I lettori hanno scelto “Di spalle a questo mondo” di Wanda Marasco vince il Premio dei Lettori Lucca-Roma

La premiazione nell’auditorium del Palazzo delle Esposizioni di Lucca sabato 19 luglio alle 19,

a ingresso libero

I lettori hanno scelto. Tra gli otto autori finalisti del Premio dei Lettori Lucca-Roma, il libro più votato è stato “Di spalle a questo mondo”, di Wanda Marasco (Neri Pozza editore). Secondo classificato “Il vero nome di Rosamund Fischer”, di Simona Dolce (Mondadori editore)

Entrambe le autrici incontreranno il pubblico alla cerimonia di premiazionesabato 19 luglio 2025 alle 19 nell’auditorium della Fondazione Banca del Monte di Lucca, a ingresso libero.

È finita così l’edizione 2024-2025 del Premio letterario, nato per rimettere al centro la letteratura, la lettura, il lettore, oltre il mercato e le sue dinamiche. Il Premio dei Lettori, nato a Lucca nel 1988 da Francesca Duranti e Antonio Dini, è stato infatti fondato, ed opera ancora oggi, per contrastare il condizionamento della pubblicità sui lettori e il peso delle case editrici maggiori sulle decisioni dei diversi premi in essere, oltre che per rilanciare l’abitudine a discutere sapientemente e liberamente intorno alle opere, con gli autori e con i soci, adulti e adolescenti, giovani e non, donne e uomini, lettori di mestiere e lettori appassionati.

In questo spazio offerto a tutti i lettori c’è la possibilità di esercizio della critica, l’occasione di incontrare direttamente pensatori e contributori alla formazione del pensiero attuale, l’esercizio del confronto che pone tutti i partecipanti alla pari.

Così, dopo nomi quali Andrea De Carlo, Antonio Tabucchi, Andrea Camilleri, Ernesto Ferrero, Giuseppe Pontiggia, Clara Sereni, Silvana Grasso, Giorgio Prassburger, Rosetta Gina Lagorio e Raffaele La Capria, premiati nel corso di 37 edizioni, per la 38esima edizione la scelta è caduta su un romanzo forte e intimo, personale e sociale, di una scrittrice, attrice, regista nota e apprezzata dal pubblico, Wanda Marasco.

Dopo quasi quarant’anni di vita e oltre quattrocento autori ospitati, il Premio quest’anno ha scelto di assegnare anche un secondo posto: i lettori di Lucca e Roma hanno infatti apprezzato moltissimo anche l’opera di Simona Dolce “Il vero nome di Rosamund Fischer”, un romanzo che entra nelle apparenze di una vita normale per fare i conti con il passato.

Il Premio è organizzato dalla Società Lucchese dei Lettori,presieduta da Marco G. Ciaurro e sostenuta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca e dalla Fondazione Banca del Monte di Lucca.

Edoardo Crisafulli “L’ombra della Sindone”, Vallecchi

Un thriller che è anche una profonda riflessione sulla fede, il potere e la manipolazione della verità

Vallecchi

In libreria dal 18 luglio 2025

Quando il corpo del celebre studioso francescano Quirico Malatesta viene ritrovato in circostanze misteriose, parte una caccia serrata alla verità. A condurla è Veronica, giovane cronista, madre single dal passato difficile, che si ritrova invischiata in un intrigo che la porterà a sfidare i segreti più inaccessibili della Chiesa cattolica. Aiutata dalla figlia Emanuela, brillante adolescente, e da un ruvido collega, Veronica segue una pista insanguinata che la conduce fino al cuore degli archivi vaticani.
Ma cosa ha scoperto davvero padre Malatesta prima di morire? E perché qualcuno è disposto a tutto, anche a uccidere, pur di seppellire certi segreti?
Tra complotti, silenzi millenari, lotte interne alla Chiesa e l’ombra lunga del dubbio sulla più discussa reliquia della cristianità, il thriller si snoda come un enigma serrato. 
L’ombra della Sindone è molto più di un giallo: è una riflessione sull’autenticità, sulla fede, sul potere e sull’ossessione per la verità in un’epoca in cui tutto – anche il sacro – può essere manipolato.

Incipit:

«Nell’anno del Signore 2033 la Resurrezione verrà celebrata il 17 aprile. L’annuncerà una luna pienamente lieta, la prima a far capolino – dopo l’equinozio di marzo – nel cielo di Gerusalemme, alla sommità dell’emisfero boreale. Per le nazioni che adottano il calendario gregoriano, il 2033 – MMXXXIII in numeri romani – sarà un anno solare scandito dall’avvicendarsi delle stagioni, suddiviso in 365 giorni o in dodici mesi di durata ineguale, da 28 a 31 giorni. Il 2033 non può cadere in un anno bisestile: i 366 giorni evocherebbero il numero della Bestia. Il duemilatrentatreesimo anniversario della vittoria di Cristo sulla morte coinciderà con il trentatreesimo anno (nonché quarto anno degli anni trenta) del terzo millennio, iniziato allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre 1999. Il 2033 corrisponderà al duemilasettecentoottataseiesimo anniversario della fondazione di Roma, al sesto millennio del calendario ebraico (la cui data, mobile, cadrà nel 5792 o nel 5793) e al secondo millennio del calendario islamico (il 1454 o il 1455, a seconda del peregrinare della luna). Il 2033 albeggerà subito dopo lo Shabbat ebraico, affinché nessuno dimentichi l’Altissimo». (Anonimo riminese

Edoardo Crisafulli (Rimini, 26 aprile 1964) dal 2001 è addetto culturale del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Dal 2023 dirige l’Istituto Italiano di Cultura di Almaty (in Kazakistan). Ha diretto gli Istituti Italiani di Cultura di Kiev, di Haifa (durante la seconda Guerra del Golfo, l’Intifada e la guerra di Hezbollah contro Israele), di Damasco (agli inizi della guerra civile) e di Beirut (quando incombeva la minaccia terroristica dell’ISIS). È stato inoltre vicedirettore dell’Istituto di Cultura a Tokyo. I suoi ultimi libri sono La Kamikaze e altri racconti del passaggio (Rubbettino, 2016) e Trentatré ore. Diario di viaggio dall’Ucraina in guerra (Vallecchi, 2022).

Salinger nella nuova traduzione di Matteo Colombo

Gli scritti di Salinger, i Nove racconti, Franny e Zooey, Alzate l’architrave, carpentieri e Seymour sono stati ripubblicati in una nuova edizione e affidati alla traduzione di Matteo Colombo, così come in precedenza Il giovane Holden; una rigenerazione legata proprio alla necessità di una nuova traduzione: trasportare una lingua in un’altra non è mai un “tradurre” indolore, può variare, anzi varia proprio a seconda dei tempi, intendendo quelli storici e propri della lingua in cui deve essere resa.
La traduzione del testo de Il giovane Holden ad esempio, dovuta nel 1961 ad Adriana Motti, risentiva sicuramente delle risorse linguistiche disponibili allora per la traduzione di un testo gergale; oggi le risorse sono cambiate e “nell’italiano e nella conoscenza degli autori americani” come ha recentemente dichiarato Matteo Colombo.
A ribadire le difficoltà della traduzione di allora la posizione di Alessandro Piperno (La Lettura 29 giugno 2025) che si racconta come giovane lettore alle prese con il romanzo di Salinger nella versione della Motti “Oggi so che parte del fastidio che mi provocò la lettura de Il giovane Holden derivava dalla traduzione di Adriana Motti. Intendiamoci, non ho nulla contro quella preziosa traduzione storica. So che per molti versi è una specie di capolavoro, un classico per famiglie, ma so anche che si tratta di una trappola mortale. E non tanto, o non solo, per qualche licenza di troppo, ma per via del birignao che, oltre ad aver privato la voce di Holden della sua spontaneità, ha favorito la proliferazione di una schiera di emulatori e di epigoni che, lasciatemelo dire, di spontaneo hanno ben poco”, intendendo con il termine birignao, legato al mondo della recitazione teatrale, artificioso e innaturale.

Incuriosisce, almeno in me ha determinato questo effetto e riflettendo in effetti leggere un testo in una resa linguistica rispetto ad un’altra, ne cambia sicuramente non solo la forma ma essenzialmente la fruibilità e l’impatto.

Garantisce Piperno quando afferma che un’impresa così delicata è stata affidata nelle mani di un traduttore eccellente e navigato come Matteo Colombo. “Il progetto, iniziato una decina d’anni fa – aggiunge – trova oggi il suo compimento nelle traduzioni (eseguite dalla medesima mano salda, felice e calibrata) dei Nove racconti, Franny e Zooey, Alzate l’architrave, carpentieri e Seymour”

SP.

Einaudi

Katia Lari Faccenda “Le tre domande dell’angelo”, CartaCanta Editore

Immagine di copertina di Giulia D’Agostini

La ragazzina cresce nella guerra; vede e tocca con mani consapevoli. Si chiama Giovanna, è stato un angelo a consegnarle il nome e la visione, a sospingerla. Decisa ad assumere la propria colpa generazionale e la responsabilità di un futuro da reinventare, la ragazzina Giovanna guida una marcia silenziosa di studenti. Giovanna è certa della sola voce che possa reclamare il diritto alla vita: il silenzio. Perché le voci sono molte, il silenzio è uno. Attraverso un paese stordito, spolpato da un tempo asciutto, giungeranno fino alla Capitale per avanzare la loro muta richiesta di ascolto.
Un romanzo sui generis che si ispira al passaggio emblematico di Jeanne d’Arc nella storia, la ragazzina che assunse la colpa di due generazioni e la tradusse in un atto volontario di responsabilità: volle agire un futuro ancora da immaginare. Le tolsero la vita. Era scandalo il suo essere ragazza in un tempo e luogo restrittivi per le donne, il suo divenire condottiera di uomini, erano scandalo le sue vittorie e i suoi abiti maschili. Scandalo la sua consapevolezza.
(La sinossi da CartaCantaEditore)

Stralci da una recente intervista all’Autrice

Disegna fumetti, lavora come restauratrice di pitture murarie, studia canto lirico, si esibisce… Come vive questa vita da artista a tutto tondo, e con quale di queste realtà sente un più forte legame?

La vivo come una concatenazione. Sono sempre stata curiosa della materia, da buona artigiana. Lavoro con le mani e costruisco, perciò ho appreso i mestieri – tutti i miei mestieri – praticando; in ogni espressione diversa ho trovato una continuità di percorso. Creare architetture di parole sarebbe stato impensabile per me senza conoscere il potere evocativo, elementare di una canzone popolare o le vibrazioni dei colori quando si uniscono e si contrastano. Comunque, per rispondere alla sua domanda, il legame che sento più forte è con l’uso della voce, il che comprende anche la voce scritta.

“Un salto al buio”, del 2018, è il suo primo romanzo. Qual è la genesi di questa storia che parla di sentimenti e fragilità umane?

In realtà scrivo da decenni. “Un salto al buio” è stato il primo lavoro che ho deciso di pubblicare. L’ho usato per aprire la strada, diciamo così: di facile fruizione, surreale e poetico, con una trama fitta di incontri e una teatralità corale molto organizzata. Voglio bene a questo “romanzino”, come lo chiamo affettuosamente. Nato non da una vera urgenza, ma da profonda empatia. Narra il dramma di due padri che si incontrano in circostanze molto particolari e si riconoscono nel reciproco dolore. Un lavoro pervaso di ironia e leggerezza, ma anche ricco di sostanza.

Con “Le tre domande dell’angelo”, invece, fa un nuovo salto “al buio”, per citare la sua stessa opera: si addentra nei meandri della Storia analizzando il personaggio di Jeanne D’Arc, Giovanna D’Arco. Cosa l’ha spinta ad assumere proprio la voce di questa ragazzina?

In questo caso ho davvero seguito una necessità. La presenza di Jeanne d’Arc è stata grande nel mio immaginario e nella mia coscienza. Ho scelto di narrare la sua parabola di vita in modo trasversale: la storia di una ragazzina nata e cresciuta nella guerra che decide di assumere la colpa di due generazioni e tradurla in un atto volontario di responsabilità, per agire un futuro ancora da immaginare. E lo fa guidando una marcia silenziosa di studenti verso la Capitale. Chi conosce storicamente Jeanne troverà ogni particolare biografico, ma gli accadimenti sono filtrati attraverso una diversa attualità e trasformati. La vicenda è narrata da un testimone e ha un luogo e un tempo imprecisati. Direi un medio oriente contemporaneo, comunque intriso di Medioevo e visionarietà. Nel libro l’io narrante dirà “Cantare un eroe è accorgersi della mancanza e tradurla in pienezza. È colmare un vuoto dei tempi con rimasugli appassionati, è innamorarsi della pochezza e dei limiti e renderli ispirazione, è disconoscere la storia. Cantare un eroe è quasi la verità. Ho tentato di “cantare” Jeanne””.

Altro elemento fondamentale è costituito dalla figura dell’angelo…

L’angelo è stato il mio modo per affrontare il rapporto che Jaenne d’Arc aveva con l’assoluto, con le proprie visioni. Nel romanzo è con Giovanna a ogni passo, come presenza che interroga e non insegna. L’angelo è una figura senza ambiguità, sta esattamente in ciò che dice e tace la sua potenza. E le domande che rivolge a Giovanna, ai suoi studenti, sono rivolte anche a ognuno di noi. Per questo lascio l’interpretazione dell’angelo e delle sue tre domande a chi legge.

Katia Lari Faccendanata a Firenze nel Sessantadue, la casa dove vive trabocca di letteratura; il nonno fa il libraio. Esploratrice di parole, comincia a leggere molto presto, scrive e illustra le sue storie.  Artista e musicista: disegna fumetti, lavora come restauratrice di pitture murarie; studia canto lirico, e di tradizione orale, si esibisce su palcoscenico e in strada. Scrive da decenni: narrativa, teatro, canzoni. Il romanzo Un salto al buio è edito da CartaCanta nel 2018. Vive a Vinci, in collina, a pochi passi dalla casa natale di Leonardo.

Antonella Carta “Devi andare Nì”, Mursia

In libreria il 16 luglio

Mursia

«“El niño del santo?” chiese suor Consuelo sorridendo al piccolo anonimo che la fissava in silenzio. Così Niño Del Santo fu il suo nome, ma per tutti, tranne che per lei, da allora soltanto Nino.»

Nino è figlio della vergogna. Abbandonato in uno scatolo e portato al convento da un angelo sconosciuto, viene accolto da una famiglia rude e numerosa. Ancora bambino scopre brutalmente la verità e inizia a cercare il proprio posto nel mondo. L’incontro con Dela gli fa credere che tutto sia possibile. La vita che costruiscono insieme rischia però di frantumarsi quando il passato torna a chiedere il conto. Nino si trasforma in qualcuno di cui aver paura, ma Dela lo difenderà fino alla fine dimenticandosi di sé.
Va oltre il tempo, questo racconto. Quando sembra concluso, torna indietro: un passo nel tramonto, per ritoccarlo d’alba.

Incipit:

«Il freddo, per una sera, rinunciò al proprio silenzio. Provò a farsi voce, sfiorò gli occhi aperti del neonato dentro lo scatolo di cartone e gli volle cantare una ninna nanna perché il primo sonno non fosse agitato. Si accorse così di non avere canzoni. La coperta era lì, in imbarazzo per l’abbraccio che tentava di simulare, perché a quegli occhi aperti probabilmente la differenza non era sfuggita. Qualcuno, pescato a caso dal ripostiglio del destino, si accorse dello scatolo per strada, controllò, e vide che dentro taceva un bambino. Quindi di corsa al convento, prima che fosse tardi, dalle suore cui ogni tanto il Signore mandava un bimbo così, rifiutato. Una ragazza piangeva poche case più in là, con le mani sul ventre svuotato e il pensiero al figlio che le avevano appena portato via. Svuotata, anche lei. Le avevano messo tra i denti un fazzoletto perché i vicini non la sentissero gridare. Aveva trascorso chiusa in casa gli ultimi mesi della gravidanza, mentre tutti sapevano che era fuori, ospite di certi parenti. Le dissero che il tempo l’avrebbe guarita, che avrebbe sposato un uomo diverso, che sarebbe cresciuta»

Antonella Carta insegna Materie letterarie in un liceo. Dopo il romanzo Timoteo e il saggio Rousseau. Le fantasticherie, ha pubblicato con Mursia i romanzi Come nuvole di cotone (2020) e Come una pianta che spacca il cemento (2023).

Ethel Mannin “La strada per Be’er Sheva”, Agenzia Alcatraz

Tradotto in italiano il primo romanzo che nel 1963 ha raccontato la nakba, l’esodo forzato del 1948, dal punto di vista palestinese.

Traduzione di Stefania Renzetti

Postfazione di Tiffany Vecchietti

Alcatraz

È il 15 luglio 1948 e in Medio Oriente infuria il confliitto arabo-israeliano. Le truppe delle Forze di Difesa Israeliane occupano la città palestinese di Lidda e iniziano a uccidere o espellere la popolazione araba, causando l’esodo di un numero enorme di persone – in larga parte donne, anziani e bambini – costrette a camminare sotto un sole cocente sino alla città di Ramallah, in Cisgiordania.
In migliaia muoiono di insolazione, affaticamento e sete. Tra le persone che fuggono da Lidda c’è la famiglia di Butros Mansour, un proprietario terriero palestinese di fede cristiana, costretto a scappare insieme a sua moglie di origine inglese e al figlio di dodici anni, Anton.
Questa tremenda esperienza segna profondamente il ragazzo, che alla morte del padre, solo un anno più tardi, è costretto a trasferirsi in Inghilterra. Per Anton vivere in Inghilterra equivale a un vero e proprio esilio. Ma rimane in contatto con un’altra vittima della diaspora palestinese, un profugo musulmano a cui è molto legato, e nella sua mente prende vita una vera e propria ossessione: riuscire a tornare nella propria terra per infilltrarsi lungo la strada per la città di Be’er Sheva, anch’essa caduta in mano israeliana nel 1948, e unirsi alla resistenza. Per lui quella strada, che ora si trova nella Terra di Nessuno, finisce per incarnare il sogno di ogni palestinese – ritornare a casa. 
Scritto come reazione al celebre Exodus di Leon Uris (una sorta di narrazione epica della fondazione dello Stato di Israele) e pubblicato nel 1963, La strada per Be’er Sheva è stato il primo romanzo occidentale in assoluto a raccontare dal punto di vista palestinese la Nakba, la pulizia etnica operata dalle milizie sioniste nel 1948 e il conseguente esodo. Tradotto anche in lingua araba con grande successo, all’epoca della sua uscita è diventato un piccolo caso, tanto letterario quanto politico. Ma La strada per Be’er Sheva è prima di tutto un racconto emozionante, una vicenda umana scritta con grande maestria da un’autrice perfettamente a suo agio nel padroneggiare una materia che non ha mai smesso di essere scottante. E grazie alla passione umanitaria e al desiderio di giustizia che traspaiono dalle sue pagine, riesce a essere attuale ancora oggi, a più di sessant’anni dall’uscita, in questo momento terribile per il popolo palestinese.

La sincerità e l’empatia di Ethel Mannin guidano la narrazione. Non lo fanno attraverso il patetismo, o tramite gli strumenti del melodramma. La strada per Be’er Sheva sembra quasi trattenersi continuamente, situarsi in uno spazio ben de­finito, in equilibrio, con una certa dose di freddezza. Mannin sa che potrebbero accusarla dei crimini letterari qui sopraelencati. Ma non serve infondere di eccessiva emotività quello che ha raccolto tramite le interviste nei campi profughi o dai rifugiati che ha incontrato. La sua sincerità è talmente spiazzante, che compie tutto il lavoro. È la resistenza delle pietre scagliate contro chi ti schiaccia la gabbia toracica col carrarmato. Non serve aggiungere molto quando una fotogra­fia, un resoconto o un ­ filmato rivelano tutto. È la stasi che accompagna la polvere mentre si posa. (dalla postfazione di Tiffany Vecchietti)

Autrice estremamente prolifica, Ethel Mannin nasce a Londra nel 1900 e nel corso della propria vita scrive più di cento libri – oltre cinquanta romanzi, innumerevoli racconti, autobiografie e, diari di viaggio e saggi – senza mai preoccuparsi di seguire un determinato filone letterario, ma anzi muovendosi con notevole mestiere ed eleganza attraverso i generi. Esordisce nel 1923 e pressoché da subito si fa notare per il proprio impegno politico: è infatti sin da giovanissima un’attivista vicina a idee anarchiche e socialiste, fortemente anti-monarchica, femminista e antifascista, e queste inclinazioni non mancano di emergere, in maniera più o meno esplicita, in quasi tutto ciò che scrive. Viene a mancare nel dicembre del 1984, tenendo vivo sino all’ultimo istante lo spirito combattivo e anticonformista che l’ha sempre caratterizzata.
Nella collana Bizarre, Agenzia Alcatraz ha pubblicato il suo capolavoro gotico del 1944, Lucifero e la bambina.

Elisabetta Moro e Marino Niola “Gatti neri e specchi rotti. Perché siamo superstiziosi”, presentazione

Gatti neri, specchi rotti, giorni sfortunati, numeri fortunati, amuleti infallibili, talismani indispensabili, riti scaramantici. Sono pochi esempi di quello sterminato catalogo di superstizioni cui sin dalla notte dei tempi ricorriamo contro i rischi del vivere e le incognite dell’esistenza. Perché, nonostante i progressi della conoscenza, dell’alfabetizzazione, della tecnologia, l’immaginario scaramantico non conosce declino, anzi continua a moltiplicare i propri segni. Perché evidentemente non sono un residuo prelogico del pensiero ma un bisogno di spiegazione supplementare, l’illusione di controllare l’incontrollabile.(dal Catalogo Einaudi)

Si legge nell’Introduzione

“Quelle che chiamiamo comunemente superstizioni sono in realtà sistemi di credenze, simboli e comportamenti che vengono da molto lontano. Spesso neanche ne conosciamo l’origine. Le usiamo e basta, come facciamo con il linguaggio. Ignoriamo l’etimologia di ogni parola che usiamo, eppure continuiamo a parlare. In realtà piú che un residuo prelogico del pensiero, come vorrebbe un facile evoluzionismo sociologico, si tratta di una pulsione istintiva a scongiurare possibili situazioni avverse. Come se la mente mettesse le mani avanti per avere l’impressione di poter esercitare un controllo sull’esistenza. In realtà le superstizioni servono a dar senso agli aspetti piú oscuri e sfuggenti del mondo, della natura, della società. E soprattutto ci aiutano a riconoscere e controllare le nostre ansie, paure, insicurezze dando loro un volto, una forma e persino un numero”.

Stefano Bartezzaghi sulla pagina di Repubblica (venerdì 4 luglio 2025) scrive che secondo gli autori superstiziosi lo siamo un po’ tutti; l’intenzione dell’opera è quella di offrire una panoramica sulla scaramanzia quotidiana ritenuta “sostanzialmente innocua”, di evidenziare il legame tra oggetti e credenze in un parallelo linguistico (ad esempio in quelle legate allo specchio “in etimo comune con lo spettro”), e di inserire “nelle sue connessioni storiche, letterarie e appunto antropologiche” l’insieme degli oggetti, colori, nomi e quant’altro, abbinato alle principali superstizioni.

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Due capolavori che hanno segnato la storia della narrativa d’avventura: “I Robinson d’America” di David W. Belisle e Daniel Defoe “Le avventure di Robinson Crusoe”, Bibliotheka

Dall’11 luglio sarà disponibile I Robinson d’America di David W. Belisle, con la prefazione di Masolini D’Amico, un emozionante viaggio attraverso il mito della frontiera americana che restituisce, con straordinaria forza descrittiva, la bellezza incontaminata della prateria e le tradizioni dei nativi d’America. Il 18 luglio seguirà Le avventure di Robinson Crusoe di Daniel Defoe, con la prefazione di Cesare Pavese, icona intramontabile della letteratura mondiale, che rappresenta uno dei primi esempi di romanzo moderno. Questi titoli offrono l’opportunità di riscoprire due testi fondamentali che continuano a illuminare il panorama letterario con il loro profondo significato storico e culturale. Entrambi i libri sono pubblicati da Bibliotheka Edizioni

David W.Belisle I Robinson d’America

Prefazione di Masolino D’Amico

Traduzione di Amedeo Ceresa Genet

Dall’11 luglio 

Bibliotheka Edizioni

Mister Duncan e la sua famiglia sono alle prese con un avventuroso viaggio attraverso l’ancora instabile West americano. Ricca di colpi di scena, la scoperta della vita nella sconfinata prateria porterà la famiglia Robinson a esplorare scenari mozzafiato, affrontare terribili cariche di bisonti e scoprire l’affascinante mondo dei nativi d’America.  Pubblicato per la prima volta nel 1853 a Filadelfia, la storia della famiglia Robinson divenne ben presto un bestseller ed eguagliò in popolarità romanzi come Robinson Crusoe, vendendo nel corso degli anni milioni di copie. Cavalcata tra foreste imponenti, montagne selvagge, fiumi e valli immortalati nella loro naturale bellezza, questo viaggio nella cultura americana è una ricognizione del mito della frontiera, capace di dipingere con pennellate iperreali l’espansione a stelle e strisce e di descrivere, attraverso pagine di grande bellezza, la natura e la cultura degli indiani d’America, i loro sentimenti, la loro religiosità, il loro modo di rapportarsi alla vita.

L’autore, David W. Belisle(1827 – 1890), fu scrittore, poeta, giornalista, sindaco di Atlantic City dal 1866 al 1867. Oltre a The American Family Robinson, è famoso per History of Independence Hall from the Early Period to the Present Time, pubblicato nel 1959 e come autore di guide turistiche e manuali per viaggiatori.

Daniel Defoe Le avventure di Robinson Crusoe

Prefazione di Cesare Pavese

Traduzione di Alessandro Pugliese

Dal 18 luglio

Bibliotheka Edizioni

Durante la seconda metà del XVII secolo, Robinson Crusoe, un giovane da sempre appassionato alla vita di mare, decide, compiuti diciannove anni e contro la volontà del padre, di imbarcarsi per esplorare il mondo e conoscere nuovi orizzonti. Ogni suo viaggio finisce però in mille peripezie e, durante la sua ultima avventura, naufraga su un’isola deserta dove rimane per ventotto lunghi anni, molti dei quali in assoluto isolamento. Solo dopo dodici anni dal naufragio, infatti, Robinson si renderà conto di non essere mai stato veramente solo. Ispirato alla reale vicenda di un marinaio naufragato su un’isola al largo del Cile,

Accolto da un ottimo riscontro di pubblico, questo classico della narrativa inglese datato 1719 è considerato il capostipite dei romanzi d’avventura e, insieme al Don Chisciotte di Cervantes, una delle prime forme di romanzo moderno, talmente diffuso nel mondo da vantare il maggior numero di edizioni dopo la Bibbia.

L’autore, Daniel Defoe (1660 –1731), esordì come saggista e fu rinchiuso in carcere con l’accusa di aver diffamato in un saggio la Chiesa d’Inghilterra (La via più breve per i dissenzienti). Autore di un secondo romanzo, Fortune e sfortune della famosa Moll Flanders (fonte d’ispirazione per numerosi film), Defoe fu apprezzato anche come giornalista e fondatore della rivista The Review, considerata una pietra miliare nella storia del giornalismo.

A.Ferrini e S.Pizzuoli “Lungo la via Francigena in Toscana”, Edida

Edida

Dalla Premessa

Questo volume sul tratto toscano di una grande strada dell’antichità, riscoperta e oggi tra i cammini più percorsi, ha un preciso obiettivo: non vuole essere una guida, in questa direzione operano già testi che svolgono egregiamente questo compito, organizzati capillarmente in base ai chilometri, alle soste, ai ricoveri, ma nasce dall’intento di fornire su questa storica via tutta una serie di approfondimenti storico geografici, trascurati, per evidenti motivi, dalle guide al percorso, per soffermarsi, illustrando le caratteristiche storico-architettoniche, ambientali e artistiche, dei centri principali o degni di particolare nota attraversati o limitrofi, sia che si proceda a piedi, in bicicletta o in auto.
Il cammino, il viaggio sono da sempre stati sinonimo non solo di un bisogno di interiorizzazione o di attività salutare, ma soprattutto mezzo specialissimo per osservare da vicino e trascorrere all’interno di un territorio: unico modo per accoglierne la struttura, i mutamenti nella sua storia rimasti impressi nel paesaggio, gli aspetti culturali propri come la lingua, la cucina, le strutture architettoniche urbane e rurali, l’uso e la coltivazione della terra e gli attrezzi utilizzati, l’organizzazione sociale in città e in campagna, la viabilità, tra cui le acque gestite e utilizzate come grandi vie di comunicazione. In questa prospettiva, tra gli obiettivi principali c’è quello di poter rispondere a molte delle domande e alle curiosità che pellegrini o viaggiatori potrebbero porsi in itinere relativamente alle terre che stanno attraversando.

L’INDICE

I titoli principali

Premessa                                                                                                                                     
Storia e geografia del territorio                                                                                                   
Luoghi paesaggi dintorni                                                                                                          
Fra Luni e Lucca                                                                                                              
Fra Lucca e Siena                                                                                                                      
Verso Siena
Fra Siena e la valle del Paglia                                                                                                   
La sosta del viandante: cucina storia e ricette                                                                         

Della stessa Collana, Macchie di Toscana:

La valle dell’Arno tra storia e geografia

La Val di Merse: luoghi e paesaggi

Alcune pagine dall’ebook (che è stato possibile realizzare a colori senza gravare sul prezzo di copertina): in alto la Porta di accesso alla Toscana, sotto la Rocca di Staggia, quindi una pagina dal testo in cartaceo realizzato in bianco e nero senza nulla togliere alla nitidezza e alla bellezza estremamente godibile del paesaggio.

E buona Francigena a tutti gli estimatori!

Andrew Porter “La vita immaginata”, presentazione

traduzione di Ada Arduini

Ricco di atmosfera e dotato di una bussola emotiva straordinariamente sicura, La vita immaginata è un romanzo indagatore e nostalgico sull’impossibilità di comprendere i propri genitori, sui primi amori e fallimenti, sull’innocenza perduta, sui legami indistruttibili tra un padre e un figlio.(da Feltrinelli)

Steven Mills , il protagonista, è un uomo maturo quando moglie e figlio escono dalla sua vita, un nuovo abbandono che segue quello del padre, professore universitario che scomparve dalla sua vita quando era ancora un pre adolescente. Ora che anche la sua vita è ad una svolta decide di cercare nel passato risposte al suo presente: dovendo ricostruire un passato si mette in viaggio lungo la costa californiana, alla ricerca di amici, di familiari, di ex colleghi, di tutti coloro che possano fornirgli stralci di una vita trascorsa, per una ricostruzione fatta di tasselli, ricordi, testimonianze, pezzi in cui l’immaginato ha un suo spazio per riempire anni di assenza, capire i perché del matrimonio finito dei suoi genitori, della comparsa di Deryck, un giovane collega del padre e di quanto questa comparsa possa essere stata la chiave di uno scandalo mai chiarito a cui forse si deve la sua scomparsa e la perdita del suo posto all’università e, in contemporanea, un percorso a ritroso per ricostruire la propria identità

Scrive Livia Manera nella sua recensione al romanzo sulle pagine de la Lettura del 22 giugno 2025 “La vita immaginata è un romanzo sull’assenza, sull’impossibilità di capire i propri genitori, sui primi amori e le prime delusioni, sull’innocenza perduta e sul legame tra un padre e un figlio che può diventare identificazione fino a sfociare nell’emulazione. Ma è anche la road novel di un narratore che si mette in viaggio per incontrare i testimoni di quel tempo perduto, in cui ogni conversazione con vecchi amici e colleghi del padre aggiunge un tassello al mosaico del passato e offre un altro modo di interpretare la scomparsa di quell’uomo colto e sfrenato, su di giri e melanconico, che oggi sarebbe definito maniaco depressivo”.

Andrew Porter

Nato negli Stati Uniti, Porter è un riconosciuto scrittore e sceneggiatore originario della Pennsylvania, Prima di The Imagined Life, ha pubblicato racconti e raccolte apprezzate dalla critica, Porter ama narrare personaggi in bilico sull’affidabilità della loro memoria, spesso alle prese con segreti familiari, identità e ricordi dolorosi. La sua scrittura è capace di evocare atmosfere nostalgiche e profonde connessioni emotive