Daniela Alibrandi “L’amore giovane”, il quarto racconto tratto dall’antologia “Storie tra luci e ombre”

Oggi 6 dicembre “L’amore giovane” il quarto racconto di Daniela Alibrandi tratto dalla sua antologia“Storie tra luci e ombre”


È l’amore giovane quello che sento per te e io per prima non riesco a credere che sia trascorso quasi mezzo secolo dal momento in cui lenostre labbra si sono toccate. E non fu un semplice tocco, ma un attorcigliamento di lingua e di carne, di sete che veniva placata dal tuo sapore, dalla tua saliva. Anche se poco più che adolescente io ti avevo sempre cercato e quello fu ritrovarti.
Non c’è nulla di maturo, invecchiato, antico tra noi due. Al tuo tocco la mia pelle freme come allora, quando ti avvicini sento ancora l’emozione di quando guidavi e mettevi la freccia, lasciando la strada principale per entrare in quella stradina, sì quella che costeggiava il campeggio, e io sapevo che volevi stare solo con me, e non mi avresti riportato a casa,
almeno per un’altra ora.
E quando penso che gli anni inesorabili andranno avanti, so già che nel nostro distacco ci sarà ancora la struggente nostalgia di quei baci, la lacerante disperazione che sentivamo quando tu, militare, dovevi partire e io ti venivo a salutare alla stazione. Piangevo e tu mi consolavi, ma avevi gli occhi lucidi anche tu. Poi, quando il treno partiva, tu
continuavi ad agitare il basco finché i convogli sparivano alla curva e io restavo sola, impaurita e, con l’unico desiderio di riaverti vicino, andavo ad aspettarti.

Daniela Alibrandi “Storie tra luci e ombre”

I racconti su tuttatoscanalibri

Daniela Alibrandi “L’ultima prospettiva”, il primo dei quattro racconti

Daniela Alibrandi “Il bacio dei vecchi”

Daniela Alibrandi “L’ultima casa”

Maurizio Zaccaro “Bellissima dea.La storia di Clara Calamai”, Vallecchi

Dal successo travolgente di Ossessione all’ombra del silenzio: la parabola di un mito.

«Clara Calamai fu una vera e propria invenzione di Visconti. Credo non ci fosse allora nel cinema italiano una figura femminile che avesse la possibilità di diventare sullo schermo sesso e simbolo come fece Clara.»  Giuseppe De Santis

Prefazione di Emanuela Martini

Vallecchi

Dal 5 dicembre 2025

Clara Calamai è stata il primo scandalo del cinema italiano. Bellissima, sensuale, altera come una diva francese, nel 1942 osò ciò che nessuna attrice aveva mai fatto prima: apparire a seno nudo ne La cena delle beffe, sca­tenando lo scandalo e la fascinazione di un intero Paese sotto dittatura. Un anno dopo, con Ossessione di Luchino Viscon­ti, rinunciò agli abiti eleganti e al trucco, prestando il volto e il corpo a Giovanna, la bottegaia frustrata che inaugurò il ne­orealismo. Da quel momento divenne il simbolo di una generazione: l’immagine che i soldati italiani portavano al fronte nel portafogli, la donna proibita che incarnava il desiderio e il peccato. Ma Clara Calamai non fu solo la diva con­turbante degli anni Quaranta. Fu anche una donna inquieta, fragile, piena di pas­sioni e paure, che scelse a un certo punto di abbandonare le luci del set per insegui­re affetti e normalità. Un ritiro improvviso che la rese ancora più leggendaria, come una Greta Garbo italiana. Poi, quando sembrava ormai dimenticata, la chiamata inattesa: Dario Argento la volle in Profon­do rosso, restituendole una nuova, inquie­tante immortalità. Bellissima dea è il romanzo di una diva che bruciò di scandalo e desiderio, e che pagò con il silenzio e l’ombra il prezzo della sua unicità.

Scrive l’Autore nella Postfazione: 

Ci sono voluti più di due anni per completare questo libro ma devo dire che sono stati ben spesi, alternando la scrittura alla ricerca delle fonti, alla visione dei suoi innumerevoli film, almeno quelli che ancora si trovano (altri purtroppo sono considerati perduti come “L’adultera” – 1946 – di Duilio Coletti , “Pietro Micca” – 1938 – di Aldo Vergano, o difficilmente reperibili come “Amanti senza amore” – 1948 – di Gianni Franciolini) e soprattutto agli incontri con chi Clara Calamai l’ha conosciuta e frequentata per motivi familiari o professionali. Ora che questa straordinaria macchina del tempo si è fermata e il lavoro è compiuto posso dire che Clara mi mancherà parecchio. Restano queste pagine, è vero, resta la sua voce sottile nella mia memoria, il suo sguardo “orientale”, la sua eleganza “francese” e infine restano le sue parole, a volte allegre, altre velate da una malinconia insanabile: “L’ho sempre presa sbagliata questa vita mia. Ho sempre pensato che non si può essere felici, con il padre e la madre che devono morire, con tutti questi animali che devono essere uccisi, con tutto questo dolore che si vede nel mondo.”

Maurizio Zaccaro è regista e sceneggiatore. Fra i suoi film ricordiamo Dove comincia la notte (1991), David di Donatello come miglior regista esordiente, L’Articolo 2 (1993), premio Solinas per la sceneggiatura, Il carniere Un uomo perbene, Nour (2019). Dal 2000 a oggi ha diretto inoltre numerosi docu­mentari, sceneggiati e film per RaiUno e Mediaset, fra i quali Fernanda. Ha pubblicato Bleu (Maggioli, 2017), La scelta. L’amicizia, il cinema, gli anni con Ermanno Olmi (Vallecchi, 2020) e Sotto il sole. Racconti di uomini animali e ombre (Vallecchi, 2022).

Jurij Tynjanov “Il sottotenente Kižè”, Bibliotheka Edizioni

Nuova traduzione dal russo della novella Il sottotenente Kižè, che ha ispirato una suite di Prokofiev e un film. Un divertente e corrosivo ritratto della Russia zarista ai tempi di Paolo I

UN BANALE ERRORE DI SCRITTURA DÀ VITA A UN UFFICIALE INESISTENTE, CHE FARA’ UNA SORPRENDENTE CARRIERA E SARA’ ONORATO DALLO ZAR

A cura e con la traduzione dal russo di Francesca Tuscano

Nota di lettura di Roberto Alessandrini

Bibliotheka

Dal 5 dicembre

Un copista militare maldestro e inesperto compie due errori nello scrivere altrettante ordinanze da sottoporre alla firma di Paolo I, imperatore di Russia: una persona in carne e ossa viene data per morta e un individuo inesistente viene destinato a una favolosa carriera.
È un divertentissimo e corrosivo ritratto della Russia zarista quello offerto dalla novella di Jurij Tynjanov Il sottotenente Kižè, scritto nel 1928. La novella ebbe molto successo al punto da ispirare un film con lo stesso titolo, diretto nel 1934 da Aleksandr Michajlovic Fajncimmer, e la Suite op. 60 di Sergej Prokofiev.

È lo zar Paolo I a firmare le due ordinanze che certificano ufficialmente due fatti mai avvenuti e che saranno ritenuti veri, per banali errori di scrittura, dalla conformistica società statale e dall’ottusa burocrazia militare: la cancellazione dai ranghi dell’esercito di un tenente la cui esistenza verrà completamente ignorata, e la parallela creazione di un ufficiale virtuale, il sottotenente Kižè, il quale andrà incontro a eventi reali, di cui resterà traccia nei documenti ufficiali. Inizialmente fustigato e deportato in Siberia, sarà poi promosso e farà una brillante carriera nei ranghi dell’esercito. Avrà persino una moglie e un figlio, ma alla fine si ammalerà, morirà e sarà onorato con funerali di Stato alla presenza dell’addolorato sovrano.

[…] nella novella storica di Jurij Tynjanov Il sottotenente Kiže un banale errore di trascrizione agisce come motore, anche in questo caso identitario, della vicenda. Un giovane e inesperto scritturale è intento a ricopiare l’ordine del giorno che dovrà essere sottoposto al sovrano. Angosciato dal ritardo, dalle interruzioni e dal timore di sbagliare, commette due involon­tarie mistificazioni che producono effetti inattesi, ma reali. Pur non esistendo, il sottotenente Kiže esiste in virtu’ di un lapsus, di una semplice maiu­scola su un documento. Ufficiale ignoto e incorporeo, senza volto, ma con un cognome, Kiže sarà esiliato in Siberia su ordine dell’imperatore, poi richiamato dall’esilio, promosso al grado superiore e persino sposato a una dama d’onore. Ai tasselli di questa elementare biografia si deve aggiungere la notorietà che presto si assocerà al suo nome assieme al rigore della sua condotta militare. L’errore di scrittura che lo ha generato lo protegge da ogni possibile sbaglio e lo proietta in un mondo di perfezione irreale perché gli automa­tismi della finzione militar-burocratica non ha al proprio interno la possibilità di emendarsi: tutti fin­gono di vedere ciò che non esiste. (Roberto Alessandrini)

Jurij Tynjanov (1894-1943), nato in una famiglia della borghesia ebraica russa, studiò all’Università di San Pietroburgo, dove conobbe Šklovskij ed Ėjchenbaum, con i quali fondò la Società per lo studio del linguaggio poetico, centro del Formalismo russo (insieme a Jakobson, Propp e altri linguisti e critici letterari). Dal 1925 iniziò la sua attività nella narrativa e nel cinema, prima come consulente presso gli studi della Leningradkino, poi come sceneggiatore.

Stefano Cerati “(Don’t Fear)The Reaper. Testi e canzoni dei Blue Öyster Cult “, Tsunami Edizioni

Per la prima volta un libro italiano indaga i testi e la musica dei Blue Öyster Cult, una delle band hard rock più influenti e originali di sempre.

Collana Le Tormente 25

Tsunami

Dal 5 dicembre

I Blue Öyster Cult sono una band particolare e unica sotto molti aspetti. Grazie alla sapiente guida del loro manager, produttore, paroliere principale e mentore Sandy Pearlman, hanno sviluppato un concept unico che, partendo dalle suggestioni cosmiche e aliene di H. P. Lovecraft, ha sviluppato un mondo lirico in cui s’intrecciano alchimia, storia, occultismo, orrore e magia, andando ben oltre agli scopi della loro casa discografica che voleva farne “semplicemente” la risposta americana ai Black Sabbath. La loro carriera frastagliata e tormentata, ma che li vede attivi ancora oggi dal 1967, ha prodotto vendite per oltre trenta milioni di dischi, ma soprattutto ha contribuito a dare al genere heavy metal, termine inventato proprio per la loro musica, una connotazione intelligente, intrigante e profonda, tanto che il loro rock è stato etichettato come «metal for the thinking man». Primi a usare i laser in concerto e l’abbigliamento denim & leather, hanno sempre avuto un lato misterioso, horror, ambiguo e criptico, difficile da decifrare fino in fondo, e che si sublima nel concept di Imaginos, un alieno che cambia le sorti del mondo attraverso due secoli di storia. Ripercorrere la carriera dei Blue Öyster Cult attraverso le loro canzoni e i loro testi vuol dire addentrarsi in una delle avventure più affascinanti del mondo del rock.

Stefano Cerati è un giornalista e scrittore milanese, attivo nel campo del rock da quasi trent’anni. Ha collaborato per numerosi periodici rock e metal e dal 2009 è editore della rivista Rock Hard. Per Tsunami Edizioni ha scritto per la serie “I 100 Migliori Dischi” i volumi sulla NWOBHM, sul thrash, sul death e sul doom. È inoltre autore degli acclamati saggi Heavy Metal – 50 anni di musica dura Black Mass – La Storia dell’Occult Rock e di Black Sabbath – Masters Of Reality, il volume dedicato ai testi del periodo classico della band di Birmingham.

Luca Magnano “Futuri”, presentazione

Racconti come finestre aperte sul futuro, o meglio su futuri possibili e impossibili.
Un uomo si sveglia nel cuore della notte, perseguitato dalle interruzioni pubblicitarie che scandiscono la sua vita; un’auto costosa non basta a proteggere un uomo e sua figlia da una città che va in pezzi; in una scuola superiore le sparatorie sono entrate a far parte della quotidianità; in una valle devastata dal riscaldamento globale, si dà la caccia a una strega armata di antiche tecnologie; nel bel mezzo di una guerra civile, i morti rifiutano di essere morti… Futuri che ci assediano, preoccupano, spaventano… ma che lanciano un monito: guardare in faccia ciò che potrebbe accadere, serve a guardare in faccia il presente.( dal Catalogo Montag Edizioni)

Stralci da una recente intervista (23 ottobre 2025) :

Futuri è la mia prima raccolta di racconti, in precedenza avevo pubblicato solo qualcosa su riviste online o in antologie. È un libretto, undici racconti brevi, come portata narrativa si potrebbe paragonare a un album musicale. Alcuni dei racconti sono in prima persona, altri in terza. Quello che li accomuna l’essere ipotesi su cosa potrebbe riservare il futuro dell’umanità, e su come l’elemento umano possa continuare a esistere in condizioni mutate e, nella maggior parte degli scenari, difficili”.
“Per molti anni, e per svariate ragioni, la scrittura breve mi è parsa la più congeniale, quella che praticavo più spontaneamente e con meno difficoltà”. […]
[…]”La crisi del capitale e quella climatica, la distruzione degli ecosistemi e la mercificazione di tutto ciò che esiste sono alla radice di tutte le situazioni descritte in questi racconti”.
[…]”i miei racconti in genere nascono da riflessioni oziose o trascrizioni di sogni, che passano attraverso successivi stadi di riscrittura finché non trovano una forma”.

Luca Magnano vive e lavora a Torino. Futuri è la sua prima raccolta di racconti.

Novità OLIGO dal 28 novembre in libreria

Per la prima volta in italiano due volumi che ci conducono alle origini della modernità letteraria e artistica europea: i primi racconti pubblicati da Virginia e Leonard Woolf con la nascita della Hogarth Press e la raffinata lettura che Charles-Ferdinand Ramuz dedica all’arte di Cézanne 

Virginia e Leonard Woolf “Due racconti”

Traduzione e cura di Sara Grosoli

Con le silografie dell’edizione originale di Dora Carrington

OLIGO

Dal 28 novembre

 Nella primavera del 1917 i coniugi Virginia e Leonard Woolf installarono una macchina da stampa nella sala da pranzo di Hogarth House, la loro residenza a Richmond. Nasceva così la Hogarth Press. Two Stories fu il primo volume pubblicato e comprendeva i racconti Il segno sul muro di Virginia e Tre ebrei di Leonard, un testo – quest’ultimo – pressoché sconosciuto in Italia, in cui l’autore, nato in una famiglia ebraica d’orientamento liberale, ironizza sui modi di vivere britannici.

Sara Grosoli, laureata in Lingue e letterature straniere all’Università di Bologna, ha concentrato i suoi studi sulla narrativa vittoriana. Ha lavorato come lettrice di narrativa straniera per la casa editrice Rizzoli. Ha tradotto opere di Charlotte Brontë, Mary Wollstonecraft, Louisa M. Alcott, George Sand, Mary Shelley, Isaak Babel’, Wilkie Collins, Elizabeth Gaskell, M.E. Braddon, Sarah Bernhardt e George Eliot. Ha curato un’edizione critica delle lettere di Anna Bolena e la pubblicazione della biografia di Jane Austen scritta dalle nipoti dell’autrice. Per Oligo Editore ha tradotto Come Shakespeare giunse a scrivere La tempesta di Rudyard Kipling, Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina di Olympe de Gouges e Tu non sconosci la mia dottrina di Anne Bronte.

 Charles-Ferdinand RamuzIndagine su Cézanne

A cura di Marino Magliani

Traduzione di Sandro Ricaldone e Marino Magliani

Prefazione di Sandro Ricaldone

Con disegni e acquerelli di Cézanne

OLIGO

Dal 28 novembre

Charles-Ferdinand Ramuz (Losanna, 1878-Pully-1947), poeta e scrittore, è stato tra i più significativi intellettuali svizzeri della prima metà del Novecento. A Parigi tra il 1902 e il 1914, rientrato in patria fonda la rivista “Cahiers vaudois”, sul cui primo numero pubblica Raison d’être, il manifesto in cui esprime la sua volontà di profonda identificazione con la natura, il paese e la lingua romanda. Nel 1918 scrive l’Histoire du soldat, musicato da Igor Stravinskij. Non stupisce, quindi, il suo interesse verso la ricerca pittorica di Cézanne che ha dato vita a questi due brevi saggi narrati, uno del 1914 e l’altro uscito postumo nel 1948, qui pubblicati in italiano per la prima volta e anticipati da una recensione di una mostra parigina del 1906. L’attenzione al paesaggio, al dato naturale, alla sintesi espressiva accomuna infatti lo stile del grande pittore francese alla prosa ricercata di Ramuz.

Marino Magliani, di origini liguri, ha vissuto per anni tra Spagna e America Latina, per poi trasferirsi in Olanda. Scrittore e traduttore, ha pubblicato per molti editori, tra cui 66thand2nd, Chiarelettere, Hopefulmonster, Italo Svevo, Longanesi, L’Orma, Sironi. Ha vinto numerosi premi e riconoscimenti. Nel 2022 è rientrato nella dozzina del Premio Strega e nel 2024 è stato tra i finalisti del Premio Alassio. Per Oligo dirige la collana Ronzinante.

Sandro Ricaldone (Genova, 1951), studioso e critico d’arte di formazione giuridica, dall’inizio degli anni Ottanta ha avviato approfondimenti su gruppi e movimenti del secondo Novecento attraverso saggi confluiti nella rivista “Ocra”, da lui fondata e, in seguito, curando mostre e rassegne. Ha collaborato a numerose riviste e quotidiani, fra cui “Il Secolo XIX”. Tra i suoi volumi più recenti: L’avant-garde se rend pas (2018) e Da una non breve unità di tempo (2023) entrambi per l’editrice Il Canneto.

Daniela Alibrandi “L’ultima casa” il terzo racconto tratto da “Storie tra luci e ombre”

Oggi 29 dicembre il terzo racconto breve di Daniela Alibrandi tratto da “Storie tra luci e ombre”

Espropriare la casa a qualcuno, questo era ciò che del mio lavoro non mi piaceva, anche se i motivi potevano essere il bene comune o il cammino del progresso. Così mi accinsi, con un certo disagio, a bussare per la seconda volta alla casa del vecchio, che si ergeva sul promontorio a nord della città. Era l’ultima abitazione di quelle costruite dai pescatori nel dopoguerra, il nucleo da cui prese vita la grande e moderna città di oggi.
La prima volta lui, curvo, pallido e dai vecchi occhi azzurri e umidi, mi aveva accolto male, sbattendomi la porta in faccia. Stavolta lentamente aprì.
“Ah, sei tu?” mi disse.
“Sì sono io e ora deve starmi a sentire!” risposi in tono perentorio. Lui mi squadrò ed era difficile interpretare il suo sguardo.
“Entra!” mi intimò, ed entrai nella sua casa di legno. Le travi che cigolavano allo sferzare del vento e la veduta che da lì si godeva mi fecero sentire come in un antico veliero perso in alto mare.
“Mi stia a sentire, il comune le offre un’ottima buonuscita e inoltre le è stata assegnata una casa popolare al di là della ferrovia!”
“No! Da qui non mi muovo!” disse con fermezza. Mi invitò, però, a sedermi e mi versò un bicchiere di vino. Mi scrutava, mentre si accendeva un sigaro. L’odore che si sentiva era un misto di legno fradicio e di scoglio.
“Dunque, la casa che le è stata assegnata è di due camere.”
“Ho detto no!” Tacqui.
“Io sto qui da tanto di quel tempo! Prima non c’era niente, solo noi pescatori, la sabbia chiara, il Castello e la pineta
che arrivava fin qui
” i suoi occhi erano lucidi “mi piaceva tanto, sai, correre fino alle rovine del Castello. Lì mi sdraiavo con Nina, finché le
onde arrivavano a bagnarci”.
Non sapevo cosa dire, così lo lasciai continuare
“Avete abbattuto i pini, vergogna! Non avete avuto rispetto di ciò che avevo scritto su quelle cortecce!” La nostalgia nella sua voce stava iniziando a contagiarmi.
“Ora ci sono gli alberghi sulla spiaggia, i lettini, gli ombrelloni! Vergogna!”
Azzardai: “Sì, ma il Castello è stato restaurato ed è meta dei turisti, il lungomare è uno dei più belli del Paese. Ha visto quanti bei negozi, sa che dove sorgono le case popolari c’è un mercato coperto e vicino c’è anche il cinema!”
“Da qui non me ne vado!” Ribadì, guardandomi dritto negli occhi. Era più difficile di quanto pensassi, forse avrei preferito la scortesia della volta precedente. Lasciai andare le braccia in un gesto di resa.
Lui allora sospirò e mi propose: “Senti, ti darò retta se una notte verrai a pesca con me, ci stai?” Non me l’aspettavo, ma se serviva a convincerlo…
“Va bene, anche stanotte” dissi deciso.
Così andai con lui e, quando la sua barca prese il largo, lui non volle che parlassimo oltre.
“Devi ascoltare” mi intimò.
Ascoltai, incredulo, il silenzioso dialogo che esisteva tra le onde e i colori intensi che, al tramonto, si stavano accendendo di una calda tonalità pastello. Mentre il sole tramontava, compresi che ogni giorno muore in un modo tutto suo, come ogni uomo. La notte arrivò improvvisa e sentii la presenza della luna che, muta e lontana, influenzava la marea. Infine la rapsodia dell’alba mi investì, mentre i raggi del sole nascente, correndo veloci, fendevano le onde per colpire la terra, svegliandola. Vidi l’ampio e gioioso volo dei gabbiani, che salutavano il nostro rientro sulla terra ferma. Eppure io ogni giorno mi alzavo, vivevo, lavoravo in quello stesso luogo! Come mai nel ritmo concitato delle mie giornate non avevo mai trovato il tempo di ascoltare il mare, guardandolo solo distrattamente dalla finestra del mio ufficio?
Mentre lui legava la sua vecchia barca al molo, mi gridò:
“Non sopporto la puzza dei motori! La città la puoi odiare, ma il mare no!” Capii che non avrebbe ceduto.
È per questo che ora sono qui, tra questi legni cadenti. La vecchia casa verrà demolita oggi e sono quasi felice che lui non ci sia più o sarebbe morto ora, davanti ai miei occhi. Prima che la ruspa arrivi voglio inspirare ancora lo strano olezzo di legno marcio e di scoglio. Lo voglio portare dentro di me tornando alla realtà della città moderna e bellissima, dove il ritmo veloce della mia vita si fonde con quello festoso e lento di chi viene qui a villeggiare. Nella mia mente scorrono le immagini di spiagge popolose, di forestieri che passeggiano scrutando le intriganti vetrine, gustando appetitosi gelati, in attesa di andare al cinema o in discoteca. Penso ai tramonti che infuocano gli eleganti palazzi e che non parlano di un giorno che muore, ma di una notte che nasce, promettendo magie. La musica sul molo e i turisti che attendono i traghetti, le botteghe artigianali del Castello, questo è l’insieme del meraviglioso ingranaggio che ha creato lavoro e benessere. Esco da questa stamberga, chiudendo la porta con delicatezza. Nel lasciarla, però, sento che qualcosa in me si strugge. Mentre mi avvio verso il centro è quasi il tramonto. Un vento forte si è alzato, carico di salsedine. Le folte chiome delle palme sul lungomare agitate e scomposte mi parlano di un’altra storia e io sento inequivocabilmente che il mare ha vinto e, nonostante tutto, tra le alte mura dei palazzi e le insegne luminose, riesce ancora a sussurrare la sua poesia.

Daniela Alibrandi “Storie tra luci e ombre”

I racconti:

L’ultima prospettiva
Il bacio dei vecchi

Hermann Broch “La morte di Virgilio”, Bibliotheka

Considerato l’ultimo esemplare del romanzo moderno borghese, affiancato alle opere di Proust e Joyce, tradotto in oltre 25 lingue, torna Il capolavoro di Hermann Broch in una nuova traduzione italiana

Introduzione e traduzione di Vito Punzi

Bibliotheka

Dal 28 novembre

“L’ultimazione dell’Eneide ristagnava completamente già da mesi e non era rimasto altro, se non la fuga e di nuovo la fuga. E la colpa non era della malattia, non dei dolori, cui da tempo s’era abituato e che da tempo dominava, piuttosto dell’inevitabile, inspiegabile inquietudine, quella impaurita sensazione che si prova quando si vaga senza trovare una via d’uscita”. 
Il poeta latino Virgilio è sulla nave che lo sta riportando in Italia dopo un soggiorno ad Atene. Ormai molto malato, si tormenta per non essere riuscito a terminare l’Eneide e vorrebbe bruciare il poema. Cercano di dissuaderlo gli amici Lucio Vario Rufo e Plozio Tucca, assieme all’imperatore Augusto in persona. 
La registrazione immaginaria dell’ultimo giorno di vita del poeta, scritta con una esuberanza che intreccia realtà, allucinazione, poesia e prosa e intitolata La morte di Virgilio ritorna in libreria nella nuova traduzione italiana di Vito Punzi.
Tradotto in più di  venticinque lingue (in italiano oltre 60 anni fa) e molto amato da Hannah Arendt, è considerato il capolavoro di Hermann Broch, che lo iniziò durante la prigionia in un campo di concentramento e vide la luce negli Stati Uniti nel 1945.

“Nessuna notte ci abbraccia e nessun mattino ci abbraccerà  perché siamo sotto incantesimo, senza fuga e senza obiettivo di fuga, non abbandonati a noi stessi, perché le nostre braccia non hanno attratto nulla al nostro cuore”.

Hermann Broch (1886-1951), nato a Vienna da una famiglia di ebrei benestanti, conobbe scrittori e intellettuali come Musil, Rilke, Canetti e Perutz e pubblicò a 45 anni il suo primo romanzo, I sonnambuli. Arrestato e rinchiuso in un carcere nazista dopo l’annessione dell’Austria al Reich, fu liberato grazie all’aiuto di un gruppo di amici ed emigrò in Gran Bretagna e poi negli Stati Uniti. Qui ottenne la cittadinanza americana, una cattedra di Tedesco all’Università di Yale e portò a termine La morte di Virgilio.

Elena Mearini “Eri neve e ti sei sciolta”, Re Nudo Milano

 Al mio cane Maya,
lei che era l’altra parte di me.
Quella migliore

Questo libro non è solo l’epitaffio sgomento di una perdita; esso ci rivela una stupefacente, incomunicabile e terribile uguaglianza tra noi e le bestie, tra chi apparentemente comanda e chi obbedisce. Cambiando il punto di vista, l’autrice smaschera la fragilità di ogni progresso, di ogni civiltà, di ogni cultura e della natura stessa così come la concepiamo: la fragilità di ognuno di noi, di ogni cosa al mondo.

Prefazione di Lello Voce

Illustrazione di copertina di Laura Carabba

Collana RHYME/Poesia

Re Nudo Milano

Il volume sarà disponibile sul sito dell’editore RE NUDO www.renudo.org a partire dal 25 novembre, con arrivo nelle librerie previsto per il marzo 2026. Questo scarto temporale è dovuto al desiderio dell’autrice di pubblicare l’opera entro l’anno della scomparsa della sua cagnolina Maya, una richiesta che l’editore ha accolto con grande sensibilità e disponibilità.

In Eri neve e ti sei sciolta, Elena Mearini ci conduce in un viaggio poetico e intimo attraverso il dolore della perdita e la ricerca di un senso nell’assenza. Al centro di questa narrazione struggente c’è Maya, la cagnolina amata, compagna di vita e specchio dell’anima dell’autrice. La perdita di Maya diventa il punto di partenza per una riflessione universale sull’amore incondizionato, sulla memoria e sulla fragilità dell’esistenza. Con una scrittura delicata e ricca di immagini evocative, l’autrice esplora il confine tra l’umano e l’animale, tra chi resta e chi se ne va, tra il visibile e l’invisibile. Ogni pagina è un dialogo con il vuoto, un tentativo di tradurre il silenzio in parole e di dare forma a ciò che è sfuggente e impalpabile. Eri neve e ti sei sciolta è un’opera che invita a riflettere sulla condizione umana, sulla capacità di trasformare il dolore in poesia e sull’amore che sopravvive al tempo, rendendo eterno il ricordo di chi abbiamo amato.

-Di cani è piena la storia della poesia. Al punto che si potrebbe dire che il cane non è solo il miglior amico dell’uomo, ma che lo è soprattutto del poeta […] Nulla di strano, dunque che anche oggi si scrivano poesie sui cani, per i cani.  Ciò che colpisce in quest’ultima fatica di Elena Mearini è altro.  Direi qui, per iniziare a delimitare il campo, la sua capacità di fare del ricordo della sua cagnolina, Maya, il centro motore di una riflessione ben più ampia, al centro della quale sta il linguaggio e in cui la relazione con l’animale è la cartina al tornasole che porta alla luce la fragilità e l’impotenza della cultura umana di fronte all’infinita potenza e imperscrutabilità della natura (dalla prefazione di Lello Voce)

Elena Mearini (Milano, 1978) è autrice di narrativa e poesia. Da diversi anni insegna scrittura creativa e ha lavorato sui percorsi di scrittura autobiografica nelle carceri e in istituti di riabilitazione psichiatrica. È fondatrice, direttrice e docente della “Piccola Accademia di Poesia” di Milano. Ha pubblicato le raccolte poetiche Dilemma di una bottiglia (Forme Libere, 2013), Strategia dell’addio (LiberAria, 2017), Eri neve e ti sei sciolta (Re Nudo, 2025), e per le Marco Saya Edizioni Per Silenzio e voce (2014), Separazioni (2019), Aritmia (2021) e A molti giorni da ieri (2024). Ha inoltre pubblicato i romanzi 360º gradi di rabbia (Excelsior 1881, 2010) Undicesimo comandamento (Perdisa Pop, 2011), A testa in giù (Morellini, 2015), Bianca da morire (Cairo, 2016), È stato breve il nostro lungo viaggio (Cairo, 2017), Felice all’infinito (Perrone, 2018), I passi di mia madre (Morellini, 2021) e Corpo a corpo (Arkadia, 2023). Con alcuni dei suoi romanzi ha vinto, tra gli altri, il Premio Gaia Mancini, il Premio Università di Camerino ed è stata finalista al Premio Scerbanenco e candidata al Premio Campiello e per tre volte al Premio Strega. 

Sandra Petrignani “Carissimo Dottor Jung”, presentazione

“Con il suo inconfondibile tocco narrativo, Sandra Petrignani mette in scena il folgorante incontro finale tra il padre della psicologia del profondo – contraddittorio, paterno, impavido e incosciente dietro il monumento edificato dalla fama – e la donna incurante delle convenzioni borghesi che ne avrebbe seguito le orme”(da Neri Pozza).

Una paziente immaginaria, Egle Corsani, sta scrivendo un libro sullo pscanalista svizzero. La narrazione scrorre su un doppio binario temporale: dal 1961, anno in cui Christiana Morgan, sua paziente e poi essa stessa analista, va a trovorlo a Zurigo, e ai giorni attuali con Egle e la sua amica Lorenza.
Nell’intervista di Brunbella Schisa (Il Venerdì La Repubblica 7 novembre 2025) alla domanda sul perché un libro su Jung, la Petrignani ha risposto
“Mah, forse perché ho fatto anni di analisi junghiana, come la Egle che scrive il romanzo, e perché per me Jung era un enigma interessante da analizzare. Ma soprattutto perché quell’uomo ormai anziano poteva insegnarmi qualcosa sulla vecchiaia e sulla morte”.
E le ha insegnato effettivamente qualcosa?
“Molto. Scrivere questo libro è stato come fare un nuovo ciclo di analisi, e con Jung in persona! Mi sento più conciliata con la vecchiaia, tanto è vero che la storia si chiude con l’inizio di una vicenda sentimentale inaspettata”.

Nel corso dell’intervista è stato sottolineato che i fatti narrati sono autentici ma il modo in cui si sono svolti, il contenuto delle lettere, le parole utilizzate sono state adattate alle necessità del raccontato e molto vicine al vero, Nello scrivere questo romanzo ha sempre avuto lo scopo di entrare nella testa del protagonista, un uomo speciale, senza snaturarlo ma cercando di capirlo profondamente, immaginando il ritorno di Christiana, Lady Morgana, come lui  la chiamava,  trent’anni dopo la prima terapia, ed è in lei che la scrittrice protagonista, Egle Corsani, si guarda riflessa, nelle sue domande esistenziali, nella sua solitudine, e vi trova le risposte per affrontare la nostalgia di quanto le manca.

Sandra Petrignani è nata a Piacenza. Vive a Roma e nella campagna umbra. Con Neri Pozza ha pubblicato: La scrittrice abita qui (2002), pellegrinaggio nelle case di grandi scrittrici del Novecento; i racconti di fantasmi Care presenze (2004); il libro di viaggio Ultima India (2006); il romanzo-documento Addio a Roma (2012) e la biografia romanzata di Duras, Marguerite (2014). Da Beat è stato recentemente riproposto il suo secondo libro, del 1988, Il catalogo dei giocattoli.