
“Penso che le donne siano utili non in quanto donne, ma perché il nostro sguardo marginale ci ha consentito di elaborare un pensiero laterale che è quello che serve oggi. Non dobbiamo rifare il mondo, ma sistemarlo. Sono le donne a muoversi con figli, con gli anziani, con le valigie, con la pancia da incinte. Per questo conoscono meglio i difetti delle città.[…]”(Dall’Intervista di Caterina Soffici, La stampa 24 agosto 2024)
Elena Granata è docente di Urbanistica presso il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano e vicepresidente della Scuola di Economia Civile. Si occupa di città, di ambiente e di cambiamenti sociali e ha pubblicato molti saggi sull’argomento. Intervistata da Caterina Soffici indica al lettore la sua visione della città del futuro in cui ribadisce l’importanza del ruolo delle donne.
La sinossi dal Catalogo Einaudi, così sintetizza il contenuto del saggio che in parte rileviamo e riproponiamo
“[…]hanno osservato da vicino le città – nelle loro pratiche quotidiane – con il distacco che solo chi è escluso dai giochi può avere. Le donne, in forme varie e sempre eclettiche, hanno maturato un pensiero pratico sulla città che oggi non possiamo trascurare e di cui peraltro loro stesse non sono ancora pienamente consapevoli. Oggi che dobbiamo ripensare la relazione tra spazi e vita, tra tempi quotidiani e aspettative di benessere, tra natura e città, la prospettiva da cui guardano il mondo appare cruciale”.
Alla domanda: Lei accusa le città di essere diventate centri commerciali.
Nella risposta l’autrice evidenzia come la privatizzazione dello spazio pubblico per diventare spazio di consumo e dove prevale l’idea di decoro, nel senso che non si deve vedere niente di sgradevole, ha determinato questo cambiamento che vale per tutte le città italiane anche quelle d’arte e cita come esempio diverso quello di Barcellona dove “lo spazio pubblico, il vuoto, la piazza è più importante dello spazio privato.”
E aggiunge cosa si dovrebbe fare per rendere gli spazi pubblici più vivibili. La risposta, come fa notare l’intervistatrice, richiama il progetto di Stefano Mancuso, ovvero “de-pavimentare. Togliere la pietra, l’asfalto e tornare il più possibile allo sterro, ovvero la terra battuta, il prato e le alberature per assorbire l’acqua ed evitare allagamenti, stoccare anidride carbonica e abbassare temperature”.
Ribadisce quindi che la città del futuro non sarà di grattacieli e centri commerciali, ma “i grandi architetti sono quelli che avranno il coraggio di fare gli hospice, le carceri, quelli che si occuperanno della dignità delle persone negli spazi che abitano” e che le donne avranno in questa progettualità un ruolo importante proprio perché ne conoscono meglio i difetti. E aggiuge che il suo prossimo libro sarà dedicato a un tema molto femminile: la sala d’attesa, uno spazio “abitato principalmente dalle donne, che accompagnano all’ospedale, al pronto soccorso, eccetera”.
Brevi note biografiche
Professoressa di Urbanistica presso il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano e vicepresidente della Scuola di Economia Civile. È stata membro dello staff Sherpa, Presidenza del Consiglio dei Ministri, G7/ G20 (2020-21). Si occupa di città, di ambiente e di cambiamenti sociali. Tra i suoi libri: Biodivercity. Città aperte, creative e sostenibili che cambiano il mondo (Giunti 2019) e Ecolove. Perché i nuovi ambientalisti non sanno ancora di esserlo (con F. de Lettera, Edizioni Ambiente 2022). Per Einaudi ha pubblicato Placemaker. Gli inventori dei luoghi che abiteremo (2021) e Il senso delle donne per la città. Curiosità, ingegno, apertura (2023). È cofondatrice di PlanetB.it, gruppo di ricerca sui temi ambientali e sociali.(Da Einaudi Autori)








