Emilio De Marchi “All’ombrellino rosso”, Bibliotheka Edizioni

SENTIMENTI E AMBIZIONI DELLA BORGHESIA MILANESE NEI RACCONTI DI DE MARCHI, MAESTRO DEL RACCONTO

Nota di lettura di Roberto Mussapi

Bibliotheka

Dal 4 luglio

“A quarantadue anni avvengono in noi dei fenomeni che fanno paura. Non si osa credere che il cuore possa tornare indietro, essere in credito di qualche cosa e avere delle tratte in scadenza”. 
La piccola borghesia milanese, i colletti bianchi del mondo impiegatizio e i contadini lombardi trovano in Emilio De Marchi (Milano, 1851 – 1901) uno dei primi e più acuti cantori. Ne sono un esempio i protagonisti dei cinque racconti riuniti nella raccolta All’ombrellino rosso.
Oltre alla storia che dà il titolo alla raccolta, la pubblicazione propone “Regi impiegati”, “L’anatra selvatica”, “Ai tempi dei tedeschi” e “Zoccoli e stivaletti”.

Le storie delicate e teneramente leg­gere, fluttuanti come in un film antico, di Emilio De Marchi, hanno un merito notevole: offrono al panorama italiano esempi di narrazione e prosa in cui si fondono realismo e inquietudine, scrivono di vite umili e degne di essere narrate e lette, come se fossero state realmente vissute. (Roberto Mussapi)

La vita quotidiana, gli impegni di lavoro e gli intricati slanci sentimentali di gente semplice, ma non priva di sogni e di ambizioni, viene descritta con brillante ironia da Emilio De Marchi, attivo nel mondo culturale e nelle istituzioni caritative milanesi. Autore di numerosi scritti (il romanzo Demetrio Pianelli è considerato il suo capolavoro), fu anche traduttore delle Favole di Jean de La Fontanine illustrate da Doré.

Roberto Mussapi, che firma la prefazione, tra i maggiori poeti italiani contemporanei, è autore di saggi, opere teatrali e narrative, traduzioni da testi classici e contemporanei. Vincitore del Premio Nazionale Letterario Pisa di poesia nel 2000, è stato editorialista e critico teatrale del quotidiano Avvenire.

Anton Čechov “Reparto numero 6”, Bibliotheka Edizioni

Traduzione di Alessandro Pugliese

dal 2 maggio in libreria

Bibliotheka

Tra i più celebri racconti di Cechov, Il reparto numero 6 fu scritto nel 1892, dopo il ritorno dell’autore da Sachalin, l’isola russa che ospitava la colonia penale alla quale dedicò un libro-inchiesta sulle disumane condizioni di vita dei forzati. Resoconto e aspra invettiva, critica sociale e allegoria si intrecciano in queste pagine, che ripercorrono la quotidianità nel piccolo padiglione psichiatrico di un ospedale civile della Russia zarista, dove sono internate e rinchiuse cinque persone trattate come animali.

C’è un piccolo padiglione nel cortile dell’ospedale, cir­condato da un vero e proprio bosco di cardi, ortica e canapa selvatica. Il tetto è arrugginito, il comignolo mezzo crollato, gli scalini della porta d’ingresso marciti e infestati d’erba, e dell’intonaco non è rimasta che qualche traccia. Il padiglione, con la sua facciata anteriore, è rivolto verso l’ospedale. Con quella posteriore si apre alla cam­pagna, da cui è separato dal brunito recinto dell’ospedale irto di spuntoni. Questi, le cui punte sono rivolte all’insù, il recinto e il padiglione stesso hanno quell’aria particolare di squallore e desolazione che in Russia è una tipica carat­teristica delle costruzioni ospedaliere e carcerarie. Se non avete timore di pungervi con l’ortica, inoltriamoci per l’an­gusto sentiero che conduce al padiglione, e osserviamo cosa vi accade dentro.

Anton Cechov (1860 – 1904), tra i maggiori autori russi, scrittore introverso e drammaturgo eccelso, ha denunciato la società del suo tempo, senza risparmiare la vita intellettuale e letteraria. Tra i suoi capolavori, modellati sul tragico quotidiano e sull’alienazione esistenziale, Il gabbiano, Zio Vanja, Le tre sorelle e Il giardino dei ciliegi.

Henry James “Il carteggio di Aspern”, Bibliotheka Edizioni

Una grottesca «commedia degli inganni» di sfondo veneziano che vede protagonista un critico americano alla ricerca dell’epistolario di un poeta scomparso, custodito gelosamente da una misteriosa donna che vive reclusa in un antico palazzo della città.

SPOSARE UNA VECCHIA SIGNORA PER APPROPRIARSI DELLE LETTERE DI UN POETA DEFUNTO,IL DUBBIO DI HENRY JAMES NEL “CARTEGGIO ASPERN”,  CHE HA ISPIRATO UNA COMMEDIA TELEVISIVA E DIVERSI FILM

Traduzione di Eugenio Giovannetti

Nota di lettura di Boris Sollazzo

Bibliotheka

In libreria dal 7 febbraio

“E fuori di dubbio che un prezzo simile non potevo pagarlo. Non potevo accettare la proposta. Non potevo per un fascio di vecchie carte sposare una vecchia ridicola, patetica, provinciale”.

Tra i romanzi brevi più noti e acclamati di Henry James (1843 – 1916), prolifico scrittore statunitense naturalizzato britannico, Il carteggio Aspern narra i tentativi di un critico letterario americano per impadronirsi di una raccolta di documenti, in gran parte lettere, del defunto poeta suo connazionale Jeffrey Aspern, considerato il migliore di tutti i tempi. Motivato dall’inestimabile valore del carteggio e determinato a qualunque cosa pur di ritrovarlo, scopre che la donna amata dal poeta, Juliana Bordereau, è ancora viva, anche se ultranovantenne, e vive con una nipote di mezza età in uno spettrale palazzo in rovina di Venezia, città amatissima da James e ambientazione ideale del romanzo.

James ne Il carteggio Aspern ci mette la noia e gli indifferenti moraviani nel tracciare una borghesia inetta e velleitaria, ci mette Stoner di Williams nel tratteggiare un mediocre che si crede geniale (e viceversa) e lo fa decenni prima di loro. Nei repentini cambi di tono e direzione, poi, dopo lunghe dissertazioni e oziosi ma arguti dialoghi, scorgi le ironie tragiche di Dostoevskij, perché l’idiota, utile e intelligentissimo ma anche miserrimo (a volte non solo) umanamente è sempre chi scrive, o comunque parla in prima persona. 
(dalla nota di lettura di Boris Sollazzo).

Interessato al conflitto morale, alle scelte degli individui e alla contrapposizione tra il vecchio mondo europeo e il nuovo mondo americano, Henry James ha ispirato con le sue opere molti film, affascinando, in particolare, il regista James Ivory. Il carteggio Aspern ha dato spunto a una commedia, trasposta in Tv dalla Rai negli anni Settanta, e diversi film, tra cui The Aspern Papers, diretto da Julien Landais, con Jonathan Rhys Meyers, Vanessa Redgrave e Joely Richardson (2018).

La nota di lettura al romanzo è affidata a Boris Sollazzo, critico cinematografico e televisivo, direttore del Linea D’Ombra Festival di Salerno e del Cerveteri Film Festival. 

Oscar Wilde “Il Delitto di Lord Arthur Savile. Uno studio sul dovere”, Bibliotheka Edizioni

PASTICCHE AVVELENATE E OROLOGI ESPLOSIVI PER IL LORD LONDINESE COSTRETTO A SMENTIRE IL PRESAGIO DI UN FAMOSO CHIROMANTE.

Uno dei più geniali e grotteschi divertissement del grande romanziere e drammaturgo irlandese. 

Nota di lettura di Roberto Barbolini
Traduzione Federigo Verdinois
BIBLIOTHEKA

Lord Arthur Savile, in procinto di sposarsi con la bellissima Sibilla, si ritrova nell’incresciosa situazione di farsi leggere la mano da un famoso chiromante nel corso di un sontuoso ricevimento londinese. L’uomo gli annuncia una minaccia imminente: Lord Savile sarà l’artefice di un omicidio. Per evitare che il presagio possa pregiudicare la felicità della futura vita domestica, l’aristocratico decide di anticipare i tempi, trafficando con pasticche avvelenate e orologi esplosivi. Ma la soluzione non sarà quella che egli ha previsto. 
Un capolavoro di cinismo, in cui veleni, esplosivi e infine l’omicidio, precedono la felicità coniugale del protagonista. Una riflessione sul dovere scritta con ironia. 

Il crimine è un’opera d’arte e dev’essere compiuto senza alcuna passione o rancore personale. Proprio come cerca invano di fare quel cinico pasticcione di Lord Arthur nel racconto di Wilde, satira pungente del filisteismo morale dell’upper class.Scritto con lo stile agile e ironico delle commedie per cui Wilde è giustamente famoso, Il delitto di Lord Arthur Savile viene qui riproposto nella versione d’epoca fatta nel 1908 da Federigo Verdinois, opportunamente rinfrescata. Giornalista, accademico, gran traduttore di russi e d’inglesi, Verdinois era anche – come Conan Doyle – un patito dell’occultismo. Wilde gli aveva fatto la satira preventiva nella figura del chiromante Podgers, destinato a una brutta fine. Chissà se si sarà riconosciuto. L’importante è che negli specchi deformanti di Wilde continuiamo a rifletterci tutti noi. (Roberto Barbolini)

Nato a Dublino nel 1854 e morto a Parigi nel 1900) Oscar Wilde studia al Trinity College e a Oxford e pubblica romanzi, poesie e testi teatrali. Idolo dei salotti letterari di Londra e Parigi, vede la fortuna declinare dopo l’accusa di una relazione omosessuale con il figlio di un lord scozzese, che gli costa due anni di carcere.
Roberto Barbolini, che firma la nota di lettura, ha lavorato con Giovanni Arpino al Giornale di Montanelli, è stato redattore e critico teatrale di Panorama ed è esperto di letteratura noir. Con Bibliotheka ha pubblicato Il detective difettoso. Ritorno al futuro per il romanzo poliziesco (2024).

Rebecca Harding Davis “Una legge tutta sua”, Bibliotheka Edizioni

PRIMA TRADUZIONE ITALIANA PER IL ROMANZO PROTOFEMMINISTA “UNA LEGGE TUTTA SUA” DELL’AMERICANA REBECCA HARDING DAVIS

Il libro anticipa il cinema progressista degli anni Trenta e Quaranta

Traduzione e introduzione di Aldo Setaioli

Bibliotheka Edizioni

L’inizio è all’apparenza quello di un romanzo gotico, con una seduta spiritica ben presto smascherata. Segue un intermezzo con quadri di genere che combinano curiosamente realismo e aspetti quasi idilliaci. Lo sviluppo successivo ricorda invece il popolare romanzo d’appendice, con sorprendenti colpi di scena. In questa trama così articolata si inseriscono motivi di ordine etico e sociale, per esempio la consuetudine di porre forti limiti alla personalità giuridica della donna sposata, che non può disporre dei propri mezzi economici perché affidati legalmente al marito.

Il carattere proto-femminista del romanzo, pubblicato nel 1878, ha come protagonista la giovane Jane Swendon, dotata di un senso di giustizia superiore alle convenzioni sociali. La storia anticipa di diversi decenni alcune idee espresse dal cinema progressista degli anni ’30 e ’40 del Novecento. Si pensi ai film di Frank Capra È arrivata la felicitàMr. Smith va a Washington Arriva John Doe, in cui l’onesta semplicità della gente di provincia viene contrapposta alla vacuità dell’élite sociale e intellettuale delle grandi città e alla corruzione della politica.

Dall’introduzione:

«Rebecca Harding Davis pubblicò una decina di romanzi e un gran numero di racconti (…). I temi da lei trattati sono però di grande interesse e mantengono anche oggi una loro attualità. Uno dei principali restò sempre quello della sofferenza delle classi povere all’epoca dell’industrializza­zione selvaggia del paese (per esempio nel romanzo Margret Howth: a Story of To-day del 1862). Fu anche molto sensibile alla condizione della gente di colore, che anche dopo la fine della schiavitù non aveva visto migliorare la propria con­dizione, per esempio in Waiting for the Verdict, scritto poco dopo la fine della guerra civile (1867), o in Kent Hampden (1892). Altro tema molto sentito dall’autrice riguarda il contrasto tra i pregiudizi sociali e il senso di giustizia del protagonista (per esempio Dallas Galbraith del 1868). Simili contrasti appa­iono in altre opere come John Andross (1874), Natasqua (1886), Doctor Warrick’s Daughters (1896) o nell’ultimo romanzo, Frances Waldaux (1897). Il tema delle utopie religiose, tanto diffuse allora come oggi negli Stati Uniti, è presente in Kitty’s Choice: a Story of Berrytown (1874). Lo ritroveremo con toni di decisa condanna nel romanzo che qui presentiamo: Una legge tutta sua (A Law unto Herself), del 1878. L’ultimo libro della Harding Davis, Bits of Gossip (1906), è una specie di biografia che più che la propria vita vuole presentare lo spirito dei tempi in cui l’autrice si è trovata a vivere, visti come circonfusi di un alone di nostalgia per un mondo meno dominato dalla fretta e dal desiderio di profitto. In tutta l’opera di Rebecca Harding Davis è avver­tibile la difesa delle classi sfavorite ed emarginate: i lavo­ratori sfruttati dall’ingordigia capitalistica di profitto, la popolazione di colore, gli immigrati, i nativi americani; e onnipresente è la lotta contro i pregiudizi sociali. Né meno importante è la sua difesa di un’altra categoria fortemente discriminata: le donne. Si può dire che l’opera letteraria di Rebecca sia quella di una proto-femminista. Si pensi a Margret Howth, a Frances Waldaux o al romanzo qui presen­tato: A Law unto Herself. Dal punto di vista letterario l’autrice può essere consi­derata l’antesignana del realismo americano, anche se per­mangono alcuni elementi dell’eredità romantica. Anche altri elementi della precedente tradizione letteraria sono presenti nell’opera di Rebecca, più o meno felicemente integrati nel contesto. Un aspetto d’indubbio realismo è in ogni caso costituito dagli elementi vernacolari e dialettali, soprattutto nei dialoghi tra i personaggi. Tuttavia, all’epoca della sua morte, nel 1910, Rebecca Harding Davis era ormai pressoché dimenticata. Fu sol­tanto all’inizio degli anni ’70 che venne riscoperta e rivalu­tata dalla scrittrice femminista e progressista Tillie Olsen, che mise in luce il valore letterario e il significato sociale delle sue opere».

Antesignana del realismo americano, pur nella permanenza di elementi dell’eredità romantica, Rebecca Harding Davis è stata riscoperta negli anni ‘70 dalla scrittrice femminista Tillie Olsen, che ha messo in luce il valore letterario e il significato sociale delle sue opere. Il suo racconto più noto è Life in the Iron-Mills, pubblicato nel 1861 in The Atlantic Monthly e apprezzato da Louisa May Alcott e Ralph Waldo Emerson. I temi ricorrenti della scrittrice sono le questioni sociali e politiche del suo tempo, la guerra civile americana, la questione razziale, la classe operaia e la condizione delle donne.

Isabel Burton “Verso l’India 1879”, Lorenzo de’ Medici Press

Il viaggio di Isabel Burton dall’Inghilterra – attraverso l’Europa e l’Italia – verso l’India.
Una donna dell’età vittoriana che osserva con attenzione e spirito critico la realtà che la circonda

traduzione di Simona Bauzullo

Lorenzo de’ Medici Press

Per la prima volta in italiano, il diario di viaggio scritto da Isabel Burton nel viaggio compiuto assieme al marito, il celebre esploratore Richard Francis Burton, verso l’India. Un viaggio che è scoperta e osservazione, con la prosa avvincente di una donna dell’età vittoriana che osserva con attenzione e sagacia la realtà che la circonda. Durante tutta la narrazione, Isabel Burton appare libera anche nel linguaggio: il registro che adopera convoglia ogni stile di spontaneità ed è del tutto affine a una conversazione vis-à-vis tra persone comuni. La stesura del racconto non mira alla bellezza o al classicismo letterario, bensì all’immediatezza con cui intende fornire dati al lettore e lasciare che assorba i suoni, i profumi e l’atmosfera che vengono descritti in pagina nella maniera più diretta e concisa possibile.

Oltre agli aspetti pittoreschi e affascinanti del viaggio che attraversa Europa, Egitto e Arabia, il diario di Isabel Burton descrive a lungo anche il nord dell’Italia: Milano, Trieste e Venezia, osservate in un momento cruciale della storia italiana, a pochi anni dalla raggiunta unità nazionale. Messa in ombra dalla fama del marito, scopritore delle sorgenti del Nilo, Isabel Burton visse con lui per diversi anni a Trieste e, sempre insieme a lui, tradusse in inglese per la prima volta Le mille e una notte

«Nonostante tra gli anni ’30 e ’40 dell’Ottocento l’Inghilterra contasse un numero di cittadine di sesso femminile elevato e decisamente superiore a quello degli uomini, la maggior parte delle discipline erano rappresentate e destinate esclusivamente a questi ultimi e al contrario venivano precluse alle donne. La disparita di genere emerge in maniera piuttosto evidente in ogni ambito, incluso quello letterario, che vede le donne costrette a seguire la strada della rinuncia all’istruzione oppure a quella di mettere in pratica le proprie conoscenze attraverso la pubblicazione sui periodicals in forma anonima, senza ricevere cosi alcun credito. In alternativa, un coniuge appartenente a un particolare ceto o inserito in una disciplina scientifica rappresentava una vera e propria opportunità professionale per far fruttare l’ambizione di una donna che altresì non avrebbe avuto modo di realizzarsi nel concreto. Proprio in questo periodo storico, infatti, vengono pubblicati in maniera sempre più frequente volumi scritti “a due mani”, ovvero da uomini e donne, generalmente uniti in matrimonio. Isabel Burton aderisce parzialmente a questo nuovo iter letterario producendo testi scritti in maniera autonoma, ma revisionati o arricchiti dal marito. Tuttavia questa collaborazione attiva svanisce gradualmente, lasciando spazio e autonomia di scrittura all’autrice, la quale non manca in alcun modo di riportare in pagina lodi e storie riguardanti suo marito. Le opere letterarie prodotte dai coniugi in maniera individuale contengono infatti molti riferimenti reciproci e svelano l’autenticità del legame che li unisce, non solo per l’aspetto burocraticamente coniugale, ma relativo all’essenza più profonda delle loro anime. Sin dall’inizio della loro relazione, infatti, l’appartenenza alla dottrina anglicana di Burton lo poneva in una posizione più che scomoda per la famiglia cattolica Arundell, più che mai restia ad accettare una qualsiasi unione tra lui e Isabel. Il carattere determinato e audace di entrambi permise loro di superare ogni barriera sociale, religiosa o d’onore, guidandoli verso una cerimonia clandestina che li rese sposi e complici per la vita che condussero nel rispetto e nella stima reciproci. Pertanto, sin dagli esordi, Isabel e Richard Burton rivelano la loro singolarità come nucleo coniugale, ma anche dal punto di vista individuale. Decidendo di intraprendere una vita insieme a Richard, Isabel sceglie contemporaneamente di essere una fedele compagna di viaggio, pronta ad affrontare esplorazioni oltremare accuratamente dettagliate e destinate a un pubblico di lettori, orgogliosamente riportate in forma scritta solo ed esclusivamente da se stessa. Di queste esplorazioni fa parte anche quella descritta nelle pagine che seguono, avvenuta nel 1875 a fianco del suo fedele compagno di vita. Il viaggio in Arabia, Egitto e India fa crescere nell’autrice una nuova sensazione di meraviglia, che viene accuratamente riportata con tutti i suoni, i profumi, gli usi e i costumi che rivelano nuove identità e realtà, in alcuni punti del tutto estranee a quelle che erano le convenzioni sociali del XIX secolo. La novella esploratrice si inserisce all’interno del racconto in maniera concreta e descrive spesso di aver affrontato alcuni spostamenti da sola, mentre il marito era impegnato in altre attività legate a impegni di stampo intellettuale» (dall’introduzione di Simona Bauzullo).

Isabel Burton (1831-1896) sposò in giovane età l’esploratore Richard Francis Burton, suscitando polemiche per essere, lei cattolica, sposata a un anglicano. Ma la scelta fuori dagli schemi fu solo il via per una vita in cui, per Isabel Burton, superare i confini divenne una precisa impostazione di vita. Assieme al marito viaggiò in gran parte dell’Impero britannico, scoprendo mete come l’Arabia e l’India che ben di rado le donne della sua epoca potevano visitare. Nel 1875 pubblicò Inner Life of Syria, Palestine, and the Holy Land e nel 1879 seguì il racconto di viaggi Arabia, Egypt, India.

Eça de Queiroz “Stranezze di una ragazza bionda”, Bibliotheka Edizioni

IN LIBRERIA DAL 18 OTTOBRE LA NUOVA TRADUZIONE ITALIANA DI “STRANEZZE DI UNA RAGAZZA BIONDA” DEL PORTOGHESE DE QUEIROZ. NOVELLA CHE HA ISPIRATO L’ANALOGO FILM DI MANOEL DE OLIVEIRA

Traduzione di Rebecca Bentes Saldanha Pereira

BIbliotheka Edizioni

Una storia d’amore tenera e ironica, briosa e leggera, scritta da Eça de Queirós, massimo cantore della società lusitana, della sua spocchiosa aristocrazia

Cosa accade se si sommano episodi insignificanti, dettagli, piccoli gesti e si scopre all’improvviso che nascondono una trama insospettabile?

È la domanda che nasce dalla novella Stranezze di una ragazza bionda dello scrittore portoghese Eça de Queiroz nella nuova traduzione di Rebecca Bentes Saldanha. Ormai introvabile in italiano e ispiratore del film omonimo di Manoel de Oliveira, il racconto narra la storia di Macário, che lavora a Lisbona come contabile alle dipendenze dello zio Francisco. Il giovane si innamora di una ragazza bionda, Luisa, scorta per caso dalla finestra del suo ufficio. I due si incontrano e decidono di sposarsi, ma lo zio si oppone. Macário si trasferisce allora a Capo Verde in cerca di fortuna, ritorna in Portogallo con un piccolo capitale che gli permette di metter su famiglia, ma perde tutto prestando il denaro a un amico truffaldino. Ricomincia da capo e ottiene infine il permesso di convolare a nozze con la bionda Luisa. Tuttavia, una brutta scoperta gli impedirà ancora una volta di sposare la ragazza.

Incipit.

Cominciò col dirmi che il suo caso era semplice e che si chiamava Macário. Devo premettere che conobbi quest’uomo in una locanda del Minho. Era alto e grosso: aveva una testa larga e calva, lucida e liscia, con radi capelli bianchi che gli si arricciavano tutt’intorno; e i suoi occhi neri, cerchiati dalla pelle rugosa e giallognola,con le occhiaie gonfie, possedevano una limpidezza e una rettitudine singolari dietro gli occhiali rotondi con cerchi di tartaruga. Aveva la barba rasata, il mento prominente e risoluto. Portava una cravatta di raso nero legata dietro il collo con un fermaglio; un cappotto lungo color castagna, con le maniche aderenti e giuste e i risvolti di velluto leggero. Dalla lunga apertura del panciotto di seta, su cui riluceva una catena antica, fuoriuscivano le pieghe molli di una camicia ricamata. Questo accadeva a settembre: le notti arrivavano già prima insieme al freddo penetrante, secco, e ad un’oscurità sublime.

L’autore, Eça de Queiroz (1845-1900), è stato giornalista, diplomatico e scrittore portoghese. Massimo esponente del realismo lusitano, ha innovato profondamente la lingua portandola agli esiti attuali. Grande viaggiatore, ha composto all’estero la maggior parte della sua opera anche se con un occhio costantemente attento alla realtà portoghese di cui è anche un profondo critico.

Robert Louis Stevenson “L’isola delle voci”con testo a fronte, Edida

Traduzione con testo a fronte di Alessandro Ferrini

Edida

Dalla Quarta di copertina

“L’isola delle voci” è un racconto scritto da Robert Louis Stevenson, pubblicato per la prima volta nel 1893 nella raccolta “Intrattenimenti delle notti sull’isola. È una delle storie dell’autore scozzese, famoso per classici come “L’isola del tesoro” e “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde”.
Il racconto narra le vicende di Keola, un giovane hawaiano e del suo incontro con un misterioso stregone di nome Kalamake. Keola viene convinto da Kalamake a seguirlo su un’isola incantata, conosciuta come “l’isola delle voci” popolata da spiriti che si odono parlare senza essere visti creando un’atmosfera di mistero e inquietudine. Il racconto combina elementi di folklore hawaiano con il tipico gusto di Stevenson per l’avventura e il sovrannaturale. La narrazione esplora temi come la superstizione, il potere della magia e il confronto tra culture diverse. La storia si distingue per il suo uso evocativo del linguaggio e per la creazione di un’ambientazione esotica e affascinante.
Il racconto riflette l’interesse antropologico di Stevenson per le culture delle isole del Pacifico meridionale che aveva avuto modo di conoscere durante i suoi viaggi e in una delle quali si stabilì.
“L’isola delle voci” è un’opera che merita attenzione per la sua capacità di trasportare il lettore in un mondo di mistero e meraviglia, una lettura affascinante per chi ama le storie di avventura con un tocco di sovrannaturale e per chi apprezza la capacità di Stevenson di esplorare temi complessi attraverso trame avvincenti e ben costruite.
Testo a fronte e illustrazioni

Dalla Prefazione

[…]In un articolo apparso sull’ “Unità” del 14 giugno 1950 Cesare Pavese coglie un aspetto importante dello scrittore inglese; lo vede nella vita e nell’opera un rappresentante a pieno titolo della crisi degli intellettuali della seconda metà dell’Ottocento che rifiutano il modello borghese–capitalistico che la società occidentale sta imponendo:

Si potrebbe qui ricordare che il caso di R.L.S. non fu isolato e che praticamente tutta la cultura occidentale del suo tempo (fine Ottocento e primi del Novecento) attraversò questa crisi di disgusto per l’ambiente e in modi vari, anche quando non viaggiò fisicamente in capo al mondo, si cercò un paradiso e una giustificazione. Fu un modo come un altro di polemizzare, cioè di vivere, con la propria società.

La sua biografia, figlio di una ricca famiglia scozzese dalla quale si allontana, la ricerca di paradisi esotici e lontani, la vita da bohèmiens e infine la morte per tubercolosi, lo avvicina ad altri grandi scrittori del quel periodo; basti ricordare Baudelaire, i poeti Maledetti francesi, gli Scapigliati italiani, il pittore Paul Gauguin ed altri numerosissimi esempi. Ma il suo allontanamento dai modelli sociali si concretizzò non solo nella scelta di vita ma anche nella ricerca dell’avventuroso, del fantastico, del magico, del fiabesco, tanto presenti nelle sue opere in generale e nella raccolta Intrattenimenti delle notti sull’isola di cui fanno parte sia Il diavolo nella bottiglia che L’isola delle voci. In questi due racconti sembrano presenti anche alcuni elementi tratti dalla tradizione popolare germanica come le favole dei Grimm, che a Stevenson apparivano “straordinariamente affini ai racconti popolari delle Hawai per ingenuità e qualità dell’immaginazione”. Il racconto l’Isola delle voci, concepito dall’autore nel 1892, apparve pubblicato a puntate sul “National Observer” nel febbraio 1893 e solo successivamente inserito nella raccolta Intrattenimento delle notti sull’isola. Secondo la testimonianza della moglie l’autore si sarebbe ispirato all’isola di Fakarara che aveva visitato nel 1888 durante una crociera nell’arcipelago delle isole Marchesi.

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Il diavolo nella botiglia

Lo strano caso del dottor Jekill e del signor Hyde

Will del Mulino

Zacharia Topelius “Castelli d’aria e altre fiabe finlandesi”, presentazione

Traduzione e postfazione di Katia De Marco

Illustratore Isabella Conti

Perché a fare castelli in aria non sono i pazzi, ma gli eletti capaci di vederli davvero, quei castelli fatti d’aria e popolati di magiche creature. […] Il paesaggio del grande Nord, con i suoi arcipelaghi e le sue brughiere, diventa a tratti protagonista, trasfigurandosi in uno splendido e arcano luogo di pace raggiungibile solo in sogno nelle Isole delle Piume, oppure animandosi di vita propria nella Corte dei fiori, dove alberi e fiori nordici prendono la parola per esprimere sentimenti tutti umani in un delicato minuetto venato di umorismo.( da Iperborea)

 Castelli d’aria è il decimo volume della serie di fiabe nordiche curata da Bruno Berni per Iperborea (da Iperborea Autore)

Zacharias Topelius (1818 – 1898), scrittore finlandese di lingua svedese, raccolse in queste fiabe il patrimonio culturale finlandese, conservandolo e diffondendolo, mescolando la tradizoione europea con il folklore finlandese: fa rivivere in queste pagine uomini, animali, ambienti nella magia della fiaba dove anche un gallo può essere puinito per la sua arroganza o dove le isole che potrebbero accogliere navigatori stanchi sono raggiungibili solo in sogno o dove un ragazzo, che sa vedere oltre la realtà degli occhi, scopre castelli tra le nuvole nel cielo.

Brevi note biografiche

Zacharia Topelius (14 gennaio 1818 a Kuddnäs, Finlandia russa – morto il 12 marzo 1898 a Helsinki) fu professore di storia finlandese dell’Università di Helsinkinel 1864 . Sebbene abbia pubblicato cinque raccolte di testi, è conosciuto per Fältskärns berättelser (1853–67; The King’s Ring and the Surgeon’s Stories, 1872), un resoconto romanzato della storia svedese-finlandese dei secoli XVII e XVIII. Negli anni successivi scrisse storie basate su racconti popolari finlandesi e fiabe per bambini. Tutte le sue opere sono state tradotte in finlandese.

“Americana. Raccolta di racconti” a cura di Elio Vittorini, presentazione

Fu grazie all’introduzione di Emilio Cecchi, proposta qui in appendice, che il libro poté essere ristampato dopo il primo sequestro a opera della censura fascista. Le introduzioni di Vittorini alle sezioni, proibite a suo tempo dal regime, insieme alle immagini e alle didascalie originali, costituiscono un’affascinante interpretazione dello sviluppo letterario americano e una guida alla scoperta o alla riscoperta di grandi narratori e narratrici”.(dal Catalogo Giunti)

Ripubblicata nel marzo 2023 e in aprile in formato digitale da Giunti Bompiani con i contributi di Giuseppe Zaccaria, è un’antologia stampata per la prima volta nel 1941 a cura di Elio Vittorini che l’aveva proposta all’Editore Bompiani. Oggi rappresenta un viaggio alla scoperta della letteratura americana, dai primi dell’Ottocento alla fine degli anni ‘30  del Novecento, e assomma racconti di celebri autori tradotti da altrettanto celebri autori italiani tra i quali spiccano i nomi di Montale, Moravia, Pavese. Piovene e lo stesso Vittorini.

Un’opera ampia che nella prima edizione ebbe a scontrarsi con la censura fascista.

Il testo di una missiva di Vittorini all’editore sottolinea il fervore che animava l’indagine letteraria e nello stesso tempo la vastità del panorama americano in cui si muovevano le ricerche di Vittorini che scrive da Firenze il 5 maggio del 1940

“Sto leggendo tre volumi al giorno: per l’antologia. Quando tornerò a Milano, sabato e domenica prossima, avrò completato il lavoro di scelta. Intanto ho ottenuto che anche Moravia traduca tre racconti. Bene no? Così i traduttori saranno tutti scrittori”

Interessante la notazione conclusiva che vuole i traduttori a loro volta scrittori.

All’interno dell’opera anche le lettere indirizzate a Bompiani da Elio Vittorini offrono uno spaccato storico oltre che letterario sulla scelta fascista di censurarla da parte dell’allora Ministro della Cultura popolare Alessandro Pavolini. Un cammino arduo precedette l’opera di pubblicazione: incriminati furono i corsivi e le note critiche cui Vittorini faceva precedere i brani scelti e la Prefazione fu così affidata ad Emilio Cecchi, “più gradito”, scrive Zaccaria nella sua ampia e articolata presentazione, che si fece garante dell’Opera nei confronti del Ministero. Cecchi, accademico d’Italia, era esponente infatti della cosiddetta “prosa d’arte”, si legge nelle note che precedono i numerosi carteggi riportati tra Bompiani, Pavolini, Cecchi, Vittorini, Pavese e Montale.

Elio Vittorini nacque a Siracusa nel 1908. A ventitré anni esordì con Piccola borghesia e nel 1932 scrisse Viaggio in Sardegna, ripubblicato nel 1952 col titolo Sardegna come un’infanzia. È di quegli anni anche il romanzo Il garofano rosso, pubblicato in volume solo nel 1948. Nel 1941 uscì presso Bompiani Conversazione in Sicilia e nel 1945 Uomini e no, i suoi titoli più celebri, seguiti poi da Il Sempione strizza l’occhio al Fréjus (1947), Le donne di Messina (1949) e Diario in pubblico (1957). Con l’antologia Americana (1942) fu tra i primi traduttori della grande letteratura americana in Italia. Fondatore della rivista Il Politecnico, diresse successivamente le collane “I gettoni” per Einaudi e “Medusa” per Mondadori e i quaderni di letteratura Il Menabò insieme a Italo Calvino. Morì a Milano nel 1966. Nei Tascabili Bompiani sono disponibili Tre storieSardegna come un’infanziaAmericana, la nuova edizione di Diario in pubblicoIl garofano rossoIl Sempione strizza l’occhio al Fréjus, le Le donne di Messina e Le città del mondo e, nei Classici Contemporanei, Il garofano rosso e Conversazione in Sicilia. (da Giunti Autori)

La Quarta di copertina riporta l’elenco degli autori presenti nell’Antologia