Pietruccio Montalbetti “Storia di due amici e dei DikDik”, Minerva Edizioni

Minerva Edizioni

Un racconto autobiografico che riporta alla luce gli esordi, l’amicizia profonda con Lucio Battisti e l’epopea dei Dik Dik: la storia di una generazione, scritta da chi l’ha vissuta. 


Cosa succede quando a scrivere è chi ha vissuto in prima persona l’inizio di un’epoca? Succede che il racconto si fa vivido, personale, nostalgico e appassionato. È quello che accade in “Storia di due amici e dei Dik Dik”, il nuovo libro di Pietruccio Montalbetti edito da Minerva (con una prefazione di Marco Buticchi), che è al tempo stesso un’autobiografia, un omaggio all’amico Lucio Battisti, e un percorso musicale e umano attraverso i decenni più travolgenti della musica italiana. 

Con uno stile diretto e sincero, Pietruccio – fondatore e storico chitarrista dei Dik Dik – rievoca il tempo delle radio pirata, delle prime chitarre sognate e sudate, delle notti passate a provare nelle sale parrocchiali e dei lunghi viaggi in Cinquecento, con strumenti caricati fino al soffitto, pur di suonare in qualche balera di provincia. 

Ma soprattutto, racconta Lucio. Non il mito, non il personaggio riservato che poi tutti avrebbero conosciuto, ma “l’uomo”, l’amico. “Quando sento la parola ‘amicizia’, mi viene in mente solo un nome: Lucio”, scrive l’autore. L’incontro con Battisti, avvenuto quasi per caso in uno studio di registrazione, dà il via a un rapporto profondo e duraturo, fatto di stima reciproca e condivisione. Un rapporto che precede la fama, e che proprio per questo è autentico, schietto, commovente. 

“Lui suonava e cantava cose sue, alcune acerbe, altre sorprendenti. Mi chiese un parere e io, forse con un pizzico di benevolenza, gli dissi che erano belle. Ma una mi colpì davvero. Decisi di inciderla nel nostro primo disco. Era Se rimani con me. E fu il primo brano a portare ufficialmente la firma di Lucio Battisti”. 

Questa storia è anche quella di una band che ha fatto la storia: i Dik Dik. Dagli inizi sotto il nome “I Dreamers”alle prime audizioni alla Ricordi, dalle prove con l’amplificatore nel pianerottolo fino ai successi in classifica, il libro attraversa la parabola di un gruppo che ha segnato la colonna sonora di una generazione. “Sognando la California”, “Il vento”, “L’isola di Wight”canzoni diventate inni, specchi fedeli di un’epoca fatta di ribellione, ideali, amori e viaggi interiori. 

“I Dik Dik – scrive Marco Buticchi nella prefazione – hanno accompagnato la mia generazione: ci hanno fatto crescere, innamorare, contestare, sognare. E la meraviglia è che quel vento soffia ancora. Quelle canzoni sono leve invisibili, come direbbe Archimede, capaci di sollevare mondi interiori”. 

Montalbetti racconta tutto con lucidità e ironia: i provini andati male, i produttori improbabili, le notti senza un soldo e la voglia incrollabile di “fare un disco”. Le pagine scorrono tra aneddoti gustosi, incontri fortuiti, piccoli grandi miracoli della vita. Come la madre di Pietruccio, che per sostenere il figlio durante le prove diventa una presenza costante nella sala parrocchiale. O come don Angelo, il viceparroco che firma una lettera di raccomandazione alla Ricordi pur di aiutarli a ottenere un provino. Una Milano popolare, viva, solidale, fa da sfondo a queste storie: una città in cui tutto sembrava possibile. 

“Storia di due amici e dei Dik Dik” è un libro per nostalgici, una dichiarazione d’amore alla musica, all’amicizia, alla giovinezza vissuta intensamente. E anche un promemoria che, dietro ogni grande canzone, ogni mito, ci sono incontri fortuiti, passioni feroci, prove ed errori, e soprattutto persone. 

“Lucio era timido, profondo, ossessionato dalla musica – ricorda Montalbetti –. In quella prima giornata passata insieme mi raccontò di suo nonno, che gli aveva costruito il primo flauto con le sue mani. Poi si addormentò, come fanno i bambini piccoli. Era un’anima bella. Non potevi non volergli bene”. 

Un libro che emoziona, diverte, commuove. E che lascia in chi legge il desiderio di tornare a quei giorni in cui tutto era da costruire. Pietruccio Montalbetti ci consegna non solo un pezzo di storia della musica italiana, ma anche – e soprattutto – un pezzo della sua vita. E, per estensione, della nostra.

Pietruccio Montalbetti Storico chitarrista dei Dik Dik, il gruppo musicale fondato nel 1965 e mai tramontato nel cuore degli italiani, è nato a Milano nel 1941.Tra i loro più grandi successi: Se rimani con meSognando la CaliforniaIo mi fermo qui, Senza luce, Il vento, Il primo giorno di primavera, L’isola di Wight, Come passa il tempo e molte altre. Con la band ha all’attivo ben quattro partecipazioni al Festival di Sanremo, più una come solista. Ha collaborato con artisti del calibro di Lucio Battisti, Mogol, Rita Pavone, Ricky Gianco, Caterina Caselli, Donatello, Giorgio Faletti, i Camaleonti e Maurizio Vandelli. Appassionato da sempre di viaggi, è stato in Colombia, a Cuba, in Messico, Belize,  Guatemala, India, Nepal, Thailandia, Birmania, Ecuador, alle Galapagos, in Perù, Venezuela, nella Guyana, in Africa e nel Sahara. È autore dei libri: Sognando la California, scalando il Kilimangiaro (2011), Io e Lucio Battisti (2013), Settanta a settemilaUna sfida senza limiti di età (2014), I ragazzi della via Stendhal (2017), Il mistero della bicicletta abbandonata (2021).

Giacomo Sgambato “Amore in contanti”, Ventura Edizioni

Ventura Edizioni

Il racconto crudo e ironico del cliente, un punto di vista
inedito sul mondo della prostituzione.

Un viaggio autobiografico e narrativo che racconta
senza filtri la vita e le emozioni di un uomo alle prese con il mondo del sesso a pagamento.
Con prefazione del prof. Emmanuele A. Jannini (Università Tor Vergata, Roma), il libro affronta uno dei fenomeni sociali più antichi e controversi – la prostituzione – scegliendo un punto di vista
raro: quello del cliente.
Tra ricordi personali, episodi ironici, riflessioni intime e storie talvolta crude, Amore in contanti si propone come un testo che non giudica, ma osserva, racconta e invita a riflettere. Una testimonianza che intreccia autoironia, tenerezza, disincanto e profondità, restituendo un quadro complesso e umano di un mondo spesso ridotto a stereotipo.

La sinossi

Un bambino apre come scatole cinesi il suo futuro, contempla il mondo e ne pregusta le scoperte. In un afoso pomeriggio svela una terribile e splendida realtà, ne conserverà il sapore tra le pieghe della mente fino a quando non ne capirà il reale significato. Anni più tardi si ritroverà uomo in un viaggio intimo e disincantato in cui si perderà tra personaggi grotteschi e storie kafkiane. Una ripida discesa nel mondo sotterraneo della prostituzione. Esisterà solo in un labirinto surreale quasi sempre popolato da vite afflitte e in perenne transizione, in cui il piacere mercenario ha un costo umano elevatissimo. In un folle e precario equilibrio il protagonista non si arrende alle regole sociali, avanza come un funambolo tra la solitudine e il disprezzo, ridiscute se stesso e le proprie scelte. Osserva con tenera malinconia tutte le vite sfiorate, esistenze morbide come il velluto ferocemente sgualcite. Su lerci marciapiedi individuerà drammi commoventi ed esilaranti commedie, comunque, lampi abbacinanti sulla coscienza.
Un’asciutta disamina di una realtà lussuriosa ma anche drammaticamente misera.
Impastando sesso e denaro lentamente emergono i ritratti antichi delle vere protagoniste di questo libro: le donne. Donne figlie, sorelle, madri.
Il protagonista è la figura famelica che conserva e moltiplica un desiderio incessante. Una recondita e disperata sete di vita e di calore umano, forse di amore. Sesso e bisogno di affetto sono un tracciato inestricabile di strade dal quale sembra non sia possibile uscire, l’unico approdo sicuro pare anche quello più fragile e vacillante, la donna nella sua declinazione più dolente: la puttana.
La narrazione incalzante di realismo sporco è solo il pretesto per rivivere i precoci sogni trasformati in incubi indelebili. Frammentando centinaia di volti in un dedalo di ricordi l’autore cerca di trovare una risposta alla sua maledetta dipendenza, anche attraverso cenni storici, analisi sociologiche e cronaca nera.

Giacomo Sgambato, milanese d’adozione, l’autore nasce nel 1969 nello stesso paese che ha dato i natali a Giordano Bruno, Nola. Dopo gli studi di psico-pedagogia si dedica ad attività afferenti al mondo dello spettacolo, prima come truccatore cinetelevisivo poi come cameraman presso l’emittente TV7 Lombardia. Qui inizierà a scrivere sceneggiature per pubblicità, televendite e video promozionali per alcuni comici di Zelig.
Attualmente è un libero professionista che si dedica all’attività di social media manager.
Considera maestri inarrivabili per chiunque gli autori che lo hanno formato: Kafka, Dostoevskij, Bulgakov, Dumas padre, Bukowski, Dickens, Shakespeare.

Lydie Salvayre “Sette donne”, presentazione

Traduzione di Lorenza di Lella e Francesca Scala

Prehistorica Editore

Sette donne, sette autrici, incontrate come lettrice, apprezzate e stimate, tutte, fondamentali per la sua crescita come scrittrice.

“Il punto in comune di queste sette donne è che le ammiro. Tutte. Tutte sono state importanti nella mia vita da quando, a 12 anni, ho cominciato a leggere Emily Brontë. Tutte e sette, soprattutto, sentivano l’imperiosa necessità di scrivere”.

Risponde così alla domanda di Elisabetta Rosaspina (La Lettura del Corriere 8 agosto 2025) perché avesse scelto proprio loro per le sue biografie che tali e semplicemente tali non sono, infatti, sono le autrici che l’hanno confermata nella sua volontà di scrivere, di essere donna e autrice, come loro che, nella loro esistenza di vita, hanno sofferto ed hanno trasformato quel dolore in pagine letterarie.

Un testo dedicato a queste autrici dal cui incontro Lydie Salvayre ha costruito la sua identità e di scrittrice e di donna.

Scrive Laura Pugno (tutto libri La Stampa 6 settembre 2025):

” è un diario di formazione per voce interposta quello che ci consegna in questo libro, in cui l’ordine delle vite narrate si fa eco dell’ordine, o del disordine, della vita della narratrice. Nella versione originale francese Sept femmes/Sette donne è diventato anche uno spettacolo, messo in scena a pochi mesi dalla prima uscita in Francia, per l’8 marzo del 2014, da lan Morane con l’adattamento di Nadine Eghels, presso la Casa della Poesia di Parigi”

Lydie Salvayre nasce nel 1948 a Autanville (centro-valle della Loira) da genitori spagnoli rifugiati, sfuggiti al franchismo durante la guerra civile. Studia lettere moderne all’Università di Tolosa e si laurea anche in medicina: ha esercitato la professione dello psichiatra prima di dedicarsi integralmente alla scrittura. Ha esordito nel 1990 con il romanzo La Dichiarazione, salutato dalla critica e insignito del Premio Hermès. Di lì ha pubblicato una quindicina di romanzi, che gli sono valsi svariati e importanti riconoscimenti, come Il Premio Novembre, il Premio Billetdoux e il Prix Goncourt. Le sue opere sono tradotte in una ventina di lingue. In Francia è edita da illustri editori quali Le Seuil, Juillard e Verticales. In Italia, alcune sue opere sono state pubblicate da Bébert, Bollati e Boringheri, Feltrinelli, Guanda, L’Asino d’oro. Dal 2023, se ne occupa Prehistorica Editore.

Daniele D’Ippolito “Mi chiamo Daniele”

DANIELE D’IPPOLITO VINCITORE DEL BANDO SIAE 2024

Armando

 in libreria il 29 agosto 2025

Con il sostegno del MiC e di SIAE, nell’ambito del programma “Per Chi Crea” 

Mi Chiamo Daniele è un romanzo AUTOBIOGRAFICO e di FORMAZIONE. Daniele è un ragazzo la cui vita viene travolta da un tumore cerebrale. Il romanzo è strutturato lungo due linee temporali che s’intrecciano tra loro: la prima narra il periodo della scuola media, momento in cui la spensieratezza è protagonista delle giornate e dove si presenta una nuova AMICIZIA che matura con il tempo; la seconda narra il periodo di degenza in ospedale, i rapporti umani all’interno di esso, la sofferenza patita a causa della lontananza dal mondo reale, osservabile solo attraverso i ricordi e una finestra. L’ESPERIENZA IN OSPEDALE AIUTA DANIELE A MATURARE, a compiere una crescita personale, ma ciò gli costa diverse sofferenze come la malattia, il sentirsi diversi una volta uscito dalle mura ospedaliere e una delusione che lo segna per sempre. Il tema del romanzo si concentra sulla speranza per due aspetti: la RICONQUISTA DELLA PROPRIA IDENTITÀ e della propria vita e l’attesa per il ritorno del suo amico delle medie che lo ha abbandonato in ospedale.

Quando la gente mi vede, non vede. Il passato si nasconde dietro le cicatrici, timoroso di presentarsi. Posso solo dirvi che è piuttosto disordinato nella mia testa, viste le cianfrusaglie da risistemare nella mia cronologia. Tra gli scaffali della memoria sono poste emozioni contrastanti, sostenute da delusioni e pentimenti, ma anche da semplici sorrisi rimasti impolverati e lasciati là, per estetica, in quella piccola libreria. Sono bene accorto di quanto Dio si sia divertito a fare da burattinaio con la mia anima, tagliando quei fili che controllavano il mio destino e rischiando di gettarmi in un burrone. Nonostante ciò, mi ritengo il più fortunato tra gli innumerevoli sfortunati, viste le vittorie conquistate: questo è ciò che mi ripeto sempre nella mente, continuando imperterrito a sostenere questa teoria. In particolare, un frammento della mia vita si è danneggiato, alterando irreversibilmente il futuro. Così, in un giorno autunnale, quando le foglie affrontavano la morte con peripezia gettandosi dalle elevate altezze dei rami, provai a raccogliere i miei ricordi e a mischiarli in quel vuoto bianco appartenente ad un foglio preso come bozza. Dopo molteplici tentativi di scrittura, la mia vita, per quanto ancora piccola ma ricca di esperienze, seguiva finalmente la sua logica. (Dall’introduzione dell’autore)

DANIELE D’IPPOLITO è nato il 20 febbraio 2004 a Roma. All’età di quattordici anni viene ricoverato presso l’ospedale pediatrico Bambino Gesù per via di un tumore cerebrale e a distanza di sei anni avverte l’urgenza di raccontare la propria storia. Oggi studia Lettere Moderne all’università di Roma Tre.

Parnian Kasae “Seta, figlia dell’Iran”, Mursia

«La paura è rimanere nella prigione dell’oscurità, mentre la speranza è affrontare il mondo con tutte le sue incertezze e le sue sfide, uscire dal buio per tendere alla salvezza. Osando e rischiando. Buttandosi, a volte con un po’ di follia.»
«Ci ho messo una vita per trovare il mio posto.»
«Sfogo la mia frustrazione nella scrittura. Ho un dolore e non voglio sprecarlo. Questo dolore per me è sacro, è un’opportunità per dimostrare a me stessa che ce la posso fare.»

Mursia

Prefazione di Gian Domenico Mazzocato

In libreria dall’8 agosto

Parnian Kasae, ingegnera iraniana, donna in fuga e in lotta, ricostruisce con lucidità e profondità in questo romanzo autobiografico il senso della propria esistenza tra dolore fisico, spaesamento culturale e resistenza interiore. 
Dalla Rivoluzione islamica all’esilio, dalla guerra alla nostalgia, dalla Malesia all’Italia, passando per un mosaico — reale e simbolico — che unisce civiltà lontane, Parnian racconta una storia fatta di silenzi forzati, radici profonde e lotte quotidiane. Il filo conduttore? Una domanda urgente: può il dolore trasformarsi in significato? Una testimonianza intensa e toccante sulla diaspora iraniana, sulla condizione femminile, sulla forza di rialzarsi anche quando la vita sembra inchiodarti al suolo.

Dalla prefazione:
«È denso e dolorante il romanzo di Parnian Kasae, iraniana, fatta inquieta e vagabonda dalle vicende del suo paese. Come appartenersi, come resistere alla incessante, metodica distruzione della propria identità di persona? Come continuare ad essere donna e non fantasma? Una società in cui crescevi imparando come auto-censurarti nel dire, fare, vestire, pensare e credere. Fra le quattro mura di casa eri tu, credente o ateo, omosessuale o etero, progressista, conservatore o antirivoluzionario, ti vestivi, mangiavi e bevevi come ti pareva. Poi però, prima di mettere piedi fuori, ti dovevi mascherare negando te stesso. Assumevi un’identità surrogata. Si prova ad evadere, ci si nutre di cultura “aliena” (tra gli altri gli amati italiani Italo Calvino, Umberto Eco, Oriana Fallaci ma anche i testi di Franco Battiato), si diventa cittadini del mondo. Ma il dolore del distacco, del cordone ombelicale irreparabilmente reciso è lì, incombente e invalidante. Un dolore che uccide. Parnian, dimidiata tra la propria tradizione e le culture che cerca di assimilare. Prendemmo anche noi un albero e lo addobbammo. Lontani dalla nostra terra e le nostre tradizioni, almeno così ci impegnavamo a far parte di una società anziché esserne tagliati fuori. Lo stesso giorno festeggiammo anche il compleanno di Magid.»

Parnian Kasae (Teheran  1977) è laureata in Ingegneria Biomedica a Teheran. Dopo un master in Simulazione a Trieste si è dottorata in Fisica a Siena. Oggi vive a San Donà di Piave in provincia di Venezia, dove si dedica alla sua passione per l’arte e la letteratura. Seta, figlia dell’Iran è il suo primo romanzo.

Salvatore Sarno “SHOSHOLOZA. Un Comandante in Coppa America”, Mursia

Introduzione di Giuliano Luzzatto

Mursia

In questa intensa autobiografia, il Comandante Salvatore Sarno rivela la trama della sua vita, andando oltre l’impresa che lo ha reso celebre nella vela mondiale, la prima sfida africana alla Coppa America, con Shosholoza di cui è stato ideatore, e guida. In occasione della 32ma Coppa America a Valencia, aveva portato un Sudafrica, da poco uscito dall’apartheid e finalmente aperto al mondo, a regatare nel più antico trofeo sportivo con un equipaggio multietnico di giovani sudafricani sotto la guida sua e l’aiuto di due noti velisti italiani, Paolo Cian e Tommaso Chieffi. Poiché la Coppa America, giunta alla 37ma edizione, si svolgerà quest’anno a Barcellona a partire dal 22 agosto e tanti italiani la seguiranno come di consueto fin dai tempi di Azzurra, nel 1983, ecco che questo racconto torna oggi più attuale che mai.

Sarno ripercorre una vita avventurosa fatta di grandi fatiche e di altrettanto grandi soddisfazioni, fino a raggiungere l’apice della carriera professionale, che lo porta a guidare la MSC Mediterranean Shipping in Sudafrica. Qui, con la MSC, aiuta i giovani a sfuggire a situazioni difficili, e qui segue da subito le idee innovatrici di personaggi che appartengono alla storia stessa dell’umanità, quali i premi Nobel Nelson Mandela e l’arcivescovo Desmond Tutu. Il Team Shosholoza emerge come il punto culminante di una vita dedicata al lavoro, all’amore per il mare e la vela ma soprattutto alla generosità, delineando il profilo di un uomo straordinario.

Dichiara l’Autore: 

«Shosholoza è la realizzazione di un sogno, il sogno di tanti giovani che cercano un avvenire migliore. Il sogno di Nelson Mandela di sconfiggere il razzismo e vedere il suo paese unito con neri, bianchi, colorati e indiani lavorare in armonia. Shosholoza è anche un canto, poi diventato inno che invita al lavoro di squadra. La parola “Shosholoza” significa, procediamo, andiamo avanti ed il ritornello ripete: tiriamo e spingiamo insieme, sotto il sole e sotto la pioggia, tiriamo e spingiamo come se fossimo una sola persona.»

Dall’introduzione di Giuliano Luzzatto: 

«Il libro che avete tra le mani è l’autobiografia appassionata di un comandante di marina, un uomo di mare che si e fatto da sé, con perseveranza e dedizione al lavoro, alla famiglia e ai meno fortunati, animato da una sconfinata passione per il Grande Blu. Nato in Campania, Salvatore Sarno non è però figlio della rinomata marineria di Sorrento o Torre del Greco. Nasce nell’entroterra, in una frazione di Nocera Inferiore dove, per riuscire a vedere un piccolo triangolo di mare e sognare le sue avventure, si deve arrampicare sulle rovine del castello, eretto sulla collina che sovrasta il paese. Il libro si apre con il nostro autore-protagonista in aeroporto, in attesa di un volo che lo riporterà a casa, in quel Sudafrica dove i casi della vita e le sue abilità professionali lo hanno portato, dove ha fatto fortuna e dove si sente, appunto, a casa. Il giorno precedente si era conclusa in Spagna, a Valencia, l’impresa più importante della sua vita: la prima – e sinora unica – partecipazione di un team del continente africano alla Coppa America di vela. Con Shosholoza, il Comandante Sarno ha scritto una pagina indimenticabile del trofeo sportivo più antico del mondo ma, più importante ancora, del nuovo Sudafrica post apartheid. Pur avendo conquistato un meritato successo, si ricorda ogni giorno delle sue origini, delle difficoltà incontrate nella vita e di quanto tante persone, la maggior parte, fatichino quotidianamente. Ho conosciuto il Comandante Sarno in occasione della 32a America’s Cup. Mi hanno sempre appassionato le biografie degli uomini di successo, trovo infatti che da queste persone ci sia sempre da imparare, gli aneddoti possono spesso essere letti andando oltre al fatto in sé, in quanto rivelatori di un approccio alla vita che può essere di stimolo, ispirazione e crescita personale

Salvatore Sarno, (Nocera Inferiore, 1946) ha contribuito allo sviluppo della MSC Mediterranean Shipping Company. Trasferitosi in Sudafrica durante l’apartheid, ha creato una fondazione per aiutare i giovani neri a imparare un mestiere marittimo, per cui è stato nominato Cavaliere della Repubblica Italiana. Ha sponsorizzato tre partecipazioni olimpiche di un velista sudafricano e ha guidato il Team Shosholoza nella 32ma Coppa America, ottenendo un grande successo mediatico. Oggi vive a Durban, dirige la MSC in Sudafrica, continua a lavorare con la Marina Militare Sudafricana e la sua Fondazione Izivunguvungu alla quale andranno i proventi dei diritti d’autore del libro.

Il libro verrà presentato in anteprima nazionale presso La Libreria del Mare di Milano mercoledì 26 giugno alle ore 19,00 

Gianni Bonini “Primavera di bellezza. Un’autobiografia non autorizzata”, presentazione di Salvina Pizzuoli

Samizdat Edizioni

Molte sono le concomitanze determinanti nella vita di ciascuno di noi: il nucleo familiare, includendo la sfera delle conoscenze e frequentazioni costanti, amici e parentado, con gli affetti e le emozioni ad essa connessi; gli incontri fortuiti; le scelte operate in itinere, spesso istintive o comunque non sempre legate ad analisi approfondite; il tutto gioca, si organizza, risente di uno sfondo, legato al periodo storico, alle vicende, vicine e lontane, alle esperienze che ciscuno sperimenta, conduce e interpreta a proprio modo.

Questa premessa al testo di Gianni Bonini, “battezzato da vero fiorentino nel bel San Giovanni. Gianni, non Giovanni”,  ha un senso ben preciso: ripercorrere come lettore le pagine autobiografiche è un ricordare o conoscere, interpretare, analizzare, capire una trance de vie, cogliendola in un contesto, come fa l’autore che la inquadra sullo sfondo della situazione storica, non solo da protagonista ma anche da analista e studioso di geopolitica, e lo fa benissimo.

Tra gli anni ’50 e gli anni ’80, la sua autobiografia infatti è articolata come in due parti:  i ricordi dell’età “spensierata”, tra gli affetti e le emozioni ad essi legate, e i ricordi di un’età più matura, entrambe ben contestualizzate e circostanziate in ambito artistico, socio-economico-politico e culturale in senso ampio e completo. I due periodi decisamente diversi per la storia che li ha caratterizzati: dall’Italietta del dopoguerra e della ricostruzione, dal paese del cambiamento, alla caduta delle illusioni, periodo che prelude, anche se senza precise sintomatologie evidenti, a quanto accaduto dopo i fatidici anni Ottanta.

“Voglio lasciare traccia di un mondo reale che non è quello delle stereotipe liturgie di regime. Il secolo lungo e sanguinoso, il Novecento, che ha permesso l’accesso alla Storia di grandi masse proletarie, nel senso latino del termine […]”

“La mia non è stata la meglio gioventù, ma una generazione che la Ricostruzione uscita dalla guerra civile europea preparava a fare la classe dirigente, eredi di donne e uomini che erano sopravvissuti al disastro, capaci di amore, innervati da dottrine sociali centrate sull’Uomo”.

Un testo che racconta un periodo di grande fermento economico, di progettazione di una società nuova, di ricerca e impegno e di sperimentazione in tutti gli ambiti dal produttivo a quello artistico, scientifico, sociale, politico con grandi spinte innovative della nostra società che ha, e non poteva essere altrimenti, influito sulle scelte, su tutto quel vivere per vivere che caratterizza l’età giovanile, quella che in termini sintetici possiamo definire la nostra “primavera”.

Gianni Bonini (Firenze 1950) studioso di geopolitica, è stato uno dei costituenti fiorentini del Manifesto spostandosi successivamente nell’area socialista. Poi Presidente della Fiorentinagas e vicepresidente del CIHEAM (Centre International de Hautes Ètudes Agronomiques Méditerranéennes), è autore di molti articoli e saggi.

L’Ora blu, in Viale dei Mille 27r a Firenze , è la libreria in cui è possibile acquistare il libro

Dello stesso autore su tuttatoscanalibri

Paesaggi mediterranei. Dove la geografia provoca la storia”

“Il Mediterraneo nuovo”

Patricia Highsmith “Diari e taccuini. 1941 – 1995”

a cura di Anna von Planta

Per cinquant’anni Patricia Highsmith ha raccontato la sua vita turbolenta nei diari e taccuini: un’autobiografia irrituale e fedelissima, la cronaca della ribellione di una donna contro le convenzioni, e del percorso luminoso di una scrittrice verso l’olimpo della letteratura.*

Diari e taccuini 1941 – 1995 raccoglie in volume, con la traduzione di Viola Di Grado per La nave di Teseo, quanto la scrittrice americana Patricia Highsmith ha annotato nel lungo periodo cui si riferiscono.

In questo volume ponderoso, ben 1104 pagine, Anna von Planta, l’editor che per molti anni ha affiancato la scrittrice, ha organizzato il contenuto dei 56 quaderni in cui Patricia Highsmith aveva appuntato momenti del quotidiano, riflessioni e idee, quaderni scoperti casualmente dalla von Planta dentro un armadio nella casa in svizzera della scrittrice, subito dopo la sua morte nel 1995. L’autrice raggiunse la notorietà con la serie che ha per protagonista Tom Ripley e anche per i film tratti, L’amico americano di W. Wenders del 1977 e quello di A. Minghella Il talento di Mr. Ripley del 1999, che la consacrarono maestra nel creare suspense e nel genere mistery. Proprio nei suoi appunti si scopre che il personaggio inquietante di Ripley è nato in Italia durante uno dei numerosi viaggi compiuti in Europa, e precisamente a Positano.

Negli ultimi anni aveva nei suoi scritti affronta tematiche sull’angoscia nel mondo contemporaneo, sull’identità di genere e la complessità dei rapporti umani e delle scelte ad essi legate (come già in Carol del 1952) trattate nel suo ultimo romanzo Idilli d’estate (tradotto in italiano nel 1998).

“A partire dagli anni giovanili al Barnard College, nel 1941, Patricia Highsmith tiene costantemente un diario delle sue giornate, e appunta su numerosi taccuini idee e spunti per le sue storie. Questo volume organizza e presenta per la prima volta questi testi, preziosi per cogliere l’intreccio fatale tra la vita privata dell’autrice e il suo immaginario letterario” ( da La nave di Teseo)

e anche

Brevi note biografiche

Patricia Highsmith è nata a Fort Worth, in Texas, nel 1921; ha trascorso la maggior parte della sua vita in Francia e Svizzera, dove è morta nel 1995. Nel 1955 compare il suo personaggio più famoso, Tom Ripley, protagonista della fortunata serie – Il talento di Mr. RipleyIl sepolto vivoL’amico americanoIl ragazzo di Tom Ripley e Ripley sott’acqua – che ha ispirato grandi registi, da Wim Wenders (L’amico americano) a Anthony Minghella (Il talento di Mr. Ripley) a Liliana Cavani (Il gioco di Ripley). Nel 1963 Patricia Highsmith si trasferisce definitivamente in Europa, dove da sempre i suoi libri ricevono un’accoglienza entusiasta. Tra i suoi romanzi e le sue raccolte di racconti, ricordiamo Vicolo ciecoAcque profondeGioco per la vitaQuella dolce folliaIl grido della civettaUrla d’amorePiccoli racconti di misoginiaDelitti bestialiIl diario di EdithLa follia delle sirene. Dal romanzo Carol è stato tratto il film di Todd Haynes con Cate Blanchett e Rooney Mara, mentre da Acque profonde Adrian Lyne ha tratto un film con Ben Affleck e Ana de Armas. Tutta la sua opera è in corso di pubblicazione in una nuova edizione presso La nave di Teseo.

*Da La nave di Teseo

Raymond Loewy “Non accontentarsi mai”, I Quaderni di Mare Verticale

 L’autobiografia di Raymond Loewy, il designer più famoso del mondo

introduzione di Luciano Galimberti

pagine 450, prezzo 28 euro, con fotografie e immagini di R.L.

Edizioni Mare Verticale

Questa è l’autobiografia, inedita in Italia, di Raymond Loewy (1893- 1986), indiscusso Maestro e fondatore del moderno Design Industriale. Uomo geniale, e visionario, nato in Francia ed emigrato in USA nel 1919, è apparso sulla copertina del Time nel 1949 e nel 1990 è stato selezionato dalla rivista Life come uno dei cento americani più importanti del XX Secolo. A Raymond Loewy dobbiamo il disegno del pacchetto Lucky Strike, del dispenser della Coca Cola, della conchiglia Shell, dei marchi petroliferi BP ed Exxon, della stazione spaziale Saturn Five, dell’aereo Air Force One di JF Kennedy, della Lancia Flaminia Loraymo, di gigantesche locomotive, di mobili e arredi, del celebre Frigidaire e del famoso rasoio PhiliShave. La sua fama lo porta a fare di sé stesso un’icona, tanto che compare nella pubblicità della Olin cellophan, raffigurante lo stesso Loewy in primo piano con in mano il prodotto pubblicizzato, accompagnato dal payoff “La scelta del packaging può cambiare l’andamento del business”.  Loewy, oltre ad aver disegnato numerosissimi prodotti industriali divenuti iconici, con il suo intervento grafico e comunicativo è stato capace di rinnovare l’identità visiva dei brand per cui ha lavorato, inserendosi e inserendoli perfettamente nel contesto del mercato mondiale.

Scrive Luciano Galimberti, Presidente di ADI Associazione per il Disegno Industriale, nell’introduzione al libro: 

«La figura di Raymond Loewy, universalmente nota a chi pratica il design e la comunicazione, oggi è un mito: indiscutibile per la sua qualità, legata a un’immagine simbolica – quella della semplificazione delle forme arrotondate – che è l’esplicita evocazione di un modernismo pragmatico e comunica il prodotto attraverso il suo aspetto gradevole, originale e suggestivo. La concezione della forma di Loewy elabora l’idea futurista della velocità espressa tramite le linee del disegno e la applica concretamente alla realtà industriale americana degli anni Cinquanta, e di lì alla produzione di tutto il mondo […] La riproposta in edizione italiana dell’autobiografia di Loewy si rivela utile a illuminare un aspetto esemplare, che solo oggi riusciamo a comprendere in tutta la sua portata: la rivoluzione di un metodo di lavoro».

Raymond Loewy è nato a Parigi, 5 novembre 1893. Nei suoi 92 anni di vita ha portato un pizzico di glamour francese nel mondo del design industriale negli Stati Uniti. Elegante, energico e autodidatta è considerato il designer più famoso del mondo. Ha progettato di tutto: dagli aeroplani agli elettrodomestici, viaggiando tra Stati Uniti ed Europa sviluppando idee creative. Le sue creazioni più famose includono il pacchetto di sigarette Lucky Strike (rimasto praticamente invariato dopo più di mezzo secolo) le locomotive GG1 e S1, la bottiglia di CocaCola, il francobollo commemorativo John F. Kennedy. Nel 1971, dopo più di quattro anni impiegati a realizzarla, la celebre conchiglia della Shell diventata il logo ufficiale dell’azienda. L’autobus e il logo Greyhound, il logo Exxon, una linea di frigoriferi e di congelatori Frigidaire, pentole, l’ex logo di BP, una linea di distributori Coca Cola, le navi della Panama Line,  SS Ancon, SS Cristobal e SS e  Panama, sono tutte creazioni del genio di R.L.  In particolare, per le sue attività di progettazione nel campo delle auto, con modelli come la Studebaker Avanti e la Studebaker Golden Hawk, Loewy è stato inserito, nel 1997 nella Automotive Hall of Fame.  

Hope Jahren “Lab Girl. La mia vita tra i segreti delle piante” presentazione

Hope Jahren è una geobiologa americana; il suo saggio – romanzo è una pagina autobiografica dove racconta il suo desiderio di bambina di avere un laboratorio tutto suo per studiare le piante e per imparare a comprenderle: il loro percorso, dal seme all’impianto nel terreno, la lotta contro parassiti e animali, la loro crescita e il grande apparato di foglie con il quale regalano la vita. Sono infatti gli unici organismi che riescono a produrre zuccheri da materia inorganica consentendo così lo sviluppo e il mantenimento degli esseri animali e vegetali, quindi anche dell’uomo che, come purtroppo non è ancora stato compreso fino in fondo, con i suoi comportamenti può provocare seri danni a questi organismi perfetti. Un saggio romanzo in cui il lettore potrà trovare non solo lo spirito e la passione che hanno animato la vita della ricercatrice ma anche tanti insegnamenti che potranno aiutarlo a comprendere questo mondo vegetale che spesso non conosciamo.

“L’autrice ci accompagna dalla sua infanzia in una piccola città del Minnesota, dove giocava nel laboratorio dell’università gestito da suo padre, fino ai tanti viaggi sul campo, dal Midwest alla Norvegia e all’Irlanda, dai cieli pallidi del Polo Nord alle Hawaii. Le storie raccolte in questo libro – intime, appassionanti e molto divertenti – animano ogni singola pagina e raccontano le intuizioni e il lavoro necessari per scoprire la vita segreta delle piante”(da Codice Edizioni)

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Brevi note biografiche

È una geobiologa americana che si è specializzata a Berkeley, in California. Attualmente insegna all’Università di Oslo. Nel 2016 è stata inserita da “Time Magazine” tra le 100 persone più influenti al mondo. Il suo Lab Girl ha vinto numerosi premi ed è un best seller negli Stati Uniti.(da Codice Edizioni Autori)