominio delle informazioni. In entrambi i casi si è trattato di progetti a vocazione universale”. Fernando ebbe l’intuizione che “per arrivare dappertutto non era necessario andare ovunque: bastava mettersi nei giusti crocevia e lasciare che fosse il mondo a venirgli incontro”, ovviamente su fogli stampati, e, possibilmente stampati bene, con i caratteri più chiari e leggibili e sulla carta migliore. Di quella straordinaria biblioteca senza confini, la più grande del suo tempo, che Fernando Colombo costituì acquistando volumi o stampati di vario genere che poi contrassegnò meticolosamente per quanto riguardava il luogo e prezzo di acquisto, dei suoi elenchi e sintesi per ridurre ogni argomento a un riassunto che col tempo e col crescere della biblioteca diventava più denso anziché più grande, purtroppo è sopravvissuto molto poco: “Degli originali quindicimila-ventimila volumi ne restano meno di quattromila”. —