Margaret Atwood “Vecchi bambini perduti nel bosco”, presentazione

Traduzione di Guido Calza

Una lettura sorprendente e spiazzante, in cui la morte compare sotto le forme della memoria e, appunto, dell’assenza, come parte naturale e ineluttabile del nostro destino, certo, ma anche come nostalgia di un tempo in cui le utopie sembravano possibilità, mentre adesso è impossibile non vedere ‘l’immensa ondata dell’ignoto che già ci piomba addosso’.(da Ponte alle Grazie Editore)

Quindici racconti articolati in tre sezioni: nella prima i due interpreti, Nell e Tig, una coppia di coniugi  in cui possiamo ravvisare la stessa autrice e il marito Graeme Gibson, scomparso nel 2019; un corpo centrale dal titolo  “Malefici materni”, otto racconti di cui il primo è sul rapporto madre figlia “da strega a strega”, seguono l’intervista ad Orwell e altri sei; nell’ultima delle tre ritornano i personaggi della prima sezione, dove uno dei due, Tig, manca ma occupa un posto importante vissuto nel distacco, nell’assenza, nel ricordo.

In questo mondo narrato e di trasposizione fantastica con l’utilizzo di generi diversi si respira ironia e vigore e, come scrive perfettamente Antonella Lattanzi nella sua recensione (Il Corriere 15 ottobre 2023), “in Vecchi bambini perduti nel bosco c’è una magia. Attraverso ogni pagina si intravede quel sorriso che non porta alcuna traccia di vecchiaia, autocompatimento, rassegnazione, resa – anzi, che sorriso impertinente! – che è il sorriso di Atwood” che nel gioco della vita ha accettato tutte le regole anche le peggiori, rispondendo con la parola e il suo incanto nella forza creativa.

Il racconto che apre la prima parte ad esempio dopo aver ricordato di un corso di primo soccorso vissuto dai protagonisti, prosegue con i ricordi di Nell che rammenta le tante occasioni in cui le più disparate esperienze di vita avrebbero potuto finire male, con e senza interventi e conclude “Davvero erano stati così inconsapevoli, così incoscienti? Sì. Nell’incoscienza si erano trovati benissimo”

E Antonella Lattanzi così acutamente definisce il contenuto dei racconti

“Margaret Atwood dà l’impressione, nella sua nuova raccolta di racconti, di avere letto e riletto il libretto di istruzioni dell’esistenza, dal quale mai nessuno si allontana davvero. E poi di averlo riscritto con coraggio, libertà e fantasia”

perfettamente d’accordo, e aggiungerei con leggerezza!

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Il canto di Penelope

Moltissimo

Tornare a galla

Emanuele Trevi “La casa del mago”, presentazione di Salvina Pizzuoli

Ponte alle Grazie Edizioni

Un romanzo in cui si racconta del rapporto genitori figli e più in particolare di padre e figlio; in questo di Trevi il padre, noto psicoanalista, viene presentato come un enigma, inconoscibile e sconosciuto ma accettato come tale: in una recente intervista infatti l’autore sottolinea come egli accolga “che ci sia una parte inconoscibile di lui” non solo perché spesso chiuso in quello che viene definito il “retrobottega” ovvero quel suo rifugiarsi interiore che segna un’evasione dal mondo esterno e dagli altri:

“aveva l’abitudine di andarsene nel bel mezzo di qualsiasi cosa e chi si è visto si è visto (“rimane l’involucro ma lui chissà dov’è”): difficile prevedere per quanto sarebbe stato via. […]Lui sembrava viverci in pianta abbastanza stabile nell’arrière boutique. Nel senso che poteva essere adorabile, ma la sua condizione naturale o meglio l’istinto primario, era quello del rintanato, del disertore dal consorzio umano”.

E altrove precisa

“Ma io lo amavo, e per me amare significa accettare l’enigma di una persona in quanto tale, non sono venuto al mondo per sciogliere nodi o scovare tesori”.

E poi c’è il rapporto con la casa, quella che era stata l’abitazione studio del padre, invendibile alla sua morte:

“Vendere casa di mio padre, la casa che aveva lasciato in eredità a me e a mia sorella, con tanto di breve lettera da aprirsi in caso di morte, così si leggeva sulla busta lasciata in bella vista su una mensola della libreria (come se la morte, tutto considerato, fosse un «caso» che poteva benissimo non verificarsi), vendere casa di mio padre si rivelò più difficile di quello che avevamo previsto” al punto che decide di andare ad abitarci e farne la propria casa.

E il racconto si apre alle scoperte ai ritrovamenti, il museo del padre, a quegli oggetti che potrebbero svelare l’uomo. E il raccontato si estende ai nuovi rapporti che vi si aprono: la visitatrice, una presenza notturna che si aggira tra le stanze lasciando segni del suo passaggio, la  Degenerata come aveva ribattezzato Rocio, “una donnetta peruviana, alta meno di un metro e sessanta,[…] incontrata per caso che lavorava a ore, facendo le pulizie nelle case dei dintorni”, la Gatta Morta amica e cugina della Degenerata, ma anche oggetti come i sassi che il padre lucidava con perizia fino a sviscerarne il colore e la sostanza, e il volume di Jung completamente pieno ai margini di annotazioni, e la scrivania e la sedia su cui sedeva il padre durante le analisi,  quasi simulacri; eppure “prevaleva la sensazione di non essere mai veramente solo: come se in quella casa il presente convivesse con il passato, o magari con il futuro, generando delle continue sovrapposizioni”

Un mondo nella casa del mago, e non poteva essere altrimenti e una conclusione, che nel testo non è tale ma chiarifica:

“Rimane da dire che quando sfoglio la copia ingiallita e squinternata del venerabile Libro dei mutamenti (lo tengo sempre dove l’ho trovato, sul ripiano della scrivania, accanto al telefono), cerco lo stesso esagramma, il sessantunesimo della serie: Ciung Fu, La veracità intrinseca.[…] Più di ogni foto e di ogni ricordo mio o di chi l’ha conosciuto, questa combinazione di linee mi appare il più fedele ritratto di quell’uomo meraviglioso e misterioso che è stato mio padre”.

Una precisazione sull’immagine di copertina, nell’intervista di Francesca Pellas su la Lettura del 9 settembre 2023, Trevi la rivela: un argento di Giosetta Fioroni le cui creazioni sono molto apprezzate e che il padre, dotato di un particolare genio per l’arte oltre ad essere un disegnatore, aveva intuito sin da quando l’artista lo dipingeva.

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I cani del nulla. Una storia vera

Due vite

Philippe Claudel “Dopo la guerra”, presentazione di Salvina Pizzuoli

Traduzione di Francesco Bruno per Ponte alle Grazie Editore

Cinque racconti che, come scrive lo stesso autore nelle pagine dedicate “Al lettore”, sono stati scritti tra il 2016 e il 2020, di questi cinque tre sono inediti: Ein Mann, Irma Grese e Die Kleine. Il titolo originale in francese è Fantaisie allemande che, come chiarisce ancora l’autore,  è da intendere “nella sua accezione musicale e poetica che designa, come tutti sanno, un’opera in cui la soggettività dell’autore prevale e che si svincola dal rispetto di regole rigorose di composizione o di armonia”.

Sempre nella sezione dedicata chiarisce ancora il contenuto dei suoi racconti che hanno la Germania come ambientazione

“Se la Germania del XX secolo fa da cornice a questo libro è perché, da una parte, non esiste un altro posto in cui i temi che tratto abbiano trovato in grado più alto la loro tragica incarnazione. D’altra parte è perché, essendo fin dall’infanzia un vicino di quel Paese, ho sviluppato un rapporto di attrazione e di paura con i suoi paesaggi, la sua cultura, la sua lingua e la sua Storia, come non ne ho con nessun altro Paese al mondo. La Germania è sempre stata per me uno specchio in cui mi vedo, non quale sono, ma come sarei potuto essere. In tal senso, mi ha insegnato molto su me stesso”.

In una recente intervista a Brunella Schisa (Il Venerdì, La Repubblica, 10 febbraio 2023) chiarisce ancora meglio rispondendo alla domanda dell’intervistatrice: La Germania è qui usata come metafora del male assoluto di tutte le guerre? “La Germania nazista è ovviamente il paese che si avvicina di più all’abisso del male assoluto. Ma non dimentichiamo l’Urss di Stalin, la Cina di Mao, i Khmer rossi in Cambogia. La barbarie non ha nazione. È universale e si sposta geograficamente secondo i tempi. Devi esserne consapevole per cercare di combatterla”.

Le guerre che si combattono ancora nel mondo, quelle che non conosciamo e quelle che ci sono vicine e ci paiono uniche anche se insensate, ci dicono che la barbarie, come dichiara Claudel, è sempre tra noi anche se la guerra ha cambiato tipo di armi e dislocazione geografica perché, come afferma nella stessa intervista, “L’uomo non smette di essere il nemico di se stesso su questa terra”.

Nel primo racconto è il freddo gelido che accompagna i passi di un soldato in fuga, ma vittima di un un nuovo martirio: la fame e il gelo. E qui per la prima volta il lettore incontra il nome del personaggio Viktor, un nome che fa da fil rouge all’interno dei racconti.

Ma chi è Viktor?

“Tutti mettono in gioco degli spazi d’incertezza, di cui il personaggio di Viktor diventa il simbolo: se alcuni elementi nel corso del racconto ci inducono a pensare che si tratti dello stesso uomo, altri ci dicono il contrario. Che ne è, in tal caso, della sua verità? E, al di là di lui, di ogni verità? Ciò mi è parso metaforico delle nostre vite, che a noi pare di conoscere ma che padroneggiamo malissimo e che possono, secondo l’angolazione della luce con cui le illuminiamo, prendere molteplici riflessi”

Così in quella che potremmo considerare una postfazione dell’autore medesimo, Claudel chiarisce e spiega il suo romanzo e il messaggio in esso insito, romanzo perché il tema accomuna tutti i racconti.

Philippe Claudel è nato nel 1962 in Lorena. Scrittore noto in tutto il mondo e membro dell’Académie Goncourt, ha raggiunto il successo internazionale con il romanzo Le anime grigie (Ponte alle Grazie, 2004), tradotto in trenta Paesi e vincitore del premio Renaudot. Tra i suoi titoli usciti in Italia ricordiamo anche La nipote del signor Linh (2005), Il Rapporto (2008), Profumi (2013) e L’arcipelago del cane (2019), tutti pubblicati da Ponte alle Grazie. Nel 2008 ha esordito come regista con il film Ti amerò sempre, seguito nel 2011 da Non ci posso credere, con Neri Marcorè e Stefano Accorsi.( da Ponte alle Grazie Autore)

Marta Orriols “Dolce introduzione al caos”, presentazione

Traduzione di Stefania Maria Caminelli

Dani e Marta stanno insieme da un paio d’anni. Giocano, ridono, intrecciano passi e ambizioni in un’allegria limpida, senza pensieri, avvinghiati a una giovinezza ingannevole e lieve […]. Finché non scoprono di aspettare un bambino. (da Ponte alle Grazie Libro)

La gravidanza, il figlio, fino ad ora importante traguardo soprattutto al femminile.

La Orriols indaga il fenomeno da una prospettiva diversa: lei, Marta fotografa, non desidera e non vede questa condizione come necessaria e obbligatoria, le antepone la sua carriera e la sua attività artistica, ed è decisa all’aborto. Lui, Dani sceneggiatore, vede al contrario un figlio come un punto fermo nella propria vita, la possibilità per lui, orfano di padre in giovane età, di poter realizzare il desiderio-promessa che si era fatto di non abbandonare mai il proprio figlio. E la coppia felice e spensierata, sono entrambi trentenni, entra alla notizia nel caos dei sentimenti, del proprio ruolo e di persona e di coppia. Gli equilibri si sono spezzati, accompagnati da dubbi e paure per lei che comunque ha deciso.

Marta Orriols scardina, pagina dopo pagina, ogni pregiudizio semplicistico intorno alla gravidanza per esplorare dal di dentro le emozioni, le proiezioni, le contraddizioni che porta con sé.(da Ponte alle Grazie Libro)

e anche

Brevi note biografiche

Marta Orriols è nata nel1975 a Sabadell, in Catalogna. Ha studiato Storia dell’arte, vive e lavora a Barcellona e ha due figli. Si è occupata di sceneggiatura cinematografica, scrittura creativa e lavora come lettrice editoriale. Il suo primo romanzo, Imparare a parlare con le piante (Ponte alle Grazie, 2020), ha riscosso grande successo di pubblico e di critica ed è già stato tradotto in tredici lingue.(da Ponte alle Grazie Autore)