
Negli ultimi anni si è assistito in Gran Bretagna alla riscoperta dell’opera di Celia Fremlin, autrice di perturbanti noir «domestici», narratrice di inquietudini interiori che mettono in crisi la normalità, la vita quotidiana, in particolare delle donne, con una fortissima tensione psicologica e una perfida ironia.
In questo romanzo la scrittrice intreccia con maestria l’umorismo nero e una toccante esplorazione del lutto, creando un inarrestabile vortice narrativo che richiama Shirley Jackson e Patricia Highsmith. La lunga ombra è un mystery travolgente e maligno, con un finale che ha il sapore amaro di un dolce natalizio andato a male.(dal Catalogo Sellerio)
Il romanzo, pubblicato per la prima volta nel 1975, ritorna in libreria per Sellerio con la traduzione di Chiara Rizzuto
Imogen, la protagonista, è una signora ultracinquantenne che da pochi mesi ha perso il suo sposo, Ivor Barnicott, docente universitario e saggista, intellettuale di successo, ma anche manipolatore, opportunista e donnaiolo.
La vedova con l’approssimarsi del Natale vede la propria casa, grande e piena di stanze nella periferia residenziale appena fuori Londra, riempirsi di consolatori: ex mogli, figliastri, nipoti, ciascuno con il proprio fardello di segreti e veri scopi dietro quella che in apparenza vuole essere volontà di accudimento e compagnia per la vedova inconsolabile, ma che determinerà per Imogen un periodo da dimenticare; la sua bella e capace dimora, piena di stanze, verrà occupata dai vari e all’apparenza servizievoli parenti: il viziatissimo figlio di Ivor con un’amica davvero bizzarra, la figlia con il marito e i due bambini, la ex moglie rientrata in Inghilterra dalle Bermuda per non rischiare di perdere la sua parte dell’eredità?
E come la neve silenziosa scende sulla campagna inglese, così iniziano a fioccare fatti inquietanti
Celia Fremlin (1914-2009) è stata una scrittrice britannica di romanzi e racconti noir. Dopo aver studiato Lettere classiche a Oxford, ha pubblicato sedici romanzi acclamati da pubblico e critica, vincendo nel 1960 l’Edgar Award.