Matteo Bussola “La neve in fondo al mare”, presentazione di Salvina Pizzuoli

– Scoprire la profondità della tristezza di un figlio, a neanche sedici anni, è come trovare qualcosa in un posto in cui non te lo saresti mai aspettato. In cui proprio non dovrebbe esserci.
– Che vuoi dire?
– Tipo, non so. Come trovare la neve in fondo al mare.
(dal Catalogo Einaudi)

In questo  suo ultimo romanzo Bussola indaga uno dei nodi del nostro tempo: genitori e adolescenza. Se quello di genitore è sempre stato un mestiere difficile, oggi lo è ancora di più, troppe le “voci” che partecipano alla formazione dei nostri giovani e spesso in contraddizione tra loro. Si potrebbe pensare che più voci possano contribuire e alleggerirne la crescita guardandola da tanti punti di vista, ma non è così. Bussola centra il problema facendo della voce narrante quella di un padre all’interno di una struttura ospedaliera che si pone domande di fronte ad una situazione sconvolgente e inattesa

Per raccontare questa storia dovrei partire dall’inizio. Se solo sapessi quale scegliere fra i tanti.
Magari, prima di soffermarmi sugli eventi che ci hanno portato fino a qui, potrei provare a dire due parole su di me. Una specie di breve ritratto. Anche per ricordarmi chi sono, in questo posto in cui è facile sentirsi ridotto a una singola funzione.[…]
Mi chiamo Caetano Bernardi e ho quarantanove anni. Sono un ingegnere, un marito, il papà di un adolescente e di due bambine.[…]
Il mio lavoro è capire come fare affinché le cose stiano in piedi.
Entrare nel gioco di spinte e controspinte, calcolare le sollecitazioni sopportabili da una struttura, il suo carico massimo sostenibile. […]Il carico massimo sostenibile cambia a seconda del materiale che consideri. A parità di spessore, un solaio in laterocemento porta quattrocento chilogrammi al metro quadro, uno in calcestruzzo armato seicento e passa, un solaio in legno ne tiene la metà, ma in compenso è piú elastico.
Funziona cosí anche con le persone, la vita è una gara di resistenza alle deformazioni e agli urti.
Non tutti vi reagiscono allo stesso modo. Ma il vero problema è che, quando si tratta di persone, non esistono regole matematiche universalmente valide. Ognuno di noi è un impasto unico che c’entra solo in minima parte con la biologia, e ha a che fare principalmente con la propria storia, con il periodo in cui si vive, con la maniera in cui si riesce ad adattarsi oppure a ribellarsi allo sguardo degli altri. L’umano è un materiale che muta le caratteristiche meccaniche nel tempo, attraverso crepe o fenditure spesso difficili da scorgere, a volte addirittura sotterranee. Per vederle servono occhi attenti, desiderio di conoscere, capacità di mettersi in discussione e nessuna soluzione pronto uso.
Ecco perché Tommy e io siamo qui.

E più avanti precisa

La perdita di peso, da tre anni all’incirca, è la punizione ossessiva che nostro figlio si infligge.
Gli psichiatri, in reparto, mi hanno detto che è l’unica maniera che gli fa sembrare di mantenere il controllo sul suo corpo, dunque sulla sua vita. Ecco perché è una patologia sempre piú diffusa, anche fra gli adolescenti maschi.
– Farsi del male è un modo per avere un controllo? – ho chiesto la prima volta che siamo stati in questo posto.
– Farci del male è la prima forma di controllo che abbiamo tutti, – mi ha risposto il dottore.

In una recente recensione (La Stampa 7 giugno 2024) Francesco Zani scrive ambientando il raccontato ed enucleando il tema

La nave in fondo al mare è un libro che non ha luogo – la scenografia è minimale, fatta tutta di camere d’ospedale vissute con le luci bianche accecanti e di rumori di macchinette del caffè automatiche annacquate di malinconia – ma sopravvive dentro a uno spazio senza confini, quello tra il padre Caetano e il figlio Tommaso ricoverato perché soffre di anoressia nervosa”.

E a conclusione una notazione interessante

“Nella struttura orizzontale della narrazione se ne nasconde anche una verticale, brevi capitoli d’infanzia scritti con la nota del tu, una seconda persona delicata e sognante, un appello, una lettera, un lungo diario che ci ricorda Io resto qui di Marco Balzano per l’atmosfera e il senso nostalgico di perdita. Una perdita in questo caso non materiale ma simbolica con Bussola che lotta e si sbraccia contro lo scorrere del tempo nel punto di vista di un padre che si guarda indietro e si accorge che ormai Tommy è diventato grande e soffre di qualcosa di imparabile anche con tutto l’amore del mondo. Sarebbe stato bello ce ne fossero stati ancora di più di questi squarci nel passato, dai colori pastello e l’anima vintage, come mettere dentro un videoregistratore qualche vecchio vhs delle vacanze estive degli anni Novanta”.

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