Horacio Quiroga “Un amore passato”, presentazione

Con la sua capacità di coinvolgere il lettore nelle vicende quotidiane dei suoi personaggi e di ricreare atmosfere uniche, Horacio Quiroga dà vita a un’opera di grande intensità dalla prosa limpida e struggente (da Orizzonte Milton)

Horacio Quiroga è vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento (nasce a Salto nel 1878), uruguaiano di nascita e argentino di adozione. Autore di racconti e di due romanzi, i primi, scritti tra il 1917 e il 1935, vennero pubblicati in Italia nel 2016 da Einaudi curati da Ernesto Franco: avevano per protagonisti “ex-uomini”, spesso incrocio “di provenienze diverse e di vite possibili, tutte bruciate” così scriveva Franco nella Prefazione, nati dalla sua esperienza nel Chaco e a San Ignacio Misiones, nel rapporto tra uomo e foresta, pezzi di vita che in maniera più o meno biografica e romanzata entrano nei suoi racconti e nei romanzi.
A Misiones, da lui stesso definito il paradiso infernale, condusse un’esistenza quasi leggendaria cercando di strappare terra da coltivare a un territorio selvaggio, costruendo con le proprie mani e la propria capacità inventiva ogni mezzo di sussistenza.
In “Un amore passato”, scritto nel 1929, tradotto in italiano da Carlo Alberto Montalto che ne ha curato la prefazione e la nota biografica,  racconta, su base autobiografica, di un uomo, vedovo da due anni, Maximo Moran, che in seguito al lutto abbandona la campagna per la città, ma per farvi ritorno e riallacciare i legami spezzati dal lutto recente; si riappropria quindi delle terre strappate a una natura indomita, dei paesaggi  e della compagnia dei suoi nuovi vicini ritrovando anche l’amore che pensava di aver perduto: Magdalena ed Alicia lo condurranno in un triangolo amoroso e ad un destino cui non sarà possibile sottrarsi.

Brevi note biografiche

Narratore uruguaiano (Ciudad del Salto 1878 – Misiones 1937), vissuto a lungo in Argentina, dove ebbe rinomanza come novelliere. Scrisse molti racconti dove ambientazioni e personaggi di stampo realistico convivono con elementi fantastici e dove le pagine dedicate alla descrizione della campagna risaltano per la prosa limpida. Fu autore di articoli letterarî sul genere del racconto. Opere principali, oltre a Cuentos de la selva (1918) e Anaconda (1921), il romanzo Historia de un amor turbio (1908) e le raccolte di racconti: El crimen del otro (1904); Los perseguidos (1905); Cuentos de amor, de locura y de muerte (1917); El selvaje (1924); El desierto (1924); Los desterrados (1926); Más allá (1935). Morì suicida (da Treccani)

Voland: novità in libreria dal 14 febbraio

Portofino è la miniatura di un sogno. Un luogo soltanto mentale. Un set messo su da un regista che non dice mai ‘Stop!’.”

Valerio Aiolli Portofino blues

dal 14 febbraioin libreria 

Lunedì 8 gennaio 2001, verso le sette di sera, nel giardino di Villa Altachiara a Portofino, scompariva la contessa Francesca Vacca Agusta, per anni protagonista del jet set italiano e internazionale. Prendeva il via quella sera un’indagine che avrebbe riempito le cronache di giornali e tv per settimane, mesi e anni, senza soluzione né requie neppure quando, una ventina di giorni più tardi, il cadavere venne ritrovato in mare, a pochi metri da una baia in Costa Azzurra. Come e perché cadde dalla rupe la contessa? Chi c’era con lei quella sera? Qualcuno la spinse o si trattò di una fatalità? Ricostruendo come in un puzzle questa vicenda intricata e mai chiarita fino in fondo di amori e disamori, di droghe ed eredità milionarie, di yacht da sogno e flussi di denaro da incubo, che spazia dalla Liguria alla Lombardia, dalla Svizzera alla Tunisia, da Miami ad Acapulco, Valerio Aiolli scrive un romanzo  inquietante come un noir e prova ad afferrare una risposta che sfugge, alternando il punto di vista dei principali personaggi coinvolti, le dichiarazioni rilasciate e gli articoli che hanno coperto la vicenda. In un serrato dentro e fuori da Villa Altachiara, rivive dunque non solo Francesca Vacca Agusta ma anche la storia industriale, politica e di costume del nostro paese.
L’autore VALERIO AIOLLI vive a Firenze dove è nato nel 1961. Ha scritto, tra gli altri, Io e mio fratello (Edizioni e/o 1999, vincitore del Premio Fiesole e candidato al Premio Strega), Fuori tempo (Rizzoli 2004),Il carteggio Bellosguardo (Italo Svevo Edizioni 2017), Radio Magia (minimum fax 2023), A Firenze con Vasco Pratolini (Giulio Perrone Editore 2023). Per Voland ha pubblicato i romanzi Lo stesso vento (2016) e Nero ananas (2019, candidato al Premio Strega).

“Siamo a Kyoto e camminiamo. Non abbiamo bisogno d’altro.”

Amélie Nothomb L’impossibile ritorno 


dal 18 febbraioin libreria 

Amélie Nothomb torna nel paese amato, il Giappone, il luogo della sua infanzia e della disastrosa vergogna come impiegata (vedi Stupore e tremori). Questa volta è in compagnia dell’amica fotografa Pep Beni e durante i dieci giorni di viaggio sperimenta il kensho (una sorta di estasi contemplativa), abbandona lo champagne per i whisky giapponesi, si immerge con una nuova prospettiva nei luoghi della gioventù. E se alcune parole giapponesi sono ormai sbiadite nella memoria, le sensazioni che i suoni, gli odori e la luce le provocano si riaffacciano come se non avesse mai lasciato il Giappone. Questa avventura “à la Thelma & Louise” diventa così un’occasione non solo per elaborare il lutto del padre ma anche per capire la sé stessa di oggi.

L’autrice AMÉLIE NOTHOMB nata a Kobe (Giappone) nel 1967 ha esordito nel 1992 con Igiene dell’assassino e da allora pubblica un libro l’anno scalando ogni volta le classifiche di vendita. Innumerevoli gli adattamenti cinematografici e teatrali ispirati dai suoi romanzi e i premi letterari vinti, tra cui il Grand Prix du roman de l’Académie française e il Prix Internet du Livre per Stupore e tremori, il Prix de Flore per Né di Eva né di Adamo, e due volte il Prix du Jury Jean Giono per Le Catilinarie e Causa di forza maggiore. Con Sete è arrivata seconda al Prix Goncourt 2019, con Primo sangue si è aggiudicata il Prix Renaudot 2021 e il Premio Strega Europeo 2022, e con Psicopompo ha ricevuto il Premio Europeo Rapallo BperBanca 2024 per “la migliore scrittrice europea”. Per l’insieme della sua opera le è stato assegnato il Premio Hemingway per la Letteratura 2023.

Andrea Bajani “L’anniversario”, presentazione

L’anniversario è prima di tutto un romanzo di liberazione, che scardina e smaschera il totalitarismo della famiglia. Ci ferisce con la sua onestà, ci disarma con il suo candore, ci mette a nudo con la sua verità. È lo schiaffo ricevuto appena nati: grazie a quel dolore respiriamo.
(da Feltrinelli Editore)

“Tornerai a trovarci?” mi ha chiesto avanzando verso di me mentre io mi sfilavo da casa.[…] Di fronte a quella domanda, avevo quarantun anni. Ciò significa che erano ventun anni che compivo quel gesto di andarli a trovare con una cadenza che non potrebbe non apparire di routine. Non c’era quindi alcuna ragione per mettere in forse il fatto che, dopo quel giorno, si sarebbe ripetuto ancora e ancora e per sempre. Per di più io ero un figlio e loro le persone che mi avevano dato la vita, il che era condizione sufficiente per non nutrire alcun dubbio.[…] Eppure mia madre la fece, e fu per istinto. Dopo tanti anni passati a sottrarsi, a non esistere né per sé né per i figli, a pulire, servire, obbedire al marito in casa e nel letto, a eseguire il poco o niente che mio padre si aspettava o pretendeva da lei, finì con un gesto da madre. Sentì ciò che dentro suo figlio era già successo senza che lui lo sapesse.
Dieci anni fa, quel giorno, ho visto i miei genitori per l’ultima volta. Da allora ho cambiato numero di telefono, casa, continente, ho tirato su un muro inespugnabile, ho messo un oceano di mezzo. Sono stati i dieci anni migliori della mia vita”.

Pochi stralci dal primo capitolo servono proprio per introdurre quella decisione, dopo ben quarantuno anni, di chiudere con la propria famiglia, di cui è spia il titolo, L’anniversario, perché  è il decennale di quella decisione decisiva, di non sottomettersi più, di non accettare ogni predominio della volontà paterna anche nelle più piccole e insignificanti scelte familiari. Una decisione che il protagonista di fatto non affronta, ma svicola, di fatto si sottrae alla discussione e al contrasto diretto come fa al contrario la sorella maggiore.
Figura centrale del’indagine dell’io protagonista è la madre, come già lo era stata ne Il libro delle case, sebbene in misura minore. Una madre che solo in fondo si mostra diversa perché fino a quel momento è stata come assente, forse volutamente incapace di porre o di porsi come freno e schermo a quanto il padre, come tale, imponeva a lei e a tutti i membri della famiglia e soprattutto a quel figlio maschio che ha vissuto per quarantuno anni, sebbene lontano da casa, quella sudditanza come una vera prigionia.

Andrea Bajani è nato a Roma nel 1975. È autore, fra gli altri, dei romanzi Cordiali saluti (Einaudi 2005), Se consideri le colpe (Einaudi 2007, Feltrinelli UE 2021; premi Super Mondello, Brancati, Recanati e Lo Straniero), Ogni promessa (Einaudi 2010, Feltrinelli UE 2021; premio Bagutta), Mi riconosci (2013), La gentile clientela (2013) e Il libro delle case (2021, finalista al premio Strega e al premio Campiello). È inoltre autore dei volumi di poesie Promemoria (Einaudi 2017), Dimora naturale (Einaudi 2020) e L’amore viene prima (Feltrinelli, 2022). I suoi libri sono tradotti in 17 Paesi. È writer in residence presso la Rice University di Houston, in Texas.(da Feltrinelli Autori)

Dello stesso autore su tuttatoscanalibri

La cinquina dello Strega

I vincitori del premio Viareggio Repaci

Jean Potts “Due brave sorelle”, Edizioni le Assassine

Per la prima volta in italiano, Jean Potts : una casa e due sorelle intrappolate in un incubo. Un thriller che esplora le dinamiche familiari più oscure.

Traduzione di Paola De Camillis Thomas

Prefazione di Letizia Vicidomini

Edizioni le Assassine

Marcia e Lucy sono due sorelle. Vivono con un padre egoista e tirannico, un medico che ha il suo studio al pianterreno di un edificio di New York di proprietà della famiglia. Sebbene non abbiano una vita che si possa dire allegra, hanno però una tranquillità economica data proprio da quella casa, dove sono nate e dove hanno sempre vissuto.
Un tardo pomeriggio si ritrovano a origliare i discorsi del padre, che sta progettando di sposare al più presto Pam, la sua infermiera, mentre il destino delle figlie sembra essere l’ultimo dei suoi pensieri. Marcia e Lucy stanno così per perdere l’unica sicurezza che possiedono: la loro casa. Marcia che ha un lavoro pare più in grado di affrontare la situazione, mentre Lucy, che è sempre rimasta a casa a prendersi cura del padre, sembra ricevere il colpo maggiore. Quasi subito nasce in loro l’idea di commettere un omicidio. Prima pensano di eliminare Pam, ma poi la soluzione più efficiente risulta quella di uccidere il padre. Non c’è tempo. Dopo una serie di goffi progetti, quando alla fine sono pronte per farlo, il piano va a monte, perché il destino interviene a loro favore.
Tutto risolto? No. In un crescendo di ossessioni, stupidi errori, sospetti e paure ingiustificate la storia precipita. Le sorelle si espongono al punto da essere ricattate. Eppure, non hanno ucciso nessuno, hanno solo pensato di farlo.

 Dalla prefazione di Letizia Vicidomini:

«Appena chiuso questo romanzo sono corsa a cercare qualche immagine dell’autrice, per l’esigenza fortissima di darle un volto, dopo essere stata stretta nelle spire della sua scrittura. Come sempre capita non ho trovato nessuna corrispondenza tra la serena normalità e il sorriso tenue di una pacata signora nata in Nebraska nei primi anni del secolo scorso, e l’entomologa impegnata a sezionare come insetti le due protagoniste della storia. Il loro animo, intendo, i moti vorticosi del desiderio che può diventare letale anche quando non soddisfatto. Forse soprattutto in quei casi, in risposta al motto che predica “attento a ciò che desideri, perché potrebbe realizzarsi” e – aggiungo io – questo potrebbe non piacerti. Le due sorelle Marcia e Lucy sono donne già fatte eppure rimaste figlie, incatenate a un padre incombente come un’ombra lunga e solida che le schiaccia al suolo. La Potts mette per primo lui sotto una lente impietosa, attualissima e critica. È un uomo che domina e nello stesso tempo blandisce, un despota (Marcia lo chiama Sua Altezza) che però sbava davanti alle moine di una infermiera giovane e procace. È un affascinante esemplare di insetto maschio con mandibole forti, che spezzano regolarmente i sogni delle figlie. Loro, invece, sono rispettivamente un insipido bruco, che diventerà farfalla a modo suo nell’evolversi della vicenda, e un attraente ragno pavone che danza spavaldo davanti alle sue vittime, però nascondendo una fragilità tacitata solo da drink terapeutici.»

Jean Potts è nata nel 1910 ed è morta nel 1999. Dopo aver lavorato come insegnante e giornalista, si trasferisce dal Nebraska a New York, dove scopre la sua vocazione di scrittrice. Pubblica racconti per diverse riviste, tra cui Collier’s, McCall’s, Cosmopolitan, Redbook, Ellery Queen’s Mystery Magazine, Alfred Hitchcock’s Magazine e Women’s Day. Con un suo romanzo vince il prestigioso Edgard Award nel 1954. Pubblica in tutto 14 romanzi che sono stati tradotti in diverse lingue.  

Fabrizio Guarducci “Il richiamo del sentimento”, Lorenzo de’ Medici Press

Elvira, una studiosa, inizia una complessa ricerca sul movimento religioso dei Catari e sull’attualità del loro messaggio spirituale con l’intento di scrivere un nuovo libro sull’argomento.

La verità nascosta nel cuore dei Catari: un viaggio avventuroso alla scoperta del passato

Lorenzo de’ Medici Press

Il suo percorso procede attraverso la ricerca di importanti testi antichissimi, partendo dalle pagine del trattato gnostico Kephalaia. Tra i molti codici antichi, un raro e dimenticato vangelo gnostico – la Pistis Sophia – in cui Gesù spiega agli apostoli cosa accade all’uomo dopo la morte e che cosa c’è nell’aldilà. 
Elvira decide, quindi, che la prossima inevitabile tappa doveva essere la Francia dove avrebbe trovano archivi imprescindibili per la sua ricerca e studiosi in grado di aiutarla. Aveva infatti sentito parlare di documenti inediti, testimonianze nascoste nei polverosi archivi delle biblioteche e nei manoscritti dimenticati di vecchie abbazie. Ma soprattutto, c’era il misterioso Vangelo di Giovanni l’apostolo, un testo che, se esisteva davvero, poteva gettare nuova luce sulla spiritualità dei Catari. 
Il viaggio di Elvira diventa, al tempo stesso, anche un viaggio dentro se stessa. E sarà un incontro inatteso a trasportarla verso un modo completamente diverso di considerare il sentimento, l’animo umano e la ricerca del vero significato della vita. La sua indagine si trasforma in qualcosa di più profondo e personale, rendendo il suo libro non solo una semplice opera accademica, ma un punto di arrivo per una nuova scoperta del sentimento e della spiritualità.
Elvira si rende conto che la vera ricerca non è solo nei testi antichi, ma anche nel dialogo con se stessa e con il mondo che la circonda.

«Il treno scivolava veloce lungo i binari, e quel movimento regolare le infondeva una calma inattesa. Elvira non aveva fretta. Sapeva che il viaggio sarebbe stato lungo, e questo non la disturbava. Al contrario, la piaceva quel tempo sospeso tra partenza e arrivo, un tempo che le permetteva di ripensare con ordine a tutto ciò che era accaduto nelle ultime settimane. L’incontro con il giovane era stato l’inizio di qualcosa. Non una rottura drammatica con il passato, ma una sorta di disvelamento interiore, come se un velo si fosse sollevato e ciò che giaceva confuso nella sua mente avesse finalmente trovato chiarezza. Non c’era più ansia di arrivare a una risposta definitiva, né bisogno di afferrare qualcosa con forza. C’era solo la quieta consapevolezza che tutto sarebbe venuto da sé, al momento giusto

Fabrizio Guarducci si è formato nella concezione sociale e umana di Giorgio La Pira. Dopo aver vissuto il movimento Underground alla fine degli anni Sessanta negli Stati Uniti e aver conosciuto Guy Debord in Francia, ha aderito convintamente al Situazionismo. Ha fondato il Dipartimento di Antropologia culturale dell’Istituto Internazionale Lorenzo de’ Medici di Firenze. Ha insegnato Mistica, Estetica e Tanatologia, dedicandosi interamente alla ricerca dei linguaggi come strumenti per migliorare l’interiorità dell’individuo e per trasformare in positivo la realtà che ci circonda. È, inoltre, autore cinematografico: Paradigma italiano (premiato al PhilaFilm, 1993), Two days (2003) e Il mio viaggio in Italia (vincitore del Golden Eagle, 2005). Come autore, produttore e regista ha realizzato i film Mare di grano (2018), Una sconosciuta (2021), Anemos (2022) e La partita delle emozioni (2025). Ha pubblicato i saggi La parola ritrovata (2013), Theoria. Il divino oltre il dogma (2020) e i romanzi Il quinto volto (2016), La parola perduta (2019), La sconosciuta (2020), Duetto (2021), Amor (2022), Il villaggio dei cani che cantano (2022), La partita delle emozioni (2023) ed Eclissi (2023, selezione Premio Strega 2024).

Dello stesso autore su tuttatoscanalibri

Fabrizio Guarducci “Eclissi”

Oliviero Arzuffi “Le cose ultime”, Gammarò (Oltre Edizioni)

“Cosa accade oltre la soglia della morte? ‘Le Cose Ultime’ è un romanzo che intreccia la storia personale dell’autore con grandi eventi storici, come la Riforma protestante e l’Olocausto, per interrogarsi sul significato dell’esistenza e sulla possibilità di un aldilà coniugando rigore storico e slancio poetico.”

Introduzione di Roberto Muratore

Gammarò (Oltre Edizioni)

“Le Cose Ultime” è una grande allegoria sull’esistenza umana, espressa sotto forma di romanzo, ma che, nella struttura narrativa, travalica questo stesso genere letterario per farsi visione e profezia.
Il testo parte dalla rievocazione di una vicenda surreale vissuta dall’autore e che fa da filo conduttore a tutta l’opera attraverso l’io narrante: l’improvviso ricovero di Arzuffi in terapia intensiva all’ospedale di Bergamo a causa di una diagnosi, rivelatasi poi sbagliata. Consapevole di essere di fronte ad una morte imminente, l’autore riflette sul significato della sua vita, comparandola con il possibile senso della storia umana, riletta però alla luce di due eventi paradigmatici che hanno caratterizzato la storia dell’occidente: la riforma protestante nella sua versione anglicana e la tragedia dell’Olocausto

La prima delle due “storie nella storia”, ricostruisce, in chiave letteraria, lo stato dell’Inghilterra sotto Enrico VIII con la lacerazione dell’Europa a causa della riforma, iconicamente riassunta dalla vita e dalla morte di Tommaso Moro, che, con il suo lungimirante scritto intitolato “Utopia”, chiude in qualche modo l’evo antico per aprirsi alle novità dell’era moderna. La seconda storia è una fedele trascrizione della passione di Roberto Camerani, sopravvissuto miracolosamente al campo di sterminio di Mauthausen, dove il “male assoluto” è raccontato sia attraverso le sofferenze delle vittime, disumanizzate prima, poi avviate alle camere a gas e vaporizzate infine nei forni crematori, sia mediante la presentazione, senza falsificazioni storiche, dell’ideologia nazista, con le conseguenti atrocità degli aguzzini nei lager, da loro esaltate come auspicabile progetto universale di annientamento di tutto ciò che chiamiamo civiltà. 

La scoperta dell’errore diagnostico suggerisce all’autore l’idea di prefigurarsi un Oltre il confine della morte, capace di dare senso alle cocenti contraddizioni della storia e di fornire motivi di speranza alle attese umane di liberazione definitiva dal male del mondo e di riconciliazione universale. 
Un’aspirazione ad una vita ultraterrena fatta di pace perenne, oggetto ultimamente anche di rigorosa indagine a motivo delle numerose e misteriose esperienze di premorte dichiarate e certificate scientificamente. Quest’ultima parte del romanzo che fa da chiusura all’intera opera, proprio perché fortemente visionaria, è espressa mediante l’uso della poesia che, con la sua capacità di sintesi e di immaginifica evocazione, meglio si presta a rivelare le “cose ultime”, ovvero quelle che stanno più a cuore all’intelletto e sollecitano maggiormente il desiderio umano. 
Il libro, significativamente intitolato “Le cose ultime”, precedentemente più volte pubblicato con il titolo di “Escaton”, e premiato nel 1998 a Stresa per la sua singolarità sia contenutistica che stilistica, poggia su una complessa architettura narrativa che consente più strati di lettura e molteplici interpretazioni, ed è reso scorrevole da un linguaggio incisivo e conciso.

Oliviero Arzuffi è nato e vive in provincia di Bergamo. Ex docente di letteratura italiana, storia e pedagogia speciale, è consulente editoriale presso importanti realtà istituzionali ed editoriali. È autore di libri riguardanti tematiche sociali e storiche quali: Emarginazione A-Z, Piemme, 1991; Don Carlo Gnocchi, Dio è tutto qui, Mondadori, 2005; Poesia della vita , ed. San Paolo, Milano, 2006; Caro Papa Francesco. Lettera di un divorziato , Oltre Edizioni, 2013; Orval , Bolis Edizioni, 2017. È autore anche delle seguenti opere letterarie: Armaghèdon (trilogia drammatica) Milano,1992; Escaton (Premio speciale della giuria allo Stresa del 1998) Ancora, Milano,1998; Aninu, Oltre Edizioni, 2012, La salvezza del papiro, Gammarò, 2024.

Henry James “Il carteggio di Aspern”, Bibliotheka Edizioni

Una grottesca «commedia degli inganni» di sfondo veneziano che vede protagonista un critico americano alla ricerca dell’epistolario di un poeta scomparso, custodito gelosamente da una misteriosa donna che vive reclusa in un antico palazzo della città.

SPOSARE UNA VECCHIA SIGNORA PER APPROPRIARSI DELLE LETTERE DI UN POETA DEFUNTO,IL DUBBIO DI HENRY JAMES NEL “CARTEGGIO ASPERN”,  CHE HA ISPIRATO UNA COMMEDIA TELEVISIVA E DIVERSI FILM

Traduzione di Eugenio Giovannetti

Nota di lettura di Boris Sollazzo

Bibliotheka

In libreria dal 7 febbraio

“E fuori di dubbio che un prezzo simile non potevo pagarlo. Non potevo accettare la proposta. Non potevo per un fascio di vecchie carte sposare una vecchia ridicola, patetica, provinciale”.

Tra i romanzi brevi più noti e acclamati di Henry James (1843 – 1916), prolifico scrittore statunitense naturalizzato britannico, Il carteggio Aspern narra i tentativi di un critico letterario americano per impadronirsi di una raccolta di documenti, in gran parte lettere, del defunto poeta suo connazionale Jeffrey Aspern, considerato il migliore di tutti i tempi. Motivato dall’inestimabile valore del carteggio e determinato a qualunque cosa pur di ritrovarlo, scopre che la donna amata dal poeta, Juliana Bordereau, è ancora viva, anche se ultranovantenne, e vive con una nipote di mezza età in uno spettrale palazzo in rovina di Venezia, città amatissima da James e ambientazione ideale del romanzo.

James ne Il carteggio Aspern ci mette la noia e gli indifferenti moraviani nel tracciare una borghesia inetta e velleitaria, ci mette Stoner di Williams nel tratteggiare un mediocre che si crede geniale (e viceversa) e lo fa decenni prima di loro. Nei repentini cambi di tono e direzione, poi, dopo lunghe dissertazioni e oziosi ma arguti dialoghi, scorgi le ironie tragiche di Dostoevskij, perché l’idiota, utile e intelligentissimo ma anche miserrimo (a volte non solo) umanamente è sempre chi scrive, o comunque parla in prima persona. 
(dalla nota di lettura di Boris Sollazzo).

Interessato al conflitto morale, alle scelte degli individui e alla contrapposizione tra il vecchio mondo europeo e il nuovo mondo americano, Henry James ha ispirato con le sue opere molti film, affascinando, in particolare, il regista James Ivory. Il carteggio Aspern ha dato spunto a una commedia, trasposta in Tv dalla Rai negli anni Settanta, e diversi film, tra cui The Aspern Papers, diretto da Julien Landais, con Jonathan Rhys Meyers, Vanessa Redgrave e Joely Richardson (2018).

La nota di lettura al romanzo è affidata a Boris Sollazzo, critico cinematografico e televisivo, direttore del Linea D’Ombra Festival di Salerno e del Cerveteri Film Festival. 

Gianfranco Tondini “Nella spirale di Fermat”, Fernandel Editore

Come i rami di una spirale,le vite dei protagonisti  si intrecciano e si separano. 
In un gioco di specchi e illusioni, dovranno scoprire se l’amore può trionfare sull’odio e sull’arte sul crimine

Fernandel

Immaginate un mondo dove l’arte e il crimine si intrecciano in una danza pericolosa, proprio come i rami della spirale di Fermat che si rincorrono all’infinito.


Al centro di questo vortice troviamo Wainer e Sara, due anime un tempo unite e ora separate da una crudele malattia e dai capricci del destino. Wainer è un gallerista di provincia che si trova sull’orlo del baratro finanziario. Disperato e con le spalle al muro, si avventura nel torbido universo delle contraffazioni, arrivando paradossalmente a falsificare un’opera autentica. Nel frattempo, a Lione, Sara combatte la sua battaglia personale. Divisa tra un ruolo di prestigio all’Unesco e la lotta contro la sua malattia, si dedica anima e corpo al lavoro. Ma il destino ha in serbo per lei una sfida inaspettata: gestire le conseguenze del furto di un Rembrandt, un compito che la trascinerà in un vortice di intrighi e pericoli.
Nella spirale di Fermat” è un thriller che fonde azione e mistero nel mondo dell’arte contemporanea e che conduce il lettore in un labirinto di passioni, crimini e segreti. Ma è anche una storia di perdita e di amore. Wainer e Sara, ora distanti, lottano ciascuno con la propria solitudine, ricordandoci che anche nelle spirali più complesse della vita il cuore continua a battere, cercando una via per ricongiungersi.

INCIPIT. 

Era andato tutto a rotoli in due secondi. Wainer stava cucinando delle uova fritte, il perfetto pasto dei solitari, quando come niente il telegiornale aveva esploso la notizia: è morto il celebre artista Reinhard Bohrst. Trattenendo il fiato si spostò di fronte allo schermo, dove incalzata dal vento la corrispondente da Vienna esponeva con tono energico il necrologio, cui seguiva una dichiarazione contrita del ministro della Cultura austriaco: ha arricchito il mondo, il mondo lo piange. Wainer sedette davanti al piatto vuoto e un orecchio gli si chiuse sibilando. Per qualche attimo sentì solo le pulsazioni accelerate che martellavano il timpano, più forti del trillo che cominciò a levarsi dal telefono e che ignorò. Era morto Reinhard Bohrst. Morte improvvisa, aveva detto la TV. Com’era possibile? Era abbastanza vecchio perché potesse succedere, questo sì, certo, sarebbe morto prima o poi, è ovvio, come chiunque, ma lui era Zeus, era in piena forma, non era nei pensieri di nessuno che potesse morire, com’era possibile? La padella sfrigolava sul fuoco. Wainer aveva le narici spalancate dal fiatone. Che fosse morto proprio adesso era per lui una sfortuna efferata e una catastrofe. Non che ne soffrisse umanamente, non ne aveva motivo, non era quello, ne soffriva come un giocatore che aveva puntato tutto ciò che possedeva in una mano e aveva perso.

Gianfranco Tondini dagli anni Ottanta ha lavorato come attore, regista e autore in teatro e in televisione. Negli ultimi anni è entrato in confidenza col mondo dell’arte contemporanea. Vive a Ravenna. Nella spirale di Fermat è il suo primo romanzo.

Pietro Grossi “Qualcuno di noi”, presentazione

[…]Qualcuno di noi è l’opera matura di uno dei più grandi scrittori italiani, finalmente davanti alla cruciale occasione di visitare se stesso e di accompagnarci tutti dentro un abisso in cui si gioca senza regole, sul ciglio del nonsenso.(da Libri Mondadori)

Dopo sette anni l’autore di Pugni ritorna in libreria con un romanzo che potrebbe essere etichettato come autobiografia letteraria anche se, come l’autore sottolinea nella sua recente intervista di Caterina Soffici (tuttolibri çLa Stampa sabato 18 gennaio 2025), “È un romanzo a tutti gli effetti” anche se, occorre aggiungere, corale, fatto da tanti “io” e quindi “noi”, tanto che non viene adoperata la prima persona, ma un noi narrante. A tale proposito, interessante e opportuna la domanda della Soffici:
“Perché la scelta inusuale della prima persona plurale, quel “noi” fatto di voci diverse che litigano come una ciurma a bordo di una nave?”

Con una risposta a sua volta chiarificatrice

“È stata la piccola epifania della stesura di questo libro. Erano talmente tanti i picchi e i punti oscuri della mia storia che ho scelto di investigare la vita nascosta del personaggio che conoscevo meglio, cioè io. Quello che volevo fare era circoscrivere una caratteristica della mente umana, ovvero le moltitudini interiori. E l’ho capito leggendo Il lupo nella steppa, dove la vita di Harry è composta da cento, mille poli, come quella di tutti gli uomini”.

Cosa deve quindi aspettarsi il lettore, ci chiediamo?: per rispondere riutilizziamo quanto l’intervistatrice sottolinea nella premessa all’intervista medesima “un romanzo-mondo che contiene anche pezzi delle vite di ciascuno di noi, o almeno chi di noi si ritiene un essere imperfetto alla ricerca di un luogo dove approdare”.
Dopo sette anni di silenzio, dopo il successo di Pugni con cui entrò a far parte della cinquina dello Strega nel lontano 2006, e dopo l’ultima opera editata nel 2018, lo scrittore riassume in poche righe il percorso fino a questo romanzo di approdo: “I primi due anni li ho passati ad allineare e riscrivere cose scritte nei quindici precedenti che a un tratto mi sono reso conto avevano a che fare con lo stesso tema e la stessa storia, la mia. Erano 750 pagine, con Alberto Rollo ci abbiamo lavorato parecchio per arrivare alla forma attuale”.

Pietro Grossi – Scrittore italiano (n. Firenze 1978). Ha frequentato la scuola Holden, e ha esordito nella letteratura nel 2000 con Touché. Ha poi vissuto per un anno a New York, dove ha lavorato per una società di produzioni cinematografiche. Tornato in Italia per alcuni anni ha tra l’altro collaborato con case editrici e con un’agenzia di pubblicità. Del 2006 è Pugni, finalista del Premio Viareggio e dello Strega e vincitore di alcuni premi letterari, tra cui il Premio Pietro Chiara. Tra gli altri scritti pubblicati si ricordano: L’acchito (2007), Martini (2010), Incanto (2011), L’uomo nell’armadio (2015), Il passaggio (2016), Orrore (2018) e Qualcuno di noi (2025).(da Treccani)

Alessia Gazzola “Miss Bee. Il principe d’inverno”, presentazione

Longanesi

Il cadavere in biblioteca,  uscito a novembre, è stato già seguito dal Il principe d’inverno, a marzo è previsto il terzo Il fantasma dell’ambasciata.

Ambientati nella Gran Bretagna tra le due guerre hanno per  protagonista la giovana Beatrice, secondogenita del docente di italianistica all’Università di Londra, Leonida Bernabò. Trasferitisi da Firenze vivono a Queen’s Gate dove presto Beatrice, detta miss Bee, farà amicizia con la vicina di casa, Minerva Ashbury, vedova e madre dell’affascinante Kit, studente a Oxford,.
In questa nuova avventura, la giovane viene  invitata per Natale ad Alconbury Hall, residenza di campagna dei Lennox, in qualità di segretaria di Lady Millicent Carmichael, che vuole scrivere le sue scandalose memorie, da dattare alla facente funzione di segretaria, la giovane Bee. Ricompare quindi l’aristocratico  e affascinante Julian Lennox, undicesimo visconte di Warthmore,  lo scontroso Blackburn ispettore capo a Scotland Yard, ed  Alexander, cugino di Julian con ascenden­ze russe, bello ma dall’aria cupa, un vero principe d’inverno. Ma la gioiosa atmosfera natalizia, con il paesaggio invernale della campagna inglese che ne esalta la suggestiva magia, rischia di essere rovinato dalla tensione tra gli ospiti e da un’accusa di furto: ma è soltanto l’inizio e la nostra protagonista, combina pasticci sentimentali  ma capace di indagare e  risolvere delittuosi intrighi, sarà chiamata a districarsi in questa nuova situazione.
Ci riuscirà? Lei così leale e coraggiosa, così impulsiva e nello stesso tempo insicura, segnata da quella cicatrice sullo zigomo mascherata dal nuovo taglio alla maschietta:

“[…] stava fissando la cicatrice sulla guancia che Beatrice aveva da quando era bambina, il rattoppo di un chirurgo che aveva bisogno di fare ancora un po’ di pratica. Era finita contro lo stipite di una porta mentre lei e sua sorella Clara giocavano a inseguirsi per tutta la casa e quella cicatrice era il suo punto debole. A volte ne dimenticava l’esistenza, ma alla fine, qualcuno gliela ricordava sempre. In quel caso, Mrs. Wade si stava evidentemente chiedendo: è possibile che ad Alexander interessi una ragazza con quel brutto solco sul viso?”

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