Jurij Tynjanov “Il sottotenente Kižè”, Bibliotheka Edizioni

Nuova traduzione dal russo della novella Il sottotenente Kižè, che ha ispirato una suite di Prokofiev e un film. Un divertente e corrosivo ritratto della Russia zarista ai tempi di Paolo I

UN BANALE ERRORE DI SCRITTURA DÀ VITA A UN UFFICIALE INESISTENTE, CHE FARA’ UNA SORPRENDENTE CARRIERA E SARA’ ONORATO DALLO ZAR

A cura e con la traduzione dal russo di Francesca Tuscano

Nota di lettura di Roberto Alessandrini

Bibliotheka

Dal 5 dicembre

Un copista militare maldestro e inesperto compie due errori nello scrivere altrettante ordinanze da sottoporre alla firma di Paolo I, imperatore di Russia: una persona in carne e ossa viene data per morta e un individuo inesistente viene destinato a una favolosa carriera.
È un divertentissimo e corrosivo ritratto della Russia zarista quello offerto dalla novella di Jurij Tynjanov Il sottotenente Kižè, scritto nel 1928. La novella ebbe molto successo al punto da ispirare un film con lo stesso titolo, diretto nel 1934 da Aleksandr Michajlovic Fajncimmer, e la Suite op. 60 di Sergej Prokofiev.

È lo zar Paolo I a firmare le due ordinanze che certificano ufficialmente due fatti mai avvenuti e che saranno ritenuti veri, per banali errori di scrittura, dalla conformistica società statale e dall’ottusa burocrazia militare: la cancellazione dai ranghi dell’esercito di un tenente la cui esistenza verrà completamente ignorata, e la parallela creazione di un ufficiale virtuale, il sottotenente Kižè, il quale andrà incontro a eventi reali, di cui resterà traccia nei documenti ufficiali. Inizialmente fustigato e deportato in Siberia, sarà poi promosso e farà una brillante carriera nei ranghi dell’esercito. Avrà persino una moglie e un figlio, ma alla fine si ammalerà, morirà e sarà onorato con funerali di Stato alla presenza dell’addolorato sovrano.

[…] nella novella storica di Jurij Tynjanov Il sottotenente Kiže un banale errore di trascrizione agisce come motore, anche in questo caso identitario, della vicenda. Un giovane e inesperto scritturale è intento a ricopiare l’ordine del giorno che dovrà essere sottoposto al sovrano. Angosciato dal ritardo, dalle interruzioni e dal timore di sbagliare, commette due involon­tarie mistificazioni che producono effetti inattesi, ma reali. Pur non esistendo, il sottotenente Kiže esiste in virtu’ di un lapsus, di una semplice maiu­scola su un documento. Ufficiale ignoto e incorporeo, senza volto, ma con un cognome, Kiže sarà esiliato in Siberia su ordine dell’imperatore, poi richiamato dall’esilio, promosso al grado superiore e persino sposato a una dama d’onore. Ai tasselli di questa elementare biografia si deve aggiungere la notorietà che presto si assocerà al suo nome assieme al rigore della sua condotta militare. L’errore di scrittura che lo ha generato lo protegge da ogni possibile sbaglio e lo proietta in un mondo di perfezione irreale perché gli automa­tismi della finzione militar-burocratica non ha al proprio interno la possibilità di emendarsi: tutti fin­gono di vedere ciò che non esiste. (Roberto Alessandrini)

Jurij Tynjanov (1894-1943), nato in una famiglia della borghesia ebraica russa, studiò all’Università di San Pietroburgo, dove conobbe Šklovskij ed Ėjchenbaum, con i quali fondò la Società per lo studio del linguaggio poetico, centro del Formalismo russo (insieme a Jakobson, Propp e altri linguisti e critici letterari). Dal 1925 iniziò la sua attività nella narrativa e nel cinema, prima come consulente presso gli studi della Leningradkino, poi come sceneggiatore.

Lev Tolstoj “Amore e dovere”, Bibliotheka Edizioni

TOLSTOJ FA I CONTI CON L’AMORE
IN LIBRERIA UNO SCRITTO DIMENTICATO DEL GRANDE AUTORE RUSSO

Nota di lettura di Roberto Maier

Traduzione di Antonio Salucci

Bibliotheka

Dal 21 novembre

Da ufficiale, nel Caucaso e a Sebastopoli, conduce un’esistenza “d’orgia e di gioco” e assiste agli orrori della guerra. A trentaquattro anni si sposa e, nell’ambiente calmo e pacifico della famiglia, scrive due dei suoi capolavori, Guerra e pace e Anna Karenina. Ma, alle soglie dei cinquanta, Tolstoj abbandona il mondo e si ritira nel suo eremo di Jàsnaja-Poljana per lavorare la terra. Un’esistenza semplice che, ispirata alla dottrina cristiana, rinuncia alle ricchezze terrene ed esercita la bontà verso gli altri.  A questa concezione religiosa lo scrittore si ispira anche nel trattare il grande problema dell’amore come appare in uno scritto dimenticato, Amore e dovere,

Scrittore, filosofo, educatore e attivista sociale russo, Lev Tolstoj (1828 – 1910), divenuto celebre in patria grazie a una serie di racconti giovanili sulla realtà della guerra, acquisì risonanza mondiale grazie al successo di Guerra e Pace e Anna Karenina, a cui seguirono opere narrative sempre più rivolte all’introspezione dei personaggi e alla riflessione morale. È ricordato per la sua idea della “non violenza attiva”, secondo la quale l’uomo deve impegnarsi fortemente contro le ingiustizie, senza usare la violenza. Un pensiero che ispirò importanti figure di pacifisti, tra cui il Mahatma Gandhi e Martin Luther King. 

Roberto Maier è docente di Teologia e di Etiche della terra all’Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Piacenza) e di Ethics and Anthropology of Food all’Università di Parma.

Tatiana Tolstoj “Anni con mio padre.Dolcezza, problematicità, tragedia della vecchiaia di Tolstoj”, Bibliotheka Edizioni

Il diario, dal 1878 al 1919, tenuto da Tatiana, secondogenita dello scrittore russo Lev Tolstoj: un album di famiglia che consente di conoscere da vicino uno dei più importanti autori russi di tutti i tempi

Traduzione di ROBERTO REBORA

Bibliotheka

Dal 3 ottobre in libreria

Non è solo un semplice diario quello che Tatiana Tolstoj, seconda figlia dell’autore di Anna Karenina e Guerra e pace, scrisse ogni giorno per quasi quarant’anni, quanto la cronaca quotidiana dei suoi rapporti col padre.
In quelle pagine, ora riproposte da Bibliotheka con il titolo Anni di mio padre, in libreria dal 3 ottobre nella traduzione di Roberto Rebora (300 pagine, 19 euro), scopriamo un Tolstoj familiare, bonario, senza “tolstoismi”. 
Quasi una carrellata di foto ricordo che, grazie al sovrapporsi di pagine apparentemente diverse tra loro, formano una sorta di taccuino di intimi appunti.
Una vera e propria vita illustrata di Tolstoj che il lettore vede animarsi davanti a sé, pagina dopo pagina.

Secondogenita dello scrittore russo, Tatiana Tolstoj (1864-1950) frequentò da ragazza l’Accademia di belle arti a Mosca e, come la madre e le due sorelle, fece da segretaria al padre. Appassionata di pedagogia, conobbe Maria Montessori e trascorse gli ultimi vent’anni a Roma con la figlia.

Alberto Savinio “Vita di Enrico Ibsen”, Bibliotheka Edizioni

LE DONNE, IL FEMMINISMO E IL TRAFORO DEL SEMPIONE

Bibliotheka

Introduzione di Gioconda Carrabs

Con sei tavole disegnate dall’autore

Dal 26 settembre in libreria

Un abisso separa la donna dall’uomo, ma anche gli abissi si colmano e a colmare questo abisso provvede il femminismo. Per avere una immagine precisa di come avviene questa operazione di riempitura, basta ripensare al traforo del Sempione”.

Apparso per la prima volta a puntate sul periodico “Film” tra il maggio e il luglio 1943 e pubblicato in volume solo nel 1979, Vita di Enrico Ibsen di Alberto Savinio non è, a dispetto del titolo, una biografia del drammaturgo e poeta norvegese, ma una brillante e lucida sequenza di divagazioni imprevedibili sulla donna e il femminismo. Il volume, con sei tavole disegnate dall’autore, sarà in libreria per Bibliotheka con un’introduzione di Gioconda Carrabs (90 pagine, 12 euro).

L’azione viene paragonata al traforo del Sempione: da un versante le femministe e dall’altro i femministi, alla testa dei quali è giusto porre Ibsen, si incontreranno non nel cuore e nella profondità della montagna, ma nei centri nevralgici della società.

Alberto Savinio, pseudonimo di Andrea Francesco Alberto de Chirico (Atene, 1891- Roma, 1952), fratello del pittore Giorgio de Chirico, studiò pianoforte nel conservatorio della sua città. Si trasferì con la famiglia a Venezia, Milano e Monaco di Baviera, poi a Parigi, dove conobbe Picasso e molti esponenti delle avanguardie. Arruolato nell’Esercito italiano, venne inviato come interprete sul fronte macedone. Dopo la guerra si trasferì a Milano e poi a Roma, dove fu tra i fondatori della Compagnia del Teatro dell’Arte diretta da Luigi Pirandello. Nel 1927 si trasferì nuovamente a Parigi e si dedicò alla pittura. Tornò definitivamente in Italia nel 1933. Collaborò con La Stampa e Omnibus di Leo Longanesi. Attraverso il suo editore di riferimento, Valentino Bompiani, si avvicinò ad Alvaro, Bontempelli e Debenedetti. Inserito in una lista di sospetti antifascisti, fu costretto a nascondersi. Convinto europeista, dopo la seconda guerra mondiale collaborò con il Corriere della Sera, vincendo nel 1949 il Premio Saint-Vincent per il giornalismo.

Gianni Caria “Il Presidente addormentato”, Bibliotheka Edizioni

Bibliotheka

Dall’8 agosto in libreria

“Il Presidente dorme da una settimana. È questo il problema: il Presidente si è addormentato e non sappiamo quando si sveglierà”. 
Per la prima volta nella storia d’Italia, a ricoprire la più alta carica dello Stato è una donna, Anita Bertoli, intellettuale e attivista, figlia di un politico di lungo corso ed ex partigiano. La Presidente viene colta da un malore, si accascia sull’ampia scrivania della sua stanza al Quirinale e da lì, pur ancora vigile, non riesce più a muoversi. 
È questo lo spunto iniziale del romanzo. La Presidente non riesce più a muoversi. Può solo pensare: al rapporto con il padre fatto di una distanza fisica, emotiva e politica mai colmata nel tempo; alla madre, una statunitense venuta in Europa a combattere per la libertà, prima in Spagna e poi in Italia; alla relazione con Aldo, già collaboratore del padre. Infine, ai veri motivi della sua candidatura e dell’elezione alla Presidenza della Repubblica. Il Paese si scopre – come lei – del tutto paralizzato: senza la sua approvazione, il Governo non può operare, e le altre cariche dello Stato non si mobilitano per risolvere la situazione di stallo. 
Al suo destino di immobilità è legato quello di un giovane corazziere, incaricato di vegliarla e di vigilare sui visitatori che a poco a poco diradano. In un reparto d’ospedale vuoto e desolato, appena animato dalla presenza di due infermiere, il soldato riflette sulla sua vita – piena di rimandi a quella della Presidente – e al senso ultimo del suo ruolo e della sua stessa esistenza: rispettare gli ordini e adempiere al proprio dovere.

Il silenzio è d’oro. Non ho mai capito bene questa frase che mia nonna mi ripeteva spesso quando ero un bambino che appena stava in piedi, ma dotato di una chiacchiera infinita, in una casa in cui tutti parlavano poco. All’inizio la prendevo alla lettera, perché la parola di mia nonna era legge, e così anche io parlavo il meno possibile. Ma non capivo come potesse arrivare l’oro stando zitto. Il mio silenzio non si è mai trasformato in oro o in altre ricchezze, ma ora so a che serve. Sono venticinque anni che parlo poco e ho trovato il lavoro che fa per me. Ore e ore di silenzio, a volte nel frastuono più assoluto, io zitto in piedi nella mia bella uniforme. Lo so che tutti mi guardano e si impressionano per la mia statura e la mia immobilità. Quando sono in servizio all’aperto, c’è sempre qualche ragazza che si accosta e pretende di farsi una foto vicino a me, magari con l’autoscatto, come fossi la fontana di Trevi.

Gianni Caria (Sassari 1960),magistrato, è stato Procuratore della Repubblica di Sassari. Il suo primo romanzo, La badante di Bucarest (Robin, 2012), ha vinto nel 2013 a Perugia il Premio Giovani Lettori-Memorial Gaia Di Manici Proietti e si è classificato al secondo posto come opera menzionata al Premio Primo Romanzo Città di Cuneo 2013.

Filippo Tommaso Marinetti “Come si seducono le donne e si tradiscono gli uomini”, Bibliotheka Edizioni

SEDURRE LE DONNE E TRADIRE GLI UOMINI, TORNA IN LIBRERIA IL MANIFESTO FUTURISTA DI MARINETTI SULL’ARTE AMATORIA

Nota di lettura di Riccardo Calimani

Bibliotheka

Dal 25 luglio in libreria

Dal letto dell’Ospedale militare di Udine, dove si trova ricoverato per una ferita da granata, Filippo Tommaso Marinetti detta agli amici Corra e Settimelli il primo manifesto futurista di arte amatoria.
Un saggio, che rappresenta il primo vero successo commerciale dell’autore e segna il passaggio del futurismo da movimento artistico a fenomeno di costume, Marinetti ricorre a episodi della sua vita, alimentando l’immagine del fulmineo e irresistibile tombeur de femmes. Tattiche, astuzie e teorie gli consentono di vantare conquiste amorose, ma anche di mettere in discussione i rapporti tra uomini e donne, parteggiando apertamente per il divorzio e invocando l’estinzione della gelosia.
Il testo di Marinetti, intitolato Come si seducono le donne e si tradiscono gli uomini, viene riproposto con una nota di lettura dello scrittore e saggista Riccardo Calimani (160 pagine, 16 euro).

Al di là delle ossessioni psicologiche, magnificamente descritte, con l’aiuto di sottigliezze e paradossi, emergono con forza situazioni apparentemente banali, ma capaci di mettere in luce le debolezze di uomini e donne alla ricerca di una effimera felicità. Non stupisce quindi che, a distanza di un secolo dalla sua prima stesura, questo testo mantenga inalterata una freschezza attuale e inaspettata offrendo al lettore pagine che possono essere interpretate in molti modi differenti. Perché seduzione e tradimento illuminano le debolezze della condizione umana. (dalla nota di lettura di Riccardo Calimani)

L’autore, Filippo Tommaso Marinetti (1876 – 1944) fondatore del futurismo, trascorre la giovinezza a Parigi, dove pubblica le prime opere, scritte in francese. Sul Figaro del 20 febbraio 1909 divulga il primo manifesto futurista, un’esaltazione del dinamismo moderno, della macchina, della guerra, della violenza. Le applicazioni sono il romanzo Mafarka il futurista (1910) e, per la poesia, Zang Tumb Tumb. Adrianopoli, ottobre 1912 (1914), descrizione fonosimbolica di un episodio della guerra d’Africa. Sostenitore del fascismo, nel 1929 diviene Accademico d’Italia.

Emilio De Marchi “All’ombrellino rosso”, Bibliotheka Edizioni

SENTIMENTI E AMBIZIONI DELLA BORGHESIA MILANESE NEI RACCONTI DI DE MARCHI, MAESTRO DEL RACCONTO

Nota di lettura di Roberto Mussapi

Bibliotheka

Dal 4 luglio

“A quarantadue anni avvengono in noi dei fenomeni che fanno paura. Non si osa credere che il cuore possa tornare indietro, essere in credito di qualche cosa e avere delle tratte in scadenza”. 
La piccola borghesia milanese, i colletti bianchi del mondo impiegatizio e i contadini lombardi trovano in Emilio De Marchi (Milano, 1851 – 1901) uno dei primi e più acuti cantori. Ne sono un esempio i protagonisti dei cinque racconti riuniti nella raccolta All’ombrellino rosso.
Oltre alla storia che dà il titolo alla raccolta, la pubblicazione propone “Regi impiegati”, “L’anatra selvatica”, “Ai tempi dei tedeschi” e “Zoccoli e stivaletti”.

Le storie delicate e teneramente leg­gere, fluttuanti come in un film antico, di Emilio De Marchi, hanno un merito notevole: offrono al panorama italiano esempi di narrazione e prosa in cui si fondono realismo e inquietudine, scrivono di vite umili e degne di essere narrate e lette, come se fossero state realmente vissute. (Roberto Mussapi)

La vita quotidiana, gli impegni di lavoro e gli intricati slanci sentimentali di gente semplice, ma non priva di sogni e di ambizioni, viene descritta con brillante ironia da Emilio De Marchi, attivo nel mondo culturale e nelle istituzioni caritative milanesi. Autore di numerosi scritti (il romanzo Demetrio Pianelli è considerato il suo capolavoro), fu anche traduttore delle Favole di Jean de La Fontanine illustrate da Doré.

Roberto Mussapi, che firma la prefazione, tra i maggiori poeti italiani contemporanei, è autore di saggi, opere teatrali e narrative, traduzioni da testi classici e contemporanei. Vincitore del Premio Nazionale Letterario Pisa di poesia nel 2000, è stato editorialista e critico teatrale del quotidiano Avvenire.

Virion Graçi “Il paradiso dei folli”, Bibliotheka Edizioni

DEBUTTO IN LINGUA ITALIANA PER UNA DELLE VOCI PIU’ NOTE DELLA LETTERATURA ALBANESE

Traduzione di Julian Zhara

Bibliotheka

Dal 20 giugno in libreria

Nei primi anni Novanta del secolo scorso un trentenne albanese emigra clandestinamente in Grecia. A casa la situazione precipita: il figlio Tori inizia a scrivergli lettere (che non gli invierà mai) per raccontare i continui tradimenti della madre Lora.   
Tori muore improvvisamente e la voce che gira in paese è che la madre abbia ucciso il figlio conficcandogli nel sonno un ago rovente in testa. Il protagonista rientra in Albania; la moglie è ricoverata in manicomio e lui si sposa con una ragazza bella e molto giovane, che si trova presto incinta e lo tradisce. 


Feroce realismo di matrice americana ed epopea balcanica, cruda rapsodia e narrazione incalzante si intrecciano nel romanzo Il paradiso dei folli dello scrittore albanese Virion Graçi .

Il padre si occupò seriamente del figlio dopo quattro anni, quando Ana, la sua seconda moglie, molto più giovane e bella di lui, aveva perfezionato l’arte della cucina. I cento e cin­quantacinque partecipanti alla cerimonia della traslazione delle ossa ebbero il raro privilegio di provare l’abilità della nuova donna di casa coi sette piatti tradizionali, cucinati da lei, per il pranzo della sepoltura.  L’uomo addetto alla sepoltura non rivelò al padre che dalla superficie del cranio di suo figlio emergeva la punta di un ago, giusto dello spessore che occupava prima la pelle. Il tanato­prattore, amico del padre, aveva strofinato con le sue mani tozze, coperte da guanti pesanti da muratore, il cranio mac­chiato, ma si era fermato sull’ago… un frammento libero… sì, era davvero un ago… lo aveva estratto con attenzione per non provocare danni o rumori strani… un ago lungo sette centimetri, un ago comune come quelli che usiamo tutti per cucire.

Nato ad Argirocastro nel 1968, Virion Graçi è una delle voci più interessanti della letteratura albanese contemporanea. Dall’esperienza dell’emigrazione clandestina in Grecia trae il suo primo romanzo, Il paradiso dei folli scritto a 22 anni pubblicato anche in Grecia e in Francia da Gallimard. Dopo aver lavorato per l’agenzia di stampa albanese Ata, è tornato ad Argirocastro come docente universitario di Letteratura e in seguito si è trasferito a Tirana all’Istituto di studi albanologici.

Armando Romero “Cajambre. Suspense nel Pacifico colombiano”, Bibliotheka Edizioni

UN INSOLITO OMICIDIO NELLA FORESTA COLOMBIANA RACCONTA IL PACIFICO E LA SENSUALITA’ DELLE SUE DONNE

Traduzione di Claudio Cinti

Bibliotheka

Dal 13 giugno

Chi ha ucciso Ruperta, trovata morta con una pallottola in testa? Si è trattato di una disgrazia, di un assassinio o di un regolamento di conti? 
Facilitato dalla parlanteria, il pettegolezzo che corre di bocca in bocca, sono in molti a porsi queste domande nel piccolo villaggio colombiano di Playitas, immerso nella lussureggiante foresta lambita dalle acque del fiume Cajambre. La risoluzione dell’enigma si dipanerà nella circolarità temporale della novena, le nove notti e i nove giorni in cui il corpo della donna verrà accudito prima della sepoltura, per consentire alla sua anima di ascendere al cielo e di non vagare senza meta, in una perenne dannazione. Ambientato nella cornice storica degli anni ’60, in cui tensioni rivoluzionarie e divisioni sociali dilaniano l’America Latina, Cajambre è il sentito omaggio dello scrittore colombiano Armando Romero alla cultura delle coste del Pacifico e alle sue donne.  
L’autore ci conduce in uno stravagante noir dell’anima, in cui la fluidità della scrittura narrativa, il ritmo dei dialoghi, la vivacità delle descrizioni, sprazzi di umorismo nero, squarci di torrida sensualità, vertiginose discese nel soprannaturale si susseguono senza soluzione di continuità. 

Nato in Colombia nel 1944, Armando Romero è uno dei maggiori autori latino americani contemporanei. Scrittore eclettico e anticonformista, ha pubblicato libri di poesia, saggi e racconti tradotti in molte lingue. Professore del centro ricerche Charles Phelps Taft all’Università di Cincinnati (Ohio), è stato insignito nel 2008 dall’Università di Atene del titolo di dottore honoris causa.  Nel 2005, a New York, ha vinto il Latin American Book Award), mentre con Cajambre ha ottenuto in Spagna nel 2008 il Premio Novela Corta Pola de Siero.

Richard Powell “Vacanze matte”, Bibliotheka Edizioni

Con una copertina di Paolo Niutta

dal 9 maggio in libreria

Bibliotheka 

Durante un viaggio in auto, una famiglia di sfaticati che vive di sussidi per la disoccupazione percorre per sbaglio una strada in costruzione e si ritrova senza benzina nel cuore del nulla americano. Per i Kwimper – padre, tre figli e una baby-sitter – quella terra di nessuno che non figura nemmeno sulle carte geografiche è il luogo ideale per ricominciare da capo e costruire, da veri pionieri, un nuovo mondo. Tuttavia, quella terra promessa va difesa dagli zelanti funzionari del governo, da una procace assistente sociale e da una banda di gangster incapaci. 
Salutato da un clamoroso successo di pubblico e portato sul grande schermo da Gordon Douglas con Elvis Presley, Vacanze matte conserva a distanza di anni la sua carica comica e dirompente. Balordi e irresistibilmente testardi, i Kwimper mettono in scena la loro disarmante ingenuità incarnando, senza volerlo, il simbolo della resistenza al conformismo dominante. 
Il libro, divenuto introvabile sul mercato italiano, ma particolarmente apprezzato da un pubblico di lettori affezionati e adottato da numerosi gruppi di lettura, viene ora riproposto con una copertina disegnata dall’artista Paolo Niutta.

Se papà stava attento a quel che diceva il cartello tutta questa storia non succedeva. Il cartello era sulla sbarra che chiudeva una traversa della strada dove stavamo marciando, e diceva: ASSOLUTAMENTE VIETATO IL TRANSITO AL PUBBLICO. Ma, dopo tanti anni che prendeva l’inden­nità di disoccupazione e l’assistenza per i figli a carico e tutta quell’altra roba, papà mica si considerava Il Pubblico. La sua idea era d’essere più o meno una parte del governo, per via che ci lavorava insieme da tanto. Il governo gli dava una mano e lui faceva del suo meglio per dar da fare al governo e così renderlo felice. Non potevano fare a meno l’uno dell’altro insomma, e a dire la verità credo che se non era per papà un sacco di statali potevano far fagotto e tornarsene a casa.

Richard Powell (1908 –1999), l’autore di questo capolavoro dell’ironia, scrittore e giornalista statunitense, dopo la laurea a Princeton ha lavorato al Philadelphia Evening Public Ledger e nell’agenzia pubblicitaria N. W. Ayer & Son. Divenne noto al grande pubblico con il bestseller L’uomo di Filadelfia (1956) che ispirò il film di Vincent Sherman I segreti di Filadelfia, tre nomination al Premio Oscar.