Il libro di Tama Janowitz si rivela ancora oggi attuale, innovativo e irresistibilmente comico.

Eleanor crea gioielli in gommalacca a forma di torte, Stash dipinge quadri con protagonisti Daffy Duck e Gatto Silvestro, Marley sogna di andare a Roma a realizzare una cappella a due passi dal Vaticano… Sono solo alcuni dei personaggi che abitano Schiavi di New York: una fauna stralunata, composta da artisti emergenti, stilisti in erba, aspiranti registi, prostitute occasionali, tutti apparentemente incapaci di trovare la realizzazione personale e la felicità, ma soprattutto costretti a ogni tipo di compromesso pur di non rinunciare al sogno che la città rappresenta per loro.(da Accento Edizioni)
Fu pubblicato negli States nel 1986, l’anno successivo in Italia per Bompiani.
Il testo ebbe un grande successo, divenuto anche un film, e ritorna in libreria per Accento Edizioni con la prefazione di Veronica Raimo, la nuova traduzione di Rosella Bernascone e la nuova copertina a firma Giovanni Cavalieri e tre racconti inediti; si compone di 24 in totale dei quali il secondo la titola.
Sono gli anni Ottanta, la città, come recita il titolo è New York, i protagonisti giovani squattrinati che di fatto non svolgono un vero lavoro, anche se vivono al di sopra delle loro possibilità e per farlo sono disposti a rinunciare all’amore, a scegliere un partner che possa ospitarli in appartamenti di lusso, a prostituirsi; sono attori, scrittori emergenti, artisti nell’ingegnarsi pur di non rinunciare ai loro sogni e a vivere la città: il ritratto di una gioventù in un periodo preciso, quel decennio particolare che furono gli anni Ottanta.
Tama Janowitz, insieme a Bret Easton Ellis e Jay McInerney, con il suo successo divenne membro del brat pack letterario (ovvero letteralmente “banda di monelli”) indicando con questo una nuova generazione di scrittori. Il successo del romanzo spinse Andy Warhol ad acquistare i diritti del libro e farne un film. Alla sua morte, improvvisa, il progetto passò nelle mani del regista James Ivory che realizzò un lungometraggio nel 1989 con lo stesso titolo del libro .

” […]Questo libro è senza tempo, oppure splendidamente datato, perché è ambientato in un’era dello spirito: gli anni ’80 a New York. È un tempo che è stato cristallizzato e celebrato da chi l’ha vissuto, ma anche da chi l’ha solo sentito raccontare, come capita quando abbiamo a che fare con un presente strabordante: la Parigi anni ’20, la Roma anni ’60, la San Francisco anni ’70… Janowitz si è scelta il compito di rendere l’esperienza quotidiana di una città con una disinvolta mitopoiesi: racconti brevi, squinternati, comici, personaggi che si intrecciano, ritornano, si perdono, un esibito disinteresse per i sistemi narrativi, per le coerenze stilistiche, e soprattutto per il compiacimento del lettore.[…]”(dalla Prefazione di Veronica Raimo)
L’incipit da
Una santa moderna n. 271
Da quando mi ero messa a fare la puttana avevo dovuto vedermela con peni di ogni forma e dimensione. Certi grossi, altri raggrinziti e coi testicoli penduli. Certi venati di blu che puzzavano di stilton, altri avari. Peni bisbetici, fatati, cosparsi di perle come i grandi minareti del Taj Mahal, peni burloni, striati come la coda di un procione, ardenti, crestati, impossibili, profumati. Più passava il tempo e più ero contenta di non possedere una di quelle appendici. Naturalmente avevo un pappone, un tipo fuori dal comune, già candidato a due dottorati, uno in Filosofia e l’altro in Letteratura americana all’università del Massachusetts. Quando ci eravamo conosciuti faceva il tassista, ma dopo un po’ aveva scoperto che quel mestiere non gli lasciava il tempo di seguire la sua vera vocazione: quella di scrittore. Quando fu chiaro che non mi avrebbero dato quel posto di segretaria di produzione per un film tedesco da girare in Venezuela, ci rendemmo conto che si doveva trovare un altro modo per fare soldi in fretta.[…]