E che, raccontando il cibo della sua terra, Giovanna Casadio, giornalista di Repubblica, ci narra un mondo fatto di regole e di violenza
[…]Dove si guarda è quello che siamo (Edt) è un piccolo gioiello in cui, parlando delle arancine (rigorosamente al femminile, perché al maschile gli arancini sono catanesi o messinesi), Giovanna Casadio ricorda di quando, tra il 1876 e il 1915, espatriarono 14 milioni di italiani, di cui quasi un milione e mezzo siciliani, spinti dalla povertà e dalla fame – perché dalla fame non c’è scampo, e «i gusci dei babbaluci gettati via davano sollievo a chi li afferrava e ancora li sucava sperando fosse rimasta qualche cosa».[…]
Ma prima o poi le cose vanno guardate per quello che sono e oltre ai racconti e alle leggende – c’è ancora chi insiste che è proprio tra Trapani e il Monte Erice che Ulisse incontrò la bella Nausicaa citando un vecchio manoscritto di Samuel Butler – non si può non dire che, se l’acqua scarseggia in Sicilia, è anche per via degli interessi malavitosi.
Ma i siciliani sono tutti un po’ “pazzi”, spiega Giovanna Casadio, perché nella sua terra i conti non tornano mai: dove c’è troppa bellezza e troppa vita, pure la ferocia, quando si scatena, è fuori misura. Anche se il cùscuso è il piatto della fratellanza, e sin da piccoli si impara che è solo dando e ricevendo che si entra a far parte del ciclo sacro della natura: «Io do a te e tu in cambio insegni a me, che è tutto quello che c’è da sapere sull’umanità e dintorni».(Da Michela Marzano La Repubblica)