A.Ferrini e S.Pizzuoli “Lungo la via Francigena in Toscana”, Edida

Edida

Dalla Premessa

Questo volume sul tratto toscano di una grande strada dell’antichità, riscoperta e oggi tra i cammini più percorsi, ha un preciso obiettivo: non vuole essere una guida, in questa direzione operano già testi che svolgono egregiamente questo compito, organizzati capillarmente in base ai chilometri, alle soste, ai ricoveri, ma nasce dall’intento di fornire su questa storica via tutta una serie di approfondimenti storico geografici, trascurati, per evidenti motivi, dalle guide al percorso, per soffermarsi, illustrando le caratteristiche storico-architettoniche, ambientali e artistiche, dei centri principali o degni di particolare nota attraversati o limitrofi, sia che si proceda a piedi, in bicicletta o in auto.
Il cammino, il viaggio sono da sempre stati sinonimo non solo di un bisogno di interiorizzazione o di attività salutare, ma soprattutto mezzo specialissimo per osservare da vicino e trascorrere all’interno di un territorio: unico modo per accoglierne la struttura, i mutamenti nella sua storia rimasti impressi nel paesaggio, gli aspetti culturali propri come la lingua, la cucina, le strutture architettoniche urbane e rurali, l’uso e la coltivazione della terra e gli attrezzi utilizzati, l’organizzazione sociale in città e in campagna, la viabilità, tra cui le acque gestite e utilizzate come grandi vie di comunicazione. In questa prospettiva, tra gli obiettivi principali c’è quello di poter rispondere a molte delle domande e alle curiosità che pellegrini o viaggiatori potrebbero porsi in itinere relativamente alle terre che stanno attraversando.

L’INDICE

I titoli principali

Premessa                                                                                                                                     
Storia e geografia del territorio                                                                                                   
Luoghi paesaggi dintorni                                                                                                          
Fra Luni e Lucca                                                                                                              
Fra Lucca e Siena                                                                                                                      
Verso Siena
Fra Siena e la valle del Paglia                                                                                                   
La sosta del viandante: cucina storia e ricette                                                                         

Della stessa Collana, Macchie di Toscana:

La valle dell’Arno tra storia e geografia

La Val di Merse: luoghi e paesaggi

Alcune pagine dall’ebook (che è stato possibile realizzare a colori senza gravare sul prezzo di copertina): in alto la Porta di accesso alla Toscana, sotto la Rocca di Staggia, quindi una pagina dal testo in cartaceo realizzato in bianco e nero senza nulla togliere alla nitidezza e alla bellezza estremamente godibile del paesaggio.

E buona Francigena a tutti gli estimatori!

Laestadius Ann-Hélen “La ragazza delle renne”, presentazione

Traduzione di S.Culeddu, S. A. Scali

[…]Romanzo di formazione e canto d’amore per un mondo che sta scomparendo, basato su una storia vera, La ragazza delle renne mette a nudo le tensioni che sorgono quando la modernità si scontra con una cultura tradizionale e con strutture patriarcali profondamente radicate, mentre la xenofobia è in aumento e i cambiamenti climatici mettono a repentaglio la sopravvivenza di un popolo che custodisce una sempre più fragile eredità indigena. E nello splendido scenario di favolosi paesaggi invernali, dove le renne corrono libere su distese infinite e sotto cieli immensi, l’orecchio di un cucciolo segretamente preservato in una scatola diventa il simbolo di tutto ciò che potrebbe andare perduto. Di tutto ciò che, forse, è già andato perduto.(Da Libri Marsilio Editore)

Elsa, la protagonista, è una ragazzina Sami di 9 anni che vive oltre il Circolo Palre Artco, in quella che è la Lapponia svedese, con il padre, la madre, un fratello maggiore e le renne.
I Sami sono una minoranza che vive articolata in varie comunità sparse tra la Svezia, la Norvegia, la Finlandia e la Russia. La loro è una cultura ricca di tradizioni, lingue, conoscenze legate soprattutto alle renne.
L’Autrice mette in luce la discriminazione che la minoranza etnica svedese ha subito nel corso degli anni per la sua determinazione a mantenere uno stile di vita tradizionale come pastori di renne tanto che  la vita della comunità è strutturata attorno ai cicli dell’allevamento degli animali.
La storia si ispira a fatti realmente accaduti che mettono in luce le difficoltà di una comunità combattuta tra tradizione e modernità in un ambiente naturale non abbastanza tutelato e protetto negli scontri tra la minoranza e la maggioranza svedese
Nell’inverno del 2008, Elsa assiste all’uccisione di un suo cucciolo di renna da parte di un cacciatore che la porta a tacere perchè è troppo terrorizzata per rivelare il suo nome, anche se suo padre e suo fratello sospettano di un ubriacone locale, Robert Isaksson. Come al solito, da quando i cacciatori non Sami hanno iniziato a torturare e mutilare i preziosi animali, la polizia locale si rifiuta di registrare i crimini come qualcosa di più di un furto ma per i Sami gli attacchi minacciano la loro stessa esistenza: il caso pertanto viene archiviato, ma il trauma perseguiterà Elsa fino all’età adulta, quando la continua cattiveria dell’uomo verso i Sami spingerà gli eventi verso un epilogo sanguinoso e inaspettato.

Ann-Helén Laestadius (1971), scrittrice e giornalista di origine sami, vive con la famiglia a Stoccolma. Dopo una serie di libri per bambini e ragazzi, per i quali ha ricevuto anche il prestigioso Augustpriset, La ragazza delle renne è il suo primo romanzo per adulti. Venduto in ventitré paesi, è diventato un film di successo per Netflix.

Elena Granata “Il senso delle donne per la città. Curiosità, ingegno, apertura”, presentazione

“Penso che le donne siano utili non in quanto donne, ma perché il nostro sguardo marginale ci ha consentito di elaborare un pensiero laterale che è quello che serve oggi. Non dobbiamo rifare il mondo, ma sistemarlo. Sono le donne a muoversi con figli, con gli anziani, con le valigie, con la pancia da incinte. Per questo conoscono meglio i difetti delle città.[…]”(Dall’Intervista di Caterina Soffici, La stampa 24 agosto 2024)

Elena Granata è docente di Urbanistica presso il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano e vicepresidente della Scuola di Economia Civile. Si occupa di città, di ambiente e di cambiamenti sociali e ha pubblicato molti saggi sull’argomento. Intervistata da Caterina Soffici indica al lettore la sua visione della città del futuro in cui ribadisce l’importanza del ruolo delle donne.

La sinossi dal Catalogo Einaudi, così sintetizza il contenuto del saggio che in parte rileviamo e riproponiamo

“[…]hanno osservato da vicino le città – nelle loro pratiche quotidiane – con il distacco che solo chi è escluso dai giochi può avere. Le donne, in forme varie e sempre eclettiche, hanno maturato un pensiero pratico sulla città che oggi non possiamo trascurare e di cui peraltro loro stesse non sono ancora pienamente consapevoli. Oggi che dobbiamo ripensare la relazione tra spazi e vita, tra tempi quotidiani e aspettative di benessere, tra natura e città, la prospettiva da cui guardano il mondo appare cruciale”.

Alla domanda: Lei accusa le città di essere diventate centri commerciali.

Nella risposta l’autrice evidenzia come la privatizzazione dello spazio pubblico per diventare spazio di consumo e dove prevale l’idea di decoro, nel senso che non si deve vedere niente di sgradevole, ha determinato questo cambiamento che vale per tutte le città italiane anche quelle d’arte e cita come esempio diverso quello di Barcellona dove “lo spazio pubblico, il vuoto, la piazza è più importante dello spazio privato.”
E aggiunge cosa si dovrebbe fare per rendere gli spazi pubblici più vivibili. La risposta, come fa notare l’intervistatrice, richiama il progetto di Stefano Mancuso, ovvero “de-pavimentare. Togliere la pietra, l’asfalto e tornare il più possibile allo sterro, ovvero la terra battuta, il prato e le alberature per assorbire l’acqua ed evitare allagamenti, stoccare anidride carbonica e abbassare temperature”.

Ribadisce quindi che la città del futuro non sarà di grattacieli e centri commerciali, ma “i grandi architetti sono quelli che avranno il coraggio di fare gli hospice, le carceri, quelli che si occuperanno della dignità delle persone negli spazi che abitano” e che le donne avranno in questa progettualità un ruolo importante proprio perché ne conoscono meglio i difetti. E aggiuge che il suo prossimo libro sarà dedicato a un tema molto femminile: la sala d’attesa, uno spazio “abitato principalmente dalle donne, che accompagnano all’ospedale, al pronto soccorso, eccetera”.

Brevi note biografiche

Professoressa di Urbanistica presso il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano e vicepresidente della Scuola di Economia Civile. È stata membro dello staff Sherpa, Presidenza del Consiglio dei Ministri, G7/ G20 (2020-21). Si occupa di città, di ambiente e di cambiamenti sociali. Tra i suoi libri: Biodivercity. Città aperte, creative e sostenibili che cambiano il mondo (Giunti 2019) e Ecolove. Perché i nuovi ambientalisti non sanno ancora di esserlo (con F. de Lettera, Edizioni Ambiente 2022). Per Einaudi ha pubblicato Placemaker. Gli inventori dei luoghi che abiteremo (2021) e Il senso delle donne per la città. Curiosità, ingegno, apertura (2023). È cofondatrice di PlanetB.it, gruppo di ricerca sui temi ambientali e sociali.(Da Einaudi Autori)

Hannah Ritchie “Non è la fine del mondo”, presentazione

Come possiamo costruire un pianeta sostenibile

Traduzione di Carla Manfredi

Ribaltando alcuni falsi miti su cui abbiamo costruito la nostra coscienza ambientalista – dall’esaltazione dell’alimentazione a chilometro zero e della vita in campagna, alla demonizzazione della sovrappopolazione, delle cannucce in plastica e dell’olio di palma –, Non è la fine del mondo ci fornirà gli strumenti per capire su cosa dobbiamo concentrarci urgentemente per poter consegnare un pianeta sostenibile alle generazioni future. Questi problemi sono enormi. Ma sono risolvibili. Non siamo condannati. Possiamo costruire un futuro migliore per tutti. Trasformiamo questa opportunità in realtà.

Non è la fine del mondo è una guida, di facilissima lettura, per aggiustare il pianeta.”

New Scientist

“Un libro confortante per chi fa fatica a credere in un futuro migliore.”

The Times

(da Aboca Edizioni)

Aboca pubblica un testo che ci dà indicazioni precise: sì perché è di questo che abbiamo bisogno. Essere spaventati e parlare di futuro incerto per le future generazioni non serve, occorre fare qualcosa, operare praticamente e ciò che può esserci utile sono quindi precise indicazioni. L’autrice, non è certo una che neghi la situazione davvero difficile, la sua preparazione scientifica è infatti elevata essendo docente di sostenibilità ambientale presso l’Università di Edimburgo e vice direttrice di Our world in data, la ong che fornisce informazioni statistiche sui problemi ambientali globali.

Ciò che è stato fatto, rispondendo all’allarme dal 2015, scrive, ha ottenuto dei risultati che certamente non bastano a scongiurare gravi crisi climatiche ma sono indicativi di un percorso che apre a speranze.

Un testo utile quindi, pratico, una giuda che ci libera dall’inutile catastrofismo e aiuta ad immaginarci operatori attivi.

Hannah Ritchie, ricercatrice del Programma per lo sviluppo globale dell’Università di Oxford, è vicedirettrice e capo del Dipartimento di ricerca del progetto Our World in Data, che riunisce i dati più recenti sui maggiori problemi del mondo e li rende accessibili al pubblico. Le sue analisi appaiono regolarmente su “New York Times”, “Economist”, “Financial Times”, “New Scientist”, “Wired”, “Vox” e BBC e sono state usate in bestseller come Illuminismo adesso di Steven Pinker, Factfulness di Hans Rosling e Clima. Come evitare un disastro di Bill Gates. È honorary fellow dell’Università di Edimburgo. Il “New Scientist” l’ha definita “la donna che ha fornito i dati sul covid-19 al mondo”. Non è la fine del mondo è il suo primo libro: ha debuttato al 6° posto della classifica del “Sunday Times” ed è in corso di traduzione in 18 paesi.( da Aboca Edizioni)

Richard Gorer “Guida agli alberi”, presentazione

Traduzione di Gina Bosisio, Paola Signori

Odoya Edizioni

Un viaggio su come riconoscere dalla forma delle foglie e dai solchi del tronco i nostri alberi, capire come sono arrivati vicini a noi, come si sono adattati al territorio, ma anche come curarli e proteggerli dagli agenti atmosferici e dai cambiamenti climatici. Richard Gorer è un esperto che si è reso conto che il punto di vista botanico è solo uno dei molteplici aspetti che riguardano gli alberi e in questo libro riccamente illustrato fornisce al lettore informazioni e notizie circa la loro storia e il loro enorme influsso sullo sviluppo del genere umano.

Una guida adatta a chi, a qualunque età, sia principiante in quella incredibile disciplina che ha inventariato una multiforme varietà di esseri viventi catalogati sotto l’etichetta di “Alberi”.

Ci piacerebbe davvero saperne di più e imparare a chiamarli per nome o semplicemete riconoscerli. Ecco che lo studioso Richard Gorer ci aiuta con il suo ampio e documentato testo a imparare a distinguere attraverso l’anatomia (tronco rami foglie radici fiori e frutti) e grazie anche alla sezione illustrata. E non solo, perché il raccontato è ricco di aneddoti oltre che di informazioni, ma anche di tante storie sulla loro origine ed esistenza sul pianeta, dei rapporti intrattenuti con gli esseri umani che hanno trovato rifugio o sono legati alla loro presenza in un particolare periodo della loro vita o agli alberi detti “sacri” in varie religioni.

Interessante e istruttivo per aprisi ad un mondo, quello naturale, poco indagato dai più, me compresa, ma affascinante soprattutto nella scoperta.

Richard Gorer, musicologo e studioso di orticoltura britannico.

A.Ferrini – S.Pizzuoli “Lungo la via Francigena in Toscana”, Edida

Edida

Dalla Premessa

Questo volume sul tratto toscano di una grande strada dell’antichità, riscoperta e oggi tra i cammini più percorsi, ha un preciso obiettivo: non vuole essere una guida, in questa direzione operano già testi che svolgono egregiamente questo compito, organizzati capillarmente in base ai chilometri, alle soste, ai ricoveri, ma nasce dall’intento di fornire su questa storica via tutta una serie di approfondimenti storico geografici, trascurati, per evidenti motivi dalle guide al percorso, per soffermarsi, illustrando le caratteristiche storico-architettoniche, ambientali e artistiche, dei centri principali o degni di particolare nota attraversati o limitrofi, sia che si proceda a piedi, in bicicletta o in auto.
Il cammino, il viaggio sono da sempre stati sinonimo non solo di un bisogno di interiorizzazione o di attività salutare, ma soprattutto mezzo specialissimo per osservare da vicino e trascorrere all’interno di un territorio: unico modo per accoglierne la struttura, i mutamenti nella sua storia rimasti impressi nel paesaggio, gli aspetti culturali propri come la lingua, la cucina, le strutture architettoniche urbane e rurali, l’uso e la coltivazione della terra e gli attrezzi utilizzati, l’organizzazione sociale in città e in campagna, la viabilità, tra cui le acque gestite e utilizzate come grandi vie di comunicazione. In questa prospettiva, tra gli obiettivi principali c’è quello di poter rispondere a molte delle domande e alle curiosità che pellegrini o viaggiatori potrebbero porsi in itinere relativamente alle terre che stanno attraversando.

L’INDICE

I titoli principali

Premessa                                                                                                                                     
Storia e geografia del territorio                                                                                                   
Luoghi paesaggi dintorni                                                                                                          
Fra Luni e Lucca                                                                                                              
Fra Lucca e Siena                                                                                                                      
Verso Siena
Fra Siena e la valle del Paglia                                                                                                   
La sosta del viandante: cucina storia e ricette                                                                         

Della stessa Collana, Macchie di Toscana:

La valle dell’Arno tra storia e geografia

La Val di Merse: luoghi e paesaggi

Alcune pagine dall’ebook (che è stato possibile realizzare a colori senza gravare sul prezzo di copertina): in alto la Porta di accesso alla Toscana, sotto la Rocca di Staggia, quindi una pagina dal testo in cartaceo realizzato in bianco e nero senza nulla togliere alla nitidezza e alla bellezza estremamente godibile del paesaggio.

E buona Francigena a tutti gli estimatori!

Stefano Mancuso “Fitopolis, la città vivente”, presentazione

Le città del futuro, siano esse costruite ex novo o rinnovate, devono trasformarsi in fitopolis, luoghi in cui il rapporto fra piante e animali si riavvicini al rapporto armonico che troviamo in natura. Non c’è nulla che abbia una maggiore importanza di questo per il futuro dell’umanità.(da Editori Latreza)

Ripensare le città, questo suggerisce Mancuso che le ritiene oggi incapaci per la loro costituzione e trasformazione nel tempo di difenderci dal cambiamento climatico legato all’essere divenute uniche aree precipue all’esistenza umana: prima abitanti della terra oggi abitanti delle città. Ma le città proprio perché tali richiederebbero un ambiente stabile mentre oggi le condizioni ambientali sono diventate mutevoli soprattutto il riscaldamento globale potrebbbe costituire una delle condizioni di base  della nostra sopravvivenza: è diventato pertanto vitale riportare la natura all’interno del nostro habitat. Sono infatti le città, sempre più grandi e popolose nel tempo e da qui in avanti, il luogo in cui avviene la maggiore aggressione all’ambiente

“L’unica maniera è de-impermeabilizzarla. Dal 30 al 40 per cento della superficie urbana è coperta da strade e allora dobbiamo prendere il 50 per cento delle strade e sottrarlo al traffico veicolare. De-impermeabilizzare vuol dire togliere l’asfalto, riportare un terreno utilizzabile e realizzare sopra dei parchi, piantarci alberi”.

Così risponde alla domanda di Walter Veltroni, suo intervistatore su il Corriere della Sera (16 Nov 2023), che gli chiedeva il come.

Nell’interessante intervista Mancuso espone la sua città ripensata, de impermeabilizzata e resa vivibile dagli uomini che ne hanno scelto l’ambiente come l’unico in cui insediarsi stabilmente e vivere.

“Ovviamente ci devono essere dei servizi pubblici che funzionino. Le città devono essere ripensate in maniera radicale. […]  una città moderna dovrebbe essere una struttura vegetale, diffusa, ramificata. È il concetto della città dei 15 minuti: dovunque tu sia, nel raggio di 15 minuti a piedi, devi essere in grado di trovare tutto ciò che necessita per la tua vita quotidiana”.

E aggiunge che andrebbe ripensata la superba scala gerarchica che pone la natura in genere al gradino più basso e l’uomo a quello più in alto, quasi fosse “il migliore”, ma aggiunge “In natura non esiste l’idea di “meglio”, non esiste il più forte, il più intelligente, il più furbo; in natura esiste il più adatto, cioè colui che si adatta meglio”

Un testo interessante per la prospettiva tracciata in “Fitopolis, la città vivente”, il cui titolo contiene già un progetto.

Sulla pagina di Laterza un estratto

Dello stesso autore

La tribù degli alberi

Enrico Caneva “La flora preistorica. I giardini del Giurassico”, Töpffer edizioni (OLTRE)

Prefazione di Walter Landini

con 180 immagini a colori

Töpffer edizioni (OLTRE)

In libreria dal 15 settembre

Da centinaia di milioni di anni le piante, veri campioni di adattamento, si evolvono per adeguarsi agli effetti dei cambiamenti climatici del nostro splendido pianeta. L’esperienza pluridecennale di paesaggismo e lunghi studi sui resti fossili delle piante più antiche sono alla base della realizzazione, a Sarzana, da parte dell’autore, di un parco dedicato a queste piante così geometriche e meravigliose. Un’attenzione particolare è stata data alla flora della nostra penisola, in special modo a quella delle Alpi Apuane e dei Monti Pisani. Al lavoro di studio sui fossili è seguita la ricerca delle piante superstiti dell’epoca e la sperimentazione, di lunghi anni, per riuscire a reintrodurle correttamente nei nostri giardini. Questo libro è sì la presentazione scientifica della saga della flora al tempo dei dinosauri, ma vuole anche essere un invito a creare, ciascuno in casa propria, un piccolo angolo dedicato alle piante Giurassiche, per godere ancora della loro straordinaria bellezza. Conoscere le piante fin dall’inizio della vita terrestre, quelle brucate in un tempo lontano dai dinosauri, è stato uno dei desideri dell’autore fin da bambino. Scoprire che moltissime esistono ancora è sorprendente. Questo è il primo di una serie di libri che saranno dedicati alla flora delle diverse epoche geologiche, con schede semplici e pratiche ricche di consigli per trovarle e coltivarle senza intoppi. Una parte importante del giardino botanico di Sarzana, realizzato dall’autore, è dedicata alle piante descritte in questo libro: una lettura interessante per accompagnare il lettore nella riscoperta delle vere piante autoctone del nostro bellissimo paese.

Muoversi nell’assordante silenzio delle piante dalle origini antiche del Giardino preistorico è un po’ come perdersi nei percorsi che conducono nei meandri stratificati e poco conosciuti della storia naturale, alla ricerca del senso, se davvero questo esiste, nel divenire della vita sul nostro pianeta. Preistoria è una parola dal fascino arcano, senza tempo definito. Finisce quando comincia la Storia, poi sprofonda e si rivela, di tanto in tanto, in modo frammentario, svelando trame che si intrecciano senza soluzione di continuità. Nell’immaginario collettivo il tempo profondo della  preistoria  è la patria di animali iconici, delle strane e bizzarre creature del mare, della terra e del cielo. Le piante, in questi “scatti di natura antica” quasi mai occupano il centro della scena, più facilmente si riconoscono come elementi decorativi, indispensabili per dare profondità al paesaggio ed il giusto risalto alle presenze animate. Anche la Paleontologia, la disciplina che si occupa del passato, attraverso lo studio dei fossili, è fondamentalmente una scienza di genere, occupandosi quasi esclusivamente del divenire della vita animale. Niente di più lontano dal vero. Le piante non sono l’altra faccia degli esseri viventi. Comprendere la storia della vita ed il suo divenire sul nostro pianeta vuol dire, prima di tutto, riconoscere il posto ed il ruolo occupato dalle piante (dall’introduzione di Walter Landini)

Enrico Caneva è nato e cresciuto in Veneto. Ha lavorato in California, a Hong Kong, in Germania e Inghilterra. Si è poi trasferito stabilmente a Parigi dal 1998 dove, dopo aver conseguito nel 2010 un diploma in strategie di comunicazione internazionale alla Henley Business school, nel 2011 ha fondato la sua prima azienda dedicata alla formazione e alla sicurezza delle persone sui luoghi di lavoro e dove ha preso dimestichezza nelle formazioni presso le sue sedi internazionali a Shanghai, Singapore, Jakarta, Virginia (USA) e Sao Paolo in Brasile. Durante i suoi viaggi è nata l’opportunità di visitare innumerevoli parchi botanici e la sua passione per le piante è sfociata agli inizi del 2000 in un’attività di paesaggismo e progettazione del verde a Parigi. Dal 2018 si è trasferito in Liguria, a Sarzana (SP), e ha fondato un nuovo giardino botanico dedicato alle piante di tutto il mondo e alla formazione botanica. Attualmente sono state piantumate 15.000 piante, 2.200 specie da tutto il mondo. Un’attenzione particolare è rivolta alla didattica.

Nato a Portovenere (La Spezia) nel 1946, il professor Walter Landini è stato curatore del Museo di Geologia e Paleontologia dal 1974 al 1981. È stato professore associato dal 1983 al 2001, anno in cui è stato chiamato dall’Università di Pisa come professore ordinario di Paleontologia. Nella sua carriera il professor Walter Landini ha contribuito in maniera determinante allo sviluppo delle Scienze della Terra con i suoi studi sulla paleontologia dei vertebrati in Italia e all’estero. Ha prodotto oltre 150 pubblicazioni su riviste nazionali e internazionali di grande prestigio.

Stefano Mancuso “La tribù degli alberi”, presentazione

C’è una voce che sale dal bosco: è quella di un vecchio albero che vive lí da sempre, e adesso vuole dire la sua.*

Stefano Mancuso, professore all’Università di Firenze e all’Accademia dei Georgofili e direttore del Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale, ha scritto e documentato il mondo vegetale in molti testi, in quest’ultimo sceglie non la saggistica, ma un genere narrativo per raggiugere più lettori possibile: non solo giovani, ma anche adulti per avvicinarli ad un mondo, quello naturale, spesso incompreso o comunque sconosciuto, perché le piante sono esseri sociali, intelligenti, capaci di dialogare che spesso non sappiamo ascoltare e capire, maltrattando chi dovremmo proteggere perché questo mondo parallelo ci salva la vita.

E allora ecco una bella fiaba, la storia di Laurin, di un vecchio tronco e della comunità del territorio di Edrevia: I Cronaca i Dorsoduro, i Guizza, i Terranegra e i rissosi, temibili Gurra. Ha molto da raccontare il vecchio Laurin, detto Il piccolo, nei secoli in cui si è svolta la storia della comunità, ripercorrendone le vicende e le feste e le cacce al tesoro, ma anche le incomprensioni e i dubbi tra i diversi membri che sanno però anche sostenersi a vicenda.

“Nessuno meglio di Stefano Mancuso ha saputo raccontare il regno vegetale, ma qui c’è la scoperta di una forma nuova, che coniuga la vivacità dell’apologo al rigore scientifico. Cimentandosi per la prima volta con la narrativa, il celebre botanico ha scritto una storia per tutte le età”.(* dal Catalogo Einaudi)

Stefano Mancuso è professore ordinario presso l’Università di Firenze e dirige il Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale. Ha pubblicato Verde brillante (Giunti 2013, con Alessandra Viola) e Plant Revolution (Giunti 2017, Premio Galileo). Presso Laterza sono usciti L’incredibile viaggio delle piante (2018), La Nazione delle Piante (2019) e La pianta del mondo (2020). Per Einaudi ha pubblicato La tribú degli alberi (2022). I suoi libri sono tradotti in piú di venti lingue.(da Einaudi Autori)

Maura Quattrini e Davide Demaldé “Nelle terre di Giuseppe Verdi. Viaggio tra i caseifici del Maestro”

Mondadori Electa

Un ritratto inconsueto di Giuseppe Verdi, benefattore e illuminato imprenditore agricolo; un suggestivo e coinvolgente quadro ambientale e di costume per riscoprire le atmosfere in cui il Maestro vigilava nelle sue proprietà nel piacentino.

Così si legge sulla Quarta di copertina e, in effetti, è sicuramente un aspetto della vita, delle opere e degli interessi del compositore, inserito in un contesto ambientale e storico, mai preso in considerazione.

Originario di Parma, soggiornò infatti per lungo tempo nel comprensorio piacentino dove, tra i caseifici di Piantadoro e Castellazzo (Villanova d’Arda), in veste di agricoltore amava trascorrere nelle sue proprietà occupandosi di agricoltura e, da oculato imprenditore, di allevamenti e di formaggio, quel Grana il cui nome in origine era piacentino, ma anche mantovano, bresciano e cremonese a seconda delle zone di produzione, e che nel 1954 prese il nome con cui lo conosciamo oggi: Grana Padano.

Un libro fatto di documenti e testimonianze che qualificano il Maestro non solo come grande compositore, evidenziando che le sue maggiori opere furono proprio frutto di quelle terre, scritte quasi tutte a Sant’Agata, dove amava passeggiare soffermandosi a discorrere con i conduttori dei suoi caseifici: il Campioli e consorte, gestori del caseificio di Castellazzo, ma anche gli Allegri e i Cavalli a Piantadoro.

Aneddoti e ricordi caratterizzano il lavoro di ricostruzione dei due autori nel periodo di quasi mezzo secolo che vide Giuseppe Verdi vivere e produrre musica e formaggio proprio nel piacentino, agricoltore attento e amante delle sue produzioni che curava personalmente con amore e passione per la terra.