Daniela Alibrandi “L’ultima casa” il terzo racconto tratto da “Storie tra luci e ombre”

Oggi 29 dicembre il terzo racconto breve di Daniela Alibrandi tratto da “Storie tra luci e ombre”

Espropriare la casa a qualcuno, questo era ciò che del mio lavoro non mi piaceva, anche se i motivi potevano essere il bene comune o il cammino del progresso. Così mi accinsi, con un certo disagio, a bussare per la seconda volta alla casa del vecchio, che si ergeva sul promontorio a nord della città. Era l’ultima abitazione di quelle costruite dai pescatori nel dopoguerra, il nucleo da cui prese vita la grande e moderna città di oggi.
La prima volta lui, curvo, pallido e dai vecchi occhi azzurri e umidi, mi aveva accolto male, sbattendomi la porta in faccia. Stavolta lentamente aprì.
“Ah, sei tu?” mi disse.
“Sì sono io e ora deve starmi a sentire!” risposi in tono perentorio. Lui mi squadrò ed era difficile interpretare il suo sguardo.
“Entra!” mi intimò, ed entrai nella sua casa di legno. Le travi che cigolavano allo sferzare del vento e la veduta che da lì si godeva mi fecero sentire come in un antico veliero perso in alto mare.
“Mi stia a sentire, il comune le offre un’ottima buonuscita e inoltre le è stata assegnata una casa popolare al di là della ferrovia!”
“No! Da qui non mi muovo!” disse con fermezza. Mi invitò, però, a sedermi e mi versò un bicchiere di vino. Mi scrutava, mentre si accendeva un sigaro. L’odore che si sentiva era un misto di legno fradicio e di scoglio.
“Dunque, la casa che le è stata assegnata è di due camere.”
“Ho detto no!” Tacqui.
“Io sto qui da tanto di quel tempo! Prima non c’era niente, solo noi pescatori, la sabbia chiara, il Castello e la pineta
che arrivava fin qui
” i suoi occhi erano lucidi “mi piaceva tanto, sai, correre fino alle rovine del Castello. Lì mi sdraiavo con Nina, finché le
onde arrivavano a bagnarci”.
Non sapevo cosa dire, così lo lasciai continuare
“Avete abbattuto i pini, vergogna! Non avete avuto rispetto di ciò che avevo scritto su quelle cortecce!” La nostalgia nella sua voce stava iniziando a contagiarmi.
“Ora ci sono gli alberghi sulla spiaggia, i lettini, gli ombrelloni! Vergogna!”
Azzardai: “Sì, ma il Castello è stato restaurato ed è meta dei turisti, il lungomare è uno dei più belli del Paese. Ha visto quanti bei negozi, sa che dove sorgono le case popolari c’è un mercato coperto e vicino c’è anche il cinema!”
“Da qui non me ne vado!” Ribadì, guardandomi dritto negli occhi. Era più difficile di quanto pensassi, forse avrei preferito la scortesia della volta precedente. Lasciai andare le braccia in un gesto di resa.
Lui allora sospirò e mi propose: “Senti, ti darò retta se una notte verrai a pesca con me, ci stai?” Non me l’aspettavo, ma se serviva a convincerlo…
“Va bene, anche stanotte” dissi deciso.
Così andai con lui e, quando la sua barca prese il largo, lui non volle che parlassimo oltre.
“Devi ascoltare” mi intimò.
Ascoltai, incredulo, il silenzioso dialogo che esisteva tra le onde e i colori intensi che, al tramonto, si stavano accendendo di una calda tonalità pastello. Mentre il sole tramontava, compresi che ogni giorno muore in un modo tutto suo, come ogni uomo. La notte arrivò improvvisa e sentii la presenza della luna che, muta e lontana, influenzava la marea. Infine la rapsodia dell’alba mi investì, mentre i raggi del sole nascente, correndo veloci, fendevano le onde per colpire la terra, svegliandola. Vidi l’ampio e gioioso volo dei gabbiani, che salutavano il nostro rientro sulla terra ferma. Eppure io ogni giorno mi alzavo, vivevo, lavoravo in quello stesso luogo! Come mai nel ritmo concitato delle mie giornate non avevo mai trovato il tempo di ascoltare il mare, guardandolo solo distrattamente dalla finestra del mio ufficio?
Mentre lui legava la sua vecchia barca al molo, mi gridò:
“Non sopporto la puzza dei motori! La città la puoi odiare, ma il mare no!” Capii che non avrebbe ceduto.
È per questo che ora sono qui, tra questi legni cadenti. La vecchia casa verrà demolita oggi e sono quasi felice che lui non ci sia più o sarebbe morto ora, davanti ai miei occhi. Prima che la ruspa arrivi voglio inspirare ancora lo strano olezzo di legno marcio e di scoglio. Lo voglio portare dentro di me tornando alla realtà della città moderna e bellissima, dove il ritmo veloce della mia vita si fonde con quello festoso e lento di chi viene qui a villeggiare. Nella mia mente scorrono le immagini di spiagge popolose, di forestieri che passeggiano scrutando le intriganti vetrine, gustando appetitosi gelati, in attesa di andare al cinema o in discoteca. Penso ai tramonti che infuocano gli eleganti palazzi e che non parlano di un giorno che muore, ma di una notte che nasce, promettendo magie. La musica sul molo e i turisti che attendono i traghetti, le botteghe artigianali del Castello, questo è l’insieme del meraviglioso ingranaggio che ha creato lavoro e benessere. Esco da questa stamberga, chiudendo la porta con delicatezza. Nel lasciarla, però, sento che qualcosa in me si strugge. Mentre mi avvio verso il centro è quasi il tramonto. Un vento forte si è alzato, carico di salsedine. Le folte chiome delle palme sul lungomare agitate e scomposte mi parlano di un’altra storia e io sento inequivocabilmente che il mare ha vinto e, nonostante tutto, tra le alte mura dei palazzi e le insegne luminose, riesce ancora a sussurrare la sua poesia.

Daniela Alibrandi “Storie tra luci e ombre”

I racconti:

L’ultima prospettiva
Il bacio dei vecchi

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.