Andrea De Carlo “Due di due” recensione di Letizia Tripodi

Le opinioni dei lettori

Non bisogna essere degli esperti per sapere che l’uomo è definito un essere sociale, un individuo cioè che si nutre dei rapporti con i propri simili e che, per quanto questo aspetto possa variare in base a carattere e personalità, a conti fatti ha sempre bisogno di legami affettivi solidi e sicuri. La vita stessa, infatti, è condita dalla presenza dei nostri cari, degli amici, degli amori.
Ed è proprio l’amicizia ad essere uno dei sentimenti più importanti e significativi; potremmo immaginare un’esistenza priva del supporto degli amici e di quella complicità che si viene a creare con essi?
Il romanzo Due di due di Andrea De Carlo si basa su questo intenso legame tra due adolescenti milanesi, nati e cresciuti nella città lombarda, che però non amano affatto ma che anzi vedono come un qualcosa di malvagio che finisce per privare i suoi abitanti della loro vitalità.
Mario e Guido come amici sono insoliti, non potrebbero essere più diversi, tanto da risultare complementari: Mario è introverso, non sa cosa vuole o chi vuole essere, ma non fa molti sforzi per cercare di capirlo né tanto meno prova a crearsi una propria personalità e a conquistare quelli che crede siano i propri sogni, screditati e lasciati nel fondo di un cassetto; Guido invece arde di ambizioni, non raggiunge mai una piena completezza, manca sempre qualcosa al suo animo e questo lo rende inquieto, lo porta a ragionare su tutto ciò che lo circonda. La sua è una sofferenza di vivere, ha “un’espressione di estraneità concentrata”, dice Mario, “uno sguardo da passeggero clandestino”, ruolo che forse svolge all’interno del viaggio della sua vita.
Come già accennato in precedenza, una posizione centrale è occupata dalla città natale dei due ragazzi, ovvero Milano. All’epoca dei fatti essa era in prima fila nel processo di industrializzazione che si andava affermando in tutto il mondo: gli spazi naturali venivano eliminati e al loro posto sorgevano industrie, uffici o enormi palazzi residenziali tutti uguali l’uno con l’altro. Per di più le vicende sono ambientate nel 1968, anno carico di movimenti rivoluzionari di massa e ribellioni, che vedevano tra i loro principali sostenitori soprattutto i giovani. Guido e Mario non fanno eccezione, come molti loro coetanei anch’essi sono colpiti dal malessere che si stava diffondendo in misura sempre maggiore e come principale causa di tutto ciò individuano per l’appunto Milano le cui vie vengono descritte come “percorse da fiumi di mezzi meccanici che grattavano e laceravano e centrifugavano l’aria, se la vomitavano alle spalle ancora più difficile da respirare”, con gli alberi “capitozzati nella maniera più barbara, lasciati come poveri pali viventi a separare due corsie di traffico”. Non perderanno mai l’occasione di allontanarsi da essa, alla ricerca di una realtà e un futuro migliori.
Interessante è anche la scelta dell’autore di usare come voce narrante Mario. Quest’ultimo racconterà in prima persona le vicende che hanno caratterizzato la sua amicizia con Guido, senza rivolgersi a nessuno in particolare, ma come se affidasse questi pensieri alle pagine di un diario in cui imprimere emozioni, speranze e riflessioni. Colui che racconta è un Mario ormai adulto che risalirà al primissimo incontro con l’amico, per ricostruire poi, passo dopo passo, la storia del loro legame e intrecciare i fatti alle considerazioni stimolate dalla maggiore consapevolezza acquisita con il tempo.
In Due di due gli spunti di riflessione sono molteplici, dall’intensa amicizia dei due ragazzi, che non si interromperà mai, nonostante i lunghi periodi di lontananza, le liti, i disaccordi e i torti, alle difficoltà che le persone possono incontrare nell’individuare la propria strada, che molto spesso le portano a smarrirsi e ad intraprendere i percorsi peggiori, ma anche la sofferenza che gli individui con un animo fragile come quello di Guido possono sperimentare di fronte a tale incapacità, inevitabilmente foriera di instabilità e tormento.

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