Nino Dolfo “In principio fu lo sguardo. Taccuino vagabondo di un cronista di cultura”, OLIGO Editore

Oligo

 In libreria il 26 settembre

Riprendendo il documentario di Gianni Celati Strada provinciale delle anime, in cui l’autore riunisce amici e sodali, li fa salire su un pullman e li porta in viaggio verso la foce del Po, Nino Dolfo raduna una compagnia variopinta, frutto di decenni di letture e incontri: gli sceneggiatori Vincenzo Cerami e Age, il filosofo Emanuele Severino, i registi Massimo Castri, Franco Piavoli, Silvano Agosti, Alberto Sironi, Gianni Serra, i fotografi Gian Butturini e Ugo Mulas, gli attori Paolo Villaggio, Alain Cuny e Dominique Sanda. E ancora Clint Eastwood, un uomo di teatro a tutto tondo come Renato Borsoni, gli scrittori Lawrence Ferlinghetti, Franz Kafka, Francesco Permunian e persino personaggi delle mitologia come Medea e Didone. Perché, come scrive Paolo Conte, «Si nasce e si muore da soli, ma in mezzo c’è un gran traffico». Tanto per ribadire che siamo le persone che abbiamo incontrato, che il ricordo è il nostro modo, secolare, di pregare, che, senza memoria, siamo nessuno.

Incipit:

«Alla fine ogni cosa ha un suo inizio. Dell’incipit diventi consapevole in età matura, quando giri lo sguardo dietro le spalle, perché il futuro ti dà le risposte che tu già sai. E allora, visto che il presente ha la liquidità dell’attimo, scopri che il passato è sempre sorprendente: ci ha seguito con la fedeltà di un’ombra, ci ha aspettato ed è la prova regina che noi siamo esistiti. Il passato custodisce la memoria, il nostro vissuto. E anche soprattutto il desiderio. Si desidera ciò che manca e si è perduto (affetti, persone, emozioni…). «È uno di quei luoghi in cui ti offrono ancora un pasto caldo» ha scritto Norman Mailer. La malinconia ci conforta con il tempo ritrovato, poiché la vita è un’emorragia, una diaspora continua, una sequenza di disavanzi.»

Nino Dolfo (1944), di origini friulane ma bresciano d’adozione, dopo la laurea in Lettere classiche con una tesi di storia del cinema, è stato insegnante, animatore di cineclub, critico cinematografico e poi teatrale, oltre che giornalista culturale per testate come “Bresciaoggi” e “Il Corriere delle Sera”. Ha curato volumi dedicati a fotografi, uno speciale della rivista “Atlante bresciano” sul cinema a Brescia e partecipato alla stesura del libro-memoir Ritratti di città per Grafo editore. Due suoi testi (su Raymond Chandler e Simenon) hanno raggiunto la visibilità sul palcoscenico.

“Miracolo a Milano. Parole, immagini e immaginari”, Oligo Editore

A 50 anni dalla scomparsa di Vittorio De Sica esce ‘Miracolo a Milano. Parole, immagini e immaginari’ A cura di Valentina Fortichiari e Sergio Seghetti

Presentazione di Paolo Baldini, Prefazione di Andrea De Sica

Testi di

Simona Ballatore, Giorgio Battistelli, Patrizia Carrano, Maria Carla Cassarini,Paolo Crespi, Luca Crovi, Gualtiero De Santi, Valentina Fortichiari, Paolo Mereghetti, Giuliana Nuvoli, Marco Palazzini, Stefania Parigi, Cochi Ponzoni, Mauro Raimondi,Loris Rambelli, Giovanna Rosa, Salvatore Sclafani, Studio Azzurro, Edoardo Veronesi Carbone

Con fotografie inedite di Mario De Biasi

OLIGO

Nel cinquantesimo della scomparsa di Vittorio De Sica, un omaggio a due capolavori: Miracolo a Milano, celebre film del grande regista, e al libro che lo ha ispirato, Totò il buono, dello scrittore e intellettuale Cesare Zavattini. E proprio da saggi su questi due grandi protagonisti del dopoguerra prende le mosse questo libro, che include un importante apparato iconografico, con disegni e fotografie (anche di scena e in parte inedite) e che affronta anche il tema dell’eredità culturale del film e del romanzo, a testimoniare che i veri capolavori non smettono mai di emozionare. Incontreremo la Milano della ricostruzione e della voglia di riscatto, ma anche una città afflitta da crisi economica e povertà, ma dove però possiamo già leggere le radici culturali della metropoli meneghina contemporanea. Pochi film hanno creato un legame così profondo con la città in cui sono stati girati come Miracolo a Milano.

«Pochi film sono riusciti a toccare – attraverso la dimensione fiabesca, surreale, magico-naturalistica – temi tanto universali da diventare simboli internazionali. Prospettiva glocal, sognante, lungimirante, con evidenti riferimenti al cinema delle origini, al circo, al fumetto, al disegno animato». Paolo Baldini

«Il mio Miracolo a Milano nasce dai ricordi di mio nonno Vittorio, nel senso che i miei ricordi sono i suoi film, dai capolavori neorealisti alle commedie che hanno reso splendente il cammino del cinema italiano dal dopoguerra in poi. Nasce dalle parole dette e scritte da mia nonna, Maria Mercader, che partecipò alle riprese, confortando e animando nonno Vittorio. È un film, come si può immaginare, che sta nel mio DNA, anche se io sono nato nel 1981, trent’anni dopo la sua uscita. Tutto quel tempo ha, se possibile, aumentato dentro di me i valori della leggenda di un film irripetibile, frutto della collaborazione creativa, e vorrei dire emotiva, tra Cesare Zavattini e nonno Vittorio. Per me, in questo momento, è anche un’occasione per rendere omaggio a mio padre, Manuel De Sica, che seguì il primo restauro del film e molto si è occupato della memoria di mio nonno: io provo a portare avanti il suo lavoro, ora che lui non c’è più.» Andrea De Sica 

I curatori:

Sergio Seghetti è nato a Milano nel 1956, laurea in Lettere Moderne all’Università Statale di Milano ha lavorato nel Sistema Bibliotecario di Milano dal 1984 al 2021 e, in particolare, dal 1999 come responsabile dei servizi informatici. In pensione dal 2022 mantiene un rapporto di collaborazione con la Direzione Biblioteche del Comune di Milano. Nel 2014 avvia la collana di editoria civica “Gli ebook della Biblioteca Sormani” (finora circa 40 titoli per oltre 120 mila download complessivi).

Valentina Fortichiari è nata a Milano e oggi vive a Vigevano. Ha sempre lavorato in editoria, dirigendo le relazioni esterne e l’ufficio stampa di Longanesi. Dalla passione per l’acqua e il nuoto è nato il suo romanzo d’esordio, Lezione di nuoto, Colette e Bertrand, estate 1920 (Guanda 2009, Solferino 2023; premi Rapallo, Grazia Deledda, Rhegium Julii) e la raccolta di racconti La cerimonia del nuoto (Bompiani 2018). Ha pubblicato per Oligo il romanzo Il mare non aspetta. Un viaggio emotivo in Norvegia (2024). Ha curato e cura opere di Cesare Zavattini per la Nave di Teseo e di Guido Morselli per Adelphi. Giornalista, saggista, collabora con varie testate periodiche.

Dario Voltolini “Acqua chiusa”, Oligo Editore

Debutta per Oligo la nuova collana RONZINANTE diretta da Marino Magliani. Tra narrazione e disegno, un modo nuovo per raccontare luoghi e territori nel cuore di grandi autori contemporanei

Prefazione Alice Pisu, con illustrazioni dell’autore

Collana Ronzinante diretta da Marino Magliani

Dal 25 ottobre in libreria

OLIGO

Il luogo è un grappolo di vie nel quartiere dove un tempo c’era un’enorme fabbrica della Michelin e ora un centro commerciale a Torino. Un palazzo, edificato per la residenza di chi in quella fabbrica ci lavorava, sussiste ancora intatto. Lì è vissuta la famiglia di mio padre. Questa zona della città è l’argomento del mio testo, come era e come è.

Lontano da nostalgie per un passato guasto, con Acqua chiusa Voltolini concepisce nel disegno di fallimento la naturale conseguenza dell’inafferrabilità del reale, dell’abbaglio del visibile. Indugia sulle sovrapposizioni di storie per scorgere grovigli senza via d’uscita nel posare fugacemente lo sguardo sugli esiti individuali dei suoi soggetti. Il racconto è un invito a rintracciare una personale geometria del tempo nel bilico tra memoria e perdita, a fare propria la curiosità immaginativa del narratore sulla vita anteriore per riconoscere nella fragilità di un ambiente in dissoluzione una configurazione interiore nell’enigma tra salvezza e oblio, e riflettere sull’incapacità moderna di relazionarsi al paesaggio e di lasciarsi interrompere da esso. (Dalla prefazione di Alice Pisu)

Dario Voltolini (Torino, 1959) è autore di racconti, romanzi, radiodrammi, testi di canzoni e libretti per il teatro musicale. È docente presso la Holden Academy. Cura la collana di narrativa italiana Pennisole per Hopefulmonster editore. Ha pubblicato per Einaudi, Feltrinelli, Laurana, Manni, Bollati Boringhieri, La Nave di Teseo. Il suo ultimo libro, Invernale, è stato finalista del Premio Strega 2024.

Nella stessa collana in uscita il 25 ottobre

Marino MaglianiCorsica. Prefazione di Roberto Carvelli

Giancarlo Malacarne “Monstrum. La “via oscura” tra storia, superstizioni e immaginario collettivo”, OLIGO Editore

Un viaggio nella superstizione dell’Occidente

in libreria dal 6 settembre

OLIGO

Un viaggio alla scoperta del mostruoso tra medioevo ed età moderna, dalla contrapposizione di mostrum prodigium come alterazioni dell’ordine divino, alle prime sistematizzazioni della cultura umanistica erede del mondo classico, che conobbe i ciclopi e gli animali chimerici: grifoni, aquile bicipiti, sirene, basilischi, liocorni. 

Giancarlo Malacarne, a partire dalla rilettura di Aristotele e sant’Agostino, fino ad arrivare alle suggestioni dei documenti d’archivio, rivela il fascino sinistro e coinvolgente del “mostruoso”, tra paure ataviche ed esoterismo, mostrandolo in modo inedito come segno del sacro e derivazione dalla dalla simbologia dei cosiddetti “riti di passaggio”.

Il “mostruoso”, per il suo fascino sinistro e coinvolgente, proprio per quella curiosità che alberga nell’animo di ognuno, da sempre incatena l’uomo a fosche fantasie, a leggende conturbanti, le più strane immaginabili, a una sorta di transfert inconsapevole, che cattura l’interesse di molti, intimamente soddisfatti di trovare nella diversità un momento di evasione a un’omologazione senza orizzonti, quella dell’angoscioso quotidiano. La storia sappiamo essere costellata di racconti fantastici e di improbabili mostri creati dall’immaginario collettivo: vampiri, lupi mannari, draghi, creature fantastiche, morti viventi sono senza dubbio tra le componenti più significative di questo aberrante ma fascinoso fenomeno che chiama in causa ataviche paure, ancestrali terrori, i quali riassumono nel teratologico componenti di simbolismo e grande spettacolarità.

GIANCARLO MALACARNE, storico e giornalista, è dal 1996 direttore della rivista d’arte, storia e cultura “Civiltà Mantovana”. Ha curato convegni, mostre e numerose pubblicazioni, tra cui ricordiamo almeno la trilogia “Solenni allegrezze” con Le cacce del Principe (1998), Sulla mensa del Principe (2000), Le feste del Principe (2002) e l’opera in cinque tomi I Gonzaga di Mantova (2004-2009). Ha ricevuto il Premio “Orio Vergani” (2004) e il Premio “Mario Soldati” (2020). Per Il Rio ha pubblicato Onore gloria vanità. Il duello nell’Italia del Cinquecento (2017) e Rituali e ricette della tradizione dolciaria mantovana (2019). Per Oligo ha pubblicato Tradizione. Sulla mensa del contadino (2023).

Emanuela Bianchi “L’ultima strega. Una storia vera dalla Calabria del XVIII secolo”, Oligo Editore

IN UN INTRECCIO DI INGANNI, SUPERSTIZIONE E PREGIUDIZI, LA STORIA VERA DELL’ULTIMA DONNA PROCESSATA PER STREGONERIA NELL’ITALIA DEL SUD

Prefazione di Roberto Alessandrini

Oligo editore

Calabria, seconda metà del Settecento. Cecilia Faragò è accusata di essere una strega e di aver provocato la morte del parroco. A vessarla due preti che vogliono impossessarsi dei suoi beni. Vedova e analfabeta, si affida a un giovane avvocato che porterà il suo caso fino alla corte di Napoli e riuscirà a smascherare gli impostori, dando l’occasione a re Ferdinando di abolire per sempre il reato di stregoneria. Emanuela Bianchi ha il merito di aver fatto uscire dall’oblio una storia dimenticata, oggi al centro di una rievocazione annuale a Soveria Simeri, raccontata nella sua opera teatrale LaMagara (Premio della critica Gaiaitalia 2014) e oggi in questo nuovo libro.

Dalla prefazione di R. Alessandrini:

«Questo breve racconto ha una lunga storia, che merita di essere riassunta, almeno per sommi capi. Una madre regala alla figlia il libro di uno studioso di storia locale. Il testo ricostruisce una vicenda realmente avvenuta in Calabria nella seconda metà del Settecento, quella di una donna – Cecilia Faragò – che rimane vedova, non intende risposarsi e che, pur essendo analfabeta, ritiene di far valere i propri diritti fino al grado supremo di giudizio, la Gran Corte della Vicaria di Napoli.  Accusata ingiustamente di essere una strega e di avere provocato con una fattucchieria la morte di un parroco, vessata da due avidi preti che reclamano con l’inganno i suoi averi, affida la propria difesa a un giovanissimo avvocato ventenne, che con una formidabile arringa, degna della migliore retorica del secolo dei Lumi, smaschera gli impostori e restituisce alla donna il suo diritto.  Re Ferdinando IV, nel 1770, coglie l’occasione per abolire il reato penale di magia dai suoi territori. Cecilia Faragò sarà così l’ultima donna nel Sud d’Italia a essere accusata, e assolta, da calunnie costruite sulla superstizione e sul pregiudizio. Confinata per oltre due secoli in un ambito prevalentemente locale, la storia dell’“ultima strega”, sempre in virtù di quel libro regalato da una madre a una figlia, diventa un testo teatrale. Perché la figlia è antropologa e attrice e, nella vicenda narrata, intravvede qualcosa che va riportato alla luce e arricchito di nuovi significati. Inizia così una ricerca sul campo, un’indagine serrata nel piccolo paese calabrese che ha fatto da scenario alla storia»

EMANUELA BIANCHI, antropologa e attrice catanzarese, ha studiato all’Università di Roma La Sapienza. Allieva di Paolo Vignolo (Ecole des hautes études en sciences sociales di Parigi) e della coreografa Marta Ruìz (Adra Danza, Colombia), nel 2004 ha costituito la compagnia teatrale “Confine incerto”, che si occupa di di teatro ludico-sensoriale, teatro antropologico e teatro interattivo in spazi non convenzionali.

I PRIMI DUE TITOLI DI AZÙCAR, la nuova Collana ideata e diretta da Davide Barilli

Per scoprire l’altra faccia di Cuba

«Volumetti da “bolsillo” (da tasca) che presentano al lettore italiano una Cuba inedita, al di là di ogni ideologia o contro ideologia, attraverso le storie di autori per nulla o poco conosciuti nel nostro Paese. Pubblicheremo libri di scrittori viventi, di varie generazioni, allo scopo di dare una panoramica dell’attuale narrativa cubana. In tale ottica, oltre a individuare titoli e autori fra scrittori consolidati, vincitori dei più importanti premi, faremo una sorta di scouting indirizzato a giovani esordienti.» Davide Barilli

Ariel Fonseca Rivero

FINE DEL CAMMINO

Traduzione di Davide Barilli

OLIGO

Dolente e amara è la Cuba di Ariel Fonseca Rivero, trentottenne scrittore di Sancti Spiritus, nato e cresciuto nella periferia cubana dei tristi condomini in stile sovietico e delle basse case unifamiliari di cemento in cui alligna il microcosmo della sua Cuba quotidiana. Solitudini di donne che lottano, soffrono, si disperano. Coppie logorate dal tempo e dalla povertà, fragili eroi dalla vita complicata raccontati con una scrittura diretta e nitida, niente a che vedere con lo stile ridondante e pittoresco degli autori caraibici a cui siamo abituati. Una scrittura di sottrazione, quasi afona, prosciugata sulla scacchiera sporca della vita di una Cuba sempre più con il portafoglio vuoto.

ARIEL FONSECA RIVERO è nato a Sancti Spíritus (Cuba) nel 1986. Narratore e poeta, si è specializzato al centro di formazione letteraria Onelio Jorge Cardoso. Membro della UNEAC (Unione scrittori e artisti cubani), ha pubblicato i libri di racconti: … aquí Dios no está (Luminaria, 2010), Hierbas (La Luz, 2016), Ventana al mar (Luminaria, 2017), Do not disturb (Abril, 2021). Ventana al mar, premio Fundación de la Ciudad de Sancti Spíritus Fayad Jamís 2016, è uscito in Italia nel 2020 per Ensemble con il titolo Finestra vista mare.

Nelson Pérez Espinosa

LAGGIÙ DOVE BRUCIA IL FUOCO

Traduzione di Davide Barilli

OLIGO

I racconti di Nelson Pérez Espinosa ci immergono nell’atmosfera di un mondo sconosciuto ai lettori italiani. La Cuba della sua infanzia, lontana dall’Avana, immersa in un mondo contadino, di carbonai e pescatori della provincia di Camagüey. Storie che raccontano, tra leggenda e cronaca, vicende sorprendenti, in un contesto naturale in cui la violenza dello scenario si interseca a vicende sentimentali piene di dolcezza. Attraverso il suo realismo magico-rurale, l’autore ci fa conoscere, con la sua voce epica, un mondo molto lontano dal realismo urbano e dai suoi scenari ormai saturi.

Nelson Pérez Espinosa (La Habana, 1982) è coordinatore del gruppo “Generación Ariete” e del suo gruppo letterario “La Mazorca”. Dal 2015 dirige l’“Evento Nazionale Itinerante di Rock e Letteratura”. È sceneggiatore e conduttore del programma radiofonico “Escritos con Guitarra”. I suoi racconti, fumetti, articoli sono stati pubblicati a Cuba, Argentina, Colombia, Spagna, Germania e Stati Uniti. Allí donde el fuego arde ha vinto il “Premio David” nel 2023. La sua storia Ellas No Quieren Singar appartiene all’antologia Ariete: la più giovane narrativa cubana (Guantanamera), vincitrice dell’“International Latino Book Award 2019”.

Valentina Fortichiari “Il mare non aspetta. Viaggio emotivo in Norvegia”, Oligo Editore

DALL’AMORE PER L’ACQUA E IL MARE, LO SGUARDO DELLA LETTERATURA SUL GRANDE NORD

Con una nota di Francesco Permunian

dal 10 maggio in libreria

OLIGO

In questo nuovo racconto emozionante e poetico, ambientato in Norvegia, tra Oslo e le Isole Lofoten, Valentina Fortichiari torna a unire la predilezione per il grande Nord con la passione per l’elemento acquatico (l’autrice è stata agonista, insegnante di nuoto, e tuttora è nuotatrice). Con una scrittura sobria, suggestiva, la narrazione è centrata sul rapporto sentimentale tra padre e figlia, fatto di nuotate condivise, ricordi, momenti indimenticabili (la magia dell’aurora boreale). Sullo sfondo, il lavoro sulla scrittura e la frequentazione di personaggi (in parte riconoscibili), protagonisti della cultura degli ultimi anni, sono frutto dell’esperienza in parte autobiografica dell’autrice che al mondo delle case editrici ha dedicato e dedica gran parte della propria esistenza.

Il mare non aspetta. Viaggio emotivo in Norvegia di Valentina Fortichiari a prima vista si presenta come un racconto lungo, ma in realtà è un breve romanzo di formazione raccontato dalla voce narrante di una figlia – dapprima nelle vesti di una bambina di nome Arya precocemente abbandonata dalla madre e dalla migliore amica e quindi di donna adulta impegnata nell’editoria di Oslo – la quale sceglie di dialogare con l’amata figura paterna attraverso gli unici strumenti a lei più idonei, ossia il nuoto e la scrittura, due attività apparentemente dissimili, ma in realtà con molti punti in comune in quanto entrambe trovano la loro ragion d’essere ultima nel grande mare della vita e della letteratura.[…] Il tutto è raccontato con uno stile fluido e discorsivo che a prima vista può apparire fin troppo semplice o addirittura facile. Al contrario, esso è lo specchio della capacità dell’autrice di scivolare in perfetto equilibrio sopra il flusso tumultuoso delle parole – ovvero, sopra le onde sempre mobili della scrittura – simile in ciò a quell’abile nuotatrice che la Fortichiari è stata nella sua vita reale. Una dote stilistica, quest’ultima, alquanto rara sulla scena culturale italiana, ma che discende da quell’illustre matrice letteraria – comunemente etichettata come “stile dell’anatra” – felicemente rappresentata dalla prosa cristallina di Raffaele La Capria. (Francesco Permunian)

VALENTINA FORTICHIARI è nata a Milano e oggi vive a Vigevano. Ha sempre lavorato in editoria, dirigendo le relazioni esterne e l’ufficio stampa di Longanesi. Dalla passione per l’acqua e il nuoto è nato il suo romanzo d’esordio, Lezione di nuoto, Colette e Bertrand, estate 1920 (Guanda 2009, Solferino 2023; premi Rapallo, Grazia Deledda, Rhegium Julii) e la raccolta di racconti La cerimonia del nuoto (Bompiani 2018). Ha curato e cura opere di Cesare Zavattini per la Nave di Teseo e di Guido Morselli per Adelphi. Giornalista, saggista, collabora con varie testate periodiche. È docente a contratto in comunicazione e tecniche del racconto presso master universitari (Bologna con Umberto Eco, Milano Fondazione Mondadori, Pavia).

Younis Tawfik ” L’ISIS raccontato da mia madre”, Oligo Editore

OLIGO EDITORE

Mosul, 2017. Gli uomini dell’ISIS lasciano la seconda città dell’Iraq dopo tre anni di barbarie. Prima, solo poche videochiamate, permesse da una connessione internet incerta, sono state l’unico fragile filo a unire Younis Tawfik, trasferitosi a Torino nel 1978 per imparare la lingua di Dante, e la sua famiglia, ostaggio del fanatismo. Dallo schermo del pc, la mamma racconta di uccisioni sommarie, segregazioni, discriminazioni.

Il Paese laico e multiculturale degli anni Settanta è un ricordo lontano. L’autore, tra i maggiori esperti di Medio Oriente in Italia, mostra senza veli le ferite provocategli dal terrorismo in prima persona, mettendosi a nudo in pagine dolorose che raccontano dell’uccisione di suo fratello per mano di al-Qaida o di tutte le sofferenze sopportate dalle sue sorelle in patria; non prima, però, di avere tracciato un efficace quadro storico per comprendere le radici ideologiche e culturali dello Stato Islamico, sorto sulle ceneri del sogno pan-arabo e con l’illusione di riscattare le sconfitte dell’antico califfato abbaside.

Morire per una giusta causa potrebbe essere un’impresa nobile. Sicuramente scioccante, ma qualcosa che possiamo accettare. Tuttavia nessuna fede raccomanda di uccidersi togliendo la vita a un altro essere umano. Nella loro essenza, nel loro più autentico messaggio spirituale, le tre religioni monoteiste propongono valori morali elevati e un annuncio di autentica salvezza per l’uomo che non contempla mai la possibilità di annientare l’altro, il diverso, il quale invece deve essere sempre accolto e riconosciuto come membro della grande famiglia umana. Le tre religioni amano talmente la vita da vietare persino la possibilità di togliersi la propria, figuriamoci quella degli altri. Certo, un uomo di fede può avere dei dubbi sulla propria esistenza, può impegnarsi a smascherare gli idoli – anche quelli del nostro tempo – ma non può mai arrivare a giustificare azioni violente, tantomeno quelle nichiliste dei moderni kamikaze jihadisti. Per parlare di ISIS, di quello che è successo e che sta ancora accadendo in terre solo apparentemente lontane dal nostro Paese, voglio partire proprio da qui. Da una coppia di parole: Jihād e kamikaze.

YOUNIS TAWFIK è nato a Mosul, in Iraq. Nel 1979 si trasferisce a Torino dove nel 1986 si laurea in Lettere, per poi dedicarsi alla divulgazione della letteratura araba (traducendo autori quali Gibran) e collaborare come opinionista a testate come “Repubblica”, “Il Mattino” e “Il Messaggero”. Attualmente presiede il Centro culturale italo-arabo di Torino “Dar al-Hikma” ed è membro della Consulta islamica in Italia. Ha pubblicato libri di poesia e vari saggi e romanzi, soprattutto per Bompiani. Da La straniera (2000, vincitore del Premio Grinzane Cavour) è stato tratto l’omonimo film con la regia di Marco Turco. Per Oligo ha pubblicato La sponda oltre l’inferno (2021, secondo classificato al Torneo Robinson di Repubblica).

Roberto Franchini “Magone. Declinazioni di uno stato d’animo”, Oligo Editore

STORIA, USI E DECLINAZIONI LETTERARIE DI UNA PAROLA

OLIGO EDITORE

Magone – quella tristezza che non va né su né giù e blocca il respiro – è una parola utilizzata soprattutto nel nord Italia che ha trovato ospitalità nei libri di Teofilo Folengo e Dario Fo, Giorgio Bassani e Alberto Bevilacqua, Antonio Delfini e Gianni Celati, Pier Vittorio Tondelli e Maurizio Cucchi. Si può accostare allo spleen cantato da Baudelaire, alla litost narrata da Milan Kundera, al fado di José Saramago e alla samba di Vinicius de Moraes, sentimenti che hanno a che fare con il viaggio e con la nostalgia di casa e affondano le radici nei viaggi coatti, per schiavitù o per miseria.

Una prima ricerca. Cominciamo dalla definizione. Vi offro le righe che sono apparse sullo schermo del mio computer dopo una veloce ricerca nel web. Al primo posto il sito Internazionale.it che offre la versione online (e in continua implementazione) del dizionario Nuovo De Mauro. Qui ho trovato una prima definizione, a dire il vero assai scarna. Dobbiamo poi ringraziare la Treccani, che da tempo ha affiancato ai maestosi e poco maneggevoli volumi cartacei un ampio deposito digitale di voci e di lemmi, sia enciclopedici che di vocabolario. Tuttavia, anche la Treccani non è stata prodiga di informazioni, ma dobbiamo accontentarci. Se andiamo a sfogliare l’edizione degli anni Sessanta del Novecento non troviamo la parola magone. Una disattenzione colpevole o, peggio, forse il disprezzo per un vocabolo poco nobile. Ancora oggi si trova solo nel vocabolario e nel volume dei sinonimi e dei contrari. Nei cinque dizionari storici dell’Accademia della Crusca – il primo vide la luce nel 1612 e l’ultimo fu aggiornato nel 1923 – la parola magone non esiste come lemma autonomo. Lo si trova invece nell’ottocentesco dizionario del Tommaseo, ma solo all’interno dell’ampia voce dedicata alla gola. Scelta giusta, ma un poco limitativa.  Perché questo scansare una parola conosciuta e utilizzata in molte parti d’Italia? Forse nei secoli passati non la utilizzava nessuno? O era ritenuta volgare e, ancora peggio, dialettale? Oggi, il dizionario Treccani scrive che è parola regionale, espressione ambigua, perché è vero che gli emiliani la considerano una parola del loro dizionario personale, sia in senso storico che geografico, ma non è affatto vero che sia conosciuta e usata solo in quel territorio. Quindi, di quale regione si tratta?

ROBERTO FRANCHINI, giornalista, scrittore e saggista, è stato direttore dell’Agenzia di informazione e comunicazione della Regione Emilia-Romagna, presidente della Fondazione Collegio San Carlo di Modena e del Festival filosofia. Di recente ha pubblicato Il secolo dell’orso (Bompiani), Prigioniero degli altipiani (La nave di Teseo) e L’Ultima nota. Musica e musicisti nei lager nazisti (Marietti 1820).

Matteo Bianchi “Contemporaneo. Alessandro Manzoni e la parola in controluce”

PER I 150 DI MANZONI, UNA GUIDA AGILE E PRECISA ALLA VITA E ALL’OPERA

OLIGO Editore

Un invito sentimentale alla lettura di Manzoni, un intellettuale che scopriremo incredibilmente contemporaneo. Tra i padri della letteratura italiana, sconta metodi di insegnamento obsoleti. Eppure Renzo e Lucia sono i primi protagonisti di origini umili del romanzo moderno. Manzoni ha gli ideali illuministi nel sangue, ma assorbe anche la bufera del Romanticismo. Partendo dal “criterio del vero”, da un’esigenza di onestà che esula dai limiti individuali, scopriremo uno scrittore di cui abbiamo ancora bisogno. Perché ora più che mai manca il suo modello di uomo di cultura che si assuma la responsabilità delle proprie parole.

Alessandro Manzoni è un autore imprescindibile poiché segna una svolta determinante rispetto alla tradizione classicista, canonizzata da Bembo, nel 1525. Egli si batte per il genere anticlassicistico del romanzo, finora considerato inferiore, benché proceda in forte discontinuità con l’Ortis (1802) di Foscolo; si batte altresì per una lingua dell’uso, leggibile da chiunque e non solo dai dotti, e per una letteratura democratica, non più elitaria e destinata unicamente agli aristocratici e all’alto clero. Nei Promessi sposi è centrale la prospettiva corale opposta al primato dell’io, nonché l’avversione per la mitologia, considerata un’evasione nel cielo della fantasia: «Non sono buone lettere […] quelle che non veggono che ci sia qualcosa da fare per loro, dove non si tratti di giocar colla fantasia». La distinzione tra “bella” e “buona” letteratura va a discredito dello slancio fantastico; se con “bella” denota e svaluta la letteratura dei centauri, degli ippogrifi e delle fole, che fa smarrire il senso del reale, con “buona” Manzoni indica quella basata sulla concretezza dell’esperienza pratica, sulla riflessione e sulla sagacità dell’ingegno, che si alimenta della conoscenza critica, della «cognizione degli uomini e delle cose». La funzione etica e civile della scrittura prevale nettamente sull’aspetto dell’intrattenimento.

Matteo Bianchi (1987) vive a Ferrara, è libraio e giornalista. Scrive per “Il Sole 24 Ore”, “Left”, “Il Foglio” e Globalist.it; è redattore di Pordenoneleggepoesia.it e dirige il semestrale “Laboratori critici” (Samuele Editore). Ha pubblicato Il lascito lirico di Corrado Govoni (Mimesis, 2023), l’Annuario govoniano di critica e luoghi letterari (La Vita Felice, 2020) e collaborato alla Guida tascabile delle librerie italiane viventi (Clichy, 2019). Fa parte del comitato scientifico della Fondazione “Giorgio Bassani”.