Hannah Ritchie “Non è la fine del mondo”, presentazione

Come possiamo costruire un pianeta sostenibile

Traduzione di Carla Manfredi

Ribaltando alcuni falsi miti su cui abbiamo costruito la nostra coscienza ambientalista – dall’esaltazione dell’alimentazione a chilometro zero e della vita in campagna, alla demonizzazione della sovrappopolazione, delle cannucce in plastica e dell’olio di palma –, Non è la fine del mondo ci fornirà gli strumenti per capire su cosa dobbiamo concentrarci urgentemente per poter consegnare un pianeta sostenibile alle generazioni future. Questi problemi sono enormi. Ma sono risolvibili. Non siamo condannati. Possiamo costruire un futuro migliore per tutti. Trasformiamo questa opportunità in realtà.

Non è la fine del mondo è una guida, di facilissima lettura, per aggiustare il pianeta.”

New Scientist

“Un libro confortante per chi fa fatica a credere in un futuro migliore.”

The Times

(da Aboca Edizioni)

Aboca pubblica un testo che ci dà indicazioni precise: sì perché è di questo che abbiamo bisogno. Essere spaventati e parlare di futuro incerto per le future generazioni non serve, occorre fare qualcosa, operare praticamente e ciò che può esserci utile sono quindi precise indicazioni. L’autrice, non è certo una che neghi la situazione davvero difficile, la sua preparazione scientifica è infatti elevata essendo docente di sostenibilità ambientale presso l’Università di Edimburgo e vice direttrice di Our world in data, la ong che fornisce informazioni statistiche sui problemi ambientali globali.

Ciò che è stato fatto, rispondendo all’allarme dal 2015, scrive, ha ottenuto dei risultati che certamente non bastano a scongiurare gravi crisi climatiche ma sono indicativi di un percorso che apre a speranze.

Un testo utile quindi, pratico, una giuda che ci libera dall’inutile catastrofismo e aiuta ad immaginarci operatori attivi.

Hannah Ritchie, ricercatrice del Programma per lo sviluppo globale dell’Università di Oxford, è vicedirettrice e capo del Dipartimento di ricerca del progetto Our World in Data, che riunisce i dati più recenti sui maggiori problemi del mondo e li rende accessibili al pubblico. Le sue analisi appaiono regolarmente su “New York Times”, “Economist”, “Financial Times”, “New Scientist”, “Wired”, “Vox” e BBC e sono state usate in bestseller come Illuminismo adesso di Steven Pinker, Factfulness di Hans Rosling e Clima. Come evitare un disastro di Bill Gates. È honorary fellow dell’Università di Edimburgo. Il “New Scientist” l’ha definita “la donna che ha fornito i dati sul covid-19 al mondo”. Non è la fine del mondo è il suo primo libro: ha debuttato al 6° posto della classifica del “Sunday Times” ed è in corso di traduzione in 18 paesi.( da Aboca Edizioni)

William Alexander “I dieci pomodori che hanno cambiato il mondo”, presentazione

Aboca dedica uno dei suoi ultimi volumi al re pomodoro, il frutto diventato il signore nelle nostre tavole tanto che, come il prezzemolo, viene utilizzato in molti piatti, ingrediente principale o accessorio. Ma la sua storia è stata lunga e travagliata, prima ignorato e poi vituperato al punto da essere considerarlo addirittura velenoso: l’autore, William Alexander, la documenta tra aneddoti e preparazioni, senza tralasciare le diverse ibridazioni che ne hanno determinato le varietà insieme ad aspetti comici, a partire dal titolo che vuole probabilmente parafrasare quello del reportage di Reed sulla Rivoluzione d’Ottobre sottolineando così la rivoluzione culinaria e botanica di cui il pomodoro fu sicuramente portatore.

L’arrivo della pianta in Europa dal Nuovo Mondo è datata intorno al Seicento.

Ai primordi  non ebbe un ruolo importante tra gli alimenti, venne più utilizzato come ornamento tanto che in questo ruolo lo troviamo come fregio alle porte in bronzo dell’ingresso di destra del Duomo di Pisa, fuse nel 1602, data che ha fatto presumere il suo arrivo in Italia alla corte di Cosimo I de’ Medici.

Fu quindi ignorato a lungo in cucina iniziando a diffondersi quando a provarne il sapore e l’utilizzo alimentare furono soprattutto personaggi facoltosi e potenti in cerca di degustazioni esotiche; ne seguirono varie ibridazioni su cui il volume si sofferma soprattutto relativamente alla varietà San Marzano e agli utilizzi  di là d’Oceano: negli Stati Uniti con la particolare vicenda legata alla zuppa  Campbell e alla salsa Ketchup.

“Supportato da una ricerca storica e botanica accurata, una scrittura chiara e divulgativa e tempi comici ben calibrati, William Alexander intreccia viaggi, leggende, umorismo, avventure (ma anche disavventure) per seguire la scia del pomodoro attraverso la storia. Un racconto rocambolesco ed epico in cui non mancano eroi, artisti, conquistatori e mafiosi. Una guida appetitosa sull’alimento che strega il nostro palato da sempre” (da Aboca Edizioni Libri)

Alberto Grandi “L’incredibile storia della neve e della sua scomparsa”

Dalle civiltà mesopotamiche al frigorifero, dai cocktail all’emergenza climatica

“La storia della conservazione della neve è un’epopea mondiale che tocca tutte le aree geografiche e tutte le grandi civiltà[…]Fin dall’antichità il freddo è stato uno dei mezzi più semplici per conservare gli alimenti deperibili. Il ghiaccio e la neve venivano utilizzati anche per preparare specialità gastronomiche particolarmente ricercate o, più semplicemente, per rinfrescare pietanze e bevande”. (da Aboca Edizioni)

È così normale per noi uomini del terzo millennio aprire il frigorifero e utilizzare i cubetti di ghiaccio nell’area freezer, congelare i cibi, produrre e consumare “gelati” o riprodurre condizioni climatiche fresche all’interno delle nostre abitazioni o dei nostri autoveicoli, da aver dimenticato quanto dal “freddo” dipendesse buona parte dell’economia mondiale in epoche antecedenti la seconda metà del XIX secolo, momento in cui fu possibile non ricorrere alla conservazione della neve per generare “il freddo” data l’invenzione di una macchina in grado di produrre artificialmente il ghiaccio.

La storia del freddo la racconta, dall’antichità ai giorni nostri, Alberto Grandi in questo interessante saggio che propone una storia inaspettata e sconosciuta ai più e che l’autore stesso definisce già nel titolo come incredibile: dalle antiche civiltà, la raccolta della neve e la sua conservazione, il trasporto del ghiaccio ottenuto dalla neve pressata, la raccolta del ghiaccio nei laghi nordamericani, e anche interessanti approfondimenti sulla birra e sul gelato. Una storia costellata di curiosità come le dispute teologiche nel XVII secolo che indagavano quanto fosse la volontà di Dio il consumo di vino freddo date le difficoltà di recupero della neve o, in epoche successive, a fine Ottocento, la competizione tra produttori di ghiaccio dall’acqua dei pozzi di pianura o dei laghetti di montagna con le aziende produttrici di ghiaccio artificiale o quanto la conservazione alimentare grazie al freddo abbai avuto un’importanza strategica fino a farci dimenticare oggi l’impatto ambientale che deriva dalla sua produzione artificiale.

Alberto Grandi (Mantova, 1967) è professore associato all’Università di Parma dove insegna Storia delle imprese e Storia dell’integrazione europea. È stato inoltre docente di Storia economica e Storia dell’alimentazione. È autore di circa una quarantina di saggi e monografie pubblicate in Italia e all’estero. Per Mondadori, nel 2018, è uscito Denominazione di origine inventata. Le bugie del marketing sui prodotti tipici italiani che ora è diventato un podcast di grandissimo successo.(da Aboca Edizioni)

e anche:

A proposito di conservazione della neve, di ghiacciaie e burraie, alcuni articoli legati al freddo, alle tecniche utilizzate in Toscana, alla storia dello zuccotto un semifreddo, non un gelato:

Archeologia rurale: ghiacciaie e burraie

Lo zuccotto, storia di un semifreddo

“Le parole più belle sono fiori: 40 sentimenti dell’alfabeto floreale di Virgola”, presentazione

Volume interamente illustrato.

Ogni fiore, un significato codificato: una storia antichissima nata nel vicino Oriente e importata nella prima metà del Settecento in Europa, dapprima in Inghilterra.

Più illustrato che scritto, brevi testi raccontano il significato storico di ogni fiore accompagnato da una citazione d’autore, nel volume sono raffigurati 39 fiori più uno, che piace particolarmente all’illustratrice: fuori dal linguaggio dei fiori cui però ha trovato una corrispondenza nella fragilità, un fiore che realmente esiste anche se non fa parte della flora europea: il fiore di vetro.

Virginia Di Giorgio, conosciuta come Virgola, è siciliana di nascita ma fiorentina d’adozione, città in cui si è laureata in Storia dell’arte medievale.

[…] Fin dai tempi più remoti si è cercata la fitta rete di corrispondenze tra i sentimenti, gli affetti, gli stati d’animo da un lato e l’infinita varietà di forme e di colori del mondo floreale dall’altra, come per scoprire una lingua nuova, emozionante e suggestiva. La conoscenza del linguaggio dei fiori ha poi avuto una particolare diffusione in Europa tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento ed è giunta fino ai giorni nostri sempre infondendo in chi la avvicina la stessa meraviglia. […] Nelle tavole raccolte in questo volume, Virgola, al secolo Virginia di Giorgio, artista capace di tocchi delicati e di slanci pittorici sorprendenti, interpreta con vera maestria questa elegante tradizione, antica e sempre nuovissima.(da Aboca Edizioni)

e anche

Brevi note biografiche

Virginia Di Giorgio (Messina, 1985) illustratrice, è laureata in Storia dell’arte medievale a Firenze. Nel 2013 ha creato Virgola. Nel 2014 e nel 2015 ha vinto il Premio Igers Award come artista dell’anno e personaggio dell’anno su Instagram. Dal 2018 pubblica una linea stationery di grande successo. Nel 2021 ha disegnato live durante la mostra Inside Dalì nella chiesa di Santo Stefano al Ponte Vecchio a Firenze.(da Aboca Edizioni Autori)