Fabio Lombardi “L’esercito delle carriole”, Mursia

Una storia che intreccia una fantasiosa maledizione, la caduta di un giornalista e la misteriosa sparizione di un pescatore. 

Tra superstizione, manipolazioni e un amore non corrisposto, il racconto si sviluppa sullo sfondo della coltivazione illegale di marijuana fino alla guerra etnica nei Balcani, affrontando temi come l’odio, la violenza di genere e le speculazioni di case farmaceutiche senza scrupoli, fino a rendere la maledizione una crudele realtà.

Mursia

dal 10 novembre

Leonida Lucomagno, ex giornalista fuggito sull’isola croata di Susak dopo una condanna per aggressione, si ritrova a indagare sulla misteriosa scomparsa di Thomas, un pescatore locale dal passato controverso come coltivatore illegale di marijuana e leader del movimento per la legalizzazione della cannabis.
Le indagini di Leonida lo trascinano in un vortice di pericoli: tra ex militari alla ricerca di vendetta, spregiudicati rappresentanti di case farmaceutiche e narcotrafficanti, le sue azioni attirano anche le attenzioni di Pentesilea, la carismatica leader di un’organizzazione europea che offre supporto alle vittime di violenza maschile.
La chiave di tutto risiede in un passato lontano: l’assedio di Vukovar, le vicende legate all’enigmatico “esercito delle carriole” e le conseguenze delle decisioni di Pentesilea nel dopoguerra.
Tra complotti e rivelazioni scioccanti, Leonida dovrà confrontarsi non solo con i suoi demoni personali, ma anche con una verità scomoda che rischia di travolgere tutti.

Un “noir esistenziale”, in cui hanno prevalenza tematiche storiche (guerra dei Balcani e crimini etnici), diritti civili e violenza contro le donne, legalizzazione della Cannabis e narcotraffico, lobby farmaceutiche. Centrale il racconto dell’infanzia dei personaggi, il passato ha lasciato ferite non rimarginate che ne influenzano le azioni e per alcuni di loro costituisce una crescita spezzata dalla violenza.

Fabio Lombardi (Milano, 1965) è un giornalista. Negli ultimi quattordici anni ha lavorato a Quarto Grado, trasmissione specializzata in casi di cronaca nera; precedentemente è stato cronista al TG4 e al TG5, dove ha seguito come inviato grandi casi di cronaca, dalla banda della Uno Bianca, al delitto di Cogne, al delitto di Garlasco e alla strage di Erba. Per tre anni ha scritto il blog «Nera e Dintorni» e nel 2019 il suo primo romanzo, L’istinto dei calamari.

Luca Arnaù “Vlad, il figlio del drago. Le cronache di Dracula”, Mursia

Mursia

dal 16 ottobre

Edirne, Impero Ottomano, 1431.
Il giovane Vlad, principe di Valacchia, è prigioniero alla corte del sultano Murad II, ostaggio di un’alleanza tradita. In un mondo di intrighi e pericoli, dove la morte è una costante minaccia, Vlad deve imparare a sopravvivere. Accanto a lui, il fratello minore Radu, che sceglie una via inaspettata e spezza un legame indissolubile.
Tra antiche sfide, amori proibiti con l’enigmatica Leila e spietate condanne, Vlad si forgia nel fuoco dell’odio e della vendetta. Ma quando il destino gli offre una possibilità per riconquistare il suo trono, si trova di fronte a una scelta impossibile: l’alleanza con i carcerieri o un piano segreto per salvare la cristianità dall’avanzata ottomana?
Un epico viaggio di formazione, tradimento e vendetta che dà vita a una delle figure più oscure e affascinanti della storia.

Dichiara l’Autore:
 «La mia idea era quella di andare alle sorgenti della leggenda, alla scoperta di colui che aveva dato origine al mito di Dracula: Vlad III di Valacchia, Drăculea, Vlad Țepeș l’impalatore. Cosa poteva aver fatto, visto, passato, vissuto sulla pelle un uomo per arrivare a essere considerato così cattivo da diventare il Vampiro, il simbolo stesso del Male? E perché, per il suo popolo – per la gente di Romania – Vlad è, al contrario, un eroe romantico, un condottiero senza paura capace di difendere la sua terra dagli ottomani per anni?»

Prologo: 

«Segesvara, capitale del principato di Transilvania. 2 novembre 1431, giorno dedicato ai morti. Le campane della grande torre quadrata che dominava i tetti di Segesvara ruppero il silenzio dell’alba con i loro rintocchi funebri, chiamando i fedeli in chiesa per la prima messa. Era il 2 novembre, il giorno più triste dell’anno, dedicato alla memoria dei defunti. Quell’anno, la ricorrenza sembrava ancora più cupa: molte famiglie piangevano la perdita di un parente per la febbre maligna che continuava a mietere vittime. La città viveva nel terrore. A sud la situazione era ancora più drammatica: le sentinelle sul Danubio segnalavano bande di predoni bulgari e ottomani che sconfinavano nel Sacro Romano Impero per un po’ di bottino. Assassini, ladri e disertori in cerca di cibo, schiavi e donne per i loro harem, che uccidevano e bruciavano ogni cosa sul loro cammino lasciando dietro di sé una scia di sangue e devastazione.»

Luca Arnaù, genovese di nascita e milanese d’adozione, è giornalista, sceneggiatore e scrittore. Ha iniziato come cronista nella redazione di un grande quotidiano, e ha poi diretto riviste come «Eva 3000», «Vip», «Ora» e «Epoca». Per la televisione ha firmato la serie Italians (2021), e ha debuttato al cinema con la sceneggiatura del film La Banda del Buffardello il manoscritto di Leonardo (2022). Autore di thriller storici, ha pubblicato Le Dieci Chiavi di Leonardo (2021, tradotto in 19 Paesi), L’Enigma di Leonardo (2022), Yeshua – Il Prescelto (2023) e Gli Arcani di Leonardo (2024).

Parnian Kasae “Seta, figlia dell’Iran”, Mursia

«La paura è rimanere nella prigione dell’oscurità, mentre la speranza è affrontare il mondo con tutte le sue incertezze e le sue sfide, uscire dal buio per tendere alla salvezza. Osando e rischiando. Buttandosi, a volte con un po’ di follia.»
«Ci ho messo una vita per trovare il mio posto.»
«Sfogo la mia frustrazione nella scrittura. Ho un dolore e non voglio sprecarlo. Questo dolore per me è sacro, è un’opportunità per dimostrare a me stessa che ce la posso fare.»

Mursia

Prefazione di Gian Domenico Mazzocato

In libreria dall’8 agosto

Parnian Kasae, ingegnera iraniana, donna in fuga e in lotta, ricostruisce con lucidità e profondità in questo romanzo autobiografico il senso della propria esistenza tra dolore fisico, spaesamento culturale e resistenza interiore. 
Dalla Rivoluzione islamica all’esilio, dalla guerra alla nostalgia, dalla Malesia all’Italia, passando per un mosaico — reale e simbolico — che unisce civiltà lontane, Parnian racconta una storia fatta di silenzi forzati, radici profonde e lotte quotidiane. Il filo conduttore? Una domanda urgente: può il dolore trasformarsi in significato? Una testimonianza intensa e toccante sulla diaspora iraniana, sulla condizione femminile, sulla forza di rialzarsi anche quando la vita sembra inchiodarti al suolo.

Dalla prefazione:
«È denso e dolorante il romanzo di Parnian Kasae, iraniana, fatta inquieta e vagabonda dalle vicende del suo paese. Come appartenersi, come resistere alla incessante, metodica distruzione della propria identità di persona? Come continuare ad essere donna e non fantasma? Una società in cui crescevi imparando come auto-censurarti nel dire, fare, vestire, pensare e credere. Fra le quattro mura di casa eri tu, credente o ateo, omosessuale o etero, progressista, conservatore o antirivoluzionario, ti vestivi, mangiavi e bevevi come ti pareva. Poi però, prima di mettere piedi fuori, ti dovevi mascherare negando te stesso. Assumevi un’identità surrogata. Si prova ad evadere, ci si nutre di cultura “aliena” (tra gli altri gli amati italiani Italo Calvino, Umberto Eco, Oriana Fallaci ma anche i testi di Franco Battiato), si diventa cittadini del mondo. Ma il dolore del distacco, del cordone ombelicale irreparabilmente reciso è lì, incombente e invalidante. Un dolore che uccide. Parnian, dimidiata tra la propria tradizione e le culture che cerca di assimilare. Prendemmo anche noi un albero e lo addobbammo. Lontani dalla nostra terra e le nostre tradizioni, almeno così ci impegnavamo a far parte di una società anziché esserne tagliati fuori. Lo stesso giorno festeggiammo anche il compleanno di Magid.»

Parnian Kasae (Teheran  1977) è laureata in Ingegneria Biomedica a Teheran. Dopo un master in Simulazione a Trieste si è dottorata in Fisica a Siena. Oggi vive a San Donà di Piave in provincia di Venezia, dove si dedica alla sua passione per l’arte e la letteratura. Seta, figlia dell’Iran è il suo primo romanzo.

Antonella Carta “Devi andare Nì”, Mursia

In libreria il 16 luglio

Mursia

«“El niño del santo?” chiese suor Consuelo sorridendo al piccolo anonimo che la fissava in silenzio. Così Niño Del Santo fu il suo nome, ma per tutti, tranne che per lei, da allora soltanto Nino.»

Nino è figlio della vergogna. Abbandonato in uno scatolo e portato al convento da un angelo sconosciuto, viene accolto da una famiglia rude e numerosa. Ancora bambino scopre brutalmente la verità e inizia a cercare il proprio posto nel mondo. L’incontro con Dela gli fa credere che tutto sia possibile. La vita che costruiscono insieme rischia però di frantumarsi quando il passato torna a chiedere il conto. Nino si trasforma in qualcuno di cui aver paura, ma Dela lo difenderà fino alla fine dimenticandosi di sé.
Va oltre il tempo, questo racconto. Quando sembra concluso, torna indietro: un passo nel tramonto, per ritoccarlo d’alba.

Incipit:

«Il freddo, per una sera, rinunciò al proprio silenzio. Provò a farsi voce, sfiorò gli occhi aperti del neonato dentro lo scatolo di cartone e gli volle cantare una ninna nanna perché il primo sonno non fosse agitato. Si accorse così di non avere canzoni. La coperta era lì, in imbarazzo per l’abbraccio che tentava di simulare, perché a quegli occhi aperti probabilmente la differenza non era sfuggita. Qualcuno, pescato a caso dal ripostiglio del destino, si accorse dello scatolo per strada, controllò, e vide che dentro taceva un bambino. Quindi di corsa al convento, prima che fosse tardi, dalle suore cui ogni tanto il Signore mandava un bimbo così, rifiutato. Una ragazza piangeva poche case più in là, con le mani sul ventre svuotato e il pensiero al figlio che le avevano appena portato via. Svuotata, anche lei. Le avevano messo tra i denti un fazzoletto perché i vicini non la sentissero gridare. Aveva trascorso chiusa in casa gli ultimi mesi della gravidanza, mentre tutti sapevano che era fuori, ospite di certi parenti. Le dissero che il tempo l’avrebbe guarita, che avrebbe sposato un uomo diverso, che sarebbe cresciuta»

Antonella Carta insegna Materie letterarie in un liceo. Dopo il romanzo Timoteo e il saggio Rousseau. Le fantasticherie, ha pubblicato con Mursia i romanzi Come nuvole di cotone (2020) e Come una pianta che spacca il cemento (2023).

Dario Fertilio – Guido Primiceri “Giocare l’impossibile. Colpi e caratteri estremi del tennis.Dalla smorzata di Alcaraz al rovescio bimane in salto di Sinner “, Mursia

In libreria dal 13 giugno

Mursia

«I giocatori visti da vicino, con i colpi mitici del tennis. Estremi quanto unici, inimitabili e per sempre legati alle personalità dei loro autori.»

I grandi campioni di oggi e del passato, da Alcaraz a Sinner, da Djoković a Connors, da Pancho Gonzales a Nadal, raccontati a partire dal loro colpo «estremo», quello in cui si esprime al massimo grado la qualità tennistica, e una fusione speciale di preparazione e istinto. Così il servizio di Isner e la risposta di Djoković, il serve-and-volley di Rafter e la smorzata di Alcaraz, il rovescio bimane in salto di Sinner e il tweener di Gasquet. Fino alle prodezze che suscitano maggior meraviglia, come il colpo laterale alla rete, la veronica e la smorzata, l’anticipo e il recupero pallonetto. Di ogni campione della racchetta presente in questa galleria non vengono soltanto analizzate le caratteristiche tecniche e i virtuosismi, ma anche ritratti i lati meno noti del carattere, le debolezze, i segreti, le superstizioni, le passioni non confessate e in qualche caso anche le follie.

Ci sono attimi nella storia dello sport che restano sospesi in un tempo anomalo e in uno spazio indefinito, consegnati a una specie di eternità. Sono fotogrammi della memoria plastici, iconici. Affini ai grandi momenti destinati a segnare una svolta simbolica nella politica, nell’arte, nella scienza e in genere nella creatività umana. In questi casi, più ancora che il contesto, rimane incastonato nel ricordo collettivo il gesto mai prima compiuto, e il nome del suo autore. Il salto in lungo fuori misura dell’americano Bob Beamon, che nell’anno 1968, a Città del Messico, accende sullo schermo dello stadio la cifra incredibile di 8,90, più di mezzo metro oltre il record mondiale fino ad allora conosciuto. Il mattino del 1972 in cui Bobby Fischer non si presenta alla seconda partita del campionato del mondo di scacchi, in corso a Reykjavik, e lascia la vittoria al campione in carica Boris Spassky, sfibrandolo nell’attesa a tal punto da costringerlo alla resa negli incontri successivi. Il goal segnato di mano da Diego Armando Maradona nel 1986, in Messico, ai danni dell’Inghilterra, eseguito con tale rapidità da rendersi sul momento invisibile a tutti. Il diretto destro con cui George Foreman nel 1994, sul ring di Las Vegas, a quasi 46 anni, spegne le luci del giovane campione del mondo, super favorito, Michael Moorer. Il salto nell’abisso di Umberto Pellizzari, che sfida le paure del buio sottomarino e i limiti della resistenza umana, nel 1999, scendendo in apnea, in assetto variabile no limits, fino a 150 metri di profondità.
Tutti questi episodi restano indelebili nella storia dello sport. E hanno una caratteristica in comune: sono per definizione tanto estremi quanto unici, irripetibili e inestricabilmente legati alle personalità dei loro autori.
Ma nessuno di essi è raffrontabile a quanto avviene nel tennis. Perché, a differenza di tutte le altre discipline sportive, in questo caso i colpi estremi – qualsiasi altra definizione si possa trovare per definirli, come «perfetto», «illegale», «inaudito» o addirittura «impossibile» – non possono essere risolutivi. La ragione si illustra da sé: il tempo di gioco nel tennis non conta, si prosegue fino a quando il match point decisivo è stato giocato, e nonostante tutti gli accorgimenti moderni per ridurne la durata – come il tiebreak, il super tie-break o il killer point – potenzialmente gli incontri potrebbero proseguire all’infinito. Insomma, i colpi «impossibili», anche se riescono, in questo sport non segnano la fine. Il momento successivo si fa tabula rasa e si ricomincia da capo, come se niente fosse successo. A meno che vengano ripetuti in numero sufficiente, e negli episodi chiave dell’incontro, quelli in cui la volontà dell’avversario si incrina, mentre affaticamento fisico e mentale diventano una cosa sola.

Dario Fertilio (Modena, 1949), giornalista e scrittore tradotto in numerose lingue, è autore di saggi e romanzi, poesia e teatro, oltre che articolista per vari quotidiani e vincitore di numerosi premi letterari. È appassionato di tennis.

Guido Primiceri (Milano, 1982), giocatore professionista fino al Duemila, è stato numero 378 del mondo a vent’anni prima del ritiro per infortunio. Maestro nazionale, ha fatto parte della prestigiosa Academy di Nick Bollettieri in Florida.

Franco Busato “P.38 Solo i colpevoli devono morire. Solo Molina indaga ancora”, Mursia

MURSIA Collana: Crime & Thriller
Dal 14 aprile in libreria

«Ed è quando l’uomo e la pistola si incontrano che la vita si fa tragedia.»

Una serie di cruenti omicidi, apparentemente slegati tra loro, scuote una Milano che si appresta ad affrontare i primi freddi autunnali. Cosa hanno in comune un anziano musicista emaciato e in pigiama, che suona un pianoforte in una stanza di un ospedale, e una pistola, il cui nome è divenuto triste emblema degli anni di piombo? Uno dona la vita e l’altra regala la morte.
La commissaria De Santis, per riuscire a risolvere questi casi, dovrà seguire la storia della pistola, con il fondamentale supporto di Solo Molina, che dovrà rivivere nella sua mente episodi della sua gioventù da malvivente. Il percorso ci porterà a conoscere aspetti di una Milano fatta di terrorismo e ’ndrina, di droga e violenza, dagli anni Ottanta ad oggi, che ruotano attorno a piazza Prealpi, divenuta da luogo di spaccio a piazza dei diritti con le sue panchine colorate. Le note del pianoforte e i colpi di pistola si intrecciano. La verità è nascosta tra le pieghe della musica e quelle della manchevolezza della giustizia.

La stanza della musica si trovava al secondo piano dell’ospedale San Carlo Borromeo a Milano, salendo le scale che portavano nei vari reparti te la trovavi di fronte, nel mezzo della confluenza di due lunghi corridoi, uno che arrivava da destra e l’altro da sinistra, che parevano le due braccia tese sulla croce, e sui quali si affacciavano molteplici porte, tutte a distanza regolare tra loro e allineate su uno stesso lato. Sopra ad ogni porta vi erano infissi dei cartellini con dei numeri progressivi, insieme a una grossa spia luminosa rossa, che serviva per richiamare l’attenzione degli infermieri in caso di bisogno, mentre all’interno delle stanze vi erano dei letti, dei tavolini, delle apparecchiature mediche, flebo e attacchi per l’ossigeno, il tutto per i degenti ricoverati.

Franco Busato (Milano 1957), scrittore di gialli, direttore di testate giornalistiche, fondatore di un centro culturale, ha conseguito diversi premi letterari internazionali. In Delitto a Villa Arconati (2017) e Balfolk killer (2018), Solo Molina indaga tra giallo, arte e ballo in una Milano affascinante, misteriosa e ricca di storia. Con Mursia ha pubblicato Chi ha ucciso il Pret de Ratanà (2020) e L’ottava maledizione di Ötzi (2022).

Fabrizio Carcano – Giorgio Maimone “Il fiore della vendetta.La bomba di via Palestro continua a uccidere”, Mursia

«Il tempo non cancella il sangue versato. Lo sa bene chi ha atteso trent’anni per presentare il conto.»

Mursia, Collana Crime & thriller

dal 13 marzo in libreria

L’estate milanese del 2024 è segnata da una serie di eventi inquietanti che scuotono la città. Il capitano dei Carabinieri Marco Fontana si trova a indagare su un caso complesso e intricato: l’omicidio di due vecchi malavitosi, entrambi legati alla strage di via Palestro del 1993, e la misteriosa scomparsa di un funzionario dei Servizi Segreti.
L’indagine di Fontana lo conduce nei meandri oscuri del passato di Milano, riaprendo ferite mai rimarginate e portando alla luce segreti sepolti.
La strage di via Palestro, un evento traumatico per la città, torna a essere protagonista, e Fontana si trova a dover ricostruire gli eventi di quel tragico giorno, cercando di identificare gli esecutori e i mandanti dell’attentato e chi ha guidato la Fiat Uno imbottita di tritolo.
Mentre il Capitano indaga sulle vicende del passato, un nuovo e spietato assassino fa la sua comparsa a Milano. Soprannominato il Sagittario, questo killer agisce di notte, utilizzando una balestra di precisione per uccidere uomini che hanno commesso violenze contro le donne. Le sue azioni, seppur brutali, sembrano guidate da un distorto senso di giustizia, e la città è pervasa da un’atmosfera di paura e incertezza. 
Fontana si trova così a dover gestire due indagini parallele: quella legata alla strage di via Palestro, che lo porta a confrontarsi con i fantasmi del passato, e quella legata al Sagittario, che lo mette di fronte alla brutalità del presente.
Le due indagini, apparentemente distinte, iniziano a intrecciarsi, rivelando una trama complessa e pericolosa.

Dal Prologo:

«Milano, via Palestro, martedì 27 luglio 1993 ore 23,14 Un frammento di stella che si stacca dal cielo e precipita dentro il finestrino aperto della Uno grigia. Un lapillo vulcanico che erompe dal centro della terra. Due spinte opposte: verso l’alto e verso il basso. Una bomba sa pronunciare una parola sola: sorpresa! E poi si applaude. La bomba, massima rapinatrice dei cieli è forte, è potente, è violenta. La bomba è neutra, perché non guarda in faccia a nessuno: né ai potenti, né ai ricchi, né a razze o pregiudizi. La bomba esplode, si allarga, si espande, distrugge, demolisce, purifica. Vedi prima il lampo e dopo senti il tuono, ma se il tuono è troppo forte sarà l’ultimo che sentirai. Perché la bomba è democratica: uccide il “vu cumprà” sulla panchina, uccide il vigile e i pompieri. Rompe i vetri di tutta via Palestro, porta il disagio in casa Gucci, spettina le statue sulle terrazze, scompiglia gli arazzi, rialza i tappeti. Il motore della Uno grigia vola fino a un balcone al terzo piano, Milano si illumina e poi si spegne, perché salta la luce in tutta la zona. L’asfalto si squarta e lascia uscire il fuoco che si scaglia contro il cielo bruno, sola fonte di luce a illuminare la notte del 27 luglio 1993; è il gas, che, uscito dalle tubature, ha preso fuoco. Bruciano gli alberi, perdono le foglie, si scorticano i tronchi e restano cinque corpi sul terreno. La bomba è esplosa, la bomba fragorosa, la bomba apocalisse, la bomba che mormora, la bomba che urla, la bomba messaggio, la bomba che impone e dispone, incalzatrice della storia, freno del tempo, massima rapinatrice dei cieli: la morte ha distrutto l’azzurro inflessibile della notte d’estate».

Fabrizio Carcano e Giorgio Maimone 
Presentano il libro in anteprima il 13 marzo alle ore 18,00 a Milano al Libraccio (Via Vittorio Veneto 22) 
Interviene la giornalista Giusy Randazzo

Fabrizio Carcano (Milano 1973) è giornalista professionista e dal 2020 direttore della collana Giungla Gialla di Ugo Mursia Editore. Con Mursia ha pubblicato diciassette romanzi, gli ultimi sono stati I delitti dello Zodiaco (2022), Il killer dell’Apocalisse e La quinta carta (2023).

Giorgio Maimone (1953). Dopo una vita da giornalista, inizia a scrivere romanzi nel 2013. Tra le ultime pubblicazioni, la quadrilogia di Filippo Marro – composta da Sole su BreraPioggia a BreraNebbia su Brera e Neve a Brera – e il sesto volume della serie di Greta e Marlon, scritta a quattro mani con Erica Arosio: Mannequin.

Stefano Ferri “Due vite. Una ricompensa”, Mursia

Un romanzo storico che celebra la resilienza, l’amore e il destino. E racconta la vera storia del risotto alla milanese. 


Mursia
In libreria dal 26 settembre

«Era la voce del cardinale che proclamava: “Un giorno tutto il mondo farà così”.»

Anno Mille. In uno sperduto feudo del Regno di Lombardia la routine del contadino Guglielmo viene funestata dall’improvvisa – e gravissima – malattia della giovane moglie Rosa. Deciso a non rassegnarsi all’idea di perderla, mentre sacrifica tutto il raccolto a un viaggio della speranza allo “Spedale” di Milano, si inventa un modo per non togliere il cibo di bocca ai suoi bambini: una pietanza sconosciuta chiamata riso, insaporita col contenuto dell’osso grande del bue.

Milano, 1573. Nel cantiere del Duomo il giovane pittore Filippo, dipendente di Valerio Perfundavalle di Lovanio, s’innamora della figlia di questi, Alessandra, che è promessa al nobile Galeazzo Soligo e ne rifiuta le avances. Filippo cerca di superare la delusione buttandosi sul lavoro e si specializza in una tecnica di colorazione da lui stesso inventata a base di zafferano, spezia che il cardinale arcivescovo Carlo Borromeo gli fa arrivare addirittura dalla Persia. Intanto Alessandra si sposa, e Filippo, invitato al matrimonio, decide di vendicarsi dell’antico rifiuto con uno scherzo che il cuoco di corte, l’amico Pierandrea, finge di accettare come tale avendone però capito la portata rivoluzionaria: “macchia” di zafferano il tradizionale risotto con il midollo di bue, servito come pietanza principale al pranzo di nozze. Ne esce un piatto favoloso, che conquista immediatamente la platea, la città e l’intero Ducato, arrivando persino a superarne i confini! Il riso, simbolo di abbondanza, non solo rappresenta la cultura milanese, ma diventa anche un atto di festa e di speranza dopo un periodo di grande sofferenza. 

Due vite una ricompensa è un romanzo storico. È una storia emozionante. Una narrazione che si intreccia tra realtà storica e finzione, la trama racconta le asperità e le disuguaglianze della vita. L’amore e il caos o destino che poi alla fine in qualche modo sistema tutto. L’Autore presenta ai lettori una vicenda – originale, tragica, multiforme e meravigliosa – che da una tragedia individuale ha condotto all’usanza capace di unire nello spazio e nel tempo gli esseri umani: lanciare sugli sposi il riso crudo. È un rito derivato proprio dall’amore dei milanesi per il loro risotto, divenuto simbolo di gusto e abbondanza in spirito liberatorio dopo l’incubo della Peste del 1576. La scelta di basare parte della trama su eventi storici come la Peste, e l’introduzione di un rito tradizionale come il lancio del riso sugli sposi, conferisce al romanzo una dimensione culturale significativa, legando il destino dei protagonisti alle usanze che hanno plasmato una comunità.

Stefano Ferri dichiara: «“Due vite una ricompensa” intende mostrare una delle più profonde e amare regolarità dell’esistenza umana: che se da un lato non è vero in assoluto che chi la dura la vince, dall’altro è sempre vero che un sacrificio onesto e amorevole lascia un segno, per quanto eventualmente diverso dall’intento originario, come un seme che porta frutto ai posteri e non a chi lo ha piantato».

Stefano Ferri (Milano 1966) vive a Milano. Nel 2004 ha ricevuto il Premio Hilton per il giornalismo in turismo d’affari e nel 2006 il Premio Italia for Events per la stampa di settore. Nel 2022 gli è stata assegnata la menzione al TTG Star Award e nel 2023 è stato inserito fra i cento personaggi più influenti della meeting industry mondiale. Con Mursia ha pubblicato Crossdresser. Stefano e Stefania, le due parti di me (2021).

Fabio Giorgino “Echi sinistri. Una nuova indagine del commissario Spiro Fusco”, Mursia

Collana GIUNGLA GIALLA , Mursia

«Erano passati ventidue anni ma quella data sarebbe rimasta scolpita per sempre nei suoi ricordi, sebbene tutto quel tempo trascorso fosse servito almeno a mitigare il rimorso e la paura di dover pagare il conto, prima o poi.»

Il cadavere di una ragazza viene rinvenuto nelle acque del Mar Piccolo di Taranto: sembra essersi buttata dal ponte Punta Penna, ma i primi rilievi rendono l’ipotesi del suicidio poco credibile. Il commissario Fusco si trova ad affrontare una nuova indagine proprio nel giorno in cui un messaggio anonimo lasciato nella cassetta della posta lo riporta indietro di ventidue anni, costringendolo a riprendere le fila di una vicenda personale che credeva morta e sepolta. Chi è a conoscenza del suo torbido segreto oltre all’amico Enrico Vanoli? Si tratta di vendetta o ricatto? Nella seconda avventura di Spiro Fusco, echi sinistri risuonano dal passato per svelare le origini del suo spirito oscuro.

Incipit:

«Un’alba lattiginosa e umida preannunciava una di quelle giornate in cui Spiro Fusco, con buona probabilità, avrebbe dovuto ingurgitare almeno milleduecento milligrammi di ibuprofene nell’arco delle dodici ore per alleviare quella che lui definiva «cefalea da aria pesante». Uscì di casa per ritirare la pattumella dell’umido e rientrando si fermò davanti alla cassetta della posta: dalla feritoia s’intravedeva qualcosa all’interno. Poggiò la pattumella a terra tremando per il freddo e inserì la mano nello sportello, pinzò fra indice e medio l’angolo di un foglietto di carta e lo tirò fuori. Era piegato in due. Lo aprì e lesse le due sole righe scritte con una grafia quasi illeggibile. Sentì di colpo il cuore accelerare e un flusso caldo alla gola. Rilesse una seconda e una terza volta. Una sola frase e una data, un richiamo sinistro a giorni ormai lontani».

Fabio Giorgino (1968), pugliese, impiegato nella pubblica amministrazione, ha esordito nel 2021 con il thriller Le ragioni della follia per la collana Giungla Gialla di Mursia; il romanzo ha vinto il premio della critica Città di Cattolica 2022 ed è stato semifinalista alla Provincia in Giallo 2022. Echi sinistri è il secondo capitolo della serie con protagonista il commissario tarantino Spiro Fusco.

Roberto Soldatini “Alla ricerca dei porti romani. A vela lungo una rotta antica”, Mursia

Roberto Soldatini, velista e violoncellista, con Denecia – la sua barca-casa – ha girato il mondo e navigato la storia

Prefazione di Ammiraglio Vincenzo Leone, già Comandante del porto di Civitavecchia

Roberto Soldatini navigatore, ex solitario, alterna mesi di navigazione e mesi in cui sverna nella  barca-casa Denecia. Il suo compagno di viaggio è un violoncello del Settecento,  Stradi , che trasforma la pancia della sua barca in una cassa armonica della cassa armonica. Roberto Soldatini è direttore d’orchestra, violoncellista e scrittore che al giro di boa dei cinquant’ anni ha deciso di liberarsi di quei sassi dalle tasche che gli impedivano di fare un salto e di lanciarsi di bolina verso una nuova dimensione. Per fare il salto vive da tredici anni nella sua unica dimora, un Moody 44, liberandosi di tutti gli orpelli che appesantiscono la vita, alla ricerca dell’essenziale, di se stesso e dell’armonia. 

«Navigare è anche un mezzo per ripercorrere la storia, per andare alla ricerca delle nostre origini, per capire da dove veniamo e chi siamo, nella speranza di comprendere dove stiamo andando. Essere stati è una condizione per essere.»

Un itinerario lungo le coste italiane ripercorrendo una rotta dei Romani tramandata dall’Itinerarium maritimum e dal De reditu suo di Rutilio Namaziano, alla ricerca delle loro tracce, dei loro porti, di cosa ne è rimasto e di cosa c’è ora nell’epoca moderna. Un contrappunto tra passato e presente, due voci che si incontrano e si allontanano in un concerto senza fine. Una rotta di seicento miglia (oltre mille chilometri), da Roma ad Arles, con più di sessanta approdi, percorsa nel 2018, in parte in compagnia di un ospite d’eccezione, che alleggerirà la ricerca con un po’ di umorismo. L’Autore s’improvvisa ricercatore in questo diario di bordo, portolano, fatto di anfore, relitti, moli diroccati, storia, leggenda, arte, musica, amicizia, ricordi e soprattutto mare e vela. La rotta può essere seguita tutta o in parte, sia via mare che via terra, percorrendo la via Aurelia, e dà l’opportunità di approfondire il nostro Paese.

Dalla prefazione:

«Ma anche quando sembra che il nostro nocchiero narratore sia da solo in realtà non lo è. Egli è affiancato dal vento, è rassicurato dallo sciabordio dell’acqua lungo le fiancate della sua amata barca Denecia (sempre presente nel racconto) ma, soprattutto, il nostro scrittore non perde mai di vista la costa. Come per gli antichi naviganti la costa non è solo luogo di partenza e approdo ma punto di riferimento costante per una navigazione sicura e tranquilla. Un lungo e cangiante lembo di terra che, ai tempi di Rutilio Namaziano, certamente doveva apparire come un’interminabile porta verso un paradiso terrestre, fatto di terre lussureggianti e rifugi sicuri, ma che oggi all’autore di questo libro si presenta spesso offesa e in pericolo per una pressione antropica quasi insostenibile. La costa del Paese costiero per eccellenza – senza nulla togliere alla parte transalpina della navigazione, raccontata dallo scrittore con altrettanta passione – cui garantire attenzione e cura e, perché no, magari una giornata nazionale ad essa dedicata. Spiagge, calette, insenature e piccoli fiordi, falesie e scogliere infinite, città porto e porti incuneati nelle città “costrette ad esistere” a causa loro, approdi antichi e porti turistici (non sempre gentili con la costa, a cui hanno rubato il profilo). Navigare con Roberto Soldatini sembra essere davvero divertente e rassicurante, leggere questo libro è una carezza per l’anima. Guardare la terra dal mare: sognare al contrario».

Roberto Soldatini (Roma 1960) è direttore d’orchestra, compositore, violoncellista e scrittore. Ha guidato le orchestre di alcune delle maggiori istituzioni europee e americane. Dal 2011 vive sulla sua barca a vela Denecia II, alternando ogni anno sei mesi di navigazione in solitario e sei mesi in porto per svernare. Ha pubblicato La musica del mare (2014), Sinfonie mediterranee (2016) e, con Mursia, DeneciaAutobiografia di una barca (2018), Denecia. Approdi nella pandemia (2020), Ca’ DeneciaVivere a Venezia (2021) e Vivere in barca (2023). https://www.robertosoldatini.com/