Pablo Maurette “Il senso dimenticato. Breve storia del tatto”, presentazione

Il senso dimenticato è una storia culturale del tatto, il senso che ha plasmato l’arte, la filosofia e la letteratura. Un viaggio curioso e sorprendente nelle nostre radici per capire come non solo di sguardi, di suoni, di odori e sapori sia fatto il nostro immaginario, ma soprattutto di ciò che è riuscito a sfiorare la nostra superficie fino a toccarci nel profondo.(da Il Saggiatore)

Pablo Maurette, professore alla Florida State University, in questa breve storia, richiamandosi a scrittori, poeti, intellettuali ma anche a persone comuni, riscatta questo senso dimenticato.
Un senso fondamentale tanto che Lucrezio lo riteneva nel De rerum natura in grado di governare la natura e considerava gli altri sensi come sue varianti.
Ci aiuta infatti a percepire, a venire in contatto con la realtà esterna attraverso quella pellicola che si estende sul tutto il nostro corpo, l’epidermide, l’organo più esteso della nostra fisicità che si forma già a partire dell’ottava settimana di gestazione e con il quale il feto percepisce ciò che lo circonda.

Oggi  il mondo digitale, che fin dal nome sottolinea la facoltà delle dita, permette facilmente di cogliere l’interattività definita aptica, che vuol dire entrare in contatto, toccare, afferrare, in questo caso attraverso  i polpastrelli.
Una storia quella di Maurette che dopo un elogio del senso propone una sorta di rilettura aptica dell’arte occidentale a partire dall’Iliade.
Una riflessione e un’indagine particolare è poi dedicata  al baciarsi, usando il tatto come grande alleato che, attraverso limitati e focalizzati “contatti”,  ci aiuta a penetrare noi stessi, il mondo degli esseri fuori di noi, la realtà in senso globale che ci circonda.

Pablo Maurette (Buenos Aires, 1979), è professore alla Florida State University. Collabora con diverse testate argentine tra cui Clarín, La Nación e Perfil, e con la Repubblica. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo Il tempo è un fiume (2022).

Ben Wilson “Giungla urbana”, presentazione

Traduzione di Fabio Galimberti e Paola Marangoni

Giungla urbana ci mette davanti a questo bizzarro equilibrio all’interno dei consessi cittadini, in cui, proprio laddove la mano umana latita, piante e animali sono abili a inserirsi, proliferando e generando aumento della biodiversità, riduzione dell’inquinamento atmosferico e miglioramento della salute mentale. Una nuova via di fronte ai mutamenti climatici, che sembra suggerirci come proprio nell’inselvatichimento di strade e quartieri, nella deformazione delle perfette silhouette costruite dall’uomo, possa trovarsi la chiave per la sopravvivenza della civiltà.( da Il Saggiatore)

“È la natura, questa grande madre – terribile e feconda, vitale e inesorabile – che incontra l’artefatto dell’uomo: la sua casa, le nostre città” scelgo questa breve indicazione, calzante felice e chiara, utilizzata da Marco Filoni (Il Venerdì La Repubblica 1 novembre 2024) per presentare il testo di Ben Wilson.
Quello che spesso viene considerato “degrado”, in effetti è un dialogo proficuo, simbolo di un intreccio tra uomo e natura che dura da millenni: i confini tra natura e città sono da sempre sfumati proprio perché gli agglomerati urbani sono habitat prosperi per flora e fauna che dai campi coltivati penetra da sempre, proprio per i bisogni che gli stessi abitanti hanno per il verde, nei parchi cittadini o sulle macerie con i fiori di campo che crescono o con i vegetali che fanno capolino dalle finestre di case abbandonate.
Un segno proficuo di connubio possibile e necessario per migliorare il nostro rapporto con la natura, come simbolicamente compare illustrato nella copertina di Alice Beniero.

Ben Wilson (Londra, 1980), storico e ricercatore dell’Università di Cambridge, è stato consulente per svariati programmi televisivi e radiofonici e scrive per testate come The Spectator, The Independent e The Guardian. Il Saggiatore ha pubblicato Metropolis (2021

Louise Glück “Una vita di paese”, presentazione

Una vita di paese è un invito a rallentare, a osservare il mondo con sguardo poetico, a cogliere il segreto dei gesti abituali e a riflettere sulla nostra esistenza. A ricordarci che la poesia può nascere anche dai gesti più semplici e che la vita, pur nella sua fragilità, è un dono sorprendente.(da Il Saggiatore)

La raccolta è stata pubblicata negli USA nel 2009, titolo originale Village life, da oggi in libreria con la traduzione di Massimo Bacigalupo per il Saggiatore con il titolo Una vita di paese.

È ambientato in una comunità agricola probabilmente in Italia tra gli anni ’50 e oggi i cui temi ruotano tra voci, esistenze, monologhi di singoli anonimi di un paese altrettanto anonimo, quadri d’ambiente che raccontano, si raccontano: dalle prime luci della vita, dall’ingenuità fino alla disillusione, dove le stagioni che vi compaiono sono in effetti simboli dell’esistere, della vecchiaia, del corpo che cambia e non si riconosce ma si ama nella compassione del trapasso, nella nostalgia del tempo che fu.

Da “Affluenti”

Tutte le strade del paese convergono alla fontana.
Viale della Libertà, viale delle Acacie-
La fontana sorge al centro della piazza;
nei giorni di sole, arcobaleni nel piscio del cherubino.
In estate delle coppie siedono sul bordo della vasca.[…]
Vengono qui a parlarsi, forse
a incontrare un giovane, a vedere cosa rimane della loro bellezza.[…]
Intorno alla fontana ci sono gruppetti di tavoli metallici.
Qui ci si siede quando si è vecchi superate le intensità della fontana.
La fontana è per i giovani, che vogliono ancora specchiarsi. […]
Quando il tempo è bello, qualche vecchio indugia ai tavoli.
Ormai la vita è semplice: oggi un cognac, domani un caffè e una sigaretta.[…]
Cala l’oscurità, la piazza si svuota.
Le prime foglie d’autunno cospargono la fontana.
Le strade non confluiscono più qui; la fontana le manda via,
verso i colli da cui provengono.
Viale della Fede Tradita, viale della Delusione,
viale delle Acacie, degli Ulivi,
il vento pieno di foglie d’argento,
viale del Tempo Perduto, viale della Libertà che termina in pietra,
non al confine del campo ma ai piedi del monte

Alcuni stralci da un quadro d’insieme e del suo evolvere, un esempio del percorso tematico, del linguaggio, delle simbologie, nei gesti semplici e abituali di chi trova conforto nel crepuscolo, di chi cerca rifugio nei ricordi, tra vitalità e solitudine, memoria e oblio, dall’alba al tramonto della vita.

Louise Glück (New York, 1943 – Cambridge, 2023), autrice di tredici libri di poesie e due raccolte di saggi, ha vinto il premio Nobel per la Letteratura nel 2020 «per la sua inconfondibile voce poetica che con austera bellezza rende universale l’esistenza dell’individuo». Tra gli altri premi ricordiamo la National Humanities Medal, il premio Pulitzer, il National Book Award, il premio Bollingen, il premio Lerici-Pea alla carriera, il Wallace Stevens Award conferito dall’Academy of American Poets e la Gold Medal for Poetry dell’American Academy of Arts and Letters. Ha insegnato a Yale e Stanford.

Vincenzo Levizzani “Piccolo manuale per cercatori di nuvole”, presentazione

Le nuvole hanno da sempre occupato un posto speciale nella letteratura e nella poesia, e non solo: soffermandoci a guardare il cielo, quante volte abbiamo giocato con le immagini e le figure che ammassi nuvolosi formavano e che allo stesso tempo sfuggivano dentro sagome mai precise tanto da muoversi con l’immaginazione insieme al mutevole iter delle loro a volte bizzarre trasformazioni, divenendo sotto i nostri occhi simbolo di mutazione, di instabilità e di certo, come aveva identificato in esse Shelley, simbolo vitalistico che nella metamorfosi non muore mai.

Ma le nuvole non sono solo fonte di ispirazione sono anche fenomeni che si possono descrivere scientificamente: così Luke Howard con la moglie cominciò intorno ai primi dell’Ottocento a chiamarle per nome, nomi ancora oggi validi. Nomi e descrizioni che possiamo trovare in questo manuale di Vincenzo Levizzani, ricercatore presso l’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr di Bologna, studioso di nefologia, la scienza che studia le nuvole, dove ne indica la collocazione nell’atmosfera sopra di noi, la composizione, la funzione e conformazione: i cirri, ad esempio sono bianchi e sottili, si formano tra i 5 e i 15 metri e indicano bel tempo. Quando recitiamo il vecchio adagio “cielo a pecorelle, pioggia a catinelle” ecco che parliamo dei cirrocumuli che si trovano ad alta quota e che si formano quando incontrano uno strato di cirri. Ma non finisce qui, nel testo l’autore parla anche di nebbia e di nuvole extra terrestri, quelle degli altri pianeti, svelandoci i segreti della vita delle nuvole.

Brevi note biografiche

Vincenzo Levizzani (Formigine, 1957) è dirigente di ricerca dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr di Bologna e professore di Fisica delle nubi all’Università di Bologna.(da Il Saggiatore)

Sempre parlando di nuvole, Levizzani è anche autore del Libro delle nuvole, dove ci conduce “in un viaggio appassionante, durante il quale impareremo a leggere il cielo e incontreremo ciò che avranno da dirci sul clima che sta cambiando. Il libro delle nuvole ci trasporta lassù tra loro, per assistere da vicino, con occhi nuovi, al movimento incessante delle nuvole e coglierne tutte le meraviglie”.( da Il Saggiatore)

Arthur Rimbaud “Una stagione all’inferno”, presentazione

Torna in libreria “Una stagione all’inferno” con l’introduzione di Patti Smith, la traduzione e la postfazione di Edgardo Franzosini per il Saggiatore. L’unica opera completa che il poeta decise di dare alle stampe, rifiutando per gli altri scritti una loro pubblicazione.

Era il 1873 quando con questo scritto in prosa, l’ultimo lavoro letterario, costruisce un resoconto retrospettivo denunciando il fallimento della sua esperienza umana e poetica, di quella poesia cui aveva affidato negli anni adolescenziali la sua ribellione che decide pertanto di abbandonare avendo esaurito quanto credeva possibile attraverso l’opera letteraria.

Personalità travagliata, giovanissimo, dopo un corso di studi brillante, iniziò una vita errabonda soggiornando a Parigi e poi in Inghilterra legandosi a Verlaine con il quale convisse tra liti e riappacificazioni per circa un anno, riprendendo presto la sua vita vagabonda in Svezia, Germania e Italia ma anche in Africa, dimentico della sua attività letteraria che di fatto aveva abbandonato a vent’anni. Una stagione breve quella della sua poesia seguita però dal lavoro critico degli scrittori del Novecento con diverse e anche opposte interpretazioni che ha però hanno lasciato un segno profondo nel rinnovamento dei canoni poetici.

“Edgardo Franzosini traduce ex novo il testo, scrivendo una versione conclusiva che ci invita a cercare Rimbaud non in cielo con gli occhi puntati verso l’alto, ma giù, nel fango, dove scavando con le unghie possiamo rinvenire la gemma ardente della sua poesia”.(da Il Saggiatore)